Progetti e studi di architettura | ||
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TEMPIO
L'esterno
Per quanto riguarda la progettazione della facciata l'Alberti dovette affrontare un problema praticamente inedito; questa infatti, come è stato più volte rilevato, è la prima facciata del Rinascimento. Forse anche per questo motivo è alquanto complessa nella sua intellettualistica composizione di elementi e di volumi schiacciati come in un grande bassorilievo prospettico. Dietro ad un portico trabeato che s'innalza da un podio - una specie di pronao col fregio decorato dal nome di Sigismondo - si aprono tre archi. Quello centrale è idealmente concepito su un piano più avanzato, come dimostrano le sue maggiori dimensioni e le corone che ne decorano i rinfianchi; su di esso ne era stato progettato un altro uguale, svettante contro il cielo con un profilo frastagliato, affiancato dalle due alzate oblique che avrebbero dovuto suggerire l'andamento centralizzato della cupola rotonda conclusiva dell'edificio, mai realizzata. I piani del colonnato, dell'arco centrale degli archi laterali, del portale, delle alzate si compenetrano e riassumono in una sorta di rilievo prospettico di spessore limito, per suggerire uno spazio ideale senza intaccare la compattezza e l'organicità dell'edificio, e per permettere di cogliere fin dalla facciata la ricchezza dei motivi formali e dei valori simbolici che dovevano essere sviluppati all'interno. La stessa imbotte profonda dell'arco centrale prefigura la copertura interna della navata, che doveva appunto avere un soffitto a botte, mentre le tarsie dalle quali emerge appena il portale preludono all'ombroso e policromo vano interno. Gli archi minori della facciata erano stati originariamente progettati come nicchie profonde per accogliere i sarcofagi del signore e dei suoi antenati e discendenti. L'Alberti dovette modificarli in corso d'opera (nel 1454) per ragioni statiche, certamente con rammarico, perché essi costituivano la conclusione logica e necessaria della lunga sequenza di archi dei fianchi, e conferivano unitarietà a tutto l'esterno dell'edificio. Mentre la facciata è eccessivamente complessa, nella sua ideazione per riporti successivi di elementi architettonici e di piani, i fianchi sono straordinariamente semplici ed armoniosi nel loro nobile susseguirsi di archi su pilastri quadrati. Tra la parete marmorea dell'Alberti e quella in cotto delle cappelle è ben visibile una certa intercapedine; e inoltre una notevole mancanza di corrispondenza fra le finestre alte e strette, di gusto gotico, e gli archi a tutto sesto di gusto romano. Forse questa mancanza di corrispondenza, di simmetria, aveva lasciato perplesso il direttore dei lavori, Matteo de' Pasti, al quale l'Alberti scriveva nel 1454: "Quanto al fatto del pilastro nel mio modello, ramentati ch'io ti dissi, questa faccia chonvien che sia opera da per sé, perché queste larghezze ed altezze delle chappelle mi perturbano (...) vuolsi aiutare quel ch'è fatto, e non guastare quello che s'abbia a fare. Le misure et proportioni de' pilastri tu vedi onde elle naschono: ciò che tu muti si discorda tutta quella musica". Sono frasi che chiariscono la visione dei problemi architettonici dell'Alberti e la sua concezione dell'architettura come astratta armonia; altre frasi della stessa lettera contengono dichiarazioni esplicite della sua fede nella ragione e nell'esemplarità dell'architettura classica: "Io credo più a chi fece Therme e Pantheon et tutte queste cose maxime che a lui, e molto più alla ragion che a persona".
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