Il mio paese   -   La mia comunità



Domenica 31/3/2019

IV di Quaresima
LAETARE
Colore liturgico

Rosaceo

Liturgia delle Ore:

IV sett


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Dio è lì a sbirciare il mio ritorno

Dio mio, quando nel cammino verso di te non ho più provviste, non ho altra possibilità che rivolgermi a te, ritornare umile sui miei passi.
Quando la colpa mi fa temere il castigo, la speranza mi offre riparo alla tua giustizia.
Quando l'errore mi confina nel mio tormento, la fede annuncia il tuo conforto.
Quando mi lascio vincere dal sonno della debolezza, i tuoi benefici e la tua generosità mi risvegliano.
Quando la disobbedienza e la rivolta mi allontanano da te, il tuo perdono e la tua misericordia mi riconducono all'amicizia.
E tu sei sempre lì a sbirciare il mio ritorno per stringermi in un abbraccio rigenerante, aperto ad un futuro unico d'amore.
Possa la tua Parola calare proficua nel mio cuore e farmi vivere per amarti e ringraziarti ogni giorno della mia vita.
Amen.

(Marino Gobbin)


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Il figlio prodigo

Il figlio prodigo giaceva a terra: quando prende coscienza della sua miseria, quando avverte di trovarsi in una perdizione senza rimedio, vedendosi così immerso nel fango della lussuria, esclama: «Voglio andarmene e ritornare da mio padre».
Di dove gli viene questa speranza, questa sicurezza, questa fiducia? Dal semplice fatto che si tratta di suo padre. Non sarà un estraneo a intercedere per me presso mio padre: il suo stesso affetto interverrà a commuoverlo per me nel più profondo del suo cuore.
Ed ecco che il padre, appena vede il figlio, si dimentica della colpa: preferisce essere padre, e perciò non si mostra come giudice, e trasforma immediatamente la sentenza in perdono. L'amore non riesce a vedere la colpa: per questo il padre redime con un bacio il peccato del figlio, lo chiude nel suo abbraccio.

(Pietro Crisologo, Sermoni)


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Tu sei esagerato, mio Dio!

Grazie, Signore, perché tu non ci tieni prigionieri, ma ci lasci andare, anche se sai che ci perderemo.
Grazie, perché quando torniamo da te, tu ci corri incontro, non ci rinfacci niente, ma ci butti le tue braccia al collo.
Grazie, Signore, perché con noi tu hai sempre pazienza e la tua pazienza è già il segno di una festa.
Grazie, Signore, perché tu sei esagerato, sei eccessivo nel volerci bene.
Ma l'amore vero è sempre così.
Come te.
Perché tu sei l'amore e amandoci ci doni la tua vita.
Amen.


(Don Angelo Saporiti)

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  • Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: 
  • Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te. 
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  •  * * * * * * 

Un amore senza condizioni


Di fronte alle mormorazioni e alle critiche dei farisei, scandalizzati dalla vicinanza dei peccatori a Gesù, egli risponde con una parabola sconvolgente e bellissima. La storiella, articolata e densa di particolari, probabilmente voleva fare chiarezza sul modo di essere di Dio: di qui le scelte di Gesù, il suo occhio di predilezione per chi ha sbagliato ma vuole cambiare.
Un padre così non è consueto: dare l’eredità prima della morte equivale a rinunciare a quello che è giusto, dichiarare di vivere esclusivamente per i propri figli, concedere una fiducia e una libertà illimitata a chi ha messo al mondo. È il Padre che sceglie di amare incondizionatamente.
Di fronte al peccato più grave del figlio, che ha disprezzato e sciupato i suoi doni, egli non si limita ad aver compassione di lui, ma desidera e facilita la riconciliazione (lo vede già da lontano, gli corre incontro), lo reintegra nella famiglia (lo abbraccia e lo bacia, gli fa mettere l’anello al dito), fa la festa più bella perché lo ha ritrovato (il vestito migliore, il vitello grasso). Ha anche la finezza di “uscire” a “supplicare” il figlio corretto, ribadendogli quanto ami pure lui, ma quanto fosse importante rallegrarsi per un figlio restituito alla vita.
Don Gianfranco Laiolo, che ha dedicato la vita al recupero di tossicodipendenti e sbandati nei quartieri difficili di Torino, racconta di una sera in cui un ragazzo, espulso dalla propria casa, gli chiese perché “perdesse tempo” con lui. “Perché Gesù mi ha raccontato che Dio è un Padre così…”. Alla fine della parabola, il ragazzo si sciolse in un pianto confessando: “Non ho mai sentito niente di più bello”.


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Preghiera

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Coprimi con le tue piaghe, Signore.
Nascondi la mia nudità con la veste della tua santa umanità perché non traspaia la mia umiliante povertà.
Il manto della tua misericordia celi, agli occhi dei miei fratelli, o Signore, le ferite che mi sono procurato durante la mia assenza dalla tua casa.
Cibami dei tuoi baci e delle tue carezze, perché non muoia di tristezza e di veleni di cui mi sono nutrito, stupidamente, nel campo in cui pascolavo i porci.
Allarga la soglia della tua casa perché possa, con i bagagli dei miei stracci raccolti durante il cammino del mio ritorno, oltrepassare ed entrare nell'intimità del tuo amore e del tuo cuore.

(Luigi Rottini)

Vangelo della Domenica

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In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"».

Lc 15, 1-3. 11-32

 


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Un baratto


A 18 anni ho venduto il mio spirito a Dio, come altri vendono la loro anima al diavolo.
Allora ero goffa, brutta, mingherlina, inetta, come il «brutto anitroccolo», ma avevo molto spirito... uno spirito chiaro, vivo, acuto, pungente, che mordeva senza misericordia. Non appena una persona un tantino ridicola arrischiava di mostrarsi a me, l'acchiappavo al volo e la fissavo con una parola pungente, come si fissa un insetto su un tappo, con uno spillo. Ciò mi divertiva molto e faceva ridere la compagnia. Ma i miei cugini mi giudicavano «cattiva», e mio fratello mi chiamava «vipera». Avrebbe fatto meglio a dire zanzara o vespa. Un giorno, però, ci pensai su e mi vidi tal quale ero col mio crudele pungiglione. Poteva forse una cristiana accettare di essere così?
Fui presa dal rimorso.
E una mattina ne parlai con Nostro Signore, dopo la Comunione.
Rinunciare al mio spirito? Cosa mi rimaneva senza di esso? Non avevo bellezza né fascino, niente che potesse piacere. Sacrificare il mio spirito? Non mi ci potevo decidere. Mi costava troppo. Mi costava tutto.
Dentro di me, Dio attendeva con aria di rimprovero. Fu allora che mi venne l'idea - forse fu lui ad ispirarmela - di cedergli il mio spirito dietro ricompensa. Un baratto.
Glielo vendetti. Caro. Senza far prezzi. Dio è ricco. Dio è giusto. E generoso, anche. Contavo che me l'avrebbe pagato bene. Una volta concluso il mercato - io negli affari sono onesta - non osai più servirmi dell'oggetto che avevo ceduto. Da principio mi sentii legata, impacciata, come colpita da improvvisa infermità. Le parole mi volavano alle labbra, le inghiottivo già dette a metà. Il che non era sempre comodo. Ma poi l'abitudine mi venne in aiuto. E diventai poco a poco la piccola, mite zitella cui nessuno fa caso, né in famiglia fuori... cui nessuno fa caso più che a un fiammifero spento. Sono passati vent'anni... Che cosa mi avrà dato il Buon Dio, in cambio della mia malizia?
Non la bellezza. Non il fascino. Non l'amore. Non la felicità. Forse il dono della poesia? Ma quello già lo avevo, sin dalla prima infanzia.
Ecco. Mi diede il dono di una vista nuova, per cogliere immediatamente, anziché il lato ridicolo, la bellezza e le qualità delle persone, anche di quelle che non ne hanno. Al punto che oggi io le amo tanto, anche quando sono ridicole, sciocche e mediocri, da poter giocare di nuovo con la mia malizia, solo per divertirmi, senza far male a nessuno.

(Marie Noel)

Fonte: Qumran2.net