Paradiso: canto XXI
L’ascesa al cielo degli spiriti contemplanti, Saturno,
avviene subito dopo che l’aquila formata dalle anime dei giusti ha
terminato il suo discorso. Per la prima volta Beatrice non rivela con il
suo sorriso l’avvenuto passaggio ad un cielo superiore, perché la potenza
di tale sorriso avrebbe abbagliato completamente Dante. Nella settima
sfera appare una scala luminosa la cui cima sembra toccare l’empireo. Le
anime contemplanti scendono e salgono con ritmo incessante, ma una di esse
resta accanto al Poeta e gli rivolge la parola, invitandolo a manifestare
il desiderio che in questo momento occupa il suo animo. Due cose brama
sapere Dante: perché proprio questo spirito si è fermato accanto a lui e
perché in questo cielo i beati non innalzano alcun canto. Non solo nessuna
mente umana - risponde lo spirito Interrogato - ma nessuna anima beata e
neppure i Serafini, la gerarchia angelica più vicina a Dio, potranno mai
spiegare i motivi che guidano il Creatore nella sua azione. Nessuno,
quindi, potrà mai sapere perché solo determinate anime sono destinate a
parlare con il pellegrino che sale attraverso i cieli. Quanto al silenzio
dei beati di Saturno, essi tacciono per lo stesso motivo per cui Beatrice
non ha sorriso: per non sopraffare le deboli facoltà umane di Dante.Ad una
nuova domanda del Poeta questo spirito rivela di essere San Pier Damiano.
Parla poi della propria vita, che trascorse nella solitudine e nella
contemplazione nell’eremo camaldolese di Fonte Avellana, finché fu
nominato cardinale e costretto a ritornare nel mondo. Contro la decadenza
degli ordini monastici e la corruzione della Chiesa San Pier Damiano
lancia una dura invettiva, alla quale tutti i beati del settimo cielo
rispondono per manifestare il loro plauso - con un altissimo grido.
Introduzione critica
Occorre individuare, nello svolgimento del canto XXI, la
presenza di due piani tematici sapientemente uniti fra di loro. Il motivo
della solitudine e dell’estatico raccoglimento - che dovrebbe essere
proprio del cielo degli spiriti contemplanti - non trova la sua
figurazione concreta nel personaggio presentato, che è, anzi, una fra le
figure storiche più attive e impegnate del mondo religioso medievale, ma è
affidato ad elementi in apparenza secondari: la figura assorta di
Beatrice, il silenzio assoluto delle anime, la scala luminosa che si
innalza vertiginosamente verso l’alto, la visione dell’abisso divino nel
quale ogni terrena indagine necessariamente si perde.Se è vero che tali
elementi costituiscono solo lo sfondo e lo scenario del cielo di Saturno,
è altrettanto vero che senza di essi la figura del protagonista perderebbe
gran parte della sua forza morale e poetica. Infatti anche qui, come nel
cielo di Giove (cfr. l’introduzione critica del canto XIX), " la
situazione è sentita drammaticamente: ché da un lato, nel concetto di
Dante, la contemplazione e l’ascesi sono premessa e guida alla attività
apostolica; dall’altro, nel concreto sviluppo della sua psicologia,
costituiscono l’approdo estremo, faticosamente raggiunto, di una dura
esperienza terrestre" (Sapegno), per cui nell’episodio di Pier Damiano "il
misticismo è puntualmente risolto in operoso zelo di riforma e la santità
ascetica è sigillo d’autorità ai fieri giudizi polemici sui tralignanti
istituti monastici e sulla curia corrotta ".Un altro attento lettore di
questo canto, il Getto, ha accostato l’episodio di Pier Damiano a quelli
di San Francesco e di San Domenico. interpretandoli come esemplificazioni
dell’eroica e combattiva volontà di perfezione di Dante, come "suggestivi
emblemi del sentimento dell’ascesi proprio del Poeta". In questo episodio
l’animazione lirica è da ricercarsi nella convinta affermazione di una
prassi religiosa, "nel gusto dichiarato dell’aspra ascesi, dell’energia
morale, dell’alacre forza interiore, della virilità gagliarda dello
spirito che innalza un ideale e per esso combatte. Celebrazione
dell’eroismo religioso e ascetico, che illumina di più rivelatrice
evidenza la religiosità di Dante, che sa l’ebbrezza del contemplare e
l’asprezza dell’agire ". San Francesco, San Domenico, San Pier Damiano non
sono personaggi e temi poeticamente persuasivi per quel che immediatamente
dicono, per il loro contenuto psicologico e storico: per Dante essi sono
modelli di vagheggiata perfezione e la sua poesia non celebra tanto le
loro figure storiche quanto "il piacere dell’anima assetata di perfezione
nell’accostarsi a questi umani esemplari". Anche se il Getto tempera
subito dopo il suo giudizio, affermando che è pur sempre presente
un’effettiva "volontà di dire poeticamente il fascino" di queste vite di
santi, la sua posizione ci sembra contenere un grosso pericolo: quello di
concentrare l’attenzione del lettore solo sul valore simbolico del
personaggio o dell’episodio, distogliendolo dall’individuarne il valore
umano e poetico. Valori che, invece, sono stati magistralmente esaminati
dal Cosmo. Secondo l’illustre critico non sono gli aspetti della vita
ascetica quelli che attirano Dante, bensì la forza morale che rivela il
protagonista, per cui l’accento non cade sulL’ermo, che suole esser
disposto a sola latria o sui cibi di liquor d’ulivi o sui caldi e geli
sopportati lievemente, ma sul fatto che egli è contento ne’ pensier
contemplativi. "Ciò che Dante sentiva ed ammirava del Damiano era
essenzialmente la forza morale. L’essere di lui non è nella penitenza, ma
nell’animo onde la sostenne... La asprezza del luogo in cui visse è
descritta con tanto compiacimento perché metta in risalto la sua virtù: "
quivi egli si fè fermo al servizio di Dio ‘’ ".Proprio dall’ammirazione
per questa forza morale deriva il tono tutto particolare della breve
biografia di Pier Damiano, la quale, pur sviluppandosi solo per 14 versi,
durante il terzo sermo pronunciato dal Santo, è fra le più vibranti e le
più concluse del Paradiso; soprattutto è fra le meglio individuate, perché
qualunque possa essere l’intento morale che guida il Poeta nel tracciare
il profilo dei personaggi della terza cantica, mai egli perde di vista la
loro realtà storica e la necessità di definire, al di là del compito
morale o religioso ad essi affidato, i tratti salienti della loro
psicologia, i motivi centrali della loro vita. Un breve accenno al
monastero sperduto nel silenzio dei monti e celato dietro la vetta del più
alto di essi, pone subito un distacco totale fra il mondo e il santo
eremita: surgon sassi... e fanno un gibbo. Qui l’uomo vive solo nel
pensiero e nel culto di Dio. In questo religioso isolamento il tempo è in
funzione solo del servigio di Dio, scandito solo dai pensier
contemplativi, davanti ai quali passano in secondo piano tutte le più
rigide pratiche ascetiche. Ma alla visione di questo chiostro che
preparava una "fertile" messe per i cieli, si sovrappone ben presto la
visione di ciò che esso è diventato: un luogo vano sul quale la vendetta
di Dio non tarderà ad abbattersi. Nella pace del monastero l’uomo ha
trovato la sua strada, ma l’umiltà di colui che volle sempre essere
chiamato Pietro Peccator è totale, come la sua ubbidienza. Davanti ai
bisogni della Chiesa e all’invito del pontefice, Pier Damiano, ormai
vecchio, abbandona il suo eremo senza indugio né incertezza. "È il momento
che il monaco entra nella grande vita, e questo soprattutto il Poeta vuole
mettere in luce di lui: l’uomo dalla vita contemplativa uscito
all’attività delle alte prelature." (Cosmo)
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