CRITICA LETTERARIA: IL CINQUECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Le "Satire" e le "Lettere"
di C. SEGRE



Le Satire nascono dalla compresenza dell'esperienza autobiografica e del gusto inventivo dell'aneddoto che giunge talvolta fino alla creazione della favola, nutrita tuttavia sempre dal concreto senso del ricordo personale. Il tono è quello della conversazione, ma è sostenuto, pur nella sua bonarietà, da un vigore morale, che accomuna vita e poesia. Questa stessa moralità dà sapore risentito e commozione alle Lettere che, anche se fuori delle intenzioni letterarie, danno la misura della grandezza umana dell'Ariosto.

Le Satire hanno di rado, e solo parzialmente, uno scopo pratico (Sat. VI: il Bembo viene pregato di trovare un buon insegnante di greco per Virginio) o didascalico (Sat. V: consigli al cugino Annibale Malaguzzi sulla scelta della moglie , e sulla vita matrimoniale); più spesso esse esprimono il risultato della meditazione, che tende a trascolorare in autobiografia, sulle vicende del poeta. Cosí, momenti tra i più decisivi della vita dell'Ariosto ci appaiono nella luce in cui egli li vide o li ripensò: il rifiuto di seguire il Cardinale in Ungheria (Sat. I); le sgradevoli esperienze a contatto con la Curia romana, in occasione di pratiche per benefici ecclesiastici (Sat. II); la scelta d'una vita tranquilla e semplice presso il duca Alfonso, rinunciando a maggiori ambizioni (Sat. III); le difficoltà del commissariato in Garfagnana (Sat. IV); il rifiuto del posto d'ambasciatore presso Clemente VII (Sat. VII). Ogni volta le notizie sull'argomento della satira s'inseriscono nella prospettiva della memoria e dell'autoanalisi, e danno l'avvio a un giudizio morale ora bonario, ora vivacemente polemico. Intorno al giudizio si svolge un gioco tra soggettivo e oggettivo, perché da un lato l'introspezione s'allarga, alle svolte píú vive del ricordo, in rappresentazione drammatica di episodi (l'incontro deludente con Leone X; le grandezze e le miserie del governo della Garfagnana), dall'altro la meditazione moralistica si fa esempio concreto (il cameriere spagnolo che difende dai postulanti il riposo del prelato; i corrotti parenti e protetti del Papa; i,mariti incapaci di farsi obbedire; i vizi é le vanità degli umanisti) o si purifica in favola (la gazza e il pastore; i contadini che voglion prendere la luna; il pittore premiato dal diavolo; la zucca e il pero). L'autobiografia, insomma, svolgendosi secondo il ritmo del ricordo, si sporge verso la favola; e la favola non ignora, nel suo breve volo, da che suolo abbia preso il balzo per ritornarvi.
Il tono delle Satire è dunque un tono conversativo: modi familiari, anche proverbiali, scherzi amabili, sì da ricordare, più che le Satire, le Epistole oraziane. Mala presenza, abbondante, di espressioni dantesche (che conferiscono al lessico possibilità realistiche); ma la frequenza di definizioni concettose, di suggestive brachilogie, di tagli violenti delle immagini (che rendono robusto, persino asprigno, il tono di certe terzine), mostrano quanto sia lontana nella sostanza la satira dell'Ariosto da quella di Orazio, dettata com'è da un risentimento morale vissuto e sofferto. più che da saggezza edonistica. Non devono insomma ingannare gli atteggiamenti rinunciatari, le lodi all'abitudinarietà serena e alla sedentarietà meditativa: esse hanno una funzione dialettica (mostrare nel risvolto delle rinunce la ferma volontà dell'Ariosto di tutelare il proprio lavoro di poeta) e una polemica (di fronte alle bassezze dell'arrivismo e dell'ambizione).
È chiaro, ora, che se anche poteva configurarsi per l'Ariosto come una forma di violenza il fatto che necessità e volontà esterne gl'imponessero la scelta dell'azione ai danni della contemplazione, a guardar meglio i due estremi del dilemma venivano a integrarsi come polarità ed anzi complementarità entro i confini del suo mondo poetico: l'invenzione, almeno nelle Satire, era stimolata dalla realtà e di essa concretata. In più, la lettura delle Satire ci scopre un altro nesso essenziale tra la vita e la poesia: la moralità, che cosí spesso traspare, nobilitandole, al di là delle attitudini bonarie e affabili dell'Ariosto. Traspare, nelle Satire; e s'impone, alta e libera, nelle lettere, che alle Satire sono per molti rispetti vicine.
Non destinate alla stampa, esse sono scritte in occasioni concrete e con linguaggio spoglio ed efficace. Sulle relazioni a proposito di incarichi ricevuti, sulle epistole di cortesia, sulle suppliche, prevalgono di gran lunga, anche numericamente, le lettere inviate al duca di Ferrara durante il commissariato di Garfagnana: tra le difficoltà del governo e le direttive contraddittorie del principe, l'Ariosto scrive per dar notizie e suggerimenti, per ricevere ordini. La concisa relazione dei fatti, svolta con segno netto e sicuro, diventa a volte quadro unitario e potente; ma quella che si apre una strada sempre più ampia tra una materia in fondo meschina, e reclama immediatamente la nostra attenzione, è la rivendicazione d'una coscienza. Perché la moralità dell'Ariosto, tesa all'universale nelle commedie e nel Furioso, posata sull'estuario della meditazione nelle Satire, nelle lettere è ancora tutta carica del sentimento che l'ha infiammata, erta e vibrante. Questa coscienza combattiva diventa, nella scrittura, quadro di situazioni rigorosamente spoglio, definizione di programmi, rimprovero schietto e coraggioso al principe; diventa, e sono le cose più belle, accorato esame di coscienza, abbattimento, esortazione. Il carattere dell'Ariosto ci si apre insomma senza alcuna mediazione letteraria, e tuttavia con un vigore di stile proporzionato alla statura umana dello scrittore.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it