RAFAEL ALBERTI
La mano
Terra con acqua sismica,
aria, colore e terra,
radici, insetti, fiori,
spume, pesci, uccelli vibratori,
energia sfrenata, terra scatenata.
Trotta, galoppa, si slancia.
Non si arresta, non dorme.
È tutto mattina. Fugge la sera.
Arde la notte. Rimbomba il tempo.
Divora il tempo, Non c'è ieri.
Non c'è mai età, mai anni.
Nasce e rinasce, nasce e nasce.
Si apre la strada, non c'è strada.
Si apre la strada. Sempre c'è
al fondo la luce. Si arresta appena
e continua e continua e continua e continua.
La donna che piange
Si può piangere pietre.
Lacrime come gocce di pietra.
Denti che cadono dagli occhi
quasi che piangessero gli occhi
dentature di pietra.
Non pianse mai il dolore
così grande dolore scagliando goccioloni di pietra,
denti e molari di dolore di pietra.
Scendesti al mare
Scendesti al mare, al tuo,
per farne nuovamente la tua casa.
Ma quasi non lo guardi, non è necessario.
Sta dentro di te,
da prima ancora che nascesse il mare, e tu.
Una sirena dondolò la tua culla.
Un toro una mattina sulla sua groppa ti rapì veloce
e ti bagnò di spuma sino all'inguine.
Ed è da allora che vi canta il mare.
Si, sei disceso di nuovo dalla bruma al mare,
perché altro non eri che un arancio frainteso,
un olivo.
E adesso sono tanti i frutti che tu dai alla luce,
che il mare dice: aspetta,
c'è già più olive e arance che onde.
Ogni giorno incomincia per te
come una poderosa erezione, come un'ardente
punta di lancia contro il sole nascente.
Priapo è ancora colui che infiamma
l'invenzione delle tue grazie e dei tuoi mostri.
Lui solo è il tuo pennello, la tua penna, il tuo bulino
La sua linfa si spande allegramente
in colori, linee, musica, parole.
Tu lo saluti a ogni aurora.
Priapo sempre all'erta,
nascosto fra gli alberi e le fonti,
si alza e ti sorride.
Fame vitale
Fame vitale, divoratrice fame
di vivere il minuto, il secondo precisi.
Son le ore arcane,
più cariche di passione, di stupore
che questo secolo sopporta scalando ormai le cime
dei cent'anni. Sento, il mondo intero ode
il tempo fecondarti il sangue
che tu fai scoppiare in esplosioni
di colori, di linee e di parole
che ogni giorno risuonano
e risuoneranno sempre.
Tu sei una catastrofe
Tu sei una catastrofe
o un cielo aperto dove s'installa l'arcobaleno.
Da te tutto si aspetta.
Nudo di fronte al mare,
quasi da poco emerso da un naufragio,
sei coperto di vento e di tempeste
e le pietre che scagli
posson spezzare insieme la corolla d'un fiore
o generare un bimbo,
un uccello
una stella.
Pace
Fra tutte le colombe una se ne andò per il mondo.
Ancora
continua a girare attorno al sole
al ritmo della terra.
Volo senza padrone, sempre minacciato.
Tornerà qualche volta
al vecchio nido da cui un giorno uscì?
La pace
Spuntano al sole rami d'allegria.
Ruotano senza incendiarsi.
Pegaso si lascia condurre per la terra dalla mano d'un bimbo.
Ride felice l'uccello nella gabbia.
Non teme.
Succhia il neonato mentre la madre nuda legge senza paura.
Sotto la luce ballano ignude le fanciulle.
Non è nato il pudore.
Nei flauti di canna si fa musica il vento.
Il poeta sta per scrivere la sua prima poesia.
La vita ricompare come gioco.
Aurora del mondo.
E tutto ha un nome che amiamo e che vorremmo
sempre fedele a quello che hai dipinto.
Andando
Andando, andando, andando,
seguo sulla sabbia
i mobili confini delle onde,
sino a lasciare il mare là
dove sorge quella verde altura
donde i tuoi occhi illuminano
indagatori e fissi il nostro tempo.
Succedono cose, capitano
cose quando tu tocchi con la tua mano.
Succedono e si sentono. Cosi, oggi:
Grida il rame sotto il morso dell'acido,
pelle tatuata palpitante
di graffi, di unghiate,
ardente di bruciore,
aperta in solchi nei quali si comprimono
o si agitano in lampi, in, folgori
o in tessiture d'ombra,
linee decise dai tuoi desideri
il tuo dare alla luce, quotidiano, nuovo il mondo.
Così il metallo è fiero
di esistere con te, ti si offre a ogni istante
compiaciuto, disposto
a subire tranquillo le punte, il mordente,
i bisturi affilati che squarciano
il suo petto rutilante,
la vernice come pioggia ardente
di rugiada, per poi passare
ad essere, infine, da cieca superficie,
specchio commosso, fervido
delle tue reali invenzioni.
La tua solitudine d'oggi
La tua solitudine d'oggi sull'altura
non è sola, trabocca d'abitanti,
di cose e di persone sempre viste
che tu dati ogni giorno
dandogli un'età per il futuro.
Tu solo
sei tutto un paese superpopolato.
Tutti i giorni vorrei parlare di te,
a tutte le ore vedere ciò che hai visto,
essere milionario dei tuoi occhi,
trovare le parole di un linguaggio
che non essendo fatto sembrerebbe l'origine,
la voce primordiale della terra...
Non fuggo
Immergermi in te,
salvarmi percorrendoti.
Pene, lasciatemi,
orribili angosce ingigantite
- lasciatemi! - nella notte.
Un cavallo,
un cavallo veloce per i miei occhi.
Non fuggo.
È la luce.
Voglio dirti addio
Mi trovo qui su questo monte
e guardo in basso.
Vedo verdi di cento colori
che sono alberi, fiumi, orti, campi
Tu sei lì su quel monte
solitario direi.
Vedi verdi di cento colori
e sotto, il mare.
Voglio dirti addio in questa sera,
già quasi spenti i verdi.
Ti respira la terra.
Ti sento qui sui monti.
Ti respira la terra,
sei il suo polso,
il suo riempirsi d'aria i polmoni
e il vuotarsi
ad un ritmo costante che non si è mai fermato
e mai dovrà fermarsi.
Metto l'orecchio contro la corteccia
e laggiù
contro la pelle mossa
del mare
e ascolto sempre
il tuo battito profondo,
quello che dai tuoi occhi
scende fino alle profondità
del pianeta
e lo fa impazzire intorno a te.
Anche prima,
molto prima della rivolta delle ombre,
e che nel mondo cadessero piume incendiate
e un uccello da un giglio potesse essere ucciso.
Prima, prima che tu mi domandassi
il numero ed il sito del mio corpo.
Assai prima del corpo.
Nell'epoca dell'anima.
Quando tu apristi nella fronte non coronata, del cielo,
la prima dinastia del sogno.
Allorche', contemplandomi nel nulla,
inventasti la prima parola.
Allora, il nostro incontro.