Progetti e studi di architettura

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TEMPIO

 

Conformazione costruttiva (Firmitas)

La chiesa di S. Francesco (sec. XIII-XIV) tutta in laterizio, col suo perimetro semplice e rettilineo, dovette inspirare all'Alberti l'involucro che, ad un tempo racchiudendola, l'avrebbe protetta con la sua poderosa muraglia in rivestimento lapideo. La facciata, forse monofastigiata come la chiesa madre di Bologna, aveva, nel 1500, quattro paraste: due agli angoli e le altre in corrispondenza delle cappelle per contenere la spinta degli archi. Un occhio circolare che sormontava la porta di mezzo, venne notato nello scrostare lo strato d'intonaco interposto fra le lesene che decorano la parete interna del muro della facciata.
Del progetto dell'Alberti invece, poiché nessun disegno originale è giunto a noi, si ha un modesto ricordo da una medaglia del Pasti che chiarisce l'intendimento del progettista di voler creare un grandioso Tempio con transetto ed unica abside centrale, sormontato, nell'incrocio dei bracci, da una cupola emisferica. Incerta però, rimase l'esecuzione del soffitto che l'Alberti dovette certamente stabilire con volta a botte, avendo probabilmente già maturato la geniale idea, attuata nel 1472 nel S. Andrea di Mantova e seguita poi negli edifici ecclesiastici del Rinascimento. Ma lo studio per la volta del Malatestiano, in armatura lignea, secondo gli storici, sarebbe stato compiuto dal carpentiere Alvixe, sostenuto dal Pasti direttore dei nuovi lavori, ed approvato dal Malatesta in contrapposizione alle vedute costruttive dell'Alberti.
Dissensi, lungo il corso dei lavori, ne avvennero: velatamente, essi affiorano negli ordini che l'Alberti inviava al Pasti, il quale, pur con la deferenza verso tanto sapere, in alcuni casi mostrò difficoltà all'esecuzione dei suoi disegni, non sempre, forse, per pure ragioni statiche, quanto per l'immutabile fedeltà alla tradizione. Infatti la facciata principale, tripartita da solenni arcate inspirate all'arco di Augusto in Rimini, ma più animate ed equilibrate nelle proporzioni, subì, quasi subito, una sostanziale modifica del progetto albertiano; ed appunto per non tagliare le lesene nella facciata in laterizio del vecchio S. Francesco, occultata dal rivestimento marmoreo, venne sospesa l'esecuzione delle nicchie, nelle arcate laterali alla porta d'ingresso, dove si dovevano collocare sarcofagi simili a quelli contenenti le ceneri dei poeti, o filosofi, o giuristi insigni, posti nei fornici del fianco destro e che poggiano sullo stilobate romano, fregiato genialmente dall'Alberti. Con la rinuncia alle nicchie, sostituite da pareti in lastre di marmo quasi a filo delle arcate, evidentemente fu raggiunto l'infelice risultato di diminuire la bellezza plastica delle due ali laterali della facciata. Ciò nonostante il Tempio, esternamente, anche così alterato ed incompiuto, riassume una espressione efficacissima di tutta un'idea armonica.
I tondi porfirici, esterni ed interni, derivano da quelli del S. Marco e dei palazzi romanici in Venezia; i capitelli ed i sottoplinti delle colonne esterne, da una libera interpretazione degli esempi bizantini di S. Apollinare in Classe, a Ravenna.
L'acquisto di marmi dall'Istria e da Verona, regolarmente contrattato ma faticosamente liquidato; l'impiego delle lastre tombali che circondavano la vecchia chiesa romanica; l'asportazione di blocchi dal ponte consolare di Savignano; il saccheggio della Basilica di S Apollinare in Classe a Ravenna, e forse di altri edifici, non furono sufficienti a realizzare completamente la grande opera, arrestatasi nel 1461.
Durante i restauri del 1946-49, nello scavo di saggio, alla profondità di circa m 3.50 sotto il livello stradale, si riscontrò che la fondazione del Tempio, nella parte antica, si portava a profondità ancora maggiore, e poggiava sicuramente su un potente banco di argilla grigia, caratteristica della consistenza geologica del sottosuolo di Rimini, su cui con tutta sicurezza, furono impostati i monumenti romani esistenti nella città. Dai sondaggi sulle fondazioni risultò una consistenza abbastanza notevole della muratura, costituita da strati successivi di cotto, di pietra d'Istria e di pietra di San Marino, spinta ad una profondità media di m 3.40 sotto il piano di campagna. Del resto la muratura venne impiegata per le strutture in elevazione sia nella zona di facciata che nelle pareti laterali, con rivestimento in blocchi di pietra. La tessitura delle murature trecentesche risultava costituita da due paramenti (uno interno e l'altro esterno) formati da muratura di mattoni a due teste ammorsati ad un riempimento interno eterogeneo di materiale con scarso dosaggio di malta, costituendo in sostanza una muratura a sacco.
Il tipo di capriata preesistente, che era del tipo Palladio, a due monaci, è stato conservato. Ognuna delle falde del Tempio, ricoprente la seminavata centrale e le cappelle laterali, aveva una luce complessiva di circa m 19. Essendo a falda continua, tutte le acque pervenivano alla gronda terminale. Questa sistemazione non era senza inconvenienti, in quanto quando le acque attraverso una sola gronda, scaricante per ogni lato in una unica pluviale, ne derivavano, per ingombri od altro, diffuse perdite ed infiltrazioni nelle masse murarie con grave danno di queste ultime.
Si è dovuto perciò provvedere a suddividere ogni falda del tetto in due parti: la prima ricoprente la sola seminavata e la seconda il rimanente corpo laterale delle cappelle. Tra i due tratti di falda si è realizzato un piccolo dislivello mettendo in opera una seconda gronda in tal modo l'acqua piovana viene raccolta da quattro anziché da due gronde, eliminando le temute infiltrazioni.
Tutta la parte absidale, andata completamente distrutta, si è dovuta ricostruire sia nelle murature che nella copertura; analogamente per le cappelle posteriori. Vari lavori di consolidamento sono stati necessari anche per le strutture del campanile incorporate in quelle del Tempio, e così per molti dei marmi del paramento esterno che erano decorati o recavano iscrizioni. Un'altra particolarità del paramento lapideo in pietra d'Istria è costituita dalla presenza di tondi in asse con i pilastri delle arcate che in passato erano caratterizzati dall'avere il fondo ad intonaco colorato trattato a finto marmo, come testimoniano i lacerti di intonaco ancora presenti. Questi frammenti di intonaco colorato sono stati consolidati lasciando a vista il supporto murario costituito dalla pietra sbozzata senza procedere all'integrazione delle lacune. Numerosi e non certo felici lavori, portati a termine a partire dal 1809 quando il tempio divenne la cattedrale di Rimini, tra i quali le imbiancature dell'interno, cancellarono infatti le originali policromie e, nel 1860, arrivarono alla sostituzione delle lastre decorate nell'intradosso dell'arcone centrale.
A tal proposito, durante i lavori del 1950, che per la parte del portale furono affidati all'Opificio delle pietre dure di Firenze, alcune lastre di vari materiali tra i quali porfido, marmo greco, verde antico, furono riconosciute per quelle riusate da altri monumenti: in particolare quella centrale dell'arcone, in marmo greco, presenta nel retro un rilievo ravennate di quasi certa provenienza classense.