LE TROPPE E GRAVI ANOMALIE
DEL CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI
e dell’editoriale
n. 36 del 15 dicembre 2001
di Paolo Quintavalla
4.a anomalia: la presenza di un “convitato di pietra”
Formalmente
alle trattative presso l’Aran hanno partecipato, in rappresentanza della
categoria, dirigenti scolastici. Alcuni di essi, tuttavia, non rappresentavano
soltanto i loro colleghi ma, contemporaneamente, nella loro attività ordinaria
di sindacalisti anche la categoria dei docenti. Essi non possono, ovviamente,
restare insensibili rispetto agli orientamenti prevalenti e al peso che la
categoria dei docenti assumono all’interno del sindacato generalista di
comparto. Bastava e basta una semplice verifica empirica per rendersi conto che
l’ipotesi di un consistente aumento retributivo concesso ai Capi d’Istituto,
per quanto legittimo e dovuto in considerazione del loro passaggio giuridico di
ruolo come dirigenti dal settembre 2000, era ed è fortemente osteggiata dai
docenti. Basta, inoltre, una semplice verifica empirica per accorgersi che il
99% degli iscritti ai sindacati confederali appartiene alla categoria dei
docenti e che i dirigenti iscritti al sindacato generalista di comparto sono,
grosso modo, 1 su 100. Non si può pensare che l’essere statisticamente in così
netta minoranza possa in qualche modo giovare nel determinare autonomamente il
peso rappresentativo o l’incidenza della capacità rivendicativa o
nell’influire sulle scelte strategiche
di fondo del sindacato nel suo complesso.
Anche sul
piano concettuale è assolutamente atipico che ad influire sul contratto dei
dirigenti siano gli stessi sindacati che rappresentano i dipendenti. E,
infatti, ciò non accade in nessun altro comparto. Si provi ad immaginare, tanto
per fare un esempio, cosa accadrebbe se i sindacati dei paramedici
pretendessero di determinare il contratto dei primari e dei medici ospedalieri!
Invece nel
caso del primo contratto dei dirigenti scolastici è accaduto incredibilmente
proprio un fenomeno di questo tipo. A Parma, tanto per citare un esempio
concreto, nelle assemblee sindacali confederali a cui ho partecipato al tavolo
della presidenza sedevano quattro segretari provinciali ed erano tutti docenti.
Per quanto stimabili come persone portavano in sé, inevitabilmente, la forma
mentis tipica dei docenti, estranea rispetto all’esperienza dei dirigenti e
questa impronta traspariva nei loro interventi. Durante il primo di questi
incontri, dedicato all’illustrazione della piattaforma rivendicativa che
prevedeva il principio dell’allineamento retributivo con le altre dirigenze,
nessuno di loro sapeva quale fosse la cifra necessaria per realizzare questo
obiettivo fondamentale (cifra che, del resto, nemmeno i sindacati confederali
nazionali avevano né hanno mai in seguito esplicitato). All’obiezione che la
cifra era invece quantificabile (allora, nel maggio 2000) in 25 milioni lordi
pro capite, come scarto tra la retribuzione dei dirigenti di seconda fascia
dell’Area I e la nostra attuale retribuzione, uno di essi, sostenuto da tutti
gli altri, rispose serafico: “Voi chiedete la luna!”.
Si chiedeva
l’aggancio al minimo, a parità di funzioni attribuite sul piano giuridico e di
fatto esercitate, con il trattamento economico delle altre dirigenze pubbliche
ed essi rispondevano che si trattava di una rivendicazione utopica! Se fossero
stati dirigenti avrebbero, naturalmente, considerato naturale e legittima,
addirittura moderata, tale rivendicazione.
La “luna” che,
secondo quel docente sindacalista, chiedevano i dirigenti era semplicemente
determinata dal confronto implicito, non dichiarato, con le retribuzioni dei
docenti vigenti nel comparto scuola. Secondo questa logica la “distanza”
retributiva tra dirigenti e docenti appare – agli occhi di molti insegnanti –
scarsamente giustificata. L’entità degli aumenti richiesti, invece, poteva
essere ritenuta ingiustificata solo nell’ipotesi che ai presidi e ai direttori
didattici non fosse stata attribuita la dirigenza e continuassero ad esercitare
esclusivamente le vecchie funzioni, proprie di chi apparteneva al ruolo
direttivo ma non dirigenziale. Ma se si assume una logica altra – ed è nostro
diritto e dovere assumerla nel momento in cui siamo riconosciuti dirigenti a
pieno titolo sul piano giuridico – quella stessa “distanza” si giustifica come
necessario e legittimo adeguamento economico rispetto alle funzioni nuove - e
qualitativamente diverse - che esercitiamo sul piano giuridico dal settembre
2000.
Quale
categoria accetterebbe di essere discriminata sul piano economico, a parità di
funzioni esercitate sul piano giuridico? Mutatis mutandis, ragionando per
assurdo, accetterebbero gli insegnanti di avere uno stato giuridico da docenti
e una retribuzione da bidelli? Eppure i sindacati dei docenti, dalla fine di
marzo 2001 in poi, hanno spinto affinché la nostra categoria accettasse una
evidente, macroscopica discriminazione retributiva rispetto alle altre
dirigenze pubbliche. Hanno espresso “soddisfazione”
per un livello di allineamento retributivo che non raggiungeva in percentuale
nemmeno la metà rispetto al minimo delle altre dirigenze pubbliche.
Naturalmente anche allora non quantificavano, né hanno mai quantificato, il
macroscopico scarto retributivo esistente. Dopo la rottura delle trattative del
7 maggio 2001 la quota dello stipendio tabellare era vergognosamente ferma a
63,7 milioni lordi annui. E si tenga conto che sono gli stessi sindacati che in
altri comparti, laddove sono liberi dai condizionamenti di altre categorie e
rappresentano solo i dirigenti e, magari, in amministrazioni in cui si tratti
di premiare gli “amici” vicini sul piano politico e sindacale, firmano in sordina, senza clamori contratti da 120 –
140 milioni annui. Sono gli stessi sindacati che, nel nostro caso, hanno
addirittura minacciato uno sciopero (il 27 aprile
2001) come arma di pressione per cercare di imporre ad un altro sindacato,
rappresentativo esclusivamente dei dirigenti scolastici, la firma di un
contratto al ribasso, umiliante per la categoria.
In un
qualsiasi altro comparto questa situazione non si sarebbe verificata perché
negli altri comparti i dirigenti sono rappresentati esclusivamente dalle
organizzazioni sindacali di riferimento dei dirigenti. Tutelando soltanto gli
interessi legittimi e le ragioni dei dirigenti non subiscono condizionamenti di
sorta sul piano rivendicativo da parte dei sindacati dei dipendenti. Ma se, per
ipotesi assurda, si fosse presentata una situazione spuria analoga sicuramente
quei sindacati sarebbero stati presi metaforicamente a calci nel sedere.
Possiamo,
quindi, legittimamente sostenere che alle trattative contrattuali dell’area V
della dirigenza ha simbolicamente partecipato, nascosto nel retroscena, un
“convitato di pietra”. Naturalmente la sua presenza, non neutrale ma fortemente
condizionante, non era esplicita e diretta ma può essere colta attraverso tanti
indizi, letta in filigrana attraverso tanti particolari.
Il primo
condizionamento lo possiamo riscontrare nel fortissimo ritardo con cui è stato
emanato l’atto di indirizzo. Un ritardo di oltre un anno, ovviamente, non può
fondarsi su giustificazioni di carattere tecnico, tanto più che le trattative
avrebbero dovuto concludersi entro la fine del marzo 2000. Quell’atto
indispensabile per avviare le trattative è arrivato, invece, nel gennaio 2001
perché nel frattempo dovevano concludersi le trattative per il rinnovo del CCNL
dei docenti, che è stato siglato, infatti, un mese dopo. Era evidente a tutti
che eventuali aumenti retributivi concessi ai dirigenti avrebbe fatalmente
aperto una implicita spirale rivendicativa da parte delle OO.SS. dei docenti. E
qui risiede la stessa ragione per cui i sindacati confederali, al contrario
dell’ANP, non hanno mai reso pubblico ed esplicito l’ammontare, tradotto in cifre,
di quell’allineamento retributivo con le altre dirigenze pubbliche che, pure,
rivendicavano a parole. Molto flebilmente, a dire la verità. Se avessero
quantificato quella cifra (quasi 34 milioni annui lordi), se avessero indicato
questo scarto necessario per conseguire l’allineamento retributivo una buona
parte dei docenti sarebbe insorta.
Dopo la svolta
di Palazzo Vidoni della fine di marzo 2001 i sindacati dei docenti, con un
atteggiamento di evidente connivenza, hanno offerto, di fatto, un esplicito
sostegno e una sponda politica all’aperto voltafaccia del
passato Governo che violava i patti contenuti nell’atto di indirizzo.
Nessuno stato di necessità imponeva allora di accettare l’ipotesi della “mezza dirigenza”
eppure fu quella la scelta rinunciataria e incoerente dei sindacati
confederali, che, rompendo il fronte formalmente unitario miracolosamente
composto solo una ventina di giorni prima, di fatto cercavano di isolare l’ANP
che continuava, invece, con determinazione e coerenza, l’azione rivendicativa
per il pieno allineamento retributivo.
Da quel
momento i sindacati confederali – la Cgil in particolare – hanno spinto per la
chiusura senza condizioni (ricordate la “firma immediata” del maggio scorso?)
del nostro contratto. Evidentemente la “forbice retributiva” rispetto ai
docenti doveva aprirsi il meno possibile. A questa logica perversa, non a caso,
si ispira il messaggio esplicito espresso durante la
conferenza stampa del 7 giugno 2001 dal segretario nazionale Panini,
secondo il quale i dirigenti scolastici dovevano “battere il passo”. In
quella stessa occasione in un’intervista concessa al “Sole 24 ore” lo stesso
Panini minacciava: “Se con i presidi il nuovo Esecutivo sarà di manica
larga, dovrà esserlo anche con gli insegnanti e con tutto il resto del
personale. Diversamente, daremo battaglia senza tregua.”. I colleghi D.S.
più avvertiti non avevano bisogno di queste “voci dal sen fuggite” per rendersi
conto che una parte delle forze sindacali aveva rubato il mestiere al Governo e
si era costituita come una specie di seconda controparte! Purtroppo una parte
consistente, meno consapevole ed informata della categoria, avviluppata in una
specie di cordone ombelicale metaforico e psicologico, continuava a non
rendersi della minaccia agli interessi fondamentali e alle ragioni dei
dirigenti che proveniva da quelle posizioni autolesionistiche. Del resto anche
successivamente non sono mancati dai sindacati confederali avvertimenti espliciti
al nuovo Governo che eventuali aumenti significativi concessi ai dirigenti
avrebbero scatenato la reazione dei docenti. Si veda per esempio, al riguardo,
il comunicato del segretario della Cisl Scuola
Daniela Colturani in data 25 luglio 2001, che non richiede particolare
sforzo esegetico.
Non ho dubbi,
in conclusione, che il nostro contratto sia stato pesantemente e costantemente
condizionato, in tutta la sua travagliata evoluzione, dalla presenza di questo
occulto e non richiesto “convitato di pietra”. E non ho dubbi che una parte non
trascurabile dei ritardi, delle difficoltà e degli insuccessi che abbiamo
dovuto registrare sia scaturito dal confronto implicito con il contratto degli
insegnanti, dal peso associativo, dalla forza di pressione, dagli orientamenti
prevalenti, dall’opposizione larvata della componente dei docenti espressi
all’interno dei sindacati generalisti di comparto. A questi condizionamenti i
sindacati confederali non hanno voluto o potuto sottrarsi, con gli esiti
infausti che abbiamo sotto gli occhi.
Il primo
contratto, comunque si giudichino le lunghissime, tortuose ed atipiche vicende
che lo hanno contrassegnato, sta per essere archiviato. E’ auspicabile che non
si ripetano nel secondo gli stessi errori e le stesse divisioni che hanno
alimentato fratture interne alla categoria e opposte passioni, talvolta sopra
le righe. E’, però, indispensabile che si
superi l’equivoco e che il “convitato di pietra” venga messo gentilmente
alla porta. La confusione dei ruoli non giova a nessuno.
Continua
con la quarta e ultima parte.