CRITICA LETTERARIA: PETRARCA

 

Luigi De Bellis

 
 
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La novità dei "Trionfi"
di A. NOFERI



Il Serra insiste particolarmente sul carattere erudito e classicistico dei Trionfi, che rappresentano, al di là della struttura allegorica destituita ormai di importanza, un già altissimo tentativo di poesia nutrita di ideali umanistici.

La materia dei Trionfi, se m'è lecito questo orribile bisticcio, è tutta fatta di forme.

Però che precipuo intendimento di chi li scrisse, si fu non la esaltazione di Laura, non la moralità dell'insegnamento, non la varietà o novità dell'argomento; ma la novità dell'arte, il desiderio e l'intendimento di dedurre dalla gloriosa antichità non pur i concetti e i fantasmi, e le storie, ma le linee stesse dell'imagine e gli atteggiamenti della rappresentazione e della espressione; l'intendimento in somma di accomodare le umili rime a rendere i pensieri e le forme, la dignità e la eleganza dei classici. In ciò la ragione, per che una ricerca, istituita per dimostrare le reminiscenze classiche nella materia de' Trionfi, naturalmente si tramuta in una rassegna di imagini e frasi e modi, dai classici autori procedenti; in ciò pur anco quella, che fu tante volte annunziata, ma ora spero luminosamente chiarita dai fatti, verace e insígne novità de' Trionfi nella poesia italiana.

Ben prima d'ora furori potuti notare, fra li antecedenti del Petrarca, poemi allegorici, poemi dotti, poemi eruditi, pieni di reminiscenze e imprestiti foltissimi da quelli stessi, che furono autori del Petrarca: ma dagli uni all'altro, quanta distanza!

Essi si volgono ai libri degli antichi quasi come a un repertorio di favole o di moralità, ne tramutano i sensi e li intendimenti, ne tradiscono imitando e talora anche fedelmente traducendo le forme. Ma il Petrarca non le tarde compilazioni, farcite di curiosa e superficiale erudizione, sì bene gli scrittori originali, gli storici, gli oratori, i poeti antichi ricerca: e la eloquenza, il colore e il calore, la nobiltà di modi e d'imagini in quelli prosegue d'ammirazione e d'amore: da quelli si propone e si prova di dedurre nell'opera sua.

Per questi intendimenti, con questi sensi, in questi caratteri sono veracemente i Trionfi, il «magnum opus», che il Petrarca aveva annunzi al al mondo come lavoro ultimo supremo della sua Musa, e dell'arte.

Cominciamo dal considerare la lingua: non è chi non veda come la lingua de' Trionfi, sì per la scelta e sì per l'uso delle parole, sia molto chiaramente informata a un intendimento di studiata nobiltà, capace e abile all'altezza dell'argomento; e come poi, nella mente del Petrarca, questo intendimento si congiunga strettamente col latinismo.

Con questo non voglio già rifare le divisioni con che i vecchi retori partivano i vocaboli secondo loro diversa nobiltà di sangue; 'ché secondo tali criteri bisognerebbe recare altro giudizio sui Trionfi (che pur vedemmo alcuna volta appuntati, dal Tassoni e dal Muratori, di bassezza e di modi plebei). No: ma pensando che la espressione latina si offriva al Petrarca, non meno che a' suoi contemporanei, come tipo di ideal perfezione, credo che la lingua de' Trionfi s'abbia a trovare in tanto più nobile, in quanto più ritrae e tiene di quel tipo.

In questo senso, la lingua de' Trionfi è profondamente improntata della nobiltà latina, proseguita non tanto con dedurre nel volgare vocaboli nuovi, quanto con l'accomodare, del volgare, vocaboli e modi alla significazione e all'uso latino.

Cosí tutti gli aspetti de' Trionfi si schiariscono, e si compongono quasi a unità, considerati al lume dell'intendimento vero e profondo che tutta l'opera informa con varietà pur così grande di effetti; dalla lingua e dai modi dello stile, al colore e al disegno delle imagini.

Di queste, i caratteri e le note essenziali balzano, come almeno a me pare, nettamente dal nudo e semplice riscontro, che già fu fatto, coi passi, d'onde derivarono, de' classici; sì che ora non è se non da dichiarare brevemente quella loro tal quale novità, in rispetto del Canzoniere; in che riposa in qualche modo tutta la novità dei Trionfi.

Molto egli derivò da' classici, anche nel Canzoniere, di «colori e passi intieri», ma, come fu detto, «appropriandoseli e assimilandoli alla sua opera originale con arte ammirabile».

Sì che, anche nel Canzoniere, accade spesso di ritrovare un tocco o una imagine di un poeta antico; ma ella è, e non è, la stessa: la raffiguriamo, per cosí dire, alle fattezze, che son conte, in una faccia giovane e nova: l'assimilazione degli elementi è stata cosí profonda da rinnovarli compiutamente.

E si può dire che, per ciò ch'è della impronta classica, l'autor del Canzoniere, pur avanzando assai di nettezza e importanza tutti gli altri di .quella età, tien d'essi una, che è, per tal riguardo, propria universale nota dei trecentisti tutti quanti.

Ciò è la facoltà di ripensare originalmente e atteggiare con elementi nuovi; di accomodare in somma all'uso moderno pensieri e forme antiche; e, senza dire di Dante, che pur dove più segue Virgilio, e più è nuovo, basta recarsi per un poco alla mente l'esempio, che già vedemmo del Boccaccio o dei traduttori, tra li altri di Livio, o di qual si voglia altro di quella età; che tutte cose, di dovunque le venissero, originalmente improntò del suo gagliardo sentire.

Che il Petrarca osservi il comune uso, non si può dire; ma né meno si può dire che in tutto se ne discosti. E si veda per un esempio, una «femina» virgiliana (Aen., VIII, 488 segg.) com'è rifatta dal Petrarca in una donnetta del suo tempo:

Levata era a filar la vecchierella Discinta e scalza e desto avea 'l carbone,

dove la rappresentazione è cosí nuovamente e dimesticamente colorita da muover lo stomaco al Tassoni. Né un piccolo tramutamento era poi necessario a far parere bassa o plebea una pittura di Virgilio!

E un'altra invocazione virgiliana, come, sulla bocca del Petrarca, prende l'accento umile e accorato della preghiera cristiana (Aen., II, 144 «miserere animi non digna ferentis»); «Miserere del mio non degno affanno!».

Ma, per non moltiplicare oziosamente gli esempi, che a tutti son presenti e chiari, questo carattere è, o non è, conservato ne' Trionfi? Cui ben guardi, non pare: pare che quella schietta pura vaghezza, quella giovanile felicità, che nel Canzoniere i modi e le imagini desunte dagli antichi rinnovella, più non sia ne' Trionfi; ma v'abbia fatto luogo a uno studio di severa nobiltà, a una ornata compostezza del disegno, fedelmente condotto su lo specchio de' classici...

O non forse da' Trionfi ci si fa innanzi, prenunzia del Rinascimento, come Ninfa a piedi nudi per la campagna, che già sente di primavera, quella mirabile Andromeda,

                   Vergine bruna i begli occhi e le chiome?

Questo l'intendimento de' Trionfi; ché se troppo spesso all'intento le forze o i mezzi fallirono; se troppo spesso le antiche forme e i fantasmi, cui la vita serena mancava, furon sordi a rispondere; o, tremando la mano dell'artefice, faticosa riuscí la eleganza e aspra la nobiltà del disegno; né a noi spetta giudicare il poeta, né, giudicando, l'opera di lui par meno singolare.

Singolare, dico, se non nell'effetto, nel concepimento e ne' propositi quest'opera, con che Francesco Petrarca, nel colmo della vita e dell'ingegno, pensò, sperò, e, con assiduo infinito travaglio in fin su l'ora della morte, volle fare di sé e del volgare suo lo sperimento supremo, a prova coi classici.

Singolare per la eco immensa di assentimento e di plauso, di che la età che prima la vide, la proseguí; singolare come conclusione di un mondo artistico già scadente, e affermazione e promessa di un nuovo.

Singolare in fine in se stessa: e non tanto per il lavoro miracoloso del verso, e per la stupenda finitezza della rappresentazione, ultimo termine cui aggiunger potesse un'arte informata soltanto dell'ideale erudito; quanto per la stessa inspirazione. Inspirazione, sia pur vero, non poetica, si bene letteraria ed erudita; ma erudizione e retorica son cosí profondamente sentite, l'entusiasmo del letterato è talora cosí sincero e di tanto affetto scaldato, da diventar quasi naturalmente poetico; e la più vaga delicata imagine della poesia d'amore, spontanea e felice si offre a disegnar la maraviglia dell'antica eloquenza:

                  Ed uno; al cui passar l'erba fioriva.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it