Il
"Furioso" come grande "romanzo" del Cinquecento di
L. CARETTI
L'Ariosto riceve una materia cavalleresca già svuotata dei suoi tradizionali valori, ciò che gli permette la maggior libertà di invenzione e di originale arricchir?erto. Negli schemi cavallerescbi il poeta riversa gli ideali e le passioni degli uomini del suo tempo, creando il «romanzo» del secolo, come variatissimo intreccio di avventure, di motivi, di personaggi. L'interesse del Furioso è appunto in questa convivenza di temi, di figure e di sentimenti, condizionati tutti dall'azione, che con il suo inesauribile movimento determina il carattere narrativo più singolare del poema: quello di non avere un principio e una fine prestabiliti, ma di presentarsi come un intreccio di vicende che continuamente e liberamente si rinnovano, riproducendo il ritmo stesso della vita.
Si può parlare di un incontro congeniale tra il poeta e il poema cavalleresco, tra le sue esigenze di narrativa avventurosa e molteplice, cioè di spazio illimitato, e la disponibilità inesauribile di intrecci, di scomposizioni e ricomposizioni sempre nuove della materia, che quel genere letterario gli offriva. Sì che una volta chiarito il carattere seriamente deliberato della scelta ariostesca, come opzione naturale per il luogo più adatto e confacente allo spirito dinamico ed espansivo dell'opera nuova, sembra senza fondamento anche l'altra asserzione che l'Ariosto non abbia sentito la materia del proprio poema (le istituzioni cavalleresche) e che anzi l'abbia sottoposta all'assidua usura dell'ironia e della satira. Perché cosí facendo, mi sembra che si tengano d'occhio soltanto i dati esterni del Furioso (appunto la materiale evidenza dei suoi oggetti), e non si voglia invece vedere la ricca, animosa e gagliarda vita che vi scorre dentro con pienezza inusitata. Dietro il mondo fittizio delle figure e degli intrecci tradizionali, ciò che veramente costituisce la grandezza e l'originalità del Furioso sono l'energia attiva che gli dà slancio e lo sorregge da cima a fondo, l'empito fiducioso che ne pervade ogni pagina e la illumina, la varietà dei motivi che vi troviamo espressi e che sentiamo fortemente radicati nel cuore del poeta. La ragione della perplessità di tanti lettori, di fronte al tono generale dell'opera, consiste forse nel fatto che tra le due vie che gli si aprivano davanti, quella di battere in breccia le vecchie ímpalcature della letteratura romanzesca e quella di rinnovarle dall'interno con arte abilmente dissimulata, fingendo di prestarsi al vecchio gioco e in realtà ímmettendo in quel consunto scenario le forme della nuova sensibilità rinascimentale, l'Ariosto ha scelto la seconda. Mancando cosí visibilmente l'azione violenta di rottura, si è stati indotti a guardare ancora alla materia cavalleresca come al vero oggetto della poesia ariostesca. Onde poi l'impressione di ambiguità nel tono dell'opera e l'accusa al poeta di indifferenza morale e di scetticismo. In verità occorre proprio capovolgere i termini della questione, giacché l'Ariosto ci appare del tutto estraneo ormai, per mentalità e condizione storica, allo spirito aggressivo e polemico del Pulci come a quelle, candido ed emozionale del Boiardo, per i quali ancora è consentito istituire un rapporto concreto di reazione o di adesione tra la loro poesia e le istituzioni cavalleresche. Le quali istituzioni, essendo ormai superate definitivamente dalla coscienza rinascimentale nelle ragioni storiche e spirituali su cui erano state originariamente edificate, si riducevano nelle mani dell'Ariosto a puri elementi di più comoda mediazione letteraria. Anziché ad esse, perciò, occorre soprattutto guardare allo straordinario margine di libertà che l'Ariosto ha saputo conquistarsi entro i vecchi . schemi. Perché ciò che conta non è notare quanto l'antica materia appaia nell'Ariosto irrimediabilmente svuotata dei suoi tradizionali valori (quasi che ciò dipendesse dall'azione corrosiva del poeta e non già dalle profonde trasformazioni operate dalla storia), ma piuttosto di quale e di quanta originale vita essa risulti arricchita per eccezionale compenso.
Se ci si persuaderà che la vera materia del Furioso non è costituita dalle antiche istituzioni cavalleresche ormai scadute nella coscienza cinquecentesca, ma propriamente da quella moderna concezione della vita e dell'uomo che in ogni pagina del poema è presente e liberamente celebrata (e non in antitesi con la vecchia, ma in se stessa, disinteressatamente, tanto perentoria è ormai la sua forza autonoma), apparirà chiaro che l'Ariosto non è affatto indifferente alla propria materia, ma partecipa ad essa con tutto il suo impegno. Anzi, è egli stesso che la suscita, la foggia e la definisce, trasformando cosí il poema cavalleresco in romanzo contemporaneo, nel romanzo cioè delle passioni e delle aspirazioni degli uomini del suo tempo. E se tutto questo è avvenuto senza visibile spargimento di sangue, ma nella forma più semplice e naturale, il grande merito è da ricercare in quella condizione di straordinaria saggezza che l'Ariosto aveva saputo attingere attraverso un'attiva esperienza della vita. Quella saggezza consisteva in un'apertura serena e cordiale verso il mondo, fondata sulla conoscenza dell'uomo, della sua varia e anche contraddittoria natura, e sull'accettazione della realtà in tutti i suoi aspetti.
Proprio questa apertura verso il mondo, che caratterizza l'atteggiamento fondamentale dello spirito ariostesco, induceva il poeta a rivolgersi con interesse egualmente vivo a ogni manifestazione umana, a ogni sentimento, senza tuttavia risolversi in nessuno di essi in particolare. Questa
virtù, veramente eccezionale nell'Ariosto, di concedersi sinceramente ogni volta alla verità di un affetto, di una passione, e quindi di riprendersi al momento giusto per rivolgersi ad altro affetto, ad altra passione, spiega la particolare natura della narrativa aríostesca fondata essenzialmente sulla fluidità dinamica dell'azione, e quindi sulla velocità dei trapassi e sui mutamenti improvvisi di situazione. A un'arte siffatta sembra ozioso rimproverare l'assenza di personaggi di forte rilievo e di complessa psicologia, cosí come di un sentimento dominante. Non è difficile infatti rispondere che l'Ariosto non mirava a figure autonome, alla creazione di caratteri veri e propri, né in senso obbiettivamente realistico né come riflesso lirico e intimista della propria autobiografia. Egli intendeva piuttosto creare delle figure che, di volta in volta, riflettessero soltanto un aspetto
tipico della natura umana e non già che ne esaurissero l'infinita varietà. Agiva dunque nei confronti dei personaggi con intenti riduttivi e semplificatori, senza preoccuparsi di una immediata e circostanziata definizione sentimentale (del ritratto a tutto tondo, in piena luce), ma curando soprattutto la coerenza dei loro atteggiamenti nell'orditura complessiva dell'opera. Perciò la vita affettiva dei personaggi ariosteschi non è mai approfondita, se non per scorci rapidissimi e essenziali, nella sua interna dialettica.
Alla varietà dei personaggi corrisponde poi un'altrettanto ricca pluralità di motivi, di cui nessuno preminente. Neppure l'amore, che tuttavia costituisce il tema più frequente del poema. Prima di tutto perché l'amore nel Furioso si manifesta in modi diversi e talvolta addirittura contrastanti (da quelli puri e patetici a quelli sensuali e voluttuosi, da quelli eroici a quelli semplicemente puntigliosi, da quelli tragici a quelli comici e realistici), si che nessuno saprebbe dire quali dei tanti «amori» ariosteschi può essere legittimamente considerato motivo fondamentale dell'opera; in secondo luogo perché accanto all'amore ci sono, nel poema, molti altri sentimenti espressi con altrettanta intensità e sincera adesione da parte del poeta: i temi dell'amicizia, della fedeltà, della devozione, della gentilezza, della cortesia, dello spirito d'avventura. E accanto ai temi per cosí dire «virtuosi» non mancano i temi opposti, non meno schietti dei primi: quelli dell'infedeltà, dell'inganno, del tradimento, della superbia, della violenza, della crudeltà. Non basta. Come la vita dei personaggi, anche quella dei sentimenti è, nell'opera ariostesca, una vita cosí strettamente correlata che i vari temi dell'opera s'intrecciano tra loro condizionandosi a vicenda e richiamandosi l'uno con l'altro per affinità o per contrasto. L'alternanza perciò, anche contigua, di motivi tra loro opposti (ad esempio: il tragico sublime immediatamente rincalzato dal grottesco), che ha creato tanta perplessità nei lettori del Furioso e ha fatto pensare a una ambiguità sentimentale del poeta (al punto che taluno non ha voluto concedere serietà d'ispirazione se non all'uno o all'altro di quei motivi ), in realtà corrispondeva alla disposizione dell'Ariosto a rappresentare con fedeltà il particolare nel molteplice, evitando con cura che ogni particolare di cui la natura è doviziosamente dotata risultasse isolato e brillasse di vita propria e indipendente. Onde le smorzature repentine, l'alzarsi e l'abbassarsi tempestivo dei toni.
L'unità del Furioso è dovuta all'opera di sapiente armonizzazione che l'Ariosto ha saputo compiere per ridurre a cordiale e naturale convivenza i molteplici temi, anche contrastanti, di cui il poema è contesto. Un'opera che solo lo scrittore, in quanto uomo dell'arte, può realizzare interpretando e rappresentando la vita degli uomini della natura (i personaggi univoci della finzione poetica), soggetti agli impulsi esterni e spesso anche vittime di essi. Lo scrittore, infatti, è ormai al di fuori della vita intricata degli impulsi. È colui che, per averli conosciuti tutti nella loro essenza e nelle loro contraddizioni, può controllarli interamente e quindi raffigurarne con lucido coordinamento, cioè in unità, l'assidua complicazione. Questa condizione di eccezionale libertà conferisce all'Ariosto quella sua rara
virtù di sereno e obbiettivo distacco, quell'autentica saggezza che è stata erroneamente giudicata come indifferenza o superficialità sentimentale.
Se il Furioso doveva riflettere, nelle intenzioni del suo autore, tutti gli aspetti della vita sensibile nella molteplicità dei loro rapporti, ben si comprende come il movimento, cioè l'azione, dovesse costituirne l'aspetto dominante e come il romanzesco (per il complesso gioco delle complicanze e la serie dei mutamenti che offriva) dovesse risultarne la forma più naturale e consentanea. Il poema non ci offre pertanto una struttura chiusa (una cornice a contorni fissi, con figure e sentimenti energicamente scolpiti a forte rilievo), ma una struttura estremamente aperta, tutta percorsa da una energia dinamica, nella quale non appare alcun centro stabile, alcun luogo preminente, cosí come ne risulta esclusa una durata prestabilita. Tutti i luoghi del Furioso (da quelli pittoreschi o grandiosi a quelli semplici e familiari, dai civili castelli alle selve inospiti, dai
giardini e dagli orti alle lande aspre e deserte, dalle città alle campagne: dall'Occidente all'Oriente, dalla Terra alla Luna), tutti i luoghi della inesauribile geografia ariostesca divengono infatti, di volta in volta, temporanei centri della vicenda, punti vitali di confluenza o di intersezione di alcune delle sue direttrici. Per tal modo l'Ariosto alla cosmogonia teocentrica medievale sostituiva definitivamente una cosmogonia antropomorfica nella quale il centro era, in ogni momento, liberamente variabile.
Questa varietà di luoghi, questo mutare continuo di prospettive, contribuiscono a creare quell'impressione di vasti orizzonti e di distanze illimitate che e uno degli aspetti più suggestivi del poema. E dentro a questo profondo spazio le azioni si svolgono, si intrecciano e si aggrovigliano in modi quasi sempre inattesi, secondo una nozione del tempo che non è se non raramente quella statica della contemplazione lirica, ma piuttosto quella varia, accidentata e inesauribile della storia. Qui è il segreto della durata narrativa del Furioso, la quale non conosce argini neppure nella morte e si dilata al di là di essa, rispecchiando il perenne fluire della vita.
Questa è la ragione per cui il Furioso ci appare come un libro senza vera conclusione, come un libro perenne. Anche se protratto felicemente per lunghissimo corso, il suo impeto narrativo non appare mai definitivamente esaurito. Sentiamo, invece, che la grande avventura, il viaggio meraviglioso, si prolunga idealmente oltre le pagine scritte, senza incontrare mai, neppure nelle ottave finali, un ostacolo invalicabile. Non c'è nel poema un vero e proprio congedo, proprio perché vi
manca la catastrofe risolutiva. La morte di Rodomonte è, infatti, un «accidente», non una catastrofe; e il matrimonio tra Ruggiero e Bradamante serve appena come «lieto fine», già scontato e in fondo provvisorio, di uno dei nuclei narrativi dell'opera e non già come conclusione perentoria (conclusione senza residui) di tutta la complessa storia ariostesca. Potremmo perciò definire il Furioso come l'aureo capitolo di una vicenda a cui è ignota qualsiasi forma di piano provvidenziale e nella quale si rispecchia piuttosto il senso libero, estroso, incalcolabile e inesauribile della vita. Di qui la suggestione di un movimento che sentiamo preesistere alle prime parole dell'esordio («Le donne, i cavalier, Tarme, gli amori... ») e ancora prolungarsi oltre l'ultima immagine («Alle squallide ripe d'Acheronte...»). |