Il mio paese - La mia comunità
Fernando di Buglione nasce a Lisbona. A 15 anni è novizio nel monastero di San Vincenzo, tra gli agostiniani. Nel 1219, a 24 anni, viene ordinato prete. Nel 1220 giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori mutando il nome in Antonio. Invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Per circa un anno e mezzo vive nell'eremo di Montepaolo. Su mandato dello stesso Francesco, inizierà poi a predicare in Romagna e poi nell'Italia settentrionale e in Francia. Nel 1227 diventa provinciale dell'Italia settentrionale proseguendo nell'opera di predicazione. Il 13 giugno 1231 si trova a Camposampiero e, sentendosi male, chiede di rientrare a Padova, dove vuole morire: spirerà nel convento dell'Arcella. Avvenire
Patronato: Affamati, oggetti smarriti, Poveri
Etimologia: Antonio = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal greco
Emblema: Giglio, Pesce
Martirologio Romano: Memoria di sant’Antonio, sacerdote e dottore della Chiesa, che, nato in Portogallo, già canonico regolare, entrò nell’Ordine dei Minori da poco fondato, per attendere alla diffusione della fede tra le popolazioni dell’Africa, ma esercitò con molto frutto il ministero della predicazione in Italia e in Francia, attirando molti alla vera dottrina; scrisse sermoni imbevuti di dottrina e di finezza di stile e su mandato di san Francesco insegnò la teologia ai suoi confratelli, finché a Padova fece ritorno al Signore.
Fonte: Santi e Beati.it
Dai “Discorsi “ di sant’ Antonio di Padova, sacerdote.
Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza,quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. “Una legge,dice Gregorio si imponga al predicatore:metta in atto ciò che predica”. Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina.
Gli apostoli “cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito Santo dava loro il potere di esprimersi” (At 2, 4). Beato dunque chi parla secondo il dettame di questo Spirito Santo e non secondo l’inclinazione del suo animo.Vi sono infatti alcuni che parlano secondo il loro spirito, rubano le parole degli altri e le propalano come proprie. Di costoro e dei loro simili il Signore dice a Geremia: “ Perciò,eccomi contro i profeti, oracolo del Signore i quali si rubano gli uni gli altri le mie parole. Eccomi contro i profeti, oracolo del signore, che muovono la lingua per dare oracoli.
Eccomi contro i profeti di sogni menzogneri, dice il Signore, che li raccontano e traviano il mio popolo con menzogne e millanterie. Io non li ho inviati né ho dato alcun ordine. Essi non gioveranno affatto a questo popolo. Parola del Signore”(Ger23, 30-32).Parliamo quindi secondo quanto ci è dato dallo Spirito Santo, e supplichiamolo umilmente che ci infonde la sua grazia per realizzare di nuovo il giorno di Pentecoste nella perfezione dei cinque sensi e nell’osservanza del decalogo. Preghiamolo che ci ricolmi di un potente spirito di contrizione e che accenda in noi le lingue di fuoco per la professione della fede, perché, ardenti e illuminati negli splendori dei santi, meritiamo di vedere Dio uno e trino.
L’olio su tela di cm. 450*260 giocato su toni del marrone, dell’ocra e del giallo con alcune interferenze d’azzurro, fu realizzato dal pittore Gandinese Ponziano Loverini (Gandino 6 luglio 1845 / 21 agosto 1929) nel 1921 quale ancona centrale del coro della chiesa parrocchiale; la firma del pittore si trova, infatti, in basso a destra della tela. L’estasi ci mostra Sant’Antonio (Lisbona 1195 – Padova 1231) che, all’apice della contemplazione, si alza in piedi ed ha la visione del Bambino Gesù. Per terra si scorge il Vangelo aperto, mentre tutt’attorno, una schiera di angeli con gigli fioriti, attributi della purezza e castità del santo, assistono oranti alla scena e spargono il terreno di rose e fiori profumati. Sant’Antonio, nel pieno dell’estasi, con la schiena inarcata e le spalle allo spettatore, è ritratto a braccia aperte nell’atto di accogliere Gesù Bambino che, da una nube luminosa e dorata scende dal cielo. Dietro al nube dorata s’intravede una schiera di angeli e santi, rappresentanti la scorta celeste del Bambino divino: in primo piano si notano in forme quasi evanescenti i compatroni di Peia, S. Antimo e S. Antonio abate. A detta dei critici e dell’autore stesso, è una delle scene sacre più espressive e meglio riuscite tra quelle da lui realizzate.
Il dipinto di S. Antonio fu commissionato al Loverini, per volontà della fabbriceria di Peia che, ultimati i lavori di ampliamento e decorazione della parrocchiale, voleva arricchire la chiesa stessa con un’ancona centrale raffigurante il santo patrono. Il costo assommava all’onerosa cifra di lire 12.000, ma il Loverini, viste le allora magre casse parrocchiali, volendo a tutti i costi lasciare una sua opera a Peia, la consegnò ai Peiesi al modico prezzo di lire 6.000.
Il dipinto fu molto danneggiato dall’incendio del coro il 2 giugno 1965. La tela, infatti, era rimasta ma gli splendidi colori si erano consumati e dissolti. La lenta combustione aveva lasciato soltanto il fondo della tela annerito con una leggera traccia del profilo delle figure. L’opera fu restaurata, col contributo della Provincia di Bergamo, dalla sapiente mano del commendator Mauro Pelliccioli, che recuperò il dipinto, da tutti ormai considerato irrimediabilmente perso, integrandone la parte inferiore, la più danneggiata ma meno vitale della tela. Pelliccioli, il quale aveva già lavorato nella parrocchiale di Peia alle dipendenze di Fermo Taragni, dal 1902 al 1904, nella ricca decorazione della chiesa, si prese, infatti, molto a cuore il restauro dell’opera, essendo stato a suo tempo allievo del Loverini presso l’Accademia Carrara. La tela restaurata venne riconsegnata ai Peiesi il 31 dicembre 1965.
In archivio parrocchiale è conservato anche il bozzetto a carboncino e biacca (cm 88*57), che fu donato al parroco don Giuseppe Rota da Clara Rudelli Loverini, nipote del pittore, mentre presso un collezionista privato di Peia è invece conservato il bozzetto ad olio del quadro (cm 22*14) che presenta il santo di profilo, con alle spalle, e non tutt’attorno) gli angeli e i santi.
Autore: Simone Doneda