Il mio paese - La mia comunità
Domenica 21/4/2019
Domenica di Pasqua
Colore liturgico
Liturgia delle Ore:
PROP
Alla vittima pasquale,
s'innalzi oggi il sacrificio di lode.
L'Agnello ha redento il suo gregge,
l'Innocente ha riconciliato
noi peccatori col Padre.
Morte e Vita si sono affrontate
in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto;
ma ora, vivo, trionfa.
«Raccontaci, Maria:
che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente,
la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni,
il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto:
precede i suoi in Galilea».
Sì, ne siamo certi:
Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso,
abbi pietà di noi.
Gesù è veramente risorto!
Anche noi siamo accorsi al sepolcro.
Anche noi siamo andati oltre la pietra.
Anche noi abbiamo visto!
Siamo chiamati a fare il passo decisivo della fede.
La risurrezione di Gesù
ci invita ad uscire dalla nostra incredulità,
a scegliere con convinzione e fiducia la via del cielo.
È Pasqua!
È il giorno della vita che più non muore,
della gioia che non ha mai fine.
È Pasqua!
È il tempo del credente che esce allo scoperto,
che testimonia la sua speranza,
che si fortifica nelle difficoltà,
che annuncia la vita nuova in Cristo risorto.
È Pasqua!
Nella Chiesa, per la Chiesa, con la Chiesa
che annuncia speranza là dove regna la disperazione,
che annuncia una forza là dove si subisce la violenza,
che annuncia il riscatto là dove vige la schiavitù.
È Pasqua!
Cristo è veramente risorto, per sempre, per tutti!
La sua risurrezione è speranza, certezza.
Diventiamo noi stessi testimoni per gli altri.
Curiamo le ferite dei nostri fratelli.
È Pasqua!
(Antonio Merico, Vangelo e vita)
Il Card. Biffi racconta che alla fine di una sua conferenza, un signore poco avvezzo alle cose di Chiesa gli si avvicinò curioso: “Ma è proprio vero quello che ha detto? Che Gesù è risorto, cioè è tornato in vita?”. Alle conferme del cardinale, l’uomo esclamò: “È meraviglioso! Ma… allora cambia tutto!”.
È proprio così. Tutte le religioni avevano ipotizzato una vita oltre la morte: nel grembo di dio o in un paradiso terrestre, dell’anima o del corpo, una o più volte… ma il cristianesimo pretende di aver conosciuto un uomo che batté definitivamente il male e la morte per sempre.
I testimoni ebbero la certezza che Gesù era di nuovo vivo, insieme a loro, e gli si apriva davanti un futuro nel “mondo” eterno ed infinito di Dio.
Dopo tante Pasque vissute, i cristiani sono ancora capaci di stupirsi per l’incredibile dono della vittoria sulla morte? Sono confortati dalla Speranza nelle situazioni di passione, di croce, di morte? Sanno che la fiducia e la fedeltà all’amore, nel nome di Dio, può aprire le porte di un paradiso in cui tutto quello che siamo sarà accolto, purificato, portato alla sua piena potenzialità per una gioia senza fine?
È questo il dono della Pasqua, il centro del cristianesimo e dell’anno liturgico. Sarebbe riduttivo celebrarla come un semplice ricordo di un evento passato. Ognuno di noi fa Pasqua se si sente salvato e liberato da ogni tenebra che oscura la propria vita, per il dono sacro (=sacrificio) di Gesù Cristo, il Signore della Vita. Egli non forza o costringe nessuno, ma resta lì, a nostra disposizione, per farci sentire in qualsiasi momento che è la salvezza.
Esulti ogni essere vivente,
dalle creature del mondo di Dio
a quelle che risiedono sulla terra.
Esploda la gioia con le parole e le musiche
più meravigliose, intense e gloriose.
Tutto l’universo saluti il trionfo del Signore risorto:
egli ha vinto il male del mondo,
la sua Luce ha sconfitto le tenebre,
il suo Regno di Bene sarà per sempre.
Nelle chiese la gente faccia festa,
perché è nella Chiesa
che oggi risplende la presenza del Signore.
È il popolo di Dio ad intonare il grazie più grande
al Dio invisibile e onnipotente che si è rivelato Padre,
a Gesù, il Cristo, che si è dimostrato Figlio.
Egli ha riscattato il peccato di Adamo,
per la sua fedeltà all’Amore appreso da Dio,
nonostante il dolore e il sangue che ha dovuto versare.
Per questo lo chiamiamo il vero Agnello:
il suo amore è stato il gesto più sacro
che Dio avrebbe voluto vedere da un uomo.
In questa notte ricordiamo ogni liberazione compiuta da Dio:
dalla schiavitù d’Egitto alla terra promessa,
dalla corruzione alla giustizia, dal peccato al perdono,
dalla solitudine alla comunione, dall’odio all’amore,
dall’inquietudine alla pace, dalla morte alla vita.
Il tuo amore per noi è stato immenso.
Ci hai regalato tuo Figlio, o Dio,
per fare pace con te e tra di noi.
Grazie! …grazie… Grazie!
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario che era stato sul suo capo non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Gv 20, 1-9
Carissimi,
Io non so se nell'ultima cena, dopo che Gesù ebbe ripreso le vesti, qualcuno dei dodici si sia alzato da tavola e con la brocca, il catino e l'asciugatoio si sia diretto a lavare i piedi del maestro. Probabilmente no. C'è da supporre comunque che dopo la sua morte ripensando a quella sera, i discepoli non abbiano fatto altro che rimproverarsi l'incapacità di ricambiare la tenerezza del Signore.
Possibile mai, si saranno detti, che non ci è venuto in mente di strappargli dalle mani quei simboli del servizio, e di ripetere sui suoi piedi ciò che egli ha fatto con ciascuno di noi? Dovette essere così forte il disappunto della Chiesa nascente per quella occasione perduta, che, quando Gesù apparve alle donne il mattino della risurrezione, esse non seppero fare di meglio che lanciarsi su quei piedi e abbracciarli. "Avvicinatesi, gli cinsero i piedi e lo adorarono". Ce lo riferisce Matteo, nell'ultimo capitolo del suo Vangelo. Gli cinsero i piedi. Non gli baciarono le mani o gli strinsero il collo. No.
Gli cinsero i piedi! Erano già bagnati di rugiada. Glieli asciugarono, allora con l'erba del prato e glieli scaldarono col tepore dei loro mantelli. Quasi per risarcire il maestro, sia pure a scoppio ritardato, di una attenzione che la notte del tradimento gli era stata negata. Gli cinsero i piedi. Fortunatamente avevano portato con sé profumi per ungere il corpo di Gesù. Forse ne ruppero le ampolle di alabastro e in un rapimento di felicità riversarono sulle caviglie del Signore gli olii aromatici che furono subito assorbiti da quei fori: profondi e misteriosi, come due pozzi di luce.
Gli cinsero i piedi. Finalmente! Verrebbe voglia di dire. Ma chi sa in quel ritardo ci doveva essere anche tanto pudore. Forse la chiesa nascente rappresentata dalle due Marie prima di cadergli davanti nel gesto dell'adorazione aveva voluto aspettare di proposito che Gesù riprendesse davvero le vesti. Non quelle che aveva momentaneamente deposto prima della lavanda. Ma quelle veramente inconsutili del suo corpo glorioso. Carissimi fratelli, oggi voglio dirvi che la Pasqua è tutta qui. Nell'abbracciamento di quei piedi. Essi devono divenire non solo il punto di incontro per le nostre estasi d'amore verso il Signore, ma anche la cifra interpretativa di ogni servizio reso alla gente, e la fonte del coraggio per tutti i nostri impegni di solidarietà con la storia del mondo.
Non c'è da illudersi. Senza questa dimensione adorante, espressa dal gruppo marmoreo di donne protese dinanzi al risorto, saremo capaci di organizzare solo girandole appariscenti di sussulti pastorali. Se non afferriamo i piedi di Gesù, lavare i piedi ai marocchini, o agli sfrattati, o ai tossici, non basta.
Non basta neppure lavarsi i piedi a vicenda, tra compagni di fede. Se la preghiera non ci farà contemplare speranze ultramondane attraverso quei fori lasciati dai chiodi, battersi per la giustizia, lottare per la pace e schierarsi con gli oppressi, può rimanere solo un'estenuante retorica. Se, caduti in ginocchio, non interpelleremo quei piedi sugli orientamenti ultimi per il nostro cammino, giocarsi il tempo libero nel volontariato rischia di diventare ricerca sterile di sé e motivo di vanagloria. Se l'adorazione dinnanzi all'ostensorio luminoso di quelle stigmate non ci farà scavalcare le frontiere delle semplici liberazioni terrene, impegnarsi per le promozione dei poveri potrà sfiorare perfino il pericolo dell'esercizio di potere. Non basta avere le mani bucate. Ci vogliono anche i piedi forati. E' per questo che quando Gesù apparve ai discepoli la sera di Pasqua "mostrò loro le mani e i piedi".
E poi, quasi per sottolineare con la simbologia di quei due moduli complementari che senza l'uno o l'altro, ogni annuncio di risurrezione rimarrà sempre mortificato, aggiunse: "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io".
Mani e piedi, con tanto di marchio! Ecco le coordinate essenziali per ricostruire la carta d'identità del risorto. Mani bucate. Richiamo a quella inesauribile carità verso i fratelli, che si fa donazione a fondo perduto. Piedi forati.
Appello esigente a quell'amore verso il Signore, che ci fa scorgere il senso ultimo delle cose attraverso le ferite della sua carne trasfigurata.
(Tonino Bello, Dalla testa ai piedi)
Fonte: Qumran2.net-->