Il mio paese - La mia comunità
Domenica 15/3/2020
III Quaresima
Colore liturgico
Liturgia delle Ore:
III Sett
Ti ringrazio e ti benedico, Signore,
che non smetti mai di sorprenderci
con le tue trovate sempre nuove.
Quando meno uno se l'aspetta,
tu arrivi senza neppure un preavviso,
e combini delle cose che ci stupiscono.
Quando si tratta di far conoscere
la tua misericordia senza limiti,
ti vanno bene anche le persone che sembrano meno adatte.
Per ogni persona tu conosci il pozzo
accanto al quale l'aspetti
per farle trovare gratuitamente
quello che per anni ha cercato e rincorso con affanno.
Più che le labbra assetate, alla ricerca di ristoro,
spesso è il mio cuore che cerca un'acqua impossibile
per estinguere un'indefinibile arsura.
Ecco, allora, che tu mi offri un'acqua
che non osavo sperare.
Mi hai donato te stesso, acqua che non ristagna,
acqua che disseta per sempre.
Presso quel pozzo, quando tu mi hai parlato,
sono cadute le tenebre,
il mio cuore si è sentito ricolmo di gioia,
io mi sono sentito rinascere.
Tutto questo ha fatto la tua grazia
che, d'ora in poi, voglio far conoscere
a tutte le persone che ti cercano, senza saperlo,
in ogni briciola di gioia che il tempo offre.
(Gianfranco Venturi, Un tempo per stupirsi)
Mi disse: Va'...
Va' presso le mie pecore perdute...
Le condurrò io sulle tue strade.
Tu ascolta la loro pena,
entra nel segreto del loro cuore,
appassionatamente.
Metterò sulla tua bocca
parole che aprano i cuori.
Conducile a me,
le pecore ferite
e fa' gustare il mio amore.
Questo cercano,
questo ad esse basta.
Non chiedere loro
amore per te,
riconoscenza per te,
attenzione per te.
Sono creature mie
che ti affido per poco.
Va'...
(Giuseppe Impastato S.I.)
Quanto è simile ad alcune donne d’oggi, la samaritana del Vangelo di questa domenica. Apparentemente estroversa, determinata, libera; ma anche incerta, fragile, spezzata. I cinque mariti ci fanno sospettare una cronica incapacità di costruire un legame duraturo, con conseguente contorno di pettegolo vociare a ogni suo passaggio nella città in cui risiede.
Questa donna non sta cercando un profeta o un salvatore: le sue battute iniziali sono molto pratiche e materiali. Eppure Gesù si accorge che dentro di lei c’è un bisogno di equilibrio interiore. Ha dubbi sulla religione, circa le dispute tra Giudei e Samaritani; ma soprattutto è alla ricerca di qualcosa di duraturo, di solido, di perenne: come un’acqua che la disseti per sempre; come una direzione che le faccia trovare l’amore vero, a cui ogni essere umano può ambire.
È proprio questa la novità che quello sconosciuto le prospetta: a differenza di ogni altro giudeo, le rivolge la parola, considerandola e dandole valore; pur conoscendo le sue fragilità, non la giudica e la considera degna di fiducia e verità; le offre il suo dono interiore, chiamandola all’incarico di essere una sorgente di vita per gli altri: un modo efficace affinché possa mantenere la felicità incontrata.
Il messaggio di Gesù oggi è ugualmente liberante: non ci possono sbarrare la strada i pregiudizi e le maldicenze; non hanno potere i limiti che hanno ingabbiato il nostro passato; non ci possono distruggere le tensioni quotidiane. Se decidiamo di dissetarci alla Sua fonte, limpida e viva, gratuita e perenne. Quella che ci consente di vedere un futuro, e di riempirlo di pace, di fede, di gioia, di eternità.
Converti la nostra adorazione, Signore.
Non ti basta che ripetiamo preghiere come automi,
ma vuoi che le nostre parole siano specchio
della verità che alberga nel nostro cuore.
Non è necessario che moltiplichiamo ed esasperiamo
le nostre richieste, perché riveleremmo la mancanza di fiducia
nei confronti di un Padre che sa già ciò di cui abbiamo bisogno.
Non vuoi che edifichiamo chiese e elargiamo beneficienza,
se quel denaro puzza d’ingiustizia e disonestà.
Vuoi piuttosto che dietro a ogni nostra scelta della vita
ci sia l’ascolto della tua Parola che ci guida verso il fratello,
la vera casa dove abiti tu, Padre di ogni uomo.
Non vuoi che le nostre messe siano un dovere periodico,
una parentesi indolore per mettersi la coscienza a posto,
il pagamento di un gettone che dà diritto alla tua protezione.
Vuoi che siano l’appuntamento con l’Amore,
che restituisce forza e senso alla nostra vita.
Abbiamo capito che troni, gemme e opere d’arte,
luoghi puri e immacolati o teologie raffinate
sono bellissimi e rendono onore alla tua maestà,
ma tu hai scelto di nascere umile, semplice e povero,
perché fossimo consapevoli che lo Spirito soffia ovunque,
nella direzione dell’amore.
Per questo non vuoi che il culto nei tuoi confronti
sia un alibi per distanziarci dal prossimo.
È l’altro il tuo vero volto. Lì vuoi essere adorato.
“Chi non ama il proprio fratello che vede,
non può amare Dio che non vede” (1 Gio 4,20)
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore - gli dice la donna –, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: "Io non ho marito". Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l'altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Gv 4, 5-42
Due palloni erano usciti dalla fabbrica lo stesso giorno, erano finiti nello stesso sacco e portati nello stesso grande magazzino. Uno era rosso e uno era blu. Avevano fatto amicizia e così furono felicissimi di essere comprati dalla stessa persona. Finirono in un oratorio, dove sembrava che un orda di ragazzi non stesse aspettando altro che prenderli a calci. Lo facevano tutto il giorno, con un entusiasmo incredibile.
I due palloni volavano, rimbalzavano, sbattevano, facevano gol, venivano parati, sbucciati, infilati nell'angolino alto e basso, crossati e colpiti di testa... Una vera battaglia quotidiana. Alla sera si ritrovavano nello stesso armadio, pesti e ammaccati; la loro bella vernice brillante, le inserzioni bianche e nere, la scritta rossa, si stavano rapidamente screpolando.
"Non ne posso più!" si lamentava il pallone blu: "Non è vita questa! Presi a calci dalla mattina alla sera...Basta!"
"Che vuoi farci? Siamo nati palloni" ribatteva il pallone rosso. "Siamo stati creati per portare gioia e divertimento".
"Bel divertimento! Io non mi diverto proprio... E ho già cominciato a vendicarmi: oggi sono finito appositamente sul naso di un ragazzo e l'ho fatto sanguinare. Domani farò un occhio blu a quel tipo che mi sbatte sempre contro il muro!", incalzava il pallone blu.
"Eppure siamo sempre al centro dell'interesse. Basta che compariamo noi e il cortile si anima come per incanto. Credimi: siamo un dono dall'alto alla gioia degli uomini", rispondeva ancora il pallone rosso.
Passarono i giorni, e i pallone brontolone era sempre più scontento. "Se continuo così, scoppio!" disse una sera. "Ho deciso: domani sparirò. Ho adocchiato un tetto malandato, sul quale nessuno potrà salire a cercarmi. Mi basta un calcione un po' deciso...". E il pallone blu così fece. Riuscì a finire tra i piedi di Adriano, detto Bombarda, per i suoi rinvii alla "Viva il parroco!", e un poderoso calcione lo scagliò sul tetto proibito del caseggiato prospiciente il cortile dell'oratorio. Mentre volava in cielo, il pallone blu rideva felice: ce l'aveva fatta!
I primi tempi sul tetto furono una vera pacchia. Il pallone blu si sistemò confortevolmente nella grondaia e si preparò a una interminabile vacanza. "Ho chiuso con i calci e le botte", pensava con profondo compiacimento, "nel mio futuro non ci saranno che aria buona e riposo. Aaaah, questa è vita!".
Ogni tanto, dal tetto, sbirciava in giù e guardava il suo compagno scalciato a più non posso dai ragazzi del cortile. "Poverino", bofonchiava, "lui prende calci e io me ne sto qui a prendere il sole, pancia all'aria dal mattino alla sera".
Un giorno, un calcio possente glielo mandò vicino. "Resta qui!", gli gridò il pallone blu. Ma il pallone rosso rimbalzò sull'orlo della grondaia e tornò nel cortile. "Preferisco i calci!", rispose.
Passò il tempo. Nella grondaia il pallone blu si accorse che sole e pioggia lo avevano rapidamente fatto screpolare e ora si stava gradatamente sgonfiando. Divenne sempre più debole, tanto che non riusciva più nemmeno a lamentarsi. Del resto, non gliene importava molto: sempre solo, lassù, era diventato triste e depresso. Così una sera esalò un ultimo soffio.
Proprio in quel momento, il pallone rosso veniva riportato nell'armadio da due piccole mani. Prima di finire nel cassetto buio, sentì una voce che gli diceva "Ciao, pallone ci vediamo domani". E due labbra sporche di Nutella gli stamparono un bacione sulla pelle ormai rugosa. Nel suo cuore leggero come l'aria, il pallone si sentì morire di felicità. E si addormentò sognando il paradiso dei palloni, dove gli angioletti hanno piedini leggeri come nuvole.
Il racconto contiene una riflessione sulla responsabilità della vita e, in fondo, sulla inevitabile «fatica» che accompagna sempre il cammino dell'uomo. Chi rifiuta la fatica di questo compito, rischia il fallimento e l'infelicità radicale. Non è affatto un invito a piegare la testa davanti a un ipotetico e ineluttabile destino di sofferenza, bensì un invito a scoprire le gioie profonde, nascoste nel «dovere» di vivere con responsabilità la missione umana.
Fonte: Qumran2.net