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Romolo Liberale

Giovanni dalle Bande Nere aveva un oracolo marsicano.

La tradizione dei serpari di Cocullo, ogni primo ovedì di maggio è seguitissima a non solo in Abruzzo. Durante la festa, in onore di San Domenico, viene fatto rivivere un rito antico. Numerose sono le testimonianze storiche di questa rappresentazione ma lo storico Romolo Liberale, nell'articolo che segue ha trovato in un testo di Pietro fAretino che fu al seguito.di Giovanni dalle Bande here) la presenza di un serparo abruzzese. Non è dato sapere la provenienza precise dell'uomo (e forse non sarebbe nemmeno di fondamentale importanza) ma di certo si trattava di un marsicano. Una ulteriore testimonianza, insomma, di una tradizione che significativa continua a vivere in un Abruzzo legato ai propri riti
di Romolo Liberale

Cosa ci facesse un serparo marsicano tra i masnadieri di Giovanni dalle Bande Nere, lo accenna Antonino Foschini, forbito biografo di Pietro Aretino,, che rivisita la storia e testimonia l'affettuoso cameratismo tra il capitano di venture a quel vero "flagello dei principi ' detto "figlietto gittarello' nato dalla generosa a disaccorta Tina di Arezzo.
Antonino Foschini, dunque accenna appena alla presenza di un serparo marsicano nei drappelli di ventura di Giovanni dalle Bande Nere,e ne dice. qualcosa di più nel suo bel saggio introduttivo ai "Ragionamenti" di Pietro Aretino quale si evince che <il serparo marsicano ha con il suo fiato d'osso di morto riportato al sonno nelle bisacce le biscie, scongiurando San Domenico suo patrono"Si deduce , da questo passo che il serparo marsicano si aggirava tra i masnadieri di ventura con bisacce piene di bisce attraverso le quali, appellandosi a San Domenico, faceva degli scongiuri.Ma più avanti se ne sa qualcosa di più. " I soldati gli domandavano-continua Foschini -di quel che rivela il pronostico dell'incanto".
Il serparo marsicano, quindi, è tra i soldati di Giovanni dalle Bande Nere con la funzione di oracolo, cioè quella di trarre dall'incanto delle serpi risposte sul destino delle battaglie che attendono l'esercito del gran capitano" e "gran Diavolo"come chiamavano l'ardito condottiero. dì ventura, la figura e il gesto del quale tanto avevano suggestionato l'animo a la fantasia dell Aretino.
Il capo delle Bande Nere, ma ancor più il dotto poeta di Arezzo, dovevano conoscere la fama che l'antica storia dei Marsi specialnente quella della Marsica fucense attribuiva a un popolo il cui titolo d'onore era quello di "saper di guerra" a di "saper di magia": qualità, queste, che non potevano non suggestionare i due spiriti chè con le arti delle armi a con le arti della parola pensavano di disegnare il destino dei popoli.
E dovevano certamente conoscere il famoso assunto di Firmico, secondo cui i Marsi appartenevano ad una stirpe ofigena, proveniente dall'Oriente, dove una antica tradizione li voleva addestrati nell'arte di addormentare i serpenti dopo aver loro strappati i denti carichi di veleno.Fanno buona compagnia al serparo Marsicano alcuni persaonaggi che sembrano staccati da una galleria di temperamenti e di ceffi, tanto sono evocativi i loro stessi nomi.C'è il Pirchio pistoiese e il Fantuzzo;c'è il Tagliaferro parmigiano il Barbagelata; c'è il Gattamorta a il Guercio alabardiere.
Ma innanzitutto ci sono loro, messer Giovanni a messer Pietro, che. vogliono sapere dal serparo marsicano quali prospettive indica la magia ora nascosta nelle capaci bisacce dove dormono.le bisce portate dai monti marsi. E come racconta Antonino Foschini descrivendone con particolare acume osservativo la figure e il gesto, l'astuto serparo li fa contenti.
In che modo? Eccolo: " Dice che tornerete quest'altro anno, ripeteva il serparo a mani giunte con gli occhi biechi e fissi come quelli delle serpi, e col dente all'infuori puntuto dal labro spaccato,"con un bottino di grande sacco, e tutti ricchi e tutti d'oro e vi ricorderete del serparo" Immaginabili le faville di gioia negli occhi degli avventurieri nell'ascoltare il pronostico dell'incanto.
Ma più avanti se ne sa qualcosa di più. " I soldati gli do continua oschinir "di quel che rivals il pronosticò dell'incanto".
Il serparo marsicano, quindi, è tra i soldati di Giovanni dalle Bande Nere con la funca tradizione li voleva addestrati nell'arte di addormenta re i serpenti dopo aver loro strappati i denti carichi di veleno. Fanno buona compagnia al serparo maisicano alcuni personaggi che sembrano staccati da una galleria di
mmaginabili le faville di gioia negli occhi degli avventurien nell ascoltare il ' "pronostico dell'incanto". E musica nell'orecchio dal Pìrchio a dal Fantuzzo, dal Tagliaferro a dal Barbagelata, dal Gattamorta a dal Guercio. Ma è musica innanzitutto nelle orecchie di Giovanni il Capitano e di Pietro il poeta sapere che l'oracolo aveva previsto "bottino di gran sacco" che avrebbe fatto < tutti ricchi> e "pieni d'oro".
Il serparo aveva venduto bene le sue magie e. i suoi pronostici, ma non si sa se, nei fermenti preparativi prima e nei fragori della battaglia dopo, qualcuno si sarà ricordato del povero serparo marsicano che tanta gioia aveva infuso nel cuore dei masnadieri nel predire, insieme alla vittoria, un dovizioso bottino.
Il racconto si snoda narrando con efficacia cinematografica la marcia dell'esercito di ventura come "massa compatta d'ombre> con "tintinnio d'armi, scalpiccìo di passi, affanno di respiro".
Lentamente la narrazione si diluisce, si dilava, impallidisce; si perde la memoria dal serparo marsicano perché vengono ancore in primo piano le due figure di spicco destinate "a far torcere i1 filo all'inimico"; il Gran Capitano e Gran Diavolo, Giovanni dalle.Bande Nere, e colui che " taglia col pugnale e con. la lingua, Pietro Aretino. Sia pure maramaldeggiando i "due maledetti quello della spada e quello della lingua avevano concepito il disegno, non privo di nobiltà, di sovvertire un ordine in cui "le rivalità e le invasioni straniere tenevano maldeste tutte le regioni d'Italia a sopportare sconvolgimenti e rapine, a pager tributi a sanguinare di tutti i capricci della bieca a innumerevole padro nanza".
E ammaliatí da questo sogno di liberazione, un Medici, quale era Giovanni, e un Aretino, quale era Pietro, videro entrare in scena un personaggio tanto prestigioso d'aspetto quanto spiritualmente malcreato.Era lui il bel duca Valentino, figlio d' Alessandro VI, papa "mentovato in ogni dove" quale "bell'esempio di vicario di Cristo, dispotico e fastoso, sacrilego e simoniaco".Il sogno del Duca Valentino veniva a ricongiungersi col sogno delle Bande Nere in quanto, mosso dall'ambizione, Foschini lo dice esplicitamente "dei mezzi crudeli che adoperava non fece mai mistero.E' con questi mezzi che il figlio del papa si era levato ad armeggiare per sopprimere i personaggi incarogniti nella mediocrità del loro basso potere".
L' ombra del serparo marsicano si aggirava in questo scenario come misterioso ophiolatra che vive una storia immensamente più grande di lui: auguro bendicente, doveva inventarsi prima di ogni marcia e di il ogni battaglia il destino delle cose e degli uomini
E così, con l'antica arte di incantatore di serpenti, guadagnarsi, dunque, la reputazione e la vita.
A gloria e soddisfazione di Francesco I di Francia , accompagnavano le marce, e arrivavano fino al cielo, oltre che
alle orecchie dei re, le grida dei masnadieri "Evviva il Gran Diavolo! Vivano le Bande Nere! Evviva l' Aretino! Evviva il Flagello dei Prìncipi!".
E la profezia dal serparo marsicano si ripeteva in cento e cento battaglie.

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