William Whewell
di Guido Marenco
William Whewell fu certamente una delle più
importanti e influenti figure di intellettuale,
filosofo, "polymath", cioè individuo
di vastissimi interessi ed erudizione enciclopedica,
del XIX secolo nel Regno Unito di Gran Bretagna.
Lo testimoniano le opere
composte su svariati
argomenti quali la meccanica,
la mineralogia,
la geologia, l'astronomia,
l'economia politica,
la teologia e, persino,
l'architettura.
Fu per lungo tempo Presidente
della British
Associastion for the Advancement
of Science,
membro della Royal Society
e Master del Trinity
College di Cambridge.
La sua importanza in ambito
filosofico deriva
dalle sue opere di storia
della scienza e
di filosofia della scienza.
Questo scritto si basa
in gran parte sulle
note di Laura Snyder reperibili
all'indirizzo
, ma sviluppa alcuni punti
in modo sicuramente
diverso.
Qualche nota biografica
William Whewell nacque
nel 1794 a Lancaster,
primogenito di un mastro-carpentiere.
Di intelligenza precoce,
fu ritenuto molto
promettente dal suo parroco
che persuase
il padre a fargli proseguire
gli studi all'Haversham
Grammar School a Westmoreland.
Nel 1812 entrò al Trinity College e nel 1814
vinse anche un premio per la composizione
del poema epico Boadicea. Nonostante la scoperta della vena letteraria,
non trascurò affatto il lato matematico della
sua formazione, ed, anzi, lo intensificò,
dimostrando di avere una grande attitudine
a questo tipo di studi.
Nel 1825 divenne prete
anglicano; nel 1828
ottenne una cattedra in
mineralogia, ma fu
solo nel 1838 che divenne
Professor of Moral
Philosophy.
Nel 1841 sposò Cordelia
Marshall, e poco
dopo fu nominato Master
of Trinity College,
su calda raccomandazione
del primo ministro
Robert Peel.
A seguito della scomparsa
della prima moglie,
si sposò una seconda volta
con Lady Affleck.
Morì nel 1866.
Il contesto culturale:
tra romanticismo ed
empirismo risorge il criticismo
Per avere idea dell'importanza
di Whewell
occorre un rapido colpo
d'occhio allo stato
del dibattito filosofico
in Inghilterra nei
primi decenni del secolo.
Scrive in proposito Stefano Poggi: «I mutamenti
che lo sviluppo della conoscenza scientifica
nella riflessione filosofica, nelle "concezioni
del mondo" non mancano di dar luogo,
anche in Gran Bretagna, ad un certo movimento
di reazione o, comunque di conservazione.
Viene così rivendicata l'importanza dell'individualità,
della riflessione interiore. Con Coleridge
- e poi, ma ormai verso la metà del secolo,
con Carlyle - prende consistenza un atteggiamento
di pensiero ormai sensibile ad alcuni motivi
della filosofia dell'idealismo tedesco: una
forte ispirazione non solo idealistica, ma
romantica (da ricondurre assai spesso a Schelling)
spinge alla polemica contro la tematica del
"senso comune" e, più in generale,
induce a negare che la conoscenza scientifica
possa assicurare una reale liberazione dello
"spirito". » ( da Introduzione al Positivismo)
Allo stesso tempo anche
la tradizione empirista
trovò nuovo slancio, soprattutto
attraverso
John Stuart Mill, il quale
non mancò di introdurre
nel dibattito filosofico
di quegli anni alcuni
elementi della filosofia
comtiana.
Ma in contrasto con queste
tendenze, specie
a partire dagli anni '30,
si ebbe una riapertura
al pensiero kantiano, soprattutto
grazie
a W.H. Hamilton.
Annota ancora Stefano Poggi: « Il criticismo
sembrava fornire strumenti assai potenti
per operare una sorta di "revisione"
dei temi di fondo della tradizione empiristica.
Questa linea di riflessione contraddistinta
anche dall'attenzione per la storia del pensiero
scientifico e filosofico moderno - affrontava
sopratutto i problemi dell'induzione e dell'ipotesi.
Il dibattito apertosi con il Preliminary
Discourse di Herschel veniva così ad ampliarsi,
in primo luogo con il contributo di una delle
figure più rappresentative ed attive sul
piano della riorganizzazione degli studi
scientifici in Inghilterra: William Whewell.
Nella sua History of the Inductive Sciences (1837) e ancor più nella Philosophy of Inductive Sciences (1840), Whewell assegnava rilievo particolare
al problema della formulazione delle ipotesi.
» (idem)
La storia delle scienze
Per Whewell fu subito evidente
che per portare
alla luce i modelli ed
i metodi utilizzati
nelle scienze era fondamentale
privilegiare
la ricostruzione storica
ed obiettiva delle
scoperte scientifiche.
Lo storico della scienza
deve saper trovare
una sintesi, laddove sia
possibile, o comunque
trovare quanto vi è di
comune a discipline
anche distanti, obbligandosi
a rispettare
le eventuali anomalie e
discordanze di procedura.
Nel tentare questa sintesi,
Whewell scelse
di evidenziare che tutte
le scienze si sviluppano
dal confronto tra idee
e dati di fatto. Che
era come dire che la tradizione
razionalista
(la preminenza delle idee
da cui dedurre)
e quella empirista (i fatti
da cui indurre),
in filosofia fiere avversarie,
solo nella
scienza da un lato, e nel
criticismo kantiano
dall'altro, avevano trovato
un modo di convivenza
accettabile, se non proprio
armonioso.
L'interpretazione dei processi
cognitivi
e della conoscenza scientifica
in generale
doveva pertanto cominciare
dalla constatazione
che esisteva una polarità
tra idee (spesso
frutto della conoscenza
preesistente individuata
da Aristotele) e dati di
fatto dell'esperienza.
"Armato di questo principio - scrive
John Losee - cercò di dimostrare il progresso
di ciascuna scienza ricostruendo la scoperta
dei dati di fatto ad essa pertinenti e la
loro integrazione nel contrasto di idee appropriate.
" (da Filosofia della scienza - Il Saggiatore - Milano, 2001)
Idee e dati di fatto: quando
un'idea è anche
un dato di fatto
Tutta la conoscenza trae
origine da questo
dualismo tra la dimensione
oggettiva e la
dimensione soggettiva;
Whewell definì questo
dualismo la fondamentale
antitesi della conoscenza.
Per Whewell le idee fondamentali
non vengono
solo dalle percezioni e
dalle osservazioni
del mondo, "non sono
una conseguenza
dell'esperienza, ma un
risultato della particolare
costituzione ed attività
della mente, che
è indipendente da tutte
le esperienze nella
sua origine, sebbene costantemente
combinata
con l'esperienza nel suo
esercizio."
(1858 a, I, p. 91)
Whewell parlò a volte di
dati di fatto in
termini di resoconti delle
nostre percezioni
di eventi ed oggetti, ma
sottolineava anche
che questi resoconti erano
solo un tipo di
dati di fatto.
Esistevano altri dati di
fatto e, per esempio,
mostrò che anche le leggi
di Keplero erano
state per Newton dati di
fatto. Fu muovendo
da essi che Newton aveva
elaborato la propria
teoria. Per Whewell una
teoria poteva essere,
dunque, un dato di fatto
alla stessa stregua
di un oggetto o di un evento
nel momento
stesso in cui serviva da
supporto ad un'altra
teoria.
Le idee, dal canto loro,
erano per Whewell
sopratutto principi razionali,
una sorta
di regole finalizzate al
collegamento appropriato
dei dati di fatto. D'accordo
con Kant, fu
quindi persuaso che le
idee si imponevano
alle sensazioni, e non
venivano derivate
da esse.
Ma cosa intendeva, più
precisamente, Whewell
per idea?
Questo punto sarebbe da
chiarire con maggiore
dovizia di particolari.
Per ora dovremo accontentarci
di questo: oltre alle idee
intese come nozioni
generali e fondamentali
quali quelle di spazio,
tempo, causa, numero, Whewell
riconobbe l'esistenza
di idee elementari di particolari
scienze,
quali l'affinità elettiva
in chimica, le
forze vitali in biologia
e i tipi naturali
in tassonomia. Ma Whewell
si guardò bene
dall'elaborare una lista
delle idee elementari.
Credeva che esse sarebbero
emerse dallo sviluppo
delle singole scienze.
Il contenuto della percezione
e la contestualizzazione
dell'evento o dell'oggetto
Per Whewell il dato di
fatto puro, separato
da ogni idea, o meglio,
da ogni categoria,
non esiste. Spazio, tempo,
numero, inquadrano
ogni oggetto ed ogni evento,
lo contestualizzano.
Di conseguenza, perfino
i dati più elementari
implicano qualcosa che
ha il carattere della
teoria. Quando parliamo
di fatti, ecco che
voleva dire Whewell, non
siamo sempre consapevoli
del modo con il quale le
nostre fondamentali
categorie mentali (quelle
che rispondono
alle domande: dove, quando,
quante volte,
perchè?), leggono la nostra
esperienza sensibile.
Ma esse intervengono sempre
a priori.
Ovviamente anche le teorie
che sono insieme
dati di fatto, vengono
contestualizzate.
Quando definiamo un ragionamento
generale
come teoria, attribuiamo
grandissima attenzione
alle teorie che supportano
il ragionamento
stesso e pertanto non ricorriamo
a leggi
chimiche se dobbiamo spiegare
come si ottiene
il volume di un tronco
di cono.
Tuttavia, se la teoria
è sempre un'inferenza
conscia, il dato di fatto
a volte è un'inferenza
inconscia.
Scriveva in proposito: «...abbiamo ancora
una distinzione intellegibile tra dato di
fatto e teoria, se consideriamo la teoria
un'inferenza conscia, e il dato di fatto
un'inferenza inconscia che prende le mosse
da fenomeni che si presentano ai nostri sensi.
» (da The Philosophy of Inductive Sciences founded
upon their History - Parker - London - 1847)
L'induzione
Un volume della 3° edizione di Philosofy of Inductive Sciences founded
upon their History si intitolò Novum Organum Renovatum.
Era evidente, ai limiti
della provocazione,
che Whewell aspirava ad
un tempo sia a richiamare
l'attenzione su Bacone
ed il metodo induttivo,
sia a criticarlo per rinnovarlo.
Da quel
che ho capito, anche Whewell
considerava
ristretto il concetto di
induzione come semplice
enumerazione di istanze.
Nell'induzione c'è
un nuovo elemento aggiunto
alla combinazione
di istanze, ed esso è il
risultato di un
atto del pensiero che con
esse si combina.
Whewell definì questa mossa
del pensiero
colligation, in antitesi
a collection, e
voleva significare che
l'induzione produce
la colligation, ovvero
l'operazione capace
di selezionare e tenere
insieme un certo
numero di fatti empirici,
descrivendoli con
una legge generale in grado
di mostrarne
le proprietà.
In sostanza Whewell mostrò
che l'induzione
è un processo dinamico,
e che la spinta proviene
sia dallo stimolo, ciò
che attira la nostra
attenzione, sia dal nostro
modo interno di
organizzare e combinare
in modo appropriato
i dati.
Modelli di scoperta scientifica
Whewell asserì di aver
riconosciuto nella
sua ricognizione della
storia delle scoperte
uno sviluppo articolato
in tre fasi: un preludio,
un momento induttivo e
un seguito.
Intendeva per preludio
la raccolta dei dati,
la loro configurazione
e scomposizione, il
chiarimento dei concetti.
Il momento induttivo era
concepito da Whewell
come l'applicazione di
un certo modello concettuale
ai dati stessi.
Il seguito veniva descritto
come integrazione
e consolidamento tra dati
e teoria.
E' importante osservare
che il preludio per
Whewell non è una qualsiasi
fase congetturale,
un guesswork; infatti affermò:
« Here is
a special process in the
mind, in addition
to the mere observation
of facts, which is
necessary. » E ancora:
" We infer more
than we see."
Il problema fu dunque trovare
le regole con
le quali collegare una
classe di fenomeni,
oggetti, eventi, attraverso
inferenze appropriate.
Si tratta di un problema
delle pertinenze,
presentabile come the generalization
of the
shared property over the
complete class,
including its unknown members,
ovvero come
l'estensione-generalizzazione
di proprietà
condivise di una classe
completa anche ad
ai mebri sconosciuti della
classe stessa.
Whewell fece riferimento
alle procedure newtoniane
come esempio. Newton aveva
inglobato nel
suo metodo, come dato di
fatto, la teoria
di Keplero sulle ellissi
formate dai pianeti
in orbita attorno al sole.
Ma lo stesso Keplero aveva,
a sua volta,
sempliicemente esteso le
proprietà osservate
nell'orbita di Marte a
tutti i membri della
classe pianeti.
Questo tipo di approccio
portò Whewell a
rifiutare l'idea di Herschel,
secondo la
quale anche ipotesi scientifiche
non avanzate
attraverso procedure razionali,
potevano
essere confermate da tests.
Nel recensire
il Preliminary Discourse
on the Study of
Natural Philosophy, Whewell
affermò che non
è possibile alcuna verifica
di ipotesi non
risultanti da un procedimento
induttivo.
Tuttavia, è necessario
sottolineare che Whewell
non volle negare con ciò
il talento del singolo:
infatti anche se la procedura
induttiva è
comune a tutti, solo alcuni
sono in possesso
di "quel lampo di
genio" in grado
di portare alla formulazione
esatta di una
teoria.
John Losee scrive in proposito:
« La principale
tesi whewelliana sull'induzione
afferma che
il processo della scoperta
scientifica non
può essere ridotto a regole.
Comunque Whewell
riconosceva che considerazioni
di semplicità,
continuità e simmetria
venivano spesso affermate
come principi regolativi
nella scelta delle
ipotesi. (idem)
La conferma
In questa luce assumeva
decisiva importanza
il problema della conferma,
che per Whewell,
a differenza che per Herschel,
non si pone
in termini di falsificazione
della teoria
(tutto ciò che la può smentire)
ma di verifica,
ovvero tutto ciò che depone
a suo favore.
Indubbiamente quello di
Whewell potrebbe
sembrare un passo indietro,
ma lo è solo
in apparenza perchè mentre
Herschel, vedeva
di buon occhio chiunque
avanzasse qualsiasi
ipotesi, Whewell si era
mostrato molto più
cauto: prima di aprir bocca
sincerarsi che
le cose stiano proprio
così. In altre parole:
per Whewell era ovvio che
qualcosa di simile
alla falsificazione avviene
prima che la
teoria sia stata resa nota;
con ciò evitiamo
brutte figure.
La prudenza dell'induttivo,
dunque, era per
Whewell il non plusultra.
Ogni nuova teoria
doveva passare una seri
di tests deduttivi
prima di essere considerata
come vera.
Con ciò si intende che
se è vero che tutti
gli uccelli hanno le ali,
allora, sillogisticamente,
deve essere che quello,
essendo un uccello,
ha le ali. Punto di non
poco conto è che
si deduce dalla proprietà
universale riconosciuta,
l'avere le ali, solo che
gli uccelli hanno
le ali, non l'inverso,
perchè, ad esempio,
anche il pistrello ha le
ali, ma non è un
uccello.
Ora è evidente che questo
tipo di asserzione
non ha particolare bisogno
di falsificazione,
ma solo di conferme.
Al contrario: l'asserzione
tutti gli animali
con le ali sono uccelli
potrebbe essere smentita
dal fatto che noi incontreremo
un giorno
un cavallo alato, un pipistrello,
od anche
un volatile rettile od
un pesce volante,
o una farfalla. Ed è questa
asserzione azzardata
che richiede falsificazione,
cioè tutte le
riserve che riusciamo ad
avanzare rispetto
alla nostra asserzione,
piuttosto audace
ed entusiastica.
I tests deduttivi invocati
da Whewell furono
sostanzialemente tre: predizione
(prediction),
concordanza (consilience,
parola che nemmeno
l'Hazon riporta) e coerenza
(coherence)
L'esame della predizione
consisteva ovviamente
nel fatto che una teoria
deve poter prevedere
i fenomeni. E così spiegava
la questione:
« Affinchè il nostro assenso
alle ipotesi
implichi che sia tenuta
ferma la verità di
particolari istanze, sia
che queste appartengano
al passato o al futuro,
sia che siano o non
siano accadute, non fa
differenza nell'applicabilità
delle regole ad essi. Perchè
la regola persista,
essa include tutti i casi
(185b, p. 86)
Un esempio di predizione
fu l'applicazione
della teoria newtoniana
alla scoperta del
pianeta Nettuno (1846).
Solo utilizzando
il modello newtoniano fu
infatti possibile
stabilire a priori che
doveva esistere un
pianeta, con quella locazione
e quella massa
per spiegare le anomalie
dell'orbita di Urano.
Chiunque non avesse confidenza
con la teoria
newtoniana, non avrebbe
potuto e non potrebbe
che considerare sbalorditiva
e miracolosa
la predizione. In realtà
essa era solo il
frutto di una deduzione.
La consilience (concordanza)
era, secondo
Whewell, un tipo particolare
di evidenza
che chiamò jumping together,
probabilmente
nel senso di superare con
un balzo il limite
che recinge una classe
di fatti.
La concordanza consente
di collegare fatti,
oggetti ed eventi appartenenti
ad un'altra
classe. Ciò è particolarmente
significativo
quando la seconda classe
di fatti è apparsa
in un primo tempo non collegabile
alla prima.
Ad esempio Whewell citò
la forza di gravitazione
universale, dalla quale
furono inferite le
perturbazioni dei moti
planetari, e la processione
degli equinozi (1847, II,
p. 66)
Quanto al criterio della
coerenza va inteso
subito che Whewell rimarcò
la forte differenza
rispetto alla concordanza.
Spiegò così la questione:
nel caso di una
teoria vera, essa può essere
estesa ulteriormente
e senza modificazioni.
Nel caso di una teoria
falsa, questo non può succedere
senza modificazioni
ad hoc dell'ipotesi di
partenza. Newton non
ebbe difficoltà ad estendere
la sua teoria
dei moti planetari e lunari
alla classe della
tidal activity, cioè alle
maree. Al contrario,
la teoria del flogisto
in chimica fu seriamente
messa in discussione in
quanto inadatta a
spiegare il peso dei corpi.
L'analogia degli affluenti:
come Whewell
interpretò la storia della
scienza
Per Whewell la storia della
scienza si presenta
come uno sviluppo evolutivo
simile alla confluenza
di affluenti che riforniscono
un fiume. Le
scienze non procedono per
balzi e rivoluzioni,
ma per integrazioni e correzioni
successive.
La sua concezione fu dunque
insieme sia selettiva
che cumulativa nel quadro
di una visione
di un progresso tranquillo
che non quadra
esattamente con la storia
vera, caratterizzata
da rotture e rivoluzioni.
Per giustificare questa
interpretazione singolare,
egli considerò che anche
una teoria sbagliata
come quella del flogisto
in chimica aveva
svolto un ruolo positivo,
stimolando i chimici
a trovare soluzioni più
soddisfacenti e complete.
Inoltre questa stessa teoria
sbagliata avrebbe
consentito, secondo Whewell,
una classificazione
unitaria dei processi di
combustione, acidificazione
e respirazione.
Indubbiamente tutto ciò
è vero in parte,
ma l'idea del sapere cumulativo
pare francamente
piuttosto contestabile.
In realtà tutto ciò
che la scienza ha superato,
cadde e continua
a cadere spesso e volentieri
nel dimenticatoio,
gettando via bambino ed
acqua sporca, quindi
anche quelle contestualizzazioni
che proprio
Whewell aveva tanto care.
Ma, quel che è
peggio, è che nel superarsi
continuo della
scienza, vanno perduti
sia antichi saperi
che non erano semplici
credenze o superstizioni,
ma scienza nel vero senso
della parola, ad
esempio le proprietà medicinali
delle erbe,
e sia piste battute fino
ad un certo punto
e poi tralasciate perchè
richiedevano investimenti
di tempo e denaro inauditi.
Del resto Whewell,
nel suo tempo decisamente
filantropico, popolato
da studiosi del tutto eroici
e disinteressati
al guadagno (al più attirati
dall'idea di
farsi un nome), non poteva
avere ancora chiaro
che 1) la scienza poteva
essere usata anche
in senso distruttivo; 2)
che a decidere cosa
studiare e ricercare sarebbero
stati i privati
per trarne vantaggi economici,
e i governi
per trarne vantaggi di
prestigio, militari
e così via.
La verità necessaria
Come scrive D. Oldroyd,
dunque, «Whewell
credeva [...] che le tendenze
complessive
della ricerca scientifica
implicasse un avvicinamento
progressivo alla scoperta
della verità. A
suo giudizio, la ragione
per cui si poteva
aver fiducia nel carattere
progressivo della
scienza consisteva nel
fatto che di tanto
in tanto era possibile
conseguire concordanze
(consiliences) di induzioni
che consentivano
di accertare qualche verità.
[...] nella
storia della scienza, quelli
che inizialmente
erano formule disparate,
fatti o teorie isolate,
venivano gradualmente sussunte
sotto leggi
e teorie di livello di
generalità crescente.
Per esempio, fenomeni in
apparenza distinti
e separati come i moti
osservati dei pianeti,
le maree e la caduta delle
mele dagli alberi
di mele, potevano infine
essere spiegati
tutti in riferimento alla
teoria newtoniana
della gravitazione universale.
»(da Storia
della filosofia della scienza,
Il Saggiatore
- Milano 1989)
Questa lunga marcia di
avvicinamento rappresentava
per Whewell lo stesso scopo
della filosofia
della scienza, ovvero la
ricerca della verità
necessaria, la quale può
essere conosciuta
a priori solo se non si
tratta di una verità
sintetica.
Su questo piano egli si
scostò quindi da
Kant, per il quale 2+3
= 5 era una verità
sintetica a priori.
Il ragionamento di Whewell
muoveva dal fatto
che solo la nostra idea
di numero, di 2,
di 3, di 5, di addizione,
e, aggiungerei
io, di risultato, ci consente
di arrivare
alla verità necessaria
di 5 come risultato
di 2+3.
Probabilmente Whewell fraintese
Kant nel
senso che l'affermazione
di verità sintetica
a priori circa una qualsiasi
operazione aritmetica
andava intesa come qualcosa
che non richiede
verifica empirica, ovvero:
noi possiamo sbagliare
i conti, ed è questo che
va verificato, ma
non possiamo avere dubbi
sul fatto che 2+3
è sempre, e sotto qualsiasi
condizione =
5.
Le operazioni matematiche
contribuiscono
dunque a costruire un insieme
di certezze
su cui contare stabilmente.
Whewell, in un primo tempo,
si era convinto,
proprio per i ragionamenti
summenzionati,
che il mondo dell'esattezza
fosse circoscritto
a quello degli assiomi
della matematica,
mentre le leggi della natura
godevano di
uno status cognitivo differente.
(nel testo
Astronomy and General Physics
Considered
with Reference to Natural
Theology - Carey,
Lea & Blanchard - Philadelphia
1836)
Solo le verità matematiche
erano quindi verità
necessarie. Ma poi cambiò
opinione, asserendo
che alcune leggi naturali
erano verità necessarie.
John Losee spiega così
la vicenda: « Whewell
era pronto ad ammettere
la natura paradossale
di questa affermazione.
Era d'accordo con
Hume che nessun quantitativo
di leggi empiriche,
per quanto ingente sia,
può dimostrare che
una relazione non possa
essere diversa da
quello che è; eppure credeva
che certe leggi
scientifiche avevano conseguito
lo status
cognitivo di verità necessarie.
» (Losee
- idem)
In realtà, si potrebbe
dire che Whewell non
era affatto d'accordo con
Hume; semplicemente
aveva preso in considerazione
il punto di
vista scettico in modo
sostanzialmente corretto,
ovvero scorgendo tutto
quanto di paradossale
esiste non solo nell'affermare
senza dubbio
l'esistenza di leggi causali
certe, ma anche
la paradossalità dell'affermazione
opposta:
ovvero che le nostre convinzioni
sulla causalità
sarebbero solo credenze
e abitudini mentali.
Tra questi due estremi
non è che esista una
semplicistica via di mezzo:
esiste semplicemente
il buon senso di comprendere
che un'arma
da taglio calata con violenza
sulla carne
viva produce una ferita
e che questa è la
causa della ferita. Ora,
al di là di questa
semplice ed immediata constatazione
della
causa della ferita, si
potrebbe anche risalire
alle condizioni di tutto
l'universo in quel
determinato istante, si
potrebbe richiamare
persino una presunta volontà
di Dio circa
la mia ferita, ma tutto
ciò che a noi serve
è capire quale mano abbia
colpito, perchè
ha colpito, con quale intenzione
ha colpito.
Tutto questo è realisticamente
comprensibile
ed a questo livello di
verità necessaria
nessuna mente umana è preclusa.
Whewell, nel tentativo
di mostrare quanto
fosse insensata l'estremizzazione
di un atteggiamento
scettico, riprese una distinzione
kantiana
tra forma e contenuto della
conoscenza, estendendola
alle leggi fondamentali
della natura.
Rientrava, dunque legittimamente
in gioco
l'dea basilare di causa
ed il derivato concetto
di causalità.
Scrive Losee: « Secondo
Whewell, il significato
dell'idea di causalità
si può riassumere
in tre assiomi: 1) nulla
avviene senza una
causa; 2) gli effetti sono
proprozionali
alle loro cause; e 3) la
reazione è uguale
ed opposta all'azione.
Spetta all'esperienza,
tuttavia, specificare il
contenuto di tali
assiomi. L'esperienza insegna
che la materia
bruta non possiede cause
interne intrinseche
dell'accelerazione, che
le forze sono composte
in un certo modo e che
alcune definizioni
di "azione" e
"reazione"
sono appropriate. Le leggi
del moto di Newton
esprimono queste scoperte.
Whewell riteneva
che le leggi newtoniane
fornissero le interpretazioni
empiriche adeguate degli
assiomi di causalità,
attingendo così allo status
di verità necessarie.
» (Losee - idem - riferimento
a pp. 245-254
di Philosophy of Inductive
Sciences)
Whewell seguì dunque una
linea di ragionamento
empirico induttiva ed analitica
per dimostrare
il principio delle verità
necessarie, ma
al fondo del suo ragionamento
stavano anche
considerazioni teologiche,
ricavate per via
intuitiva.
Secondo Whewell, infatti,
il mondo fu creato
da Dio in modo conforme
alle sue "idee
divine".
L'idea di causa, che porta
all'assioma "nulla
avviene senza una causa"
è un'idea di
questo tipo.
Seguendo Whewell, noi saremmo
in grado di
comprendere la struttura
della realtà perchè
la nostra scienza tende
ad assomigliare alle
idee impiegate da Dio nella
creazione del
mondo fisico. Ciò non è
casuale: Dio avrebbe
creato le nostre menti
ed i nostri sensi
in modo tale da poter comprendere
e non per
venire ingannati.
Whewell, in sostanza, era
convinto che il
procedere della scienza
avrebbe portato a
ravvisare nell'universo
un disegno intenzionale,
e dunque la mano di un
creatore.
Su questo piano, dunque,
si differenziò in
misura notevole dal mainstream
del positivismo,
reintroducendo teologia
e metafisica, e puntando
decisamente a mostrare
che la scienza non
solo non smentisce la teologia,
ma condurrà
a confermarla.
Questo atteggiamento di
gran apertura del
teologo Whewell era quanto
di meglio si potesse
trovare a quel tempo da
parte di un uomo
di fede e ragione.
La filosofia morale
La filosofia morale di
Whewell fu criticata
da Stuart Mill perchè questi
ne vide un prototipo
dell'etica intuitiva e
deduttiva. Mill forzò
certamente la mano in modo
plateale asserendo
che l'impostazione di Whewell
veniva a giustificare
pratiche come la schiavitù,
i matrimoni forzati
e la crudeltà sugli animali.
Ciò si spiega
col fatto che la morale
di Whewell si fondava
sostanzialmente sul convincimento
interiore
profondo e non su ragionamenti
utilitaristici
di morale e senso della
giustizia derivati
da accordi di cooperazione
civile, politica
ed economica.
Ovviamente le due concezioni
erano molto
distanti: la morale di
Whewell era totalmente
deduttiva; muoveva da un
modello assiomatico.
Quella di Mill era induttiva:
muoveva da
necessità pratiche, anche
se poi finiva col
dedurre diversi principi
morali dal più generale
diritto utilitaristico
alla felicità.
Probabilmente Whewell trascurò
l'aspetto
storico- evolutivo del
progresso morale.
In realtà, prima della
comparsa di forme
rudimentali di legislazione
che, se non altro,
proibissero, all'interno
della stessa comunità,
il furto, l'omicidio ed
il matrimonio tra
consanguinei, pare assai
difficile trovare
nella storia umana un saldo
principio morale
da cui derivare assiomaticamente
tutti gli
altri.
Forse, si potrebbe dire
che le prime disposizioni
legali furono emanate per
evitare uno stato
di guerra e tensione permanente
all'interno
dello stesso clan. Furono
fatte, insomma,
per favorire la convivenza
pacifica, limitando
il potere dei forti e dei
prepotenti, ed
aumentando il diritto dei
deboli.
E dalla necessità pratica
di impedire un
regime di violenze e sopraffazioni
continue,
si originò un primo nucleo
di senso morale.
Guido Marenco - 2 dicembre 2001
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