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John Stuart Mill
Il sistema di logica deduttiva ed induttiva
Lo scritto Sistema di logica deduttiva ed induttiva è del 1843. Ne uscirono poi altre due edizioni
riviste in diversi punti e l'ultima risale
al 1872.
Nell'elaborazione di questo testo Stuart
Mill risentì dell'influenza di Comte, inserendo
nelle premesse della sua idea di logica una
forte connotazione antimetafisica; tuttavia
buona parte del libro fu una ripresa dei
temi già affrontati dal padre, James Mill, con particolare riferimento ai problemi
dell'associazione mentale e della logica
come strumento di valutazione dell'associazione.
In James Mill era sostanzialmente rimasto
irrisolto il problema di come stabilire la
verità e la falsità di un'associazione mentale,
nei termini veri e propri, ripresi con vigore
da Peter Strawson nel '900, di congruenza
ed incongruenza, di inerenza e non inerenza
e del rispetto a cosa si danno valutazioni. Di fatto James Mill
era riuscito a rilanciare la validità del
procedimento logico empirico dopo che Hume
ne aveva radicalmente messo in discussione
il fondamento. Per Hume noi crediamo per abitudine che B dipenda
da A, ma non abbiamo alcuna speranza di poterlo
dimostrare in modo razionale. Per James Mill,
al contrario, stabilito che B viene da A
per un'osservazione e non per credenza, era
nuovamente possibile inferire che se, in
passato, "così è stato" , ovvero
che da A venne B, anche per il futuro sarà
possibile diagnosticare che "così sarà",
ovvero che da A1 verrà B1, e persino che da C verrà un D.
Se questa fu sostanzialmente la linea di
ispirazione che Stuart Mill seguì nell'esposizione
della sua logica, c'è da aggiungere che egli
dovette misurarsi anche con tre filosofi
inglesi, suoi contemporanei, che proprio
sui problemi della conoscenza e della logica
avevano cominciato ad assumere posizioni
più che degne di interesse. Da un lato egli
nutrì subito una certa attenzione per William
Hamilton (1788-1856), prosecutore della scuola
scozzese del senso comune, che era venuto
a sostenere una linea di conoscenza degli
oggetti non attraverso la rappresentazione mentale, cioè fatta mediante idee, ma attraverso
la presentazione diretta degli oggetti stessi, cioè un momento
intuitivo immediato che legava strettamente
linguaggio e realtà.
Dall'altro, Mill fu sicuramente stimolato
da John Herschel (1792-1871) e William Whewell (1794-1866).
Del primo, figlio dell'astronomo William
Herschel, possiamo dire che fu più scienziato
che filosofo in senso stretto, ma scienziato
vero, cioè ricercatore e studioso del fenomeno
della rifrangenza dei cristalli, esperto
di fotochimica, curioso di fotografia, e,
sulla scia del padre, fortemente coinvolto
da interessi in campo astronomico.
Nel 1830 aveva composto A Preliminary Discours on the Study of Natural
Philosophy che, secondo l'epistemologo americano John
Losee, costituì subito "l'opera più
esauriente ed equilibrata che si potesse
leggere sulla filosofia della scienza",
ovviamente all'epoca. (Losee - Filosofia della scienza - il Saggiatore - Milano,2001 - originale:
A Historical introduction to the Philosophy
of Science - 1972 - 3rd edition in England - Oxford University Press
-1993)
Herschel
Secondo Losee: «Uno degli importanti
contributi di Herschel alla filosofia della
scienza fu una chiara distinzione tra il
contesto della scoperta e il contesto della
giustificazione. Herschel sosteneva che la
procedura impiegata per formulare una teoria
è, a rigore, irrilevante ai fini della sua
accettabilità. Una meticolosa procedura induttiva
e una congettura incontrollata stanno sullo
stesso piano se le loro conseguenze deduttive
vengono confermate dall'osservazione.»
(Losee, idem)
In pratica Herschel contestò: 1) che vi sia
un solo metodo valido per tutte le scienze; 2) che
ogni scienza abbia il suo metodo.
Piuttosto, affermò che ogni scoperta ha seguito
una sua logica e che, dunque, la validità
della scoperta non è determinata dal metodo,
ma dalla verifica sperimentale della sua
validità.
Non solo: egli diede particolare importanza
all'esperimento cruciale, o esperimento del crocicchio, già teorizzato da Bacone come experimentum crucis, ovvero come esperienza che consente di
scegliere la strada giusta quando ci si trova
ad una biforcazione e si è in dubbio sulla
strada da percorrere. Per Bacone l'esperimento
cruciale stabiliva la vera causa di un fenomeno
osservando se esso si verificava o meno in
determinate condizioni cruciali.
Scrive Losee: «Herschel considerava
gli esperimenti cruciali come controlli rigorosi
che le teorie accettabili devono poter superare.»
(Losee -idem)
Il vero punto da evidenziare, che il lettore
accorto avrà compreso, è che Herschel andrebbe
considerato come il vero autore della teoria
della falsificazione, che una pessima vulgata
attribuisce erroneamente a Popper, anche
perchè, lo stesso Popper non fece molto per
spiegare che la sua non era una teoria originale.
« Sebbene - scrive Losee - nella valutazione
delle teorie rivali si sia attribuito un
eccessivo rilievo a certi esperimenti, l'atteggiamento
generale che favorisce una ricerca dei casi
falsificanti è stato della massima importanza
nella storia della scienza. Herschel incoraggiava
questo atteggiamento, e pretendeva che lo
scienziato assumesse il ruolo di avversario
delle proprie stesse teorie, e che cercasse
sia confutazioni dirette, sia eccezioni che
limitassero l'ambito di applicazione di tali
teorie.» (Losee - idem)
William Whewell
Whewell era nato nel 1794 e si era laureato
al Trinity College di Cambridge, dove in
seguito ottenne prima la cattedra di mineralogia
e poi quella di filosofia morale.
Whewell aveva scritto due opere altrettanto
importanti: Nel 1837 History of the Inductive Sciences, e nel 1840 Philosophy of the Inductive Sciences.
Il dato di partenza di Whewell non fu dunque
la filosofia, ma la storia della scienza.
Per Whewell era importante determinare quanto
la storia delle scoperte scientifiche fosse
stato segnata da una costante interrelazione
ed integrazione tra idee e dati di fatto,
dati di fatto ed idee. «Armato di questo
principio, cercò di dimostrare il progresso
di ciascuna scienza ricostruendo la scoperta
dei dati di fatto a essa pertinenti e la
loro integrazione in un contesto di idee
appropriate. » (Losee - idem)
L'orizzonte entro il quale si orientò Whewell
fu, tuttavia, diverso da quello scelto da
Herschel, nonostante una certa omogeneità
di vedute. Whewell fu molto più determinato
nel mettere in rilievo il ruolo dell'a priori nella ricerca scientifica. Ciò per le influenze
kantiane sul pensiero dello stesso. (Poggi
- Il positivismo - cit.)
Ovviamente convinto, come Kant, che non vi
sia conoscenza che non passi dall'esperienza,
egli fu molto più attento di Herschel ai
problemi delle condizioni entro le quali
e sotto le quali si verifica la conoscenza.
« Whewell - scrive Losee - accoglieva
la tesi di Kant secondo cui le idee vengono
imposte alle sensazioni, e non vengono derivate
da esse; comprendeva quindi tra le idee sia
nozioni generali come "spazio",
"tempo" e "causa", sia
idee elementari di particolari scienze. Esempi
delle ultime sono l'"affinità elettiva"
in chimica, le "forze vitali" in
biologia, e i "tipi naturali" in
tassonomia. Whewell ammetteva che non vi
può essere nulla di simile ad un "dato
di fatto puro", avulso da ogni idea.
Qualsiasi dato di fatto riguardante un oggetto
o processo implica necessariamente le idee
di spazio, di tempo o di numero. Di conseguenza,
perfino i dati di fatto più semplici implicano
qualcosa che ha la natura della teoria.»
(Losee -idem)
Inoltre, per Whewell le idee non erano una
conseguenza dell'esperienza (not a consequence of experience, but a result
of the particular constitution and activity
of the mind...) ma appunto il risultato di una particolare
costituzione della mente, la quale ha una
struttura logica predeterminata.
Questa citazione è tratta da un'opera del
1857, quindi successiva al System di Stuart Mill, ma lo stesso concetto è
già presente negli scritti citati anteriori
al System.
Ma, detto questo, sarebbe un errore grave
considerare Whewell un antiempirista od un
antiinduttivo. Egli dedicò gran parte del
suo lavoro a risistematizzare il ruolo dell'induzione
nelle procedure di scoperta scientifica e
contestò Herschel su un punto di estrema
importanza: a suo avviso le teorie ed anche
le semplici ipotesi non ricavate dall'induzione,
o quantomeno, anche dall'induzione, non avrebbero potuto essere
verificate sperimentalmente. E questo perchè
i dati osservabili e riosservabili costituiscono
la materia stessa della conoscenza scientifica.
In quest'ambito Stuart Mill si trovò quindi
impegnato non solo a precisare in che consiste
la logica rispetto alla visione di Comte,
per il quale la ragione (dunque anche la
logica) coincide con la scienza nella versione
comtiana, ovvero con un metodo che costruisce
teorie muovendo da principi e dal dogma della
costanza delle leggi naturali; si trovò anche
impegnato a riscrivere la formula dell'empirismo,
seriamente criticata e riaggiornata in chiave
kantiana anche da Whewell. Whewell, per intenderci,
aveva riaffermato con grande forza che esiste
un io (in antitesi a Hume) e che nell'io
stesso ci sono schemi mentali innati che
portano necessariamente a vedere il mondo
in un certo modo, a vivere le esperienze
in un certo modo ed ad organizzare ed interpretare
i dati in un certo modo ancora.
Non a caso Stuart Mill scrisse sin dalle
prime pagine del System che la logica non è nè la scienza, nè una
scienza una scienza qualsiasi, ma "il
giudice e l'arbitro comune di tutta la condotta
umana." Quindi anche della scienza.
Come a dire che non fu la scienza a fare
la logica, ma la logica, cioè un modo umano
particolare di valutare i ragionamenti e
le prove che li supportano, non tanto a fare
la scienza, quanto a determinarne la validità. Su questo piano, pertanto, Mill fu più
vicino a Whewell (ed a Kant) di quanto generalmente
si crede.
Nell'accezione di Stuart Mill, tuttavia,
la logica è, innanzi tutto, un elemento negativo
e distruttivo: non fa ipotesi, ma le smonta,
ne valuta la consistenza. Con ciò si spiega
anche perchè la metafisica venne subito esclusa.
La logica la rifiuta. La logica di Mill è
una logica intrisa del veleno ( o delle vitamine?)
dello scetticismo.
«Poichè la massima parte della nostra
conoscenza, sia delle verità generali che
dei fatti particolari, è incontestabilmente
materia di inferenza - scrisse Mill - si
può ricondurre all'autorità della logica
non solo quasi tutta la scienza, ma anche
la condotta umana. Fu detto che il trarre
inferenze è la massima occupazione della
vita. Ognuno ha bisogno ogni giorno, ogni
ora ed ogni istante di accertare fatti che
non ha osservato direttamente, non per uno
scopo generico di accrescere il proprio patrimonio
di conoscenze, ma perchè quei fatti hanno
importanza per i suoi interessi o le sue
occupazioni. Compito del magistrato, del
comandante militare, del navigatore, del
fisico, dell'agricoltore, è semplicemente
un giudizio sull'evidenza ed un'azione conforme.
Tutti hanno da accertare determinati fatti,
per potere in seguito applicare determinate
regole, o da loro stessi escogitate, o prescritte
da altri per loro guida; assolvono bene o
male i doveri delle loro diverse mansioni,
secondo che fanno questo bene o male. E'
la sola occupazione in cui la mente non cessi
mai d'essere occupata, ed è argomento della
conoscenza in generale, non della logica.
Tuttavia la logica non s'identifica con la
conoscenza, sebbene il campo della logica
sia coestensivo con il campo della conoscenza.
La logica è il giudice e l'arbitro comune
di tutte le investigazioni particolari. Non
si occupa di trovare l'evidenza, ma di determinare
se sia stata trovata. La logica non osserva,
non inventa, non scopre, ma giudica. Non
fa parte del compito del logico informare
il medico delle apparenze che si siano trovate
ad accompagnare una morte violenta. Egli
deve apprenderlo dalla sua propria esperienza
ed osservazione, ovvero da quella di altri
che lo abbiano preceduto in quella particolare
ricerca. Ma la logica si ritrova nel giudizio
sulla sufficienza di quella osservazione
ed esperienza a giustificare le sue regole,
e sulla sufficienza delle sue regole a giustificare
la sua condotta. Essa non gli dà prove, ma
gli insegna che cosa le rende valide come
prove, e come abbia da giudicarne. Non gli
insegna che un fatto particolare ne prova
un altro, ma stabilisce a quali condizioni
ogni fatto debba rispondere per poter provare
altri fatti. Spetta esclusivamente alla singola
arte o alla singola scienza, oppure alla
nostra conoscenza di quel particolare argomento,
decidere se un dato di fatto risponda a queste
condizioni, o se si possano trovare fatti
che vi rispondano in un dato caso.
In questo caso la logica è quella che Bacone
così espressivamente chiamò ars artium: la scienza della scienza stessa.»
(System of Logic ...vol. I p.6)
In realtà questa concezione selettiva e valutativa
della logica appartenne a Galileo Galilei,
il quale la trasse, a sua volta, dagli autori
rinascimentali, in particolare il filosofo
Zabarella ed il medico Gerolamo Fracastoro.
(Abbagnano - Dizionario di filosofia)
Ma il punto che andrebbe evidenziato è che
sulla corrispondenza tra ars et scientia Stuart Mill, sulla scia di Bacone, salta
frettolosamente ad una conclusione per nulla
pacifica. Nel tardo medioevo si era realmente
posto un problema di questo tipo: se la logica
fosse arte o scienza. Come arte, cioè come
tecnica , essa sarebbe stata nulla più che un modo
per produrre discorsi corretti (ed ovviamente,
anche per valutarli). Come scienza, al contrario,
sarebbe stata una sorta di matematica senza
i numeri, in grado di esporre i rapporti
e le misure esistenti tra gli oggetti di
cui si occupa.
La risposta, in genere, fu quella che la
logica fosse sia l'uno che l'altro. Ma per
evidenziare il problema nella sua vera dimensione
occorre ricorrere alla grammatica. L'analisi della correttezza di un discorso,
a prescindere dall'ortografia - diamo almeno
questa per scontata - è innanzi tutto un
problema di analisi grammaticale. Ecco che
abbiamo i nomi di persona, i nomi comuni
di cosa, gli aggettivi, gli avverbi, i verbi
(transitivi, intransitivi, passivi, ausiliari,
ecc...). L'analisi grammaticale valuta la
correttezza formale di un enunciato comune.
Poi viene l'analisi logica, quella che misura
la coerenza logica di un discorso in base
alla sua composizione dinamica. Un soggetto
è ciò che può compiere un'azione. Un oggetto
è ciò che può ricevere un'azione, subire
un'azione. Un predicato è una qualità attribuita
all'oggetto e così via. In questi termini
la logica potrebbe dirsi un'arte (cioè una
tecnica) e non una scienza.
Se, invece, si viene a definire la logica
come scienza vera e propria, essa è fatta
sia di un procedimento induttivo, cioè perviene
ad una conclusione generale in base a osservazioni;
ed è anche fatta di un procedimento deduttivo,
cioè perviene a determinazioni particolari,
muovendo da principi generali (leggi della
natura, come nel caso del famoso sillogismo
Socrate è uomo...pertanto è mortale; assiomi
o postulati di tipo geometrico, o anche semplici
definizioni). Ho voluto sottolineare questo
punto davvero cruciale non per pedanteria,
ma perchè introducendoci alla logica, mi
pare sia fondamentale capire, se non cosa
sia - non saprei nemmeno da dove cominciare
- almeno come funzioni quella valutazione di congruenza o incongruenza di cui non
riuscì a venire del tutto a capo il padre
di Stuart Mill.
Denotazione e connotazione
La prima parte del System affronta proprio l'analisi del linguaggio,
in particolare i termini e le proposizioni.
Mill introdusse la distinzione tra termini
denotativi e connotativi, asserendo che i primi indicano o un singolo
individuo, come nel caso di un nome proprio,
o tutti gli individui compresi in una classe,
defininiti mediante una singola annotazione
I termini connotativi sono quelli che descrivono
una caratteristica della classe denotata,
mediante una nota aggiuntiva.
E' evidente che uno stesso termine può fungere
sia da denotazione che come connotazione.
Luigi è nome proprio di una persona, ma la
classe di tutti quelli che si chiamano Luigi
non ha altra connotazione che la comunanza
del nome proprio. In un altro caso la parola
"bianco" denota tutti gli enti
appartenenti alla classe dei "bianchi",
come la neve od anche come il "bianco
degli occhi", ed allo stesso tempo li
connota mettendoli in relazione alla bianchezza.
Su questa base Stuart Mill riuscì finalmente
a dare una prima risposta ai problemi dell'associazione
mentale avanzati da suo padre.
La connotazione è infatti il risultato di
un'associazione, la quale si sviluppa a partire
dalla constatazione di almeno un elemento
in comune ad una serie di oggetti. Ciò ebbe
notevoli conseguenze nello studio della psicologia
e nella nascita della Gestalt, ma non è escluso,
ovviamente, che qualche studioso di psicologia,
abbia indirizzato Mill su questa strada.
Per Stuart Mill fu molto importante l'avvertenza
di non scambiare una connotazione con una
denotazione, ovvero non credere che una caratteristica
propria di una classe di individui sia un'essenza
reale ed universale. Per questo egli rivolse
una critica alla logica scolastica medioevale,
in particolare alla tecnica sillogistica
sua propria di procedere da una caratteristica
generale affermata per tutti e per inferirne,
dedurne una proposizione particolare, valida
per un individuo solo. Mill risolse, o credette
di risolvere questo problema, asserendo che
ogni "inferenza è da particolare a particolare",
in quanto anche le stesse proposizioni universali
non sono altro che il risultato di generalizzazioni
di particolari. Questa particolare angolatura
è certamente interessante, ma a prescindere
che in sè aggiunge ben poco a quanto era
già stato sviscerato nel vero senso della
parola dagli scolastici, infine non risolve
il problema della liceità del sillogismo,
e credo sia assai difficile risolverlo. Come
ho già evidenziato in un altro scritto (La
pedagogia di Aristotele) presente su questo
sito, un sillogismo del tipo tutti gli uomini hanno un cuore, Luigi è
un uomo, quindi ha un cuore, non solo è presente come elemento inconscio
nel 50%, o forse più, dei discorsi che facciamo,
ma è alla base di una scienza quale la medicina,
non solo alla base di una scienza quale la
geometria. Infatti, per la medicina è fondamentale
che tutti gli individui siano, sotto certi
aspetti uguali, altrimenti non potrebbe darsi
una scienza generale, ma solo una sterile
enunciazione di casi particolari, di malattie
uniche nel loro genere e così via.
Mill evidenziò che il sillogismo stesso nasce
da precedenti osservazioni, condotte su particolari,
e ricondotte a particolari. Su questo credo
avesse un po' di ragione. Ma non sempre può
essere accettabile la regola del caso per
caso. In realtà c'è un uso strumentale del
sillogismo che si può verificare ogni qualvolta
la premessa maggiore è una classificazione
di tipo ideologico. I comunisti, i cattolici,
i liberali, i moderati: tutte le volte che
nella premessa maggiore c'è un tutti i borghesi o tutti i proletari e così via, si dovrebbe comprendere che
siamo probabilmente di fronte ad un uso demagogico
del sillogismo che lo stesso Aristotele aveva implicitamente condannato asserendo l'accidentalità di
alcune cosiddette qualità umane. In altre
parole: non sembra davvero degno di una persona
che ragioni, derivare le qualità umane da
un sillogismo contenente una premessa maggiore
di tipo ideologico.
Il fondamento della conoscenza è l'esperienza
Stuart Mill fu sempre convinto che tutte
le nostre conoscenze derivino da un'esperienza
e che anche quelle di natura astratta e concettuale
abbiano a fondamento un particolare tipo
di esperienza come l'aver letto un libro
o l'aver ascoltato un discorso. Persino le
conoscenze matematiche erano, a giudizio
di Mill, derivazioni da conoscenze empiriche.
Esse, infatti possono prescindere, come spesso
succede quando affrontiamo un problema, da
esperienze precedenti uguali, ma non possono
prescindere dall'esperienza, cioè dalla conoscenza
di alcuni teoremi, e dalla conoscenza di
come siano stati risolti problemi analoghi,
con difficoltà simili a quello che dobbiamo
risolvere.
Ma il punto da comprendere, visto che a me
non pare che esistano argomenti tali da poter
negare l'importanza decisiva dell'esperienza
in tutte le branche del sapere, è che Stuart
Mill sottolineò un aspetto rilevante della
matematica, cioè la sua capacità di astrazione.
Ciò che rende la matematica una scienza esatta,
la più esatta di tutte, è che essa non presenta
oggetti reali, ma sempre situazioni ideali,
e quindi fittizie, nella terminologia di
Mill, quali il punto senza estensione, la
linea senza larghezza e così via.
Queste entità ideali (fittizie), realmente
poste, oggettivamente poste dalla ragione
umana, dicono come sarebbero gli oggetti
reali, se questi non avessero le proprietà,
che noi stessi abbiamo sperimentato nella
realtà.
La matematica, mondo del come se, non è quindi mai del tutto estranea al
mondo dell'esperienza. Non è un'altra dimensione.
Ne rappresenta una sorta di intelaiatura:
Su questo piano Mill dimostrò quindi di aver
assimilato più la lezione di Galilei che
quella di Bacone. Come ricorderà più tardi
Bertrand Russell nei Principles, i numeri servono anche a contare, e probabilmente, Stuart Mill era convinto
che non solo servissero soprattutto a contare, ma che essi fossero nati proprio
in funzione del contare e del misurare, cioè
in base ad un'esigenza pratica. Ed anche
in questo si distingueva da Comte, per il
quale molto della genesi della scienza andava
riferito ad insopprimibili bisogni della
mente.
Il principio di uniformità della natura e
la legge universale di causazione
A mio giudizio sia il metodo induttivo che
il metodo deduttivo implicano una conoscenza
preliminare o anteriore, e questa è l'esperienza.
Se non ci fosse questa conoscenza preliminare,
o esperienza, non si potrebbe nè indurre,
nè dedurre, ma solo liberamente inventare
congetture senza senso e senza fondamento.
Persino per esprimere desideri o comandi,
o chiedere informazioni, occorre una idea
quanto meno vaga di quello che si vuole.
Anche l'invenzione letteraria implica una
conoscenza preliminare di qualche carattere,
di qualche personaggio conosciuto. Per raccontare
di una principessa, dobbiamo aver sentito
storie di principesse; e per dedurre che
ogni principessa è buona e perseguitata dalle
streghe, quindi anche Sissi era così, dobbiamo
aver introiettato l'assioma che tutte le principesse sono buone e perseguitate
dalle streghe. Un classico sillogismo con premessa maggiore
ideologica. Al quale si contrappone il proverbio:
non è l'abito che fa il monaco.
Per Mill l'induzione sta a monte di ogni
deduzione, come abbiamo visto, nel senso
che un assioma, ovvero la premessa maggiore
di ogni sillogismo, è il risultato di una
serie di osservazioni, che inducono ad una
conclusione.
Ciò che importa, allora, è il modo dell'induzione,
come nasce, come si sviluppa, come porta
alla possibile conclusione.
A questo proposito, prima ancora di entrare
nella spiegazione dettagliata dei quattro
metodi dell'induzione presentati da Mill,
dobbiamo prestare attenzione al fatto che
egli si preoccupò innanzi tutto di fissare logicamente delle garanzie di validità all'induzione di volta in volta considerata.
La prima garanzia è determinata da quella
che Mill chiamò il principio di uniformità della natura, ossia la legge secondo la quale tutti gli
individui della stessa classe si comportano
allo stesso modo.
Chi abbia seguito con attenzione quanto detto
finora, si accorgerà che questo principio
non è altro se non il dogma della costanza delle leggi affermato da Comte. La differenza sta nel
fatto che Comte introdusse un dogma non necessario,
laddove Mill giunse alla formulazione del
principio per via dialettica.
In base a questo principio, se osserviamo
leoni e il loro comportamento in alcuni casi, possiamo indurre che in generale, i leoni
sono carnivori ed enunciare quindi il principio
che la specie dei leoni è carnivora. Analogamente
se osserviamo api, sempre e solo in alcuni casi campione, arriviamo facilmente a concepire
che esse vivono in società strutturate ed
organizzate.
Si comprenderà, spero, che questa legge di
uniformità ha un valore decrescente, man
mano si passa da una una realtà di materia
organica ad una organica, vivente vegetale
ed animale, ed infine umana.
Questo principio di Mill, in effetti, per
continuare ad avere una validità anche in
situazioni complesse come quelle affrontate
dalla psicologia o dalla sociologia, deve
essere articolato in campi di osservazione
sempre più vasti e deve parimenti essere
in grado di denotare quelle caratteristiche
che hanno un reale rilievo nella classe di
oggetti considerata.
Il principio dell'uniformità della natura,
secondo Mill, è, a sua volta, il risultato
di una induzione davvero generalissima, ovvero
che esiste una legge di causalità universale, per la quale a determinate cause, seguono
determinati effetti. Possiamo considerare
come cause solo dei fatti, e come effetti
solo altrettanti fatti. Da quest'orizzonte
di ricerca è del tutto esclusa la metafisica,
ovvero la causa prima di tutto, e anche la
teologia, che aveva già risolto a suo modo
il problema con diverse cosmogonie aventi
per protagonista un Dio creatore, od un demiurgo.
Secondo Aristotele, questa principio primo, frutto, tuttavia di una filosofia seconda,
la fisica, nel linguaggio aristotelico, non
avrebbe potuto essere dimostrata. Essa era
il frutto di un'evidenza. Il che significa
prendere o lasciare.
Per Mill, al contrario, sembrava che avrebbe
potuto darsi uno spiraglio nella ricerca
di una dimostrazione. Essendo essa stessa
il risultato di un'induzione, in effetti,
muoverebbe da una serie di osservazioni,
pertanto sarebbe dimostrabile.
In realtà anche Mill fece, sulla scorta della
lezione di Herschel, molte considerazioni
contrarie alla possibilità di una dimostrazione,
facendosi avversario della propria teoria. Come sottolinea John
Loose, si venne a trovare di fronte ad un
paradosso.«Il parodosso è che, se la
legge di causalità deve essere provata attraverso
l'esperienza, allora deve essa stessa costituire
la conclusione di un'argomentazione induttiva.
Ma ogni argomentazione induttiva che dimostri
le proprie conclusioni presuppone la verità
della legge di causalità. Mill ammetteva
che la sua dimostrazione pareva implicare
un circolo vizioso, e riconosceva che non
gli sarebbe stato possibile dimostrare la
legge di causalità per mezzo di una argomentazione
induttiva impiegando il metodo della differenza.» (Loose - idem)
Ora, prima di arrivare alle conclusioni di
Mill, è necessario analizzare in che consiste
il metodo della differenza, insieme alle
altre tre altre tre vie induttive presentate.
L'induzione
I metodi di Mill non furono originali, o
se si preferisce, del tutto originali. In qualche modo erano già stati
discussi, nella traccia di una elaborazione
tipicamente britannica, da Duns Scoto, Ockham,
Hume ed infine, William Whewell.
Essi sono: concordanza, differenza, variazioni concomitanti,
residui.
Loose scrive: «Mill dichiarava che,
tra i quattro metodi, quella della differenza
è il più importante. Nell'enunciazione riepilogativa
di questo schema il filosofo osservava che
la circostanza A e il fenomeno a sono correlati
causalmente soltanto se i due casi differiscono
per una solo circostanza.» (Loose -
idem)
Lo schema implica una situazione di questo
tipo:
Si danno come circostanze antecedenti fatti
ABC cui segue un fatto a.
Poi si esamina un secondo caso, nel quale
sono circostanze antecedenti BC, a cui segue
la mancanza di a.
Ne viene, secondo Mill, che A è parte indispensabile
della causa di a.
Ora, proviamo ad assegnare valori omogenei
ad A, B, C e consideriamo un pasto composto
da una arancia, una banana e una carota.
Consideriamo che A, B, C rappresentino la
quantità di calorie presenti nei tre componenti
il pasto. Avremo che a è il valore calorico
assunto con questo pasto, ovvero che abbiamo
un a se, e solo se, presenti B e C, si aggiunge
un A. Non si può dire che la causa di a sia
A. Si può solo dire che A è parte indispensabile
di a.
Ma proviamo a considerare la cosa sotto un
altro profilo ancora. Poniamo che a rappresenti
anche uno stato di benessere fisico che raggiungiamo
dopo la prima colazione, composta per l'appunto
da ABC.
Se non raggiungiamo a, e ci accorgiamo che
nella colazione è mancato A, abbiamo diritto
o meno di inferire che A è parte indispensabile
del nostro benessere fisico mattutino? E
che, quindi, la sua mancanza, provoca un
lieve malessere?
Da un punto di vista strettamente logico-formale,
sì. Ma sotto centinaia o migliaia di altri
punti di vista, no. E qui comincerebbe un
tormentone senza fine. C'è chi ti chiede
se hai mal di testa, se hai dormito bene,
se non hai faticato troppo il giorno prima
e così via.
Sembra a tutti molto improbabile che il tuo
malessere dipenda da un'arancia.
Potremmo scoprire decine di motivi in grado
di negare che la causa del lieve malessere
è determinata dalla mancanza di A.
Per trovare allora una vera spiegazione devo
fare un piccolo ragionamento su me stesso.
Tralasciamo arance, banane e carote e consideriamo
che sono un caffè-dipendente. Al mattino
deve prendere subito almeno due tazze di
caffè. Se non le prendo sono a disagio e
non ho altro desiderio che prendere un caffè.
Capito il concetto? A prescindere da qualsiasi
logica formale, io sono certo che il mio
malessere dipende da una differenza basilare, ovvero che mi manca il caffè.
Ora questo ragionamento non è solo introspettivo,
non ha valore solo su cose che conosco come
le mie tasche; può essere applicato anche
all'esterno, sul malessere di Luigi come
su questioni di rilevante portata sociale
come la droga o il tabagismo. E, oltre, ovviamente,
perchè la mancanza di soldi, o di cibo, cioè
dell'indispensabile, crea situazioni intollerabili.
Tutto sta a trovare in cosa siamo dipendenti, ovvero che cosa manca ad a in determinati e determinabili momenti.
Ciò riporta ad un'esigenza fondamentale di
ogni procedimento induttivo basato sulla
differenza, ovvero che si sia in grado di
individuare con precisione cosa manca di
essenziale, di vitale, di indispensabile.
Oserei dire che il metodo della differenza
ha valore effettivo solo se arriva a determinare,
in ogni contesto, ciò che è indispensabile
nel ragionamento che facciamo in quel contesto. Dunque rispetto a cosa lo facciamo.
Qualcuno si chiederà se sia scientifico tutto
ciò. Io risponderei: che importanza ha? Per
me è molto più importante stabilire se è
vero o no. E dico: sì, è vero. Diventerà
scientifico in un secondo momento, se, e
solo se, sarà provato che ciò che riteniamo
indispensabile è veramente indispensabile e necessario allo scopo che abbiamo individuato, ovvero,
ad esempio, il nostro benessere mattutino.
E qui la cosa si farebbe davvero spinosa,
perchè dimostrare che il caffè è indispensabile
in generale non è affatto possibile. Si può solo dimostrare
che molti individui hanno contratto l'abitudine
del caffè, e che quando questo viene a mancare,
si crea una situazione di disagio. Ma se
portiamo il ragionamento su una componente
generale da cui dipendiamo, un'atmosfera
contenente ossigeno, e osserviamo che in
presenza di malori, registriamo una carenza
di ossigeno, diventa lecito indurre che la
causa di ciò è la mancanza di ossigeno? A
me pare di sì. Come del resto a Mill ed a
molti altri. E questo è scientifico.
Prima del metodo della differenza, Mill aveva
parlato del metodo della concordanza.
Vediamo uno schema designando come al solito
ogni circostanza antecedente con la lettera
maiuscola ed ogni fenomeno seguente con la
lettera minuscola.
Nel primo caso ABEF è seguito da abe.
Nel secondo ACD è seguito da acd.
Nel terzo ABCE è seguito da afg.
La concordanza consiste nel trovare che la
costante comune a tutti i casi pone in evidenza
che A è sempre presente all'inizio di ogni
serie e, dall'altra parte, gli "effetti"
sono sempre inaugurati da a.
Mi pare ci sia poco da spiegare.
Il primo esempio che viene in mente è di
natura chimica. La chimica organica è la
chimica del carbonio. Ovunque vi siano catene
molecolari organizzate sul carbonio, possiamo
inferire per concordanza che abbiamo a che
fare con un composto organico. Ma questo
tipo di induzione viene a somigliare molto
strettamente ad un sillogismo. Tutte le molecole
organiche contengono del carbonio, qui c'è
del carbonio, questa è una molecola organica.
Dove sta allora la differenza? Che il procedimento
induttivo deve per forza essere stato svolto
almeno una prima volta. Dopo che esso ha
rilevato la presenza di C, carbonio in ogni
evento c, dopo ripetute verifiche e confutazioni,
potremmo azzardare che c, ovvero l'elemento
organico, è determinato dalla presenza di
C. Questa diviene allora la premessa maggiore
di ogni sillogismo centrato sul fondamento
della chimica organica e del vivente, la
quale può assere assiomatizzata su questa
base.
Ho fatto questo esempio perchè Mill assegnava
al metodo della concordanza un ruolo preminente
nella ricerca scientifica. Ma allo stesso
tempo ne sottolineava le controindicazioni.
Usare con cautela, esattamente come si trattasse
di un farmaco. In questo tipo di metodo è
infatti decisivo un accurato inventario delle
circostanze rilevanti. Mettiamo che nell'ambito
della ricerca abbiamo omesso di rilevare
tutte le situazioni in cui ricorre l'azoto:
potremmo quindi giungere a conclusioni fuorvianti.
E' dunque importante che quando si voglia
coscientemente applicare questo metodo, la
raccolta dei dati antecedenti sia minuziosa
e scrupolosa, tanto quanto l'analisi dell'effetto.
Il metodo delle variazioni concomitanti evidenzia come A ed a siano correlati anche
in presenza di variazioni.
Ad esempio: se abbiamo un caso A+BC e come
effetto a+b, e successivamente un caso A-BC,
e come effetto a-b, potremmo inferire che
A ed a sono causalmente correlati.
Il metodo dei residui descrive come si perviene alla certezza
che A è la causa di a, se, dandosi il seguente
schema, avremo che:
ABC è l'insieme antecedente di abc
e sapendo già che B è la causa di B
e che C è la causa di c
ne viene che A è la causa di a, per residuo.
Efficacia ed inefficacia del metodo in presenza
di una pluralità di cause
Scrive Losee: «Negli studi sulla storia
della filosofia della scienza è prassi corrente
contrapporre le concezioni di Mill e Whewell.
Spesso Mill viene presentato come un pensatore
che identifica la scoperta scientifica con
l'applicazione di schemi induttivi, Whewell
come uno che concepisce la scoperta scientifica
nei termini di una libera invenzione di ipotesi.
Non c'è dubbio che Mill avanzò alcune rivendicazioni
imprudenti a favore dei propri metodi induttivi.
Certamente questi metodi non sono i soli
strumenti di scoperta nella scienza. Eppure
malgrado i commenti indirizzati contro Whewell
su questo argomento, Mill riconosceva chiaramente
il valore della formazione delle ipotesi
nella scienza. E' un peccato che autori successivi
abbiano esageratamente esaltato le imprudenti
rivendicazioni avanzate da Mill nel corso
della sua polemica con Whewell.» (Losee
-idem)
Anche a me pare che farsi partigiani di un
metodo non abbia molto senso. Del resto Mill
aveva ben chiaro che esiste un solo metodo ed è quel processo circolare che
dall'induzione porta a formulare la premessa
maggiore di un sillogismo. Si muove dall'osservazione,
su questa base si inducono proposizioni generali,
la proposizione generale, se ben fondata,
conduce a formulare la premessa generale
di un sillogismo, e questo ci consente di
dedurre.
La scelta del metodo specifico più adatto,
che è una fase del processo circolare, è
dunque determinata dai nostri propositi.
Che cosa vogliamo fare? Vogliamo risolvere
un problema di cinematica? Ok, impariamo
le formule e da queste ricaviamo la soluzione
del problema in modo deduttivo. Vogliamo
scoprire come la pensano i corleonesi sul
modo migliore di combattere la mafia? Il
metodo deduttivo non serve. Occorre arruolare
finissimi psicologi naturali, opportunamente
addestrarli, e poi sguinzagliarli a fare
interviste capillari, lasciando a loro la
possibilità di un commento ad ogni intervista
del tipo secondo me, questo tizio ha detto o non ha
detto la verità. Tutt'al più potremmo iniziare a risolvere
il problema di cinematica intervistando gli
esperti del ramo. Ma non credo si potrebbe
venire a conoscere l'opinione dei corleonesi,
partendo da una premessa maggiore del tipo
tutti i corleonesi sono mafiosi. Questo è un volgare pregiudizio, non una
forma di sapere scientifico.
Comunque sia, Mill si rivelò piuttosto serio
e prudente di fronte alla valutazione dei
procedimenti di induzione in presenza di
evidenti cause multiple.
Suddivise gli esempi di causalità multipla
in due classi. La prima comprendeva esempi
di cause multiple che producono effetti separati, ed esempi dai quali risultava un effetto diverso, e generale, da quelli considerati separatemente.
Secondo Mill era dunque possibile un'analisi
dettagliata di ogni singolo antecedente e
della sua influenza attiva nella situazione
susseguente. E' probabile che questa ulteriore
osservazione gli sia stata indirettamente
suggerita da Whewell, per il quale alla base
di una deduzione non sta una collection di fatti, ma una colligation (The Philosophy of...cit.). Ciò implicava un ruolo attivo
nella ricerca dei fatti e della loro colligation. Whewell aveva insistito sul carattere soggettivo
della conoscenza, su una pulsione dello spirito
umano molto vicina a quella concepita da
Comte. Perchè vi sia conoscenza, per Whewell,
non sono affatto sufficienti dei sensi impressionati: occorre una mente attiva in grado di ideare
ed organizzare, dare un senso ed una direzione
al sapere. Ma per Whewell le idee non venivano
dai sensi, ma da una produzione mentale distaccata
dai sensi. Fu su questo, ovviamente, che
Mill diede un particolare tocco estremistico
ed imprudente alla sua reazione.
Questo piano complesso della pluralità di
cause pose in pratica problemi di non facile
soluzione, e richiese uno sforzo analitico
fuori del comune.
Le difficoltà aumentano, secondo Mill, quando
ci si trovi di fronte ad una "composizione
delle cause".
« Questo genere di causalità multipla
- scrive Losee - non è riconducibile all'indagine
per mezzo dei quattro metodi induttivi.»
(Losee - idem)
Mill, di fronte alla complessità di una composizione
di cause, quale ad esempio il risultato di
due forze impresse, (si pensi ad una coppia
di rematori alle prime armi, quindi non sincronizzati,
che sulla maneggiano ognuno un remo a testa,
l'uno agendo a destra e l'altro a sinistra
sulla stessa imbarcazione) rinunciò a credere
che il metodo induttivo potesse risultare
efficace per stabilire quale direzione avrebbe
preso il vettore.
« Per questo motivo - scrive infine
Losee - il filosofo [Mill] raccomandava che
nell'indagine della causalità composta venisse
impiegato un "metodo deduttivo".»(Losee
- idem)
Il metodo deduttivo
Per Stuart Mill il metodo deduttivo si organizza
in tre fasi: 1) la formulazione di leggi;
2) la deduzione di un'asserzione sull'effetto
risultante da una particolare combinanzione
delle leggi; 3) la verificazione.
In quest'ambito Mill riconobbe che vi sono
casi nei quali le leggi possono essere ricavate
da ipotesi fondate su dati e osservazioni
insufficienti. Certo, per lui, la rivoluzione
copernicana rimase un mistero, qualcosa di
difficile da spiegare, non nel suo significato,
ovviamente, ma nella sua genesi.
Alla base della nascita di questa teoria
non vi era alcun tipo di osservazione della
realtà. Si presentava come un caso del quale
si poteva dire: i sensi ci hanno ingannato
per decine di millenni.
Whewell aveva affermato che le ipotesi non
vengono osservando, ma prendendo il caffè
o bevendo una birra. Ma questa era una battuta.
Mill si limitò a dire che nei casi nei quali
non è agevole, o è impossibile, l'osservazione,
lo scienziato può ricorrere ad una pratica
creativa di formulazione di ipotesi. Questo, in effetti,
di fronte all'enormità dei problemi che pose
la teoria copernicana al senso comune fondato
su evidenze empiriche, sembrerebbe davvero
un po' poco, una sorta di strappo alla regola,
concesso perfino in modo stiracchiato e controvoglia.
Sembrerebbe una concessione al razionalismo,
o persino all'irrazionalismo.
Invece lo strappo ci fu ed occorreva prenderne
atto. Copernico non stava bevendo semplicemente
una birra, stava elaborando calcoli (sbagliati,
si dice) per un nuovo calendario ed era molto
sotto tensione per via del problema del moto
retrogrado dei pianeti, che nel sistema tolemaico
imponeva calcoli piuttosto complicati.
Ad un certo punto egli ebbe un colpo di genio,
e si accorse che semplicemente scambiando
di posto sole e terra tutto risultava più
semplice.
La psicologia moderna della scuola della
Gestalt è riuscita a spiegare che l'insight, ovvero la visione improvvisa della soluzione ad un problema,
oppure la scoperta di una legge scientifica,
o anche la semplice formulazione di un ipotesi
ardita, ma fondata su qualche dato, non ha
che fare con il metodo seguito, ma piuttosto
con la tensione nervosa stessa. Essa comunque
esclude che l'insight sia l'espressione di
una qualche geniale irrazionalità. Non esclude
che sia invece il frutto di una razionale
genialità.
Pertanto si potrebbe dare un insight anche
col metodo induttivo ed un caso chiaro di
questo tipo fu segnalato da Davidson riguardo
alla nascita della teoria darwiniana della
selezione naturale. Darwin aveva a disposizione,
come del resto tutti i naturalisti dell'epoca
una straordinaria quantità di dati raccolti
tramite osservazioni. Ma fino ad allora,
nessuno era riuscito a dargli un senso preciso.
Davidson chiamò combinanzione selettiva questo particolare tipo di insight e la
descrisse come un momento nel quale abbiamo
a disposizione tutti gli elementi necessari ad una soluzione,
ma non sappiamo come combinarli.
continua: Il contesto della giustificazione secondo
Stuart Mill