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LE AURIFODINAE DELL'OVADESE

Descrizione: C:\Users\batpi\Desktop\Oromuseo\images\image006.jpgLa presenza dell'oro nei torrenti dell'Ovadese è nota da tempo, ed è certo che la sua raccolta è iniziata nella più remota antichità.  Particolarmente intenso è stato lo sfruttamento dei terrazzi che si sviluppavano nei tratti finali dei torrenti Stura, Gorzente e Piota, i quali sono stati completamente rimossi e, al loro posto, restano ancora estesi accumuli di ciottoli residui di lavaggi che la tradizione popolare fa risalire ai Romani.  I depositi di ciottoli sono in effetti del tutto simili a quelli che si possono osservare in altre parti del bacino padano, specie lungo il fronte esterno dell'anfiteatro morenico di Ivrea, che rappresentano indubbiamente la testimonianza dello sfruttamento in epoca romana e preromana di analoghi terrazzi auriferi, ma mentre questi si trovano notevoli distanze dai probabili giacimenti primari, quelli dell'Ovadese, formatisi in aree meno esposte ai fenomeni glaciali, sono in stretta relazione con le manifestazioni aurifere primarie presenti nella fascia collinare che si estende a sud di Ovada, ove affiorano rocce facenti parti del complesso metaofiolitico-calcescistoso noto col nome di Gruppo di Voltri.

Le manifestazioni aurifere primarie si collocano in rocce ultramafiche tettonizzate e serpentinizzate, derivate da originarie lherzoliti, all'interno di dislocazioni tettoniche verticali con sviluppato scorrimento in direzione nord-sud (shear zones) che, in genere, mettono in contatto le lherzoliti con altri tipi di rocce; localmente assumono invece giacitura suborizzontale, in corrispondenza di estese fasce milonitiche che evidenziano fenomeni di scorrimento e brecciatura delle masse lherzolitiche più superficiali.  Sono costituite da corpi lenticolari di breccia serpentinitica alterata e cementata da reticolati di vene quarzoso-carbonatiche, solo localmente da veri e propri filoni quarzosi compatti, e si estendono per poche diecine di metri, raramente per qualche centinaio, con spessore variabile dal decimetro a qualche metro, ma sono talora numerosi e ravvicinati tanto da poter costituire giacimenti unitari.  Nel complesso costituiscono un particolare tipo di roccia, indicato nella vecchia letteratura col nome di idrotermalite ed oggi più internazionalmente noto come listwaenite, derivato da carbonatizzazione e silicizzazione di ultramafiti ad opera di fluidi idrotermali.  All'interno delle vene di quarzo, ma anche nel materiale serpentinitico alterato, si trovano minerali metallici, per lo più di dimensioni microscopiche e in forma dispersa: soltanto localmente si hanno piccole concentrazioni di pirite microgranulare o grosse plaghe di altri solfuri.  La paragenesi metallica è costituita da oro, pirite, marcasite, calcopirite, pirrotite, blenda (sfalerite) galena e tetraedrite, ai quali si associano minerali componenti le serpentiniti; particolarmente abbondanti sono i prodotti limonitici di alterazione di colore rossastro e, in alcune vene, di microdiffusioni di un minerale verde cromifero (fuchsite).  L'oro è prevalentemente presente allo stato libero, sia nella ganga quarzosa che nel materiale limonitico, in plaghette che in genere non superano il millimetro; in alcune druse e geodi si possono comunque trovare piccoli cristalli con abito ottaedrico e aggregati dendritici centimetrici.  Il contenuto è molto vario ed irregolare, anche nell'ambito della stessa vena: nei filoni più ricchi si possono localmente raggiungere e superare i 200 grammi per tonnellata di roccia, ma il tenore medio, anche nel minerale scelto, è di pochi grammi.  Il metallo è costituito da una lega con contenuti medi dell'85% di oro, 15% di argento e tracce di rame ed altri elementi.

Filoni e vene quarzose sono tipicamente idrotermali e l'origine dell'oro va cercata nelle rocce ultramafiche incassanti, che ne contengono sempre discrete anomalie.  La presenza dell'oro è stato infatti riconosciuta anche al di fuori delle vene mineralizzate: nelle lherzoliti è presente in tracce, mentre nei livelli dunitici può arrivare fino a 1-2 g/T; contenuti maggiori (fino a 100 g/T e oltre) si riscontra in bande milonitiche di frizione interessate da alterazione talco-carbonatica ed accompagnata talora da grafite e da asbesto, nelle quali possono notarsi localmente sottili scaglie d'oro striate sugli specchi di faglia.

Le mineralizzazioni più sviluppate affiorano nella zona collinare compresa tra i torrenti Piota e Gorzente, a monte del bacino artificiale dei Laghi della Lavagnina, comuni di Mornese, Casaleggio Boiro e Lerma (AL), dove in epoca recente sono esistite quattro concessioni minerarie: vi sono stati coltivati filoni con tenori alti, anche se discontinui, e sono stati riconosciuti locali arricchimenti di alterazione superficiale, costituiti da livelli talora potenti alcuni metri di saprolite lateritica.  A poca distanza, nella Stura di Ovada, comuni di Ovada e Belforte Monferrato, si trovano manifestazioni simili ma molto meno sviluppate, che hanno comunque dato vita a due altre concessioni; manifestazioni ancora di minore importanza, che sono state oggetto di ricerca in tempi passati ma non sono sfociate in recenti concessioni minerarie, si trovano nelle valli del Visone (Grognardo), del Gargassino (Rossiglione) e del Rio Vezzullo (Masone).

Le ricerche più recenti ed approfondite, eseguite negli anni ‘80 dal dottor G. Pipino in collaborazione con compagnie minerarie canadesi, hanno evidenziato la presenza di discreti giacimenti nell'area compresa fra i torrenti Piota e Gorzente, in particolare nelle zone di C. Ferriere sup., Nebbie ed Argion, dove sono stati individuati corpi superficiali con cubature variabili dalle 500 alle 600.000 tonnellate di minerale con tenori d'oro variabili da 2 a 4 grammi.

Nonostante la plurisecolare opera di livellamento e di asportazione dei ciottoli, lungo i bassi corsi del Gorzente e del Piota la presenza dei cumuli è ancora osservabile con una certa continuità, per uno sviluppo lineare di circa 14 chilometri, mentre nella parte finale del torrente Stura se ne osservano limitati lembi, in quanto i terrazzi alluvionali sono discontinui e poco estesi.  Nella bassa valle del Piota è anche possibile osservare la presenza di cumuli residui non solo nel terrazzo più basso, ma anche in alcuni di quelli sovrastanti.  I cumuli poggiano direttamente sul substrato roccioso che, procedendo verso nord, da monte a valle, è costituito prima da ultramafiti e calcescisti del Gruppo di Voltri, poi dai sedimenti basali del Bacino Terziario Piemontese.  A monte sono in gran parte privi di vegetazione e possono raggiungere i 10 metri di altezza, mentre a valle sono meno elevati e coperti da una fitta boscaglia: in tutti i casi è ancora possibile osservare la disposizione in allineamenti paralleli, separati da avvallamenti diretti verso il vicino corso d'acqua attuale.  I ciottoli sono molto grossolani e presentano vario grado di arrotondamento, le dimensioni variano dai 10 ai 50 centimetri e più, con totale assenza di elementi più minuti, e la composizione rispecchia quella del Gruppo di Voltri, da cui provengono, con prevalenza di ultramafiti, metagabbri, prasiniti, anfiboliti ed eclogiti: i ciottoli di quarzo, oggi discretamente diffusi soltanto in profondità, erano certamente molto più abbondanti in passato, prima che ne iniziasse la raccolta per la fabbricazione del vetro e per l'utilizzo come fondente negli altoforni.

I cumuli di ciottoli sono i residui del lavaggio in grande stile di originari terrazzi alluvionali auriferi, lavaggi avvenuti in epoca incerta ma certamente antica e, data la mancanza di qualsiasi cenno letterario, è ragionevole supporre che l'attività vi sia stata svolta in tempi preromani o ai tempi delle prime guerre ligustiche (197-172 a.C.).  Non sono ovviamente da confondere, come invece hanno fatto funzionari della Soprintentenza Archeologica del Piemonte, con mucchi di inerti deposti in tempi recenti da locali cavatori.

Il sistema di lavorazione, che i Romani trovarono sul posto e incrementarono con la loro organizzazione militare, consisteva nel lavare porzioni di terreno alluvionale in canali all'uopo scavati: l'acqua vi veniva convogliata derivandola da torrenti montani o da bacini artificiali precedentemente predisposti e il materiale da lavare veniva versato nel canale abbattendolo direttamente dalle sponde: i ciottoli più grossolani, che impedivano lo scorrimento, venivano di tanto in tanto eliminati, a mano o con l'aiuto di forche, ed ammucchiato ai lati, mentre sabbia e ghiaia venivano trascinati via dalla corrente, fino al sottostante torrente: i minerali pesanti contenuti nel sedimento, in particolare l'oro più grossolano, venivano intrappolati naturalmente dai ciottoli, mentre per trattenere l'oro fine, almeno in parte, venivano predisposti opportuni ostacoli sul fondo dei canali.  Quando diventava difficoltoso e poco pratico versare direttamente nel canale il materiale dalle sponde, la corrente d'acqua veniva interrotta, i ciottoli residui venivano completamente eliminati e veniva recuperato il concentrato di minerali pesanti che, posto in sicurezza, veniva poi rifinito sotto sorveglianza.  Successivamente, o anche contemporaneamente, a seconda della disponibilità di acqua e di mano d'opera, venivano scavati altri fossati paralleli al primo e, dopo avervi convogliato l'acqua, si procedeva con l'abbattimento delle sponde, e così via.  Quando tutto il terrazzo alluvionale era stato lavato restavano, al suo posto, potenti mucchi di ciottoli allungati e paralleli, separati dai fossati serviti per il lavaggio.

Come ampiamente osservato e descritto in tempi recenti, con questo metodo di lavorazione un uomo Come ampiamente osservato e descritto in tempi recenti, con questo metodo di lavorazione un uomo poteva abbattere e versare nel canale da 5 a 10 metri cubi di sedimento al giorno; il volume d'acqua necessaria variava da 2 a 10 volte quello del materiale da lavare, cioè da 10 a 100 metri cubi al giorno per operaio, e la velocità di scorrimento doveva essere di almeno 2-3 metri al secondo.  L'oro recuperato si aggirava sul 60-80 % di quello contenuto nel materiale lavato, e buona parte era costituito dai pezzi più grossi, intrappolati nei ciottoli: la maggior parte dell'oro fine sfuggiva al lavaggio e andava a depositarsi lungo il sottostante torrente, dove ha consentito per secoli la modesta attività di “pesca”.Descrizione: C:\Users\batpi\Desktop\Oromuseo\images\lavaggio.gif

 

 

Abbattimento del terrazzo aurifero e accumulo dei ciottoli, idealizzati nel corso di una intervista al dottor Pipino (SCIENZA E VITA NUOVA, giugno 1990).

 

 

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