LE TROPPE E GRAVI ANOMALIE
DEL CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI
e dell’editoriale n. 36 del
15 dicembre 2001
e dell’editoriale
n. 37 del 21 dicembre 2001
di Paolo Quintavalla
Nei precedenti interventi
abbiamo analizzato quattro anomalie che hanno pesantemente e costantemente
condizionato l’evoluzione del primo contratto dei dirigenti scolastici. Le richiamiamo,
per comodità del lettore:
1.
La scelta sbagliata della collocazione della nostra
categoria nella V Area della dirigenza e non nella prima;
2.
Il verificarsi di due clamorosi voltafaccia (28 marzo e 29
settembre 2001) da parte di due Esecutivi di opposto colore politico.
3.
La rappresentanza sindacale dei DD.SS. al tavolo
contrattuale spaccata a metà e profondamente divisa nelle strategie di fondo.
4.
Il condizionamento costante della presenza nel retroscena
di un “convitato di pietra”: il contratto dei docenti;
Passiamo
ora ad esaminare la quinta ed ultima anomalia fondamentale: l’esistenza non di
una ma di due controparti di fronte alla categoria. Una parte dello
schieramento sindacale, infatti, ha rubato il mestiere al Governo e si è
chiaramente opposta in pratica, al di là delle affermazioni di principio, alle
ipotesi di allineamento retributivo propugnata dall’altra parte.
5.a anomalia: la presenza di due controparti al tavolo
delle trattative
Se si
rileggono le piattaforme contrattuali delle diverse forze sindacali non si
rilevano differenze significative nella rivendicazione economica di fondo.
L’obiettivo strategico dell’allineamento retributivo con le altre dirigenze
pubbliche era formalmente sostenuto da tutti. Soltanto l’ANP, tuttavia,
quantificò l’entità degli aumenti pro-capite necessari per colmare lo scarto
vistoso allora esistente. Anche questo fatto non era e non è ininfluente, anzi,
assunse ed assume un preciso significato. Mentre una metà dello schieramento
sindacale (con l’appendice dell’Andis) additava un obiettivo generico ed
indeterminato, l’altra metà (ANP)
traduceva quello stesso obiettivo in una misura rivendicativa specifica e
concreta. Si trattava di una cifra di 25 milioni lordi annui che, dopo il
rinnovo contrattuale dei dirigenti dell’Area 1, diventò ancora più ingente,
sfiorando i 34 milioni. Ad alcuni, abituati per riflesso condizionato a
confrontare i dati con le retribuzioni dei docenti, la rivendicazione sembrò
eccessiva. Ad altri, indotti per correttezza a confrontare i dati con le
retribuzioni degli altri dirigenti pubblici, la rivendicazione sembrò
pertinente e legittima. In ogni caso non tutti consideravano che quello scarto
quantificava, in modo plastico quanto impietoso, la misura dell’indecente
trattamento economico riservato fino ad ora ai Capi di Istituto. C’è stato chi
ha detto di no, con orgoglio e con fierezza, alla misura umiliante degli
aumenti retributivi proposti. C’è stato, invece, chi nelle stesse condizioni ha
espresso soddisfazione, accettando l’evidente ingiustizia.
Si rifletta
sul fatto che ogni contrattazione collettiva è un processo negoziale che si
sviluppa, tendenzialmente, tra una parte datoriale che tende a far lavorare il
più possibile concedendo il minimo di retribuzione possibile e una parte
sindacale che tende, all’opposto, a conseguire il massimo dei benefici
economici con il minimo delle concessioni sul piano normativo. Se si valutano
gli esiti del contratto possiamo verificare che ha prevalso la logica datoriale
e che è stata mortificata quella sindacale. Infatti il principio secondo il
quale nella pubblica amministrazione, per un’istanza elementare di equità, a
parità di funzione esercitata debba corrispondere una retribuzione equivalente
nel caso del nostro contratto è stato clamorosamente smentito. Se si confronta
il nostro testo contrattuale con quello dei dirigenti dell’Area I possiamo
agevolmente riscontrare che sono sostanzialmente uguali per il 99%. Se
confrontiamo le nostre retribuzioni con quelle
degli ex Provveditori e degli Ispettori, di cui siamo ora pari grado,
rileviamo, invece, una macroscopica disparità a nostro sfavore. Perché è stata
mantenuta questa evidente ingiustizia retributiva a nostro danno? Sicuramente
perché nella conduzione delle trattative si sono verificate le anomalie citate
negli interventi precedenti e richiamate in premessa: errore nella collocazione
di area, voltafaccia di due Governi di opposto colore politico, divisioni
strategiche tra i sindacati, il confronto implicito con il contratto dei
docenti che ha assunto il ruolo di “convitato di pietra”. Ma, soprattutto,
l’esito è stato negativo perché la nostra categoria e l’ANP, che la rappresentava con coerenza e fermezza, si sono
trovati di fronte, ad un certo punto, due controparti: il Governo e i Sindacati
generalisti di comparto.
Alla fine di
marzo 2001, quando il passato Governo ha smentito se stesso, violando i patti
istituiti con il primo atto di indirizzo, per quanto si comportasse in modo
contrario rispetto ai principi dell’equità e dell’etica pubblica, in fondo
esercitava in modo brutale il suo mestiere di datore di lavoro: puntava, in
modo ingiusto e odioso, a risparmiare sulla pelle dei dirigenti scolastici che,
nel frattempo, avevano assunto la pienezza delle funzioni dirigenziali.
Risultava, invece, incomprensibile come una metà dello schieramento sindacale,
quello confederale, non solo non si opponesse a questo ingiusto trattamento ma,
addirittura, lo giustificasse esprimendo “apprezzamento” e “soddisfazione” per
un esito che ci riservava poco più di 17 milioni annui lordi pro-capite
rispetto ai 34 necessari per conseguire il completo allineamento. Risultava
incomprensibile come si potesse accettare che i dirigenti scolastici fossero
retribuiti per la metà pur essendo responsabili al 100% come gli altri
dirigenti pubblici!
Quella
confederale di marzo fu una scelta sciagurata che indebolì fortemente la
categoria e introdusse profonde divisioni e accesi contrasti proprio nel
momento in cui, invece,essa avrebbe dovuto essere unita nella rivendicazione
condivisa degli interessi strategici fondamentali. Essa fu sciaguratamente accettata in modo acritico anche dall’Andis
che, pure, solo poche settimane prima, in un documento
ufficiale del 7 marzo , profilava come irrinunciabile l’obiettivo del
completo allineamento retributivo. Del resto il fatto che questa Associazione
non avesse titolo a partecipare in modo autonomo alle trattative, se non
attraverso la mediazione dei sindacati confederali con i quali intrattiene un
rapporto di “interconnessione funzionale”, la poneva e la pone in una posizione
di oggettiva debolezza e di sostanziale
subalternità. Dobbiamo registrare il fatto, purtroppo, che rispetto alle
preminenti logiche complessive dei sindacati con i quali intrattiene un
rapporto di alleanza strategica, l’Andis non ha voluto o potuto far valere le
istanze e la specificità dei dirigenti scolastici. Fra i tanti documenti che
costellano la vicenda contrattuale non è dato, purtroppo, di rinvenire testi
che rendano testimonianza di una qualsiasi autonomia di questa Associazione rispetto alle scelte dei sindacati
confederali o di una volontà di rappresentare i DD.SS in modo diverso rispetto a quella operata dai sindacati dei
docenti. L’Andis si è trovata, così, nella morsa di una scelta strategica
sbagliata: oggettivamente alleata in
modo innaturale con questi ultimi e, paradossalmente, in radicale contrasto con
il sindacato dei dirigenti scolastici. Chi remava, di fatto, contro gli
interessi fondamentali della categoria? Coloro che reclamavano come
irrinunciabile l’allineamento retributivo e volevano conseguirlo già nel primo
contratto? Oppure coloro che si accontentavano della “mezza dirigenza”? Non a caso i dirigenti della fascia della
scuola di base, tradizionalmente sensibili alla capacità di aggregazione
dell’Andis, si sono rivelati, per buona parte l’anello debole dello
schieramento sindacale e disponibili in maggioranza alla firma incondizionata
del contratto mentre i presidi delle scuole superiori, aderenti per tradizione
all’ANP, si sono dimostrati, in genere, compatti e uniti in una posizione di intransigente
rifiuto.
Questo ruolo
oggettivo di seconda controparte è stato interpretato, in particolare, dalla
Cgil Scuola che, non a caso il 27 aprile 2001 ha inventato – e per fortuna non
realizzato – il primo “sciopero contro”
della pur fertile e creativa storia sindacale. Non uno “sciopero per”,
finalizzato a rivendicare il completo allineamento retributivo nei confronti
del pur vicino e amico governo di centrosinistra ma uno sciopero contro un
altro sindacato, l’ANP, per costringerlo ad accettare la firma del contratto al
ribasso, anzi, dimezzato!
Questo ruolo
oggettivo di seconda controparte, purtroppo, è continuato anche nei mesi
successivi alla rottura delle trattative del 7 maggio con un’opera di aperta
interdizione rispetto alle ipotesi di allineamento retributivo promesse dal
nuovo Esecutivo. Le posizioni sono note: nella ormai famosa conferenza stampa
del 7 giugno il segretario nazionale Cgil Panini minacciava di sollevare i
docenti se il Governo fosse stato “di manica larga” con i dirigenti. Questi
anzi dovevano rassegnarsi a “battere il passo”. E il segretario Cofferati
prometteva una forte “azione di contrasto” se il nuovo Governo avesse concesso
ai presidi gli aumenti promessi.
Per non essere
tacciato di posizioni preconcette e viziate da prevenzioni ideologiche rimando
alla lettera sottoscritta da una ventina di
iscritti Cgil di Torino che assunsero, in seguito, una netta posizione
critica in merito. Segnalo, in particolare, alcuni passaggi significativi:
“Trovano invece del tutto sorprendente che sia ora lo stesso
sindacato a "rivendicare", in aperta contraddizione con le sue stesse
precedenti richieste, aumenti retributivi che a malapena ci collocano a metà
strada fra la nostra attuale retribuzione e quella degli altri dirigenti
pubblici precisando, per bocca nientedimeno del segretario nazionale,che
aumenti superiori a quelli già concessi dal precedente governo porterebbero
alla "riapertura della contrattazione per tutto il personale della scuola".
Delle due l’una: o i responsabili della cgil scuola sbagliavano
prima quando richiedevano la perequazione in questo contratto o sbagliano
adesso quando sostengono che la stessa perequazione sarebbe "contraria ad
ogni regola sulla contrattazione".
E ancora: “Confessiamo
che avremmo preferito approdare a questa malinconica conclusione per colpa di
un governo graniticamente chiuso nel proprio rifiuto (...) E’
invece il nostro sindacato che mette le mani avanti, ruba il mestiere alla
controparte e minaccia la mobilitazione generale nella malaugurata ipotesi in
cui i nostri aumenti contrattuali superassero la soglia della "mezza
dirigenza". In assenza di adeguate spiegazioni non ci
resterebbe che prenderne atto e trarne ,con profondo rammarico, le
inevitabili conseguenze.
Purtroppo non si trattava di un incidente ma di una precisa
strategia. Le legittime istanze dei dirigenti potevano e dovevano essere
sacrificate sull’altare di superiori interessi sindacali: non allargare la
forbice retributiva rispetto ai docenti che sarebbero insorti. O meglio,
sarebbero stati sobillati ad insorgere. Non si capirebbe, altrimenti, perché
una sindacalista esperta e prudente come la segretaria nazionale della Cisl
Scuola Daniela Colturani abbia sentito il bisogno in
data 25 luglio di minacciare una spirale di azioni rivendicative da parte
dei docenti se si fosse rivelata fondata l’ipotesi, profilata dal “Sole 24
ore”, di un consistente aumento che il Governo aveva intenzione di concedere ai
dirigenti scolastici.
Alla fine dell’estate scorsa la situazione si era fatta
paradossale. Il Governo era avvertito: se voleva concedere gli aumenti
retributivi promessi ai dirigenti avrebbe dovuto sostenere la forza di
pressione dei sindacati dei docenti, dichiaratamente contrari. Ed erano
contrari anche perché in maggio avevano assunto una posizione chiara e netta
per la firma del contratto a condizioni molto peggiori rispetto a ipotesi
ancora praticabili di aumenti retributivi adeguati. Ogni lira in più
eventualmente concessa dal nuovo governo sarebbe stata, in proporzione, una
smentita rispetto alla linea rivendicativa rinunciataria e suicida dei
sindacati confederali. Questo, naturalmente, per quanto riguarda il livello
pubblico ed esplicito della contrattazione. Peccato che non si possa dar conto
delle pressioni informali, degli avvertimenti trasversali che pure si sono verificati e che sono a conoscenza e
circolano tra gli addetti ai lavori.
In conclusione della riflessione sorge spontanea una domanda: se
tutti i sindacati fossero rimasti uniti nella ferma e coerente linea
rivendicativa dell’allineamento retributivo avrebbe potuto il precedente
Governo rimangiarsi la promessa contenuta nel primo atto di indirizzo? E se gli
stessi sindacati non fossero stati divisi avrebbe potuto l’attuale Governo
rimangiarsi la promessa avanzata “per conto del presidente Berlusconi”
dai responsabili nazionali scuola dei quattro partiti della Casa delle Libertà
poco prima delle elezioni politiche?
Il contratto
non è ancora chiuso e, per l’ennesima volta, ci troviamo di fronte ad
un’ulteriore divisione sindacale. I sindacati confederali hanno indetto uno
sciopero dei dirigenti scolastici per
l’11 gennaio 2002. Cida-Anp hanno dichiarato uno sciopero di tutta la dirigenza
pubblica, quindi anche dei DD.SS. nella giornata del 30 gennaio 2002.
I sindacati
confederali, nel tentativo di rifarsi la verginità perduta, si trovano nella
situazione paradossale di scioperare per l’acquisizione degli aumenti
retributivi aggiuntivi ( i 40 miliardi inseriti nella Finanziaria 2002) che non
volevano e che non hanno contribuito a rivendicare. Si veda, al riguardo, il commento su questa iniziativa di sciopero. La posizione
di oggettiva seconda controparte che hanno assunto e mantenuto per tutto il
corso delle trattative contrattuali non può avere il consenso dei dirigenti
scolastici italiani. Io sono tra quelli che l’11 gennaio sarà regolarmente in
servizio. Se partecipassi allo sciopero darei spazio a coloro che sono andati
pervicacemente contro gli interessi fondamentali della nostra categoria. Ma
sono anche tra quelli che, invece, il 30 gennaio sarà a Roma – e mi auguro che
siano tanti ad effettuare questa scelta – per sostenere una certa visione della
dirigenza pubblica e dare forza a coloro che hanno dimostrato di rappresentare
con coerenza e con fermezza le nostre istanze e i nostri interessi.