Il Petrarca latino di
G.
MARTELLOTTI
All'interno dell'esperienza lirica, che resta il momento fondamentale dell'opera petrarchesca, il rapporto coi classici si configura come colloquio con i supremi modelli di umanità e di moralità, che giunge fino alla confessione di sé alla loro ideale presenza.
Il bisogno di tutto commisurare alla personale esperienza, che è proprio del poeta lirico, agisce sempre o quasi sempre anche nel Petrarca scrittore latino e umanista; e in ciò forse è l'origine prima di quella speditezza di modi che in lui spesso ci sorprende, per cui lo sentiamo tanto più prossimo a noi dei suoi contemporanei, anche là dove egli resta fedele a formulazioni teoriche tutte proprie dell'età sua. Con gli antichi egli visse in una sorta di comunione fraterna: sia che dal loro esempio volesse trarre ammaestramento di vita per sé o per gli altri, sia che nel paragonarsi a loro egli intendesse scusare e nobilitare le proprie debolezze. «Cosí se ti avessi rinfacciato la calvizie, scommetto che avresti tirato in ballo Giulio Cesare» si fa dire da Agostino nel Secretum, in uno dei rari punti in cui il discorso assume un tono di lieve ironia. E il Petrarca ammette: «È un grande conforto essere fiancheggiato da così chiari compagni... Se pertanto mi avessi rimproverato d'essere pauroso al fragore della folgore... avrei risposto che Cesare Augusto soffriva dello stesso male. Se mi avessi detto, e se io fossi, cieco, mi difenderei con l'esempio di Appio Cieco e di Omero, re dei poeti» e via dicendo. Altre volte egli si rivolge direttamente a quegli illustri antichi: cosí nel gruppetto di lettere che chiudono la raccolta delle Familiari, colloquio a tu per tu con Cicerone, Seneca, Varrone, Quintiliano, Livio, Pollione, Orazio, Virgilio, Omero, in cui il Petrarca esprime la propria ammirazione per loro e il rimpianto di non poterne leggere le opere per intero, ma talvolta anche i rimproveri per il loro erato, come se non esistesse più quell'abisso di secoli in mezzo. Atteggiamenti ingenui spesso e che talvolta tradiscono un'azione retorica; ma pur sempre sinceri, come quelli che nascono dal desiderio di evadere da una realtà presente che non soddisfa, di riposare il pensiero in valori che sembrano eterni, sfuggendo per un momento a quell'angoscioso senso della labilità, che il Bosco ha cosí precisamente illustrato come un momento
fondamentale della psicologia petrarchesca. Convalidati da una tradizione illustre, da una auctoritas indiscutibile, gli esempi di quei grandi paiono fermi come scogli nel fluire eterno del tempo.
Per il ravvicinamento continuo di sé agli antichi e degli antichi a sé avviene che gli scritti latini del Petrarca - anche là dove egli si propone di far opera storica - assumano volentieri quel carattere di confessioni che è stato rilevato più d'una volta. Come tali essi possono essere e sono oggetto di studio da parte di chi voglia meglio comprendere quelle più intime confessioni che sono le liriche volgari. Una ricerca di tal genere tende necessariamente a considerare l'opera del Petrarca fuori del tempo. Ma è certo d'altra parte che anche un tale studio, sia esso volto alla ricerca di motivi spirituali o soltanto tecnici, può e deve giovarsi delle precisazioni di chi alle opere latine del Petrarca si è dedicato, considerandole come organismi a sé, aventi una propria vita. Negli ultimi
decenni, per opera soprattutto degli studiosi che attendono all'edizione nazionale delle opere del Petrarca, un lavoro minutissimo si è compiuto in questo senso, che ha permesso di distinguere talvolta nella stessa opera redazioni diverse, databili spesso con estrema esattezza, e di seguire per riflesso lo svolgimento degli studi e delle letture del Petrarca, il formarsi della sua imponente preparazione
filologica. |