PAOLINO
un scîto do belin!
Bandea Zena sventola

  MODI DI DIRE A GENOVA / VARIE
MÒDDI DE DÎ A ZENA / VARIE

Belin  È la parola più usata in assoluto nel dialetto genovese: l'origine, il significato e i sinonimi in questa pagina do belin.

Manamàn (Manimàn) o più arcaico, amanamàn
Questo ineffabile e quasi intraducibile termine viene ben spiegato dal Casaccia:
1) In senso di timore: Amanamàn o m'aciàppa temo che mi prenda;
2) In senso d'ironia o di scherno: Amanamàn che ti no pòsci! guarda che tu non possa!
3) Accenna ad un pericolo che potrebbe incontrarsi: Va adâxo che amanamàn ti cazzi va piano se no potresti cadere.

Fâ 'na figûa da cicolatê (Fare una figura da cioccolatiere).
I fabbricanti di cioccolata, che stavano in calzoncini corti, se non in mutande, a lavorare, dovevano chinarsi su un tavolo inclinato sul quale "impastavano" appunto la cioccolata. Pare che ad uno di questi operai un giorno nel faticare con un apposito "cannello" sul detto piano inclinato ad impastare il dolce, siano letteralmente scivolate giù le mutande o i calzoncini. Da qui il detto.
Dizionario Frisoni: fâ a figûa do ciccolattê= far triste, cattiva, meschina figura.

Magone
Nel parlare corrente in genovese viene pronunciata la frase "Me ven o magón" col significato di "Mi vien da piangere; Sono commosso". Essa ha origine dal 260 a.C. dal nome del generale Magone quando col suo ordine fece distruggere Genova e uccidere tutti gli abitanti sui quali i suoi soldati riuscirono a mettere le mani. Da un po' di tempo questa frase è entrata a far parte dell'uso comune nella lingua italiana.
Dizionario Frisoni: Magon, s.m. accoramento, disgusto, patema, travaglio, angoscia, cordoglio || aveì o -, avere un peso sullo stomaco, un nodo alla gola.

Gondon Letteralmente significa profilattico, ma viene usato per indicare un brutto ceffo.

Lagaccio (lago del) - Biscotti del Lagaccio
Il lago artificiale (m. 100 x 500) che raccoglieva le acque del rivo Peraldo sorgente dal forte Sperone, era stato realizzato nel 1539 per volere di Andrea Doria per il funzionamento dei suoi mulini a valle ed anche perché si potesse rifornire d'acqua la flotta navale. Nel 1652 ad opera della Repubblica fu, nei pressi, edificato un polverificio, poi proiettificio, dove si fondevano anche i cannoni. Un tempo, proprio di fronte al proiettificio vi era una fabbrica di biscotti che, preso il nome della località, furon detti "biscotti del Lagaccio", ancor oggi noti anche se non più fabbricati lassù. Numerose sono le industrie dolciarie genovesi che producono i famosi biscotti.
Il lago è stato ora prosciugato per esigenze edilizie e per ragioni di sicurezza in quanto molti, nel tempo, vi hanno trovato la morte cadendo nelle sue acque pantanose. Forse da questa sua pericolosità derivò il nome dispregiativo "Lagaccio".

Òfiçieu
Questo termine veniva usato per indicare ceri "cerini", ossia candeline molto lunghe e sottili cui era stata data la forma e l'aspetto, con opportuni avvolgimenti, di un officiuolo ossia di un libretto per la recita dell'ufficio dei Morti, o di forme di oggetti e che hanno ornamentazioni e colori vari. Li bruciavano, almeno sino all'immediato secondo dopoguerra, i bambini. Ma originariamente erano usati nelle chiese, durante le preghiere della novena dei defunti, dai fedeli come mezzo illuminante per la lettura dei messali.
Più tardi l'òfiçieu assunse anche altre forme: lanterna, arancia, stivale, borsina, scarpetta, barca, torre con la bandiera di Genova, ecc. Su essi erano incollati immaginette religiose. La fiammella dell'officieu, piccola e incostante, illuminava la notte e le preghiere per i defunti, consacrava la certezza della vita eterna e del rapporto ininterrotto tra le generazioni: da quelle passate alle presenti. L'usanza degli officieu è finita sia per problemi pratici di gocce di cera consolidata sul pavimento delle chiese o sulle panche, sia per la mancanza di abili artigiani che li elaborino. A Chiavari erano conosciuti anche col nome "mochetti", a Borzonasca "çerìn". Nel 2023 è uscito il libro "Offiçieu - Accatægheli a-i vostri figgieu" che riassume tutta la storia di questa usanza; guarda il video.
Ricorda il Bacigalupo in una sua lirica:
...Davanti ai negozi / de tûtti i speziæ,
esposti in bell'ordine / pe mettine coæ
gh'é un mûggio asciortio / de belli offiçieu
delizia, sospio / de tanti figgieu...
 

Dizionario Frisoni: Offiziêu, s.m. cerino raggomitolato che i ragazzi accendono in chiesa nel dì dei morti.
Approfondisci

Çiöto dell'Erco cioto ceotto siotu siottu seottu
Era, questa, un'espressione che si usava quando si voleva offendere qualcuno. In realtà il detto aveva avuto origine da rivendite di cerotto contro i reumatismi site su bancarelle sotto la porta d'Archi. In verità la parola esatta sarebbe çeotto ma vi è stata evidentemente una deformazione popolare che la fece divenire çioto. Non dobbiamo dimenticare che la parola originaria, vale a dire çeotto stava sì ad indicare, come dice il Casaccia, «composto medicinale fatto di cera o altra materia tenace, perché si appicchi in sui malori», ma voleva anche significare persona lercia. Da ciò il modo di dire.
Il dizionario Frisoni riporta: Çiotto, s.m. cerotto || lercio, lezzone, sporcaccione.

Crôxe e Griffo
Zugâ a crôxe e griffo detto comunemente dai ragazzi ancora nel 1979, o almeno fino a qualche anno prima, nel gioco delle figurine e dove la «croce» rappresentava il retro della figurina stessa e il «griffo» la parte figurata del cartoncino nel momento in cui lanciato in aria cade a terra. Il detto ha origine però dal gioco effettuato con monete. Dice il Casaccia nel suo dizionario genovese-italiano: «Noi diciamo "a croxe e griffo" perché nelle nostre monete antichissime da una parte era coniata una croce e dall'altra un grifo che opprimeva una volpe...». Il Frisoni ne dà questa definizione: giocare a cappelletto, a testa o lettera, ad arma o santo.

Dinâ da nôxe
La denominazione pare sia stata originata dall'abitudine medioevale di offrire doni, a base di noci, in occasione delle feste di fine d'anno. In realtà era stato vietato dai Serenissimi, ad un certo momento, «a bargelli e cavalieri» di accettare regali, «nè quelli che si chiamano denari della noce et simili mangerie». Tuttavia malgrado le minacce di severe punizioni pare che i regaletti venissero fatti ugualmente anche sotto forme curiose come quella dell'omaggio delle calze nuove agli uscieri della Signoria del Comune, detti Tragliette.
E ancora: era la mancia che i padroni davano ai loro commessi, aiutanti od operai ma era pure l'omaggio che il bottegaio faceva ai suoi clienti più affezionati.

Êse inte sbigge Essere in difficoltà, essere al verde o rovinato (sbiggia= birillo).
Êse pin de vento Essere pieno di soldi, ricco.  Êse in trappa Essere in gamba, forte, aver coraggio. Trappa= bacchetta, verga.

Sepolcri genovesi
dal sito comune di Genova 
I cosiddetti "sepolcri" che si era soliti, in tutte le chiese di Genova, preparare per la settimana santa, venivano visitati da una nutrita schiera di persone. Oggi l'uso è lievemente scaduto così come è in disuso il tipo di ornamentazione del "sepolcro" dei tempi andati. In realtà non si è mai voluto rappresentare la tomba di Cristo, ma invece il suo trionfo, però i Genovesi e i Liguri lo hanno sempre chiamato così. Erano fatti in modo superbo quasi come se ogni chiesa facesse a gara con l'altra per realizzarlo più bello. Richissimi di ceri (una antica usanza era quella di portare al proprio parroco, nella circostanza, da parte di ogni capofamiglia, un cero perché venisse acceso nel "sepolcro").
Una caratteristica tutta particolare, probabilmente solo genovese e ligure, era quella di far crescere nei mesi precedenti la Pasqua, per l'ornamentazione, piantine di grano o di miglio e di orzo in stanze completamente all'oscuro, cosicché gli steli assumevano un colore biancastro quasi diafano. Ma la "gara" stava soprattutto negli ornati. Spesso si vedevano, nelle diverse chiese, cuscini con disegni di fiori se non addirittura tappeti centrali tutti fatti con petali o segatura colorata. Da Nervi ad Albaro, al centro storico, sulle alture, fino a San Teodoro e oltre, ogni chiesa aveva il suo "sepolcro".
Tra i più belli, uno è rimasto memorabile, quello della chiesa di S. Maria Maddalena, per la sua bellezza, per l'opera paziente che aveva richiesto. Risale al 1929; riproduceva, con petali di fiori, in un quadrato di disegni vari e greche, la effige di Gesù Cristo, che aveva, rispettivamente a sinistra e a destra, lo stemma di Genova e quello papale.
Curioso è ricordare la tradizione (che ha forse reminiscenze superstiziose) secondo la quale si dovevano visitare almeno tre "sepolcri" e non uno in meno, comunque dovevano visitarsi sempre in numero dispari.

Scoglio campana
Si trovava davanti alle Mura della Marina (a Genova) e fu immortalato da Domenico Monleone in una sua opera lirica, intitolata appunto "Scheuggio Campann-a". Era assai caro alla gente e dopo che venne eliminato, con la costruzione della Circonvallazione a mare, i cittadini nostalgici erano soliti cantare:
«Cianzi, cao scheuggio campann-a
l'angonia te l'àn sunnâ
e t'æ sfiddou l'ira pisann-a
e t'æ sfiddou l'ira do mâ!...»
 

Era così denominato per la sua forma che lo faceva rassomigliare ad una campana, ma Giuseppe Rovere, in un suo scritto su "Fantasie del porto di Genova" dice che aveva piuttosto la forma di un topo.

Da sâ pesta
È l'originale denominazione di una antica trattoria di via Giustiniani (ora ridotta al semplice rango di rivendita di farinata). Fino ai primi degli anni '10, funzionando ancora come trattoria, chi voleva mangiare usava per tovaglia e tovagliolo vecchi giornali.

Bocca da veitæ Bocca della verità
Entrando da piazza De Ferrari nel cortile orientale del Palazzo Ducale, si trova sulla sinistra la cosiddetta «bocca della verità». In essa i cittadini anonimamente o no (ma più spesso anonimamente) deponevano biglietti con le loro lamentele, le loro segnalazioni al Doge ed ai Serenissimi che ne prendevano visione estraendoli da un apposito calice. Da questo atto il nome di «biglietti di calice».

O lêzo L'alleggio, il tappo della barca, foro della sentina d'un battello. lezu lezo
Riporto questa simpatica storiella che fa capire lo spirito con cui si viveva una volta (oggi si rischierebbe una denuncia!).
Racconta Guido Fochesato che quando a Camogli, tra gli anni '20 e '30, arrivarono via via sempre più numerose le bagnanti, molte di loro dovevano imparare a nuotare. Prendevano perciò lezioni dai bagnini. Questi ultimi, sorregendole con le due mani, tenevano le bagnanti in posizione orizzontale sull'acqua, insegnando i primi rudimenti del nuoto. Al che gli amici dalla riva, magari rosi dall'invidia, gridavano:
Mettighe 'n dîo into lézo, sedunque a te va a fondo! (Mettigli un dito nell'alleggio, altrimenti ti va a fondo!)

Te fasso mette in sciô "Staffî!"
Ti faccio mettere sullo "Staffile"! Pare che lo Staffile fosse un giornale scandalistico e forse ricattatorio che pubblicava notizie relative a piccoli e grandi scandali di paese: adulteri, situazioni irregolari, invidie, fortune più o meno lecite. Il tutto senza indicare nome e cognome della vittima ma fornendo, attraverso allusioni ed informazioni, ampie possibilità di individuazione.
O gh'à 'na lengoa comme o staffî do böia
Ha una lingua come lo staffile del boia. In questo caso, lo staffile era parte integrante dell'armamentario del boia (sferza, frusta). Si tratta di un'espressione nata probabilmente nel XVII secolo, periodo in cui il linguaggio è particolarmente ricco di espressioni riguardanti le esecuzioni capitali per impiccagione.

Paciugo e Paciuga
Importante monumento ligneo genovese; è rappresentato dalle 2 statue di Coronata cosiddette del "Paciugo" e della "Paciuga", agghindate con i tipici costumi genovesi dell'epoca. Pare che i veri nomi fossero "Pellegro" e "Pellegra", che nell'antico intercalare genovese significa inseparabili. Ai 2 fantocci è legata una strana leggenda. "Paciugo" era un marinaio e ovviamente stava lontano da casa a lungo, una volta era stato catturato dai turchi. La "Paciuga" (moglie), si insospettì; temette il rapimento dei pirati e le balenò anche l'idea che il consorte avesse messo in pratica il vecchio detto genovese: «Passou o monte de Portofin, te salûo moggê che son fantin...» La poveretta comunque amava molto il marito e tutte le mattine se ne andava, devota com'era, a piedi, da Genova a Coronata a chiedere alla Madonna la grazie di rivederlo. Così andò avanti per ben 12 anni dopodiché il "Paciugo" fu liberato dai pirati e, tornato a Genova, si recò a cercare la moglie che s'era, proprio allora, recata a Coronata a pregare la solita grazia. Ma il nostro uomo trovò lì, bell'e pronta, una mala lingua che calunniò dicendo che la "Paciuga" fingeva d'andare a pregare e se la faceva invece con altri uomini. Al che l'ex prigioniero s'infuriò, cercò la consorte e trovatala le propose di andare proprio a Coronata a ringraziare la Vergine, ma propose anche, con la scusa di abbreviare il tragitto, di andare in barca sino a Cornigliano.
Come fu al largo spifferò però alla moglie il sospetto di tradimento e senza tanti complimenti le tagliò la gola e la affondò con un sasso al collo. Poi remò verso la spiaggia assai eccitato per la vendetta, ma all'eccitazione subentrò il rimorso ed il dolore. Fatto sta che sbarcato prese una corsa e salì a Coronata per chiedere perdono alla Vergine.
Quest'ultima, evidentemente commossa..., operò il miracolo e gli fece trovare la "Paciuga" in chiesa che pregava. Ringraziarono assieme la Madonna, i due, e quindi se ne tornarono a casa.

Schiamazzi del Capodanno
I Genovesi anticamente usavano mortaletti e soprattutto il suono delle campane e di trombe nel porto. Pare anzi che sia proprio esclusivamente genovese quest'uso di suonare le sirene dei piroscafi nella notte di capodanno. I marinai si sfogavano, secondo alcune descrizioni di studiosi, a far baccano e facendo appunto ululare le sirene delle loro navi o soffiando in grosse conchiglie, che emettevano suoni, dette comunemente "trombe mænn-e".
L'uso di lanciare, nel momento del trapasso dall'anno vecchio a quello nuovo, arnesi di vario genere dalla finestra è recentissimo e di importazione meridionale.

Casa di Nicolò Paganini
Era in passo Gattamora. Tale passo ora non esiste più, né esiste più la casa di Paganini che è stata delittuosamente fatta sparire dopo reiterate promesse di conservazione. La lapide a suo tempo dettata dal Barrili a ricordo del nostro celebre violinista diceva: «ALTA VENTURA SORTITA DA UMILE LUOGO / IN QUESTA CASA / IL GIORNO XXVII DI OTTOBRE DELL'ANNO MDCCLXXXII / NACQUE / A DECORO DI GENOVA / A DELIZIA DEL MONDO / NICOLO' PAGANINI / NELLA DIVINA ARTE DEI SUONI INSUPERATO MAESTRO». Sopra la lapide c'era una bellissima nicchia con Madonnina.
Filmato con la casa di Paganini durante la demolizione 1970 qui A cheullia (via del colle) comprendeva esattamente tutto il colle a ridosso di via Madre di Dio e cioè da Caruggio dritto (oggi piazza Dante) fino a metà del ponte di Carignano. Oggi della Cheullia esiste solo la metà della metà, ringraziando sempre geometri ed architetti dell'epoca che ne hanno decretato la scomparsa 1969-1977.

Ciavelli
Tradizione secondo cui s'usava mettere sul desco natalizio un pane o un panino che si conservava e che - quasi miracolo - non diveniva raffermo. Lo si usava poi durante l'anno (e pare avesse davvero effetti sorprendenti) per curare con opportuni impacchi fatti con il pane stesso, i "ciavelli" e non solo dei "cristiani", ma anche degli animali.
Dizionario Frisoni: Ciavello, s.m. fignolo, foruncolo. (da clavéllu)

Chêussi (Lagenaria vulgaris), la zucca-fiasco, dai molti usi di terra e di mare, coltivata dai nostri ortolani. Dettagli cheussi cossi

Ciòcche castagne secche bollite con la scorza.
Dizionario Frisoni: Ciocche, f.p. anseri, vecchioni, castagne secche lessate col guscio. Approfondisci

Chìfaro (Brioche, croissant o cornetto)
Tipo di pane, d'origine forse germanica, fatto di pasta bianchissima, ritorto come una mezzaluna e con le estremità piuttosto appuntite, che si adopera per inzuppare nel cappuccino, caffè o bevande simili.  Diz. Frisoni: Chiffaro, s.m. chifel, chifello (panino a forma di mezzaluna).

Ghirindón s.m. (F.) Tavolino da notte in legno, posto accanto al letto per tenervi l'orinale; Comodino.

Oêxìn
Orlo: lembo di tela o panno rivoltato in tondo sopra di sé, poi cucito per impedirne lo sfilacciare (Diz. Casaccia). Termine che si usava e si usa per indicare l'estrema corteccia del pane o la parte di orlo della focaccia (genovese). Infatti a molti la focaccia piace "inte l'oexìn".   Diz. Frisoni: Oëxin, s.m. orlo || - de pan, crostino, pezzetto di pane nella crosta || - da torta, orliccio, orlo della torta.

Maronsini Sono biscotti artigianali (della zona di Uscio) fatti con farina, zucchero, latte ed una piccola grattugiata di limone.

Natalin
I Maccheroni (maccaroin) di Natale, detti "Natalin", davano inizio al pranzo di natalizio. Assomigliano a penne lisce, solo che sono lunghe circa cm.20 e la loro forma caratteristica è leggermente ovale, perché vengono seccati lentamente adagiandoli su telai. La loro forma poco pratica è una garanzia, giustificata dalla lavorazione: anticamente quando i pastai utilizzavano trafile artigianali, solo la presenza nell'impasto dell'ottimale quantità di fecola e farina permetteva la loro forma allungata e la loro trasparenza. Vengono cotti in brodo di cappone e sposati a piccole sfere di salsiccia (un riferimento alle monete, quindi augurio di prosperità). Il brodo deve essere perfetto, fatto con 3 tipi di carne (pollo, manzo, maiale).

Persa È un tipo di erba profumata usata in cucina, nota in italiano col nome di maggiorana. In Liguria è chiamata "erba persa" perché proveniente dalla Persia (Iran). In realtà la maggiorana, che pare essere originaria dell'Africa del Sud, è arrivata in Italia dal Portogallo. Per gli antichi romani era simbolo di felicità, e fin dal '400 sono noti i suoi usi in cucina e nella medicina popolare. Dettagli

Refrescumme Deriva dal germanico Frisch.
Dizionario Frisoni: Refrescûmme, s.m. lezzo (di stoviglie mal lavate), bestino, puzzo (del pesce non fresco).

Sciuscétto Soffietto: attrezzo per togliere l'olio dal vino nelle damigiane (vedi) / copertura delle carrozze a cavallo, se pioveva / mantice, strumento manuale col quale si genera aria per alimentare il fuoco del camino (vedi)

Sprenaggi
Asparagi (spægo). Secondo la tradizione popolare di Uscio (val Fontanabuona), il termine veniva usato per indicare le creature dei boschi, una sorta di folletti, abitanti tra la Spinarola e Colle Caprile, sui quali sono tramandati leggende, aneddoti e fiabe; addirittura c'è chi a Uscio prepara la "sûppa di sprenaggi", un brodo la cui ricetta si dice provenisse direttamente da questi curiosi personaggi.

Sponciâ Spingere; metaf. sollecitare, spronare. Ronsâ Urtare, spingere con forza.

Taiscella
Congegno formato da un'asticella legata ad uno spago che, attraverso un buco nella porta, permetteva di alzarsi e scendere per incastrarsi in un gancio di legno. Una volta sostituiva le serrature nelle porte; si trovava sia nella porta di casa che in quella della stalla e della cantina.

Tremaxón Tremito, brivido di freddo, paura o per eccesso di febbre; nel levante ligure dicesi anche "sperisón"

Tremelêuio frastuono assordante; baccano, fracasso; metaf. fanciullo che non si ferma mai e sempre procaccia di far qualche male.

Tréuggio s.m. Truogolo, lavatoio: specie di vasca quadrangolare, talora tutta di pietra o di mattoni, contenente acqua per lavare i panni o altre cose di cucina; abbeveratoio per le bestie.

Vascelæa scolapiatti.  Diz. Casaccia: Vascellæa, s.f. scanceria, specie di scaffale per tenervi stoviglie, piatteria o altro, nella cucina.
Diz. Frisoni: Vascellæa, s.f. scanceria, piattaia, rastrelliera (per le stoviglie). vascelea

  Origine di alcune parole della lingua genovese:
Caroggio vicolo, vico; deriva dal latino quadrivium
Crêuza crosa, traversa (stradina suburbana incassata tra 2 muri); deriva dal latino corrosus. Come base deriva dalla parola, forse di origine gallica, kròsu, "caverna".
Camallo A Genova è chiamato così lo scaricatore del porto, il facchino. Sull'origine esistono varie teorie che riporto qui di seguito:
- Secondo la professoressa Giulia Petracco Siccardi (una studiosa di etimologia all'Università di Genova, ora in pensione) che ha scritto il "Prontuario Etimologico Ligure", la parola camallo deriva dall'arabo hammêl o hammâl "facchino" (passato direttam. in andaluso alhamel), per tramite del turco kamal o hamal, cfr. anche catal. camàlic, sicil. camalu, fr. merid. camalo. Di qui il verbo camalà "trasportare pesi".
- Secondo Severino Costabrava, compianto ordinario di Filologia e Semantica Indoeuropea a Losanna (famoso per le sue teorie audaci): Camallo deriva dal finlandese Kamala, orribile, terribile. (Auto)ironico termine dato(si) da schiavi nordici Ugrofinnici impiegati per le manovre di porto (ma non di scarico e carico) presso i Romani.
- (meno credibile, ndr) Secondo il Diotallevi-Franchi, L'Etimo Ligure e Sud piedmontese (ediz. Hoepli 1908 Milano): Camallo deriva da Camillus, nome proprio che in epoca tardo romana (Galoromana) era dato a caricatori di navi e trasportatori di merci anche via terra.
vedi anche Etimologia delle parole genovesi
per approfondimenti, consiglio la lettura dei libri: "Dagghene di nommi (belin!)" di Walter Fochesato, "Modi di dire genovesi" di Franco Bampi.

Bibliografia: "Genova curiosa" A. Schmuckher, Mondani Ed. 1979; Dizionario genovese-italiano G. Frisoni 1910; "Dagghene di nommi (belin!!!!)" W. Fochesato 1996; varie
Su

HOME CULTURA e TRADIZIONI ANTICHE TRADIZIONI PROVERBI GE