LE TROPPE E GRAVI ANOMALIE

DEL CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI

 

Editoriale n. 37 del 21 dicembre 2001

 

Terza parte dell’editoriale n. 35 del 6 ottobre 2001

e dell’editoriale n. 36 del 15 dicembre 2001

 

di Paolo Quintavalla

4.a anomalia:  la presenza di un “convitato di pietra”

Formalmente alle trattative presso l’Aran hanno partecipato, in rappresentanza della categoria, dirigenti scolastici. Alcuni di essi, tuttavia, non rappresentavano soltanto i loro colleghi ma, contemporaneamente, nella loro attività ordinaria di sindacalisti anche la categoria dei docenti. Essi non possono, ovviamente, restare insensibili rispetto agli orientamenti prevalenti e al peso che la categoria dei docenti assumono all’interno del sindacato generalista di comparto. Bastava e basta una semplice verifica empirica per rendersi conto che l’ipotesi di un consistente aumento retributivo concesso ai Capi d’Istituto, per quanto legittimo e dovuto in considerazione del loro passaggio giuridico di ruolo come dirigenti dal settembre 2000, era ed è fortemente osteggiata dai docenti. Basta, inoltre, una semplice verifica empirica per accorgersi che il 99% degli iscritti ai sindacati confederali appartiene alla categoria dei docenti e che i dirigenti iscritti al sindacato generalista di comparto sono, grosso modo, 1 su 100. Non si può pensare che l’essere statisticamente in così netta minoranza possa in qualche modo giovare nel determinare autonomamente il peso rappresentativo o l’incidenza della capacità rivendicativa o nell’influire  sulle scelte strategiche di fondo del sindacato nel suo complesso.

Anche sul piano concettuale è assolutamente atipico che ad influire sul contratto dei dirigenti siano gli stessi sindacati che rappresentano i dipendenti. E, infatti, ciò non accade in nessun altro comparto. Si provi ad immaginare, tanto per fare un esempio, cosa accadrebbe se i sindacati dei paramedici pretendessero di determinare il contratto dei primari e dei medici ospedalieri!

Invece nel caso del primo contratto dei dirigenti scolastici è accaduto incredibilmente proprio un fenomeno di questo tipo. A Parma, tanto per citare un esempio concreto, nelle assemblee sindacali confederali a cui ho partecipato al tavolo della presidenza sedevano quattro segretari provinciali ed erano tutti docenti. Per quanto stimabili come persone portavano in sé, inevitabilmente, la forma mentis tipica dei docenti, estranea rispetto all’esperienza dei dirigenti e questa impronta traspariva nei loro interventi. Durante il primo di questi incontri, dedicato all’illustrazione della piattaforma rivendicativa che prevedeva il principio dell’allineamento retributivo con le altre dirigenze, nessuno di loro sapeva quale fosse la cifra necessaria per realizzare questo obiettivo fondamentale (cifra che, del resto, nemmeno i sindacati confederali nazionali avevano né hanno mai in seguito esplicitato). All’obiezione che la cifra era invece quantificabile (allora, nel maggio 2000) in 25 milioni lordi pro capite, come scarto tra la retribuzione dei dirigenti di seconda fascia dell’Area I e la nostra attuale retribuzione, uno di essi, sostenuto da tutti gli altri, rispose serafico: “Voi chiedete la luna!”.

Si chiedeva l’aggancio al minimo, a parità di funzioni attribuite sul piano giuridico e di fatto esercitate, con il trattamento economico delle altre dirigenze pubbliche ed essi rispondevano che si trattava di una rivendicazione utopica! Se fossero stati dirigenti avrebbero, naturalmente, considerato naturale e legittima, addirittura moderata, tale rivendicazione.

La “luna” che, secondo quel docente sindacalista, chiedevano i dirigenti era semplicemente determinata dal confronto implicito, non dichiarato, con le retribuzioni dei docenti vigenti nel comparto scuola. Secondo questa logica la “distanza” retributiva tra dirigenti e docenti appare – agli occhi di molti insegnanti – scarsamente giustificata. L’entità degli aumenti richiesti, invece, poteva essere ritenuta ingiustificata solo nell’ipotesi che ai presidi e ai direttori didattici non fosse stata attribuita la dirigenza e continuassero ad esercitare esclusivamente le vecchie funzioni, proprie di chi apparteneva al ruolo direttivo ma non dirigenziale. Ma se si assume una logica altra – ed è nostro diritto e dovere assumerla nel momento in cui siamo riconosciuti dirigenti a pieno titolo sul piano giuridico – quella stessa “distanza” si giustifica come necessario e legittimo adeguamento economico rispetto alle funzioni nuove - e qualitativamente diverse - che esercitiamo sul piano giuridico dal settembre 2000.

Quale categoria accetterebbe di essere discriminata sul piano economico, a parità di funzioni esercitate sul piano giuridico? Mutatis mutandis, ragionando per assurdo, accetterebbero gli insegnanti di avere uno stato giuridico da docenti e una retribuzione da bidelli? Eppure i sindacati dei docenti, dalla fine di marzo 2001 in poi, hanno spinto affinché la nostra categoria accettasse una evidente, macroscopica discriminazione retributiva rispetto alle altre dirigenze pubbliche. Hanno espresso “soddisfazione” per un livello di allineamento retributivo che non raggiungeva in percentuale nemmeno la metà rispetto al minimo delle altre dirigenze pubbliche. Naturalmente anche allora non quantificavano, né hanno mai quantificato, il macroscopico scarto retributivo esistente. Dopo la rottura delle trattative del 7 maggio 2001 la quota dello stipendio tabellare era vergognosamente ferma a 63,7 milioni lordi annui. E si tenga conto che sono gli stessi sindacati che in altri comparti, laddove sono liberi dai condizionamenti di altre categorie e rappresentano solo i dirigenti e, magari, in amministrazioni in cui si tratti di premiare gli “amici” vicini sul piano politico e  sindacale, firmano in sordina, senza clamori contratti da 120 – 140 milioni annui. Sono gli stessi sindacati che, nel nostro caso, hanno addirittura minacciato uno sciopero (il 27 aprile 2001) come arma di pressione per cercare di imporre ad un altro sindacato, rappresentativo esclusivamente dei dirigenti scolastici, la firma di un contratto al ribasso, umiliante per la categoria.

In un qualsiasi altro comparto questa situazione non si sarebbe verificata perché negli altri comparti i dirigenti sono rappresentati esclusivamente dalle organizzazioni sindacali di riferimento dei dirigenti. Tutelando soltanto gli interessi legittimi e le ragioni dei dirigenti non subiscono condizionamenti di sorta sul piano rivendicativo da parte dei sindacati dei dipendenti. Ma se, per ipotesi assurda, si fosse presentata una situazione spuria analoga sicuramente quei sindacati sarebbero stati presi metaforicamente a calci nel sedere.

Possiamo, quindi, legittimamente sostenere che alle trattative contrattuali dell’area V della dirigenza ha simbolicamente partecipato, nascosto nel retroscena, un “convitato di pietra”. Naturalmente la sua presenza, non neutrale ma fortemente condizionante, non era esplicita e diretta ma può essere colta attraverso tanti indizi, letta in filigrana attraverso tanti particolari.

Il primo condizionamento lo possiamo riscontrare nel fortissimo ritardo con cui è stato emanato l’atto di indirizzo. Un ritardo di oltre un anno, ovviamente, non può fondarsi su giustificazioni di carattere tecnico, tanto più che le trattative avrebbero dovuto concludersi entro la fine del marzo 2000. Quell’atto indispensabile per avviare le trattative è arrivato, invece, nel gennaio 2001 perché nel frattempo dovevano concludersi le trattative per il rinnovo del CCNL dei docenti, che è stato siglato, infatti, un mese dopo. Era evidente a tutti che eventuali aumenti retributivi concessi ai dirigenti avrebbe fatalmente aperto una implicita spirale rivendicativa da parte delle OO.SS. dei docenti. E qui risiede la stessa ragione per cui i sindacati confederali, al contrario dell’ANP, non hanno mai reso pubblico ed esplicito l’ammontare, tradotto in cifre, di quell’allineamento retributivo con le altre dirigenze pubbliche che, pure, rivendicavano a parole. Molto flebilmente, a dire la verità. Se avessero quantificato quella cifra (quasi 34 milioni annui lordi), se avessero indicato questo scarto necessario per conseguire l’allineamento retributivo una buona parte dei docenti sarebbe insorta.

Dopo la svolta di Palazzo Vidoni della fine di marzo 2001 i sindacati dei docenti, con un atteggiamento di evidente connivenza, hanno offerto, di fatto, un esplicito sostegno e una sponda politica all’aperto voltafaccia del passato Governo che violava i patti contenuti nell’atto di indirizzo. Nessuno stato di necessità imponeva allora di accettare l’ipotesi della “mezza dirigenza” eppure fu quella la scelta rinunciataria e incoerente dei sindacati confederali, che, rompendo il fronte formalmente unitario miracolosamente composto solo una ventina di giorni prima, di fatto cercavano di isolare l’ANP che continuava, invece, con determinazione e coerenza, l’azione rivendicativa per il pieno allineamento retributivo.

Da quel momento i sindacati confederali – la Cgil in particolare – hanno spinto per la chiusura senza condizioni (ricordate la “firma immediata” del maggio scorso?) del nostro contratto. Evidentemente la “forbice retributiva” rispetto ai docenti doveva aprirsi il meno possibile. A questa logica perversa, non a caso, si ispira il messaggio esplicito espresso durante la conferenza stampa del 7 giugno 2001 dal segretario nazionale Panini, secondo il quale i dirigenti scolastici dovevano “battere il passo”. In quella stessa occasione in un’intervista concessa al “Sole 24 ore” lo stesso Panini minacciava: “Se con i presidi il nuovo Esecutivo sarà di manica larga, dovrà esserlo anche con gli insegnanti e con tutto il resto del personale. Diversamente, daremo battaglia senza tregua.”. I colleghi D.S. più avvertiti non avevano bisogno di queste “voci dal sen fuggite” per rendersi conto che una parte delle forze sindacali aveva rubato il mestiere al Governo e si era costituita come una specie di seconda controparte! Purtroppo una parte consistente, meno consapevole ed informata della categoria, avviluppata in una specie di cordone ombelicale metaforico e psicologico, continuava a non rendersi della minaccia agli interessi fondamentali e alle ragioni dei dirigenti che proveniva da quelle posizioni autolesionistiche. Del resto anche successivamente non sono mancati dai sindacati confederali avvertimenti espliciti al nuovo Governo che eventuali aumenti significativi concessi ai dirigenti avrebbero scatenato la reazione dei docenti. Si veda per esempio, al riguardo, il comunicato del segretario della Cisl Scuola Daniela Colturani in data 25 luglio 2001, che non richiede particolare sforzo esegetico.

Non ho dubbi, in conclusione, che il nostro contratto sia stato pesantemente e costantemente condizionato, in tutta la sua travagliata evoluzione, dalla presenza di questo occulto e non richiesto “convitato di pietra”. E non ho dubbi che una parte non trascurabile dei ritardi, delle difficoltà e degli insuccessi che abbiamo dovuto registrare sia scaturito dal confronto implicito con il contratto degli insegnanti, dal peso associativo, dalla forza di pressione, dagli orientamenti prevalenti, dall’opposizione larvata della componente dei docenti espressi all’interno dei sindacati generalisti di comparto. A questi condizionamenti i sindacati confederali non hanno voluto o potuto sottrarsi, con gli esiti infausti che abbiamo sotto gli occhi.

Il primo contratto, comunque si giudichino le lunghissime, tortuose ed atipiche vicende che lo hanno contrassegnato, sta per essere archiviato. E’ auspicabile che non si ripetano nel secondo gli stessi errori e le stesse divisioni che hanno alimentato fratture interne alla categoria e opposte passioni, talvolta sopra le righe. E’, però, indispensabile che si  superi l’equivoco e che il “convitato di pietra” venga messo gentilmente alla porta. La confusione dei ruoli non giova a nessuno.

 

Continua con la quarta e ultima parte.