LETTERATURA ITALIANA: DANTE ALIGHIERI

 

Luigi De Bellis

 


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Dante: la Divina Commedia in prosa

Paradiso: canto V

“ Se io nell’ardore dell’amore divino risplendo ai tuoi occhi in modo superiore a quello che si può vedere (risplendere) sulla terra, tanto che la tua capacità visiva rimane sopraffatta, non meravigliarti, perché tale effetto proviene dalla perfezione della mia vista, la quale, quanto più percepisce la luce divina, tanto più si addentra nel bene percepito (ed è da questo illuminata).

lo vedo chiaramente come nel tuo intelletto risplende già la luce della verità eterna, la quale, in chi la vede, accende essa sola è per sempre l’amore di se; e se qualche altro bene terreno attrae il vostro desiderio, è solo perché in esso traspare una parvenza, mal compresa, della verità eterna.

Tu desideri sapere se, in caso di voto inadempiuto, si può compensare (Dio) con altra opera meritoria, tale che metta l’animo al sicuro da ogni contrasto (con la giustizia divina).

” Con tali parole Beatrice cominciò a esporre l’argomento di questo canto; e come colui che non interrompe il suo discorso, ella continuò così il santo ( perché ispirato da Dio) ragionamento:

“ Il dono più grande che Dio, creando (gli uomini), abbia fatto per sua generosità e insieme quello più conforme alla sua bontà e quello che Egli stesso stima più di tutti (gli altri doni ), fu la libertà della volontà (il libero arbitrio);

e di questo dono furono e sono dotate, tutte e soltanto loro, le creature intelligenti, Ora, se tu ragioni partendo da questa premessa, ti apparirà chiara la grande importanza del voto, purché sia tale che Dio accetti quando tu prometti, perché, nello stabilire (col voto) il patto tra Dio e l’uomo, si fa sacrificio di questo tesoro del libero volere, tesoro così prezioso come ti ho detto:

e (questo sacrificio) si compie con un atto della volontà stessa. Dunque che cosa si può offrire a Dio in risarcimento (del voto non osservato) ?

Se tu credi di poter usare ancora per uno scopo buono quella libertà che hai offerta (a Dio), pretendi di fare opere di bene con una cosa presa illecitamente ad altri.

Per comprendere l'ampiezza della trattazione riguardante il voto, la quale occupa buona parte del quarto canto e quasi tutto il quinto, ci aiutano alcune riflessioni. Innanzi tutto Dante intende colpire l'abitudine, molto radicata al suo tempo, di fare voti frequenti e spesso strani, che riducevano il rapporto fra l'uomo e Dio ad un rapporto contrattuale o a una pratica magica. Accadeva inoltre facilmente che ci si stancasse o ci si pentisse del voto promesso e si cercasse di ritirarlo o di diminuirne il peso. In secondo luogo il tema del voto si presta alla celebrazione di quell'ideale eroico di vita che fu proprio dell'Alighieri e che ispira tutta l'etica della Commedia. Il discorso di Beatrice può essere diviso in due parti, senza timore di distruggerne la sostanziale unità, che trova le sue radici nelle profonde convinzioni morali del Poeta. Nella prima parte viene esposta la natura e l'importanza del voto (versi 19-63), mentre la seconda si presenta come un'ampia e amara invettiva contro la stoltezza degli uomini, invettiva che è conclusione e, insieme, giustificazione delle note teologiche di questo canto e di quello precedente. Secondo il procedimento aristotelico Dante prende l'avvio dell'enunciazione dei principi universali sui quali è formato il problema particolare. La libera volontà (o libero arbitrio) è il dono più grande che Dio abbia fatto alle creature dotate di intelligenza, cioé agli angeli e agli uomini. Dante afferma qui, in modo appassionato e commosso, un principio già rilevato nella Monarchia (I, XII, 6: "la libertà... è il dono più grande da Dio offerto alla natura umana: perché per esso siamo felici sulla terra come uomini, e per esso siamo felici altrove come beati"), sul quale era tornato due volte nel Purgatorio (XVI, 67-81; XVIII, 49-75) e di cui aveva già iniziato la celebrazione nel canto IV del Paradiso (versi 76-88). Ora l'uomo con il voto si impegna a rinunciare a questo dono, offrendolo a Dio come il più prezioso dei sacrifici: la libertà usa di se stessa per ridonarsi al suo creatore, per cui la vittima coincide con l'atto con il quale viene immolata: vittima fosti... e fassi col tuo atto. Tuttavia il voto è tale solo quando la volontà divina vi acconsente, per cui oggetto di esso non può essere una cosa stolta o peccaminosa. Essendo un patto bilaterale, non può essere annullato dall'uomo, che è solo una delle due parti.

Tu ormai conosci con certezza il punto essenziale della questione; ma poiché la Santa Chiesa dispensa in materia di voto, la qual cosa sembra in contrasto con la verità che io ti ho esposto, devi ancora prestarmi un poco di attenzione, perché l’ardua dimostrazione che hai appresa, ha bisogno ancora di aiuto per essere assimilata.

Apri la tua mente a quello che ti manifesto e fissalo bene nella memoria, perché l’aver capito, senza ricordare quello che si è compreso, non forma scienza.

Due cose sono necessarie all’essenza di questo sacrificio (a costituire l’essenza del voto): una è la materia del voto; l’altra è il patto tra Dio e l’uomo.

Quest’ultimo elemento del voto non si annulla mai se non quando sia stato completamente adempiuto: e proprio riferendomi ad esso ho parlato prima in termini così assoluti: perciò agli Ebrei rimase sempre l’obbligo di fare offerte a Dio, anche se si poteva permutare la materia del voto, come devi sapere anche tu.

La legge di Mosè impose agli Ebrei l'obbligo di fare delle offerte a Dio tale obbligo doveva essere mantenuto anche se, in taluni casi, era ammessa la permuta della materia dell'offerta (cfr. Levitico XXVII, 1-33).

L’altro elemento, che ti è stato dichiarato come materia del voto, può ben essere di natura tale, che non si pecca se viene commutato con un altro oggetto.

Ma nessuno cambi di suo arbitrio il peso che si è posto sulle sue spalle, senza che girino e la chiave d’argento e quella d’oro;

Il cambiamento della materia del voto può avvenire solo con l'autorizzazione ecclesiastica: la chiave bianca o d'argento indica la scienza e la prudenza necessarie per giudicare, quella gialla o d'oro l'autorità che Dio ha concesso alla Chiesa di vincolare e di sciogliere (cfr. Purgatorio IX, 117-126).

e giudica errata ogni commutazione, se la materia del voto abbandonato non è contenuta per entità nella cosa presa in cambio, come il quattro nel sei.

Perciò quella materia di voto il cui valore sia di peso tale da far traboccare ogni bilancia (non potendo trovare il suo contrappeso ), non può essere compensata con alcun’altra offerta;

Beatrice, dopo aver rigidamente distinto l'essenza del voto (cioè il sacrificio della propria libertà) dalla materia assunta, e aver rigorosamente affermato che può cambiare la materia ma non la forma di esso, osserva che solo l'intervento della Chiesa può permettere un mutamento nell'oggetto, purché la seconda offerta sia importanza alla prima. Poiché il voto di castità è il più prezioso di tutti, esso non può essere mutato neppure dalla Chiesa. San Tommaso, che rispetto al voto di verginità assume una posizione simile (Il, Il, 88, Il), in un altro passo (Il, Il, 88, 10), sostiene che la Chiesa può concedere una dispensa totale dal voto, quando giudichi che questa permetta un bene più vero e sostanziale. Dante, invece, "moralmente irritato dagli abusi che in questo campo potevano effettuarsi" (Montanari), resta aderente alla dottrina più rigorosa: non è possibile nessuna dispensa totale.

Gli uomini non prendano il voto alla leggiera: siate fedeli (nell’osservare i voti) e nel farli non siate sconsiderati, come fu Jefte riguardo all’offerta (di sacrificare a Dio) la prima persona che gli fosse venuta incontro: a lui sarebbe stato più conveniente dire “Ho agito stoltamente (con questo voto)”,

piuttosto che, osservandolo, commettere una empietà: e allo stesso modo puoi giudicare stolto Agamennone, il grande condottiero dei Greci, a causa del quale Ifigenia rimpianse la propria bellezza ( motivo del suo sacrificio),

e fece piangere sulla sua sorte tutti gli uomini, gli stolti e i saggi, che udirono parlare di un atto di culto di questo genere.

Jefte, giudice d'Israele, dovendo combattere contro gli Ammoniti, stoltamente fece voto di sacrificare, se fosse riuscito vittorioso, chiunque avesse incontrato per primo sulla porta di casa sua: così sacrificò la figlia, la prima a uscirgli incontro dopo la vittoria (cfr. Giudici XI, 30-40). Sia i padri della Chiesa sia i teologi medievali condannarono unanimamente il voto di Jefte e la sua empietà (cfr. S. Tommaso - Summa Theologica II, II, 88, 2). Agamennone comandante supremo dei Greci, per ottenere venti favorevoli e potere così salpare con l'esercito dal porto di Aulide alla volta di Troia, promise a Diana la cosa più bella che fosse nata in quell'anno nel suo regno. Fu così costretto a sacrificare la figlia Ifigenia. All'episodio accennano Virgilio (Eneide II, 116-119) e Ovidio (Metamorfosi XII, 27 sgg.), ma forse Dante qui ha presente un passo di Cicerone (De Officiis III, 25), il quale, parlando del voto di Agamennone, esprime un giudizio di condanna.

Ma voi, o cristiani, siate più ponderati nel far voti: non siate volubili come una piuma ad ogni soffio di vento, e non crediate che qualunque altra offerta sia come un’acqua che vi liberi (dal debito di un voto inadempiuto).

Avete (come guida) i libri sacri del Nuovo e del Vecchio Testamento, e il pastore della Chiesa che vi conduce: questo vi deve bastare per la vostra salvezza eterna.

Se una cattiva passione vi stimola a fare diversamente, siate uomini (padroni di voi stessi), e non pecore prive di discernimento, in modo che i Giudei che vivono in mezzo a voi non debbano ridere di voi.

Mala cupidigia: è la passione priva di discernimento che porta gli uomini a compiere voti stolti e insensati per ottenere da Dio la soddisfazione di qualche desiderio di poco conto o addirittura cattivo. Un'altra interpretazione propone di vedere in mala cupidigia l'azione del clero e degli ordini religiosi corrotti, che per brama di denaro spingevano i fedeli a offerte e donazioni, oppure, per denaro, dispensavano dal voto o concedevano il permesso di cambiarne la materia.

Non fate come l’agnello che lascia il latte materno, e sconsiderato e irrequieto va giostrando con le corna da solo a suo capriccio! ”

Beatrice, dopo essere apparsa quale salvatrice di Dante nel canto primo dell'lnferno, nel Purgatorio come suo giudice (canto XXXI) e come ammonitrice dell'umanità traviata e profeta del futuro (canto XXXIII), nei primi canti del Paradiso presenta due aspetti della sua poliedrica personalità. La sua figura è quella luminosa di una beata, nella quale il ricordo dell'amore terreno si è trasferito su un piano trascendente e la sua bellezza (espressione dello splendore della verità di cui ella è ora dispensatrice ) provoca in Dante continui smarrimenti che conservano la potente vibrazione sentimentale di un tempo. Tuttavia è pur sempre attraverso Beatrice che il Poeta discute in questi primi canti, servendosi della chiarezza del metodo scolastico, i più aspri problemi teologici e scientifici: una Beatrice a volte cattedratica, a volte sottilmente analizzatrice, talvolta anche pesantemente didascalica, ma sempre sorretta dalla passione di chi vede, nel sentimento e nella presenza del divino ( rappresentato da Beatrice) il motivo più alto della propria poesia. Ora invece "il rigore intellettuale sembra sopraffatto dall'impeto ascetico e parenetico che va maturando nel discorso di Dante ed esplode poi al verso 64" (Montanari), aprendo cosi la prima delle numerose invettive che incontreremo nel Paradiso contro la decadenza morale dell'umanità (chiara testimonianza che la realtà della terra non sfuma nella luminosità dei cieli, ma, anzi, da questo contrasto prende più vigorosi contorni ) . Qui la personalità di Beatrice appare completamente sopraffatta da quella del Poeta, che grida alto il suo sdegno di fronte alle pecore matte, nelle quali la salda voglia è troppo rada ( Paradiso IV, 87), e la sua amara constatazione della debolezza degli uomini, che, proprio per questo, non debbono prendere il voto a ciancia. La forza di questa invettiva è evidente anche nello stile, non solo costruito su solide metafore visive (penna ad ogni vento.., pecore matte.. agnel che lascia il latte...), ma anche sorretto dalle forme imperative, rafforzate dalla loro posizione all'inizio o alla fine del verso: non prendan... siate fedeli... non dieci... siate, Cristiani... non siate.. non crediate... uomini siate, e non pecore matte... non fate... " Nell'immagine finale dell'agnello, la violenta metafora precedente, delle pecore matte, sembra, alla nostra sensibilità moderna, attenuarsi e placarsi, per la grazia infantile dell'agnello che tutto si contorce quasi a cercare di cozzare contro se stesso. Ma forse Dante si inteneriva assai meno di noi sull'agnello... probabilmente, nell'immagine dell'agnello sente suggellata e conclusa la condanna della frivolità e inconsistenza dei contemporanei: uomini fatti, si comportano come bambini." ( Montanari )

Beatrice mi parlò così come sto scrivendo; poi si rivolse vibrante di intenso desiderio verso quella parte dove il cielo è maggiormente ravvivato (dalla luce del sole).

Il suo silenzio e la trasfigurazione del suo aspetto imposero silenzio al mio ingegno desideroso di sapere, che già aveva pronte nuove domande; e con la velocità di una freccia,

che colpisce il bersaglio prima che la corda dell’arco abbia cessato di vibrare, salimmo al secondo cielo.

Qui vidi la mia donna così raggiante di letizia, non appena entrò nella luce di quel cielo, che il pianeta (in cui eravamo giunti) divenne più luminoso.

E se il pianeta (che è di natura immutabile) si trasfigurò e rise di letizia, come non divenni io che proprio per la mia natura umana sono soggetto ad ogni cambiamento!

Dante e Beatrice sono entrati nel secondo cielo, quello di Mercurio, dove appaiono le anime di coloro che hanno compiuto il bene per conquistare onore e fama. Accogliendo Beatrice, il pianeta ( la stella) si trasfigura, diventando più lucente, sebbene nel Medioevo fosse convinzione generale che i pianeti, le stelle e in genere tutti i corpi celesti fossero incorruttibili e immutabili. Qui all'immutabilità del pianeta Dante contrappone la natura umana sensibile ad ogni influenza e quindi: estremamente mutevole.

Come in una peschiera dall’acqua tranquilla e cristallina i: pesci accorrono verso ciò che viene gettato (in essa) dall’esterno perché lo credono cibo per loro, così io vidi più di mille anime luminose accorrere verso di noi, e dentro ciascuna si udiva dire:

“ Ecco chi accrescerà il nostro spirito di amore (dandoci modo di illuminarlo con le nostre spiegazioni) ”.

Secondo l'interpretazione del Natali i beati del secondo cielo predicono a Dante la sua sorte futura: egli, dopo la morte, farà parte della loro schiera, per essere stato, come loro, attivo per amore di gloria (Paradiso VI, 112-114). Nell'ultima parte del canto V la poesia del Paradiso vive in tutta la sua pienezza: nella beatitudine di Beatrice risolta in un aggettivo distante - e in un gesto - si rivolse... a quella parte ove 'I mondo è più vivo - nella sua luminosa trasfigurazione, nel silenzio suo e di Dante. nella rappresentazione dei cieli che, diventando più splendenti, partecipano anch'essi di quell'amore divino che sembra riempire tutto l'universo. Il fulmineo concatenarsi di questi fatti (lo sguardo verso l'alto, il silenzio, la trasfigurazione, l'ascesa al secondo cielo, l'accresciuta letizia di Beatrice, l'aumento di luce del pianeta, il mutamento di Dante avvengono simultaneamente) sfocia in una di quelle similitudini che da sole possono rappresentare la poesia del Paradiso, e che, comunque, da sole ne illuminano la sovrumana atmosfera. La chiarità del cielo di Mercurio è paragonata ad una peschiera tranquilla e pigra, mentre le anime, che in quella chiarità si muovono, offrono qui il primo esempio della loro vita corale, fatta, oltre che di movimenti, anche di parole unisone (versi 104-105: in ciascun s'udia: " Ecco chi crescerà li nostri amori " ) . "L'immagine della peschiera è particolarmente geniale: un lago di luce serena; una luce liquida come di chi nella luce sia tuffato senza contrasto di esterno e d'interno, ma la luce diventi tranquillamente interna a lui stesso. In questa liquida luce (creazione perfettamente fusa di liquida dolcezza e di chiarità luminosa) altre luci si avanzano distinte da essa, e in essa fuse, di essa tutte compenetrate. Ma tutto questo non resta puro paesaggio sia pur serenissimamente edonistico; questo soave bagno di luce si qualifica come carità interiore: come gioia della gioia altrui, totale partecipazione alla vita altrui senza alcun residuo, nonché di mala cupidigia, neppure di egoistica pigrizia: " Ecco chi crescerà li nostri amori " (verso 105). La peschiera di luce, in cui si avanzano le forme vive e sciolte dei nuovi beati, è tutta animata da questa gratuità caritativa: la gioia della conversazione cavalleresca d'amore cortese ( gioia di bei conversari tra adorne persone) è trasferita in gioia di conversazione paradisiaca." ( Montanari )

E via via che ciascun splendore si avvicinava a noi, si intravedeva l’anima piena di letizia attraverso l’abbagliante fulgore che si irradiava da lei.

Pensa, o lettore, come sentiresti angosciosamente la mancanza di una maggiore conoscenza (di ciò che rimane da raccontare), se la trattazione che qui comincia non dovesse continuare; e capirai da te stesso (senza bisogno che te lo spieghi) come io ardessi dal desiderio di sapere da costoro la loro condizione non appena li potei vedere.

“ O spirito destinato alla salvezza, a cui la grazia divina concede di vedere i seggi dei beati nel trionfo dell’Empireo, prima di aver abbandonato la vita terrena, noi siamo accesi dalla luce dell’amore divino che si diffonde per tutto il cielo;

e perciò, se desideri avere spiegazioni sul nostro conto, sarai appagato quanto desideri. ” Cosi mi fu detto da uno di quegli spiriti benevoli; e da Beatrice: “Parla, parla liberamente, e credi a loro come si crede ad esseri divinizzati ”.

L'anima che ha parlato rivelerà la sua identità nel canto seguente: si tratta dell'imperatore Giustiniano. Credi come a dii: i beati, infatti, partecipano della bontà e della sapienza di Dio. Perciò, dice San Tommaso (Summa Theologica 1, Xll, 5; 1, X111, 9), essi sono, in certo modo, "simili a Dio", di una somiglianza, però, che non significa certamente identità.

“ lo vedo chiaramente che tu sei chiusa come in un nido nel tuo splendore, e che lo effondi dagli occhi, perché esso lampeggia non appena tu sorridi;

ma non so chi tu sia, né perché tu abbia, o anima degna, il grado di beatitudine proprio del cielo di Mercurio, che è velato ai nostri occhi dai raggi del sole.

Mercurio appare quasi sempre velato dai raggi del sole (cfr. Convivio 11, X111, Il), perché ha la sua orbita vicinissima al disco solare.

Questo dissi rivolto allo splendore luminoso che prima mi aveva parlato; per cui essa (per la gioia di poter esplicare il suo spirito di carità ) divenne assai più splendente di quanto non fosse precedentemente.

Come il sole si nasconde (ai nostri sguardi) da solo per la sua luce eccessiva, non appena il calore ha sciolto i fitti vapori che ne temperavano la luce,

nello stesso modo per la cresciuta letizia la figura dell’anima beata si nascose alla mia vista entro la sua luce abbagliante;

e cosi tutta fasciata nel suo splendore mi rispose come verrà rivelato nel canto seguente.



2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it