"Puer audaci coepit gaudere volatu deseruitque ducem caelique cupidine tractus altius egit iter: rapidi vicinia solis mollit odoratas, pennarum vincula, ceras. Tubuerant cerae: nudos quatit ille lacertos remigioque carens non ullas percipit auras, oraque caerulea patrium clamantia nomen excipiuntur aqua, quae nomen traxie ab illo. At pater infelix nec iam pater "Icare" dixit, "Icare" dixit, "ubi es? qua te regione requiram?". "Icare" dicebat: pennas adspexit in undis devovitque suas artes corpusque sepulcro condidit, et tellus a nomine dicta sepulti.
Namque huic tradiderat fatorum ignara docendam progeniae germana suam, natalibus actis bis puerum senis, animi ad praecepta capacis. Ille etiam, medio spinas in pisce notatas traxit in exemplum ferroque incidit acuto perpetus dentes, et serrae repperit usum primus et ex uno duo ferrea bracchia nodo vinxit, ut aequali spatio distantibus illis altera pars staret, pars altera duceret orbem. Dedalus invidit sacraque ex arce Minervae praecipitem misit lapsum mentitus; at illum, quae favet ingenii quondam velocis in alas inque pedes abiit: nomen, quod et ante, remansit. Non tamen haec alte volucris sua corpora tollit nec facit in ramis altoque cacumine nidos; propter humum volitat ponitque in saepibus ova antituique, memor metui sublimia casus." |
"Il fanciullo cominciò a provar gusto all'audace volo e abbandonò la sua guida; sentendo l'attrazione del cielo, si mise a volare più in alto. La vicinanza dei raggi del sole ammorbidisce la cera profumata che saldava le penne ed essa ben presto si scioglie: il ragazzo sbatte le braccia nude e, mancando delle ali, non può più captare l'aria e va a cadere in un mare azzurro che lo sommerge, soffocando il suo grido dinvocazione al padre: quel mare prese il nome da lui. Il disgraziato padre, che padre ormai non era più, urlava: "Icaro, Icaro, dove sei? Dove devo venire a cercarti?". Mentre pronunciava quel nome, vide delle penne galleggiare sulle onde e maledisse la sua invenzione. Seppellì poi il corpo del figlio in un luogo che da lui prese il nome. Mentre tumulava il cadavere del suo infelice figliolo, da una fossa melmosa lo vide una garrula pernice e applaudì con le ali, manifestando la sua soddisfazione col canto. Era quello allora un uccello unico, mai visto nei tempi precedenti, divenuto tale da poco: per te, Dedalo, instancabile accusatore! A Dedalo, infatti, la sorella, ignara dei segni del destino, aveva affidato da istruire suo figlio, un fanciullo di dodici anni, dotato di una grande capacità di apprendere. Per esempio, avendo notato la lisca in mezzo al corpo del pesce, egli ne aveva ricavato il modello per intagliare in un ferro affilato dei dentoni contigui, inventando così la sega. Era stato il primo a collegare due aste di ferro con un perno, in modo che, mantenendo tra loro una distanza fissa, l'una restasse dritta e ferma, e l'altra descrivesse un cerchio. Dedalo fu colto da invidia nei suoi confronti e lo fece precipitare dall'alto della rocca sacra a Minerva, simulando poi una caduta accidentale. Ma Pallade, che incoraggia e protegge i talenti, frenò e sostenne il ragazzo, e lo trasformò in uccello, coprendolo di penne, mentre stava lì a mezz'aria. La vivacità del suo primitivo ingegno, andò a finire nelle ali e nei piedi: il nome gli rimase. Tuttavia, quest'uccello, non è in grado di volare alto e non fa il nido sui rami, o sulle cime degli alberi, anzi, vola raso terra, depone le uova nelle siepi e teme l'altezza, memore dell'antica caduta." |