Sono rientrato dal Burundi, dove
ho passato un mese di sosta. Ne avevo bisogno, dopo mesi di corse veloci
per l'Italia, incapace come sono di dir di no a chi m'invita, soprattutto
se mi chiede di parlare del Concilio o della pace. Basti pensare che negli
ultimi quindici giorni di novembre avevo fatto quindici conferenze (comprese
tre ore in una scuola alla mattina e una conferenza alla sera), parlando
quattro volte in Piemonte, una volta in Veneto, una in Toscana, una in
Umbria, ma intramezzando con due viaggi in Puglia: una sosta ci voleva!
Perché in Burundi? Là
siamo coinvolti con la missione di Mutoyi (a 1700 metri), provincia e diocesi
di Gitega, l'antica capitale, al centro del Paese (oggi lo è Bujumbura,
sul Lago Tanganica, al confine col Congo). Il gruppo che vi lavora da oltre
trent'anni è milanese, ma, per una strategia pastorale che l'Archidiocesi
milanese s'era imposta, i suoi sacerdoti "fidei donum" erano indirizzati
esclusivamente nell'antica Rhodesia (oggi Zambia). Mons. Makarakiza, arcivescovo
di Gitega, che aveva già destinato a Mutoyi i primi milanesi offertisi
per il Burundi, chiese a me - suo antico "fratello" al Concilio, nel gruppo
cosiddetto "piccoli monsignori" (nella spiritualità cioè
dei "piccoli fratelli" di Carlo De Foucauld) se avessi potuto ordinare
sacerdoti per Mutoyi. Col pieno consenso del nostro Concilio presbiterale
e col favorevole assenso della Curia milanese, accogliemmo Virginio Romanoni
per l'ultimo anno in Seminario e lo ordinammo sacerdote in Cattedrale (venne
all'ordinazione anche mons. Makarakiza) dopo qualche anno fu la volta di
Camillo Meroni, che frequentò l'anno di Seminario ad Ivrea (a… frammenti,
perché se restava fuori Burundi oltre tre mesi perdeva il diritto
al passaporto) e fu ordinato a Mutoyi con una festa indimenticabile (tre
vescovi locali, il Nunzio Apostolico e me, con don Arbore, Rettore del
Seminario, don Majerna, suo compaesano, e diecimila fedeli accorsi da mezzo
Burundi).
Dopo qualche anno è stata
la volta di Fabrizio Gobbi: anche lui ha frequentato un anno di seminario
e, ordinato sacerdote nella nostra Cattedrale, dopo due anni di servizio
in Cattedrale e a Caluso-Orio-Barone, è stato invitato in Burundi
per avviare una specie di noviziato per alcuni giovani locali desiderosi
di entrare nella fraternità dei "Piccoli fratelli dei poveri" (esiste
già la congregazione delle "Piccole sorelle dei poveri", con numerose
suore in Burundi, ma con alcune già in Brasile, nella nuova missione,
altre che si preparano ad andare nella futura missione in Nepal). A questi
giovani viene offerta una sintetica formazione teologica, con Bibbia, dogmatica,
morale, storia, pastorale; ma gradivano avessero anche una infarinatura
di filosofia. Don Fabrizio mi buttò là un auspicio (curioso,
no?), ed io l'ho colto come un invito inatteso della Provvidenza. Diversi
imprevisti hanno rimandato via via il viaggio, dalla primavera all'autunno;
partendo alla fine di novembre ho dovuto prolungarlo fino a Natale, rinunciando
ad alcuni impegni canavesani ormai quasi tradizionali (per l'Immacolata,
Natale e Santo Stefano), e ne chiedo scusa ancora agli interessati.
Devo dire che - a parte i problemi
derivanti dall'ignoranza totale della lingua, per cui più che "con
i poveri", stavo con quelli che stanno con i poveri - è stato un
bel mese, pressoché "stanziale" come si suol dire. Nel senso che
sono andato ad alloggiare a Kivuvu, un piccolo agglomerato a 1800 metri
di altezza e a venti minuti di fuoristrada da Mutoyi, ove è il piccolo
noviziato (ora sono quattro giovani, alcuni più anziani si sono
trasferiti a Mutoyi). Lì, alternate ai corsi già iniziati
delle altre materie, ho fatto due ore mattutine di lezione, cercando di
far capire per lo meno che cosa sia la filosofia, ricavandola sommariamente
(da…cicala) dalla storia del pensiero occidentale, soffermandomi soprattutto
su Platone e Aristotele, iniziatori delle correnti "spiritualista" e "terrenista",
che hanno continuato a dividere la storia del pensiero (ed anche della
teologia) da S. Agostino a S. Tommaso, da Cartesio a Kant, agli idealisti,
ai marxisti e agli esistenzialisti. L'ho fatto, appunto da cicala, rendendomi
più semplice che ho potuto, anche - devo dire - divertendomi nel
tornare indietro di quaranta-cinquant'anni al compito svolto a lungo nel
Seminario di Bologna. Ho trovato quattro giovani molto attenti, incuriositi
e dialoganti, in grado per lo meno - lo spero - di capire che "metafisica"
vuol dire, come la definivano gli antichi, "al di là della fisica",
di quello cioè che sperimentiamo sensibilmente.
Il resto della giornata, a parte
le eccezioni di cui parlerò, era disponibile per la preghiera ed
il riposo. Per la preghiera c'era tutto il tempo che si voleva; ed oltre
che nella cappella, dove si recitavano Lodi e Vespri spesso in unione alla
Messa, mi piaceva restare tutto solo (alle volte osservato per un po' da
curiosi) nella vicina grande aula della Chiesa, a…far compagnia a Gesù.
Leggendo nei ritagli di tempo un libro datomi dall'autore a Bose nel Convegno
di Maggio (A. Mandonico - Nazaret nella spiritualità di Charles
De Foucauld, Padova 2002) vi ho trovato una conferma alle critiche che
ho sempre fatto circa la denominazione di "piccoli fratelli" (e "piccole
sorelle") data ai religiosi che si ispirano all'eremita del Sahara, dal
momento che in francese "petit frère" (e così "petite soeur")
vuol dire "fratello (o sorella) minore", e si contrappone ai "maggiori",
talora tentati di essere orgogliosi e prepotenti (e per questo S. Francesco
voleva che i suoi frati - o fratelli - fossero "minori"). Dunque più
che "piccoli fratelli" sono "fratelli piccoli", che stanno con Gesù,
fratello maggiore, lo apprezzano, lo amano, si fanno guidare da lui. Di
qui le lunghe meditazioni di fratel Carlo sul vangelo, di qui le lunghe
adorazioni eucaristiche. Poi, proprio per condividere la vita del loro
amatissimo (la traduzione troppo letterale dice: "Beneamato") fratello,
si rendono "fratelli piccoli" di tutti, a cominciare dai più poveri,
dai più abbandonati, ispirandosi a De Foucauld, che si definiva
"fratello universale", in particolare dei musulmani, in mezzo ai quali
stava non per convertirli, ma per portarvi la presenza fraterna di Gesù.
In quella preghiera mi sentivo più
che mai vicino alla nostra diocesi di Ivrea (aggiungo: e a Pax Christi),
ripercorrendola col pensiero e con la preghiera nelle sue parrocchie e
nelle sue persone, a cominciare da quelle verso cui avessi in qualche modo
mancato o che avessi fatto soffrire, rendendomi conto che se il Signore
s'era servito di me per fare un po' di bene - e questo certo per quanti
(e…per quante, ovviamente e soprattutto) avevano pregato per me - dovevo
compensare quanto di manchevole c'era stato, in primo luogo appunto nella
preghiera, sempre troppo scarsa. Dice l'orazione liturgica di S. Luigi,
il mio patrono che per tutta la sua vita aveva pianto alcune scorrettezze
verbali fatte da bambino incosciente: "se non l'abbiamo seguito nell'innocenza,
seguiamolo almeno nella penitenza" (innocentem non secuti, poenitentem
imitemur).
Le eccezioni di cui parlavo sono
state, oltre due o tre capatine a Gitega (tre quarti d'ora di fuori strada)
per telefonare (se no, ero fuori del mondo), qualche puntata a Mutoyi (ad
esempio la domenica pomeriggio per parlare del Concilio alla Comunità
riunita e per qualche messa in italiano, compresa quella della mezzanotte
di Natale), una a Bugenhuzi (un'ora di fuoristrada) per visitare la parrocchia
di don Virginio (dove ero stato negli anni '80), e un incontro a Gitega
col clero, le religiose, alcuni operatori pastorali, invitato dal vescovo
per presentare (in francese) la Lettera del Papa "Tertio millennio
ineunte". E così ho incontrato ancora una volta (l'avevo già
visto arrivando) il vecchio amico mons. Makarakiza, ritiratosi in un'ala
dell'Arcivescovado, accanto al nuovo Arcivescovo, che lui, quand'era in
carica, aveva mandato a studiare a Roma (in mezzo c'è stato un Arcivescovo
ucciso durante le lotte etniche).
C'è stato anche un pomeriggio
di escursione al Nord, ai laghi che confinano col Ruanda, una discesa al…Nilo,
che esce - ancora piccolo - dal vicino Lago Tanganika, e rapide visite
a villaggi vicini dove le Piccole Sorelle dei Poveri (in gran parte burundesi)
fanno presenza umana e pastorale. Ho molto ammirato lo spirito semplice
e povero, ma generoso e pieno di iniziativa, di questi fratelli e sorelle,
che non solo coprono pastoralmente (sono quattro sacerdoti, coadiuvati
da molte Sorelle) un territorio estesissimo con sessantamila persone, ma,
con il loro impegno e la collaborazione di tanti volontari, stanno facendo
opera di promozione umana: ospedaletto e dispensario, cooperativa con reparti
di meccanica, falegnameria, ceramica, tessitura, panetteria e agricoltura,
piantagioni di mais e di soia, allevamenti di galline commestibili e uova.
Senza contare l'attività nella capitale, con vendita di quanto viene
fatto a Mutoyi e servizi alimentari.
Nei giorni feriali celebravo nella
cappella interna di Kivuvu o a Mutoyi per la fraternità, alla domenica
nell'una o l'altra chiesa, facendo l'omelia in francese, subito tradotta
in kirundi. Ovviamente la prima intenzione di preghiera - soprattutto nelle
Messe di Natale - era quella della pace, in questo Paese così travagliato.
E una grossa speranza è stata offerta dagli accordi siglati proprio
in quei giorni in Tanzania tra il Governo burundese ed il gruppo maggiore
dei guerriglieri. Per questo vogliamo tutti pregare. E per questo torno
dal Burundi "con speranza", portando il saluto e l'augurio dei nostri don
Virginio e don Fabrizio e di tutte le Sorelle e i Fratelli dei poveri.
+ luigi bettazzi