Dal
"Principe" ai "Discorsi" di G.
SASSO
La differenza tra il Principe e i Discorsi non sta nella contrapposizione tra l'atteggiamento pragmatico-passionale del primo e quello teorico e dottrinale dei secondi, poiché in entrambe le opere i due atteggiamenti variamente si intrecciano. Quindi i Discorsi non devono essere considerati un sistema di massima e di riflessioni generali nello stato, ma un'analisi appassionata della realtà politica attuale, giudicata nel confronto con il modello ideale dell'antica storia romana.
Tra il Principe e i Discorsi sussistono differenze di tono e di impostazione che sono fondamentali per comprenderne l'esatto significato storico. Ma non già perché - come da più parti si è detto - il Principe nasca dal vivo di una incontenibile passione politica, dallo stato d'animo di un uomo che cercava di riprendere contatto con i grandi problemi del presente, di comprenderli e, sopra tutto, di trasformarli, e i Discorsi invece da un atteggiamento di pura indagine scientifica, da un interesse teorico del tutto epurato dalle scorie della passione, e tanto più disposto perciò a cogliere gli «eterni veri» della «scienza politica». In realtà, né il Principe è opera di passione scevra di teoria, né i Discorsi son opera di pura teoria scevra di passione: nati in due momenti ben distinti (se pure assai vicini) della vita morale del Machiavelli, traggono entrambi dalla sofferenza storica del loro autore, dalla sua amara e drammatica consapevolezza della estrema rovina di un mondo, il loro diverso significato e il loro diverso mordente politico. E la differenza che certo sussiste tra le loro impostazioni, deriva non da una disposizione puramente scientifica dell'una a paragone di quella tutta pragmatica e passionale dell'altra, ma da un diverso modo di considerare i grandi problemi della situazione storica e dell'azione politica, da un atteggiamento della mente che in un caso cerca di spiegare, attraverso l'esposizione di un'organica concezione dello stato, le ragioni profonde della crisi e della decadenza italiana, e nell'altro tenta invece di far scaturire da quella stessa società dilaniata e sconvolta una forza eccezionale, capace di arrestarne la decadenza e di operare il miracolo della sua «redenzione». Da questo punto di vista, a paragone dei Discorsi, il Principe perde in profondità e compiutezza di indagine storico-politica tutto quel che guadagna in potenza di rilievo, in drammaticità di rappresentazione, in sforzo consapevole di costruzione politica: perché se i Discorsi delineano in un giro più ampio e comprensivo di ragionamenti il progressivo sfacelo della società italiana, e ne colgono il limite fondamentale nell'atto stesso in cui lo superano in un'adeguata concezione dello stato, il Principe svolge il suo tentativo in una prospettiva volutamente più angusta, raggiunge il suo pieno significato storico e politico proprio nell'estremo rigore con cui il Machiavelli accetta fino in fondo le conseguenze della sua impostazione. La grandezza del Principe sta perciò non solo nella lucida consapevolezza della disperata «inclinazione» dei tempi, ma nel rigore con cui lo scrittore cerca di comporre tale sua consapevolezza in forme politicamente positive: fino al punto in cui solo l'appello ad una soluzione apertamente e consapevolmente passionale, arbitraria ed unilaterale, darà la piena misura di questa estrema fedeltà ai termini politici dell'impostazione.
I Discorsi nascono dunque non come sistema di massime, di riflessioni «generali» sulla natura dello stato - dello stato che è uguale dovunque perché pertiene ad un momento eterno dell'agire umano - ma come libro di meditazioni sulla storia italiana e fiorentina, come opera politica che attinge la sua profondità e il suo significato dall'analisi storica che la sorregge e la condiziona, come riflessa coscienza di due secoli di storia comunale e signorile. Per questo, non si riesce a comprendere come nei Discorsi si sia potuta denunciar la mancanza di una critica delle istituzioni fiorentine e di ogni ombra di meditazione storica sulla sua città: ed in realtà, chi ripetesse questa affermazione, dimostrerebbe di non esser andato al di là dello schema esterno dell'opera, e di essersi lasciato sfuggire la sostanza del suo concreto significato storico. In poche altre opere di pensiero !politico, come nei Discorsi, è in effetti possibile seguire con tanta precisione, e
così organicamente, la genesi della costruzione teorica dalla critica delle condizioni politiche di uno stato, delle sue strutture, della sua tecnica politica, della
virtù dei suoi cittadini, dell'organizzazione dei suoi «ordini» e delle sue «leggi», cioè delle sue istituzioni. E chi pensi che questo non è tanto un aspetto di quest'opera, ma il suo carattere fondamentale, il criterio supremo della sua grandezza e del suo significato storicospeculativo, comprenderà bene come sia piuttosto grave non accorgersene al punto da lamentarne la mancanza! I Discorsi non sono dunque opera di astratta costruzione dottrinale: non perseguono il significato dello stato «in generale» (dal momento che il Machiavelli è del tutto estraneo a questa malinconica problematica), ma di quello fiorentino in particolare: ed è solo, attraverso la acutissima indivíduazione dei limiti di quella situazione storica, che egli riesce a delineare una concezione in cui l'esperienza comunale e signorile è chiaramente superata e già si annunciano i primi tratti dello stato
moderno. |