DIZDAREVIC "NON SAPEVA"?!

UN ARTICOLO DI PESSIMO GUSTO
Il signor Zlatko Dizdarevic - divenuto famoso negli scorsi anni per i suoi interventi sui giornali di mezzo mondo a favore dello Stato-fantoccio separatista bosniaco, retto da un regime islamista, celebrato giornalista del povero quotidiano "Oslobodjenje" che stampava negli scantinati ma veniva venduto anche nelle edicole delle stazioni di tutte le metropoli occidentali, corresponsabile della campagna diffamatoria e razzista contro gli abitanti della Bosnia di religione ortodossa dietro agli slogan ipocriti di "Sarajevo libera" e "Bosnia multietnica", critico persino verso il maggiore regista jugoslavo contemporaneo Emir Kusturica, del quale ha disprezzato il film "Underground" per difetto di patriottismo, attivo nel richiedere l'intervento di UE e NATO in Bosnia-Erzegovina fino ai bombardamenti del 1995, oggi direttore della rivista filo-occidentale (ed in Occidente finanziata) "Svijet" - continua nonostante tutto ad essere ospitato sulla stampa nostrana.

Riportiamo un suo intervento di pessimo gusto - "anima bella" o cinico sfacciato? - nel quale scarica ogni sua responsabilita' rispetto al carattere reazionario e persino stragista del potere sarajevese, carattere del quale, dice - anzi: non dice -, "era all'oscuro". Dizdarevic non era all'oscuro di nulla: sapeva la storia politica di Alija Izetbegovic, sapeva le convergenze internazionali, sapeva che i serbi di Bosnia non erano "occupatori", sapeva che Sarajevo era abitata da centinaia di migliaia di serbi, conosceva la storia del nazismo presente in Bosnia durante la II G.M.
Dizdarevic sapeva tutto.

L'articolo che segue e' uscito su "il manifesto" del 27 Novembre 1998 e su "Svijet" del 30 novembre 1997:


SARAJEVO/DOCUMENTI

Non sapevamo

ZLATKO DIZDAREVIC

Ogni giorno che passa è sempre un motivo in più per concludere che, nonostante tutto, non siamo molto diversi dal resto del mondo, per quanto ci sforziamo nel produrre un sentimento nostro e permanente su quello che per noi "non ha eguali". Ci raggiunge anche quella verità per la quale anche il coraggio personale a confronto con le nostre proprie sofferenze è la parte più forte. Abbiamo provato orrore per quelli che negli anni passati hanno chiuso gli occhi sulla tragedia e si sono giustificati col dire "non sapevamo", paragonandolo a quel "non sapevamo" della prima metà del secolo, per quello ci siamo spaventati e li abbiamo un po' disprezzati. Per quel disprezzo verso di loro ne siamo venuti fuori un po' più forti e un po' più convinti di noi stessi, con un sentimento di intima nobiltà d'animo. Ci siamo perfino affrettati a trasfondere quel sentimento nei nuovi manuali scolastici in cui si legge che le caratteristiche fondamentali del Bosniaco sono l'onestà, il coraggio, l'amore della verità, e ciò che è rimasto della devozione alla fede [SIC!], etc. Il tutto così, in bianco e collettivamente. Quei ragazzi e quelle ragazze un po' languidi nelle nostre scuole, a livello di compiti di verifica, hanno già levato il loro grido di disprezzo per tutto ciò che appartiene al "resto del mondo", in letteratura, storia, patrimonio culturale, nell'arte e così via, rispetto a "noi", perché quella è la via più sicura per ottenere un buon voto. Così patriotticamente, perché in noi stessi non c'è quel "non sapevamo", non c'è vigliaccheria davanti al mondo e a noi stessi, non c'è il chinare la schiena e guardare sotto o verso...

E' poco. Bisognava che la vita ci ridesse in faccia. Ecco, noi oggi "non sappiamo" come le storie sui crimini a Sarajevo abbiano a che fare con noi. Come noi non sappiamo che cosa succedeva a Kazanj [il luogo dove sono situate le fosse comuni con i cadaveri di decine e decine di serbi di Sarajevo; le decine di migliaia di serbi che abitavano Sarajevo sono fuggite all'inizio del 1996 per non entrare a far parte di uno Stato che considerano politicamente ostile; n.d.crj] , non sappiamo il chi e il come, non sappiamo per quale ragione a tutt'oggi siano ignote le tombe delle vittime brutalmente uccise. Noi non sappiamo quello che sappiamo, non ricordiamo quello che ricordiamo, non racconteremo quello che per anni abbiamo sussurrato [SIC!]. La vigliaccheria e le menzogne sono state ridotte ad angoscia e sofferenza. Il partito di governo e i suoi leaders non sapevano niente. Allora minacciano di accusare in tribunale il giornalista che li ha menzionati nel "Dossier Caco", presentando la prova del fatto che "già nel 1993 gli organi di potere erano stati avvertiti per iscritto...". Erano stati avvertiti, però non sapevano. E se invece sapevano, ed erano stati avvertiti, perché non hanno fatto nulla, visto che solo loro potevano fare qualcosa, sia allora che adesso? "Non sapevano" neanche alcuni redattori che allora dichiararono ai partiti - è riportato nei libri - che per loro fosse "più importante la sicurezza dei giornalisti, piuttosto che qualche verità su di loro..". Come pure "non sapevano" né quelli che svolgevano le indagini, né i becchini, né coloro che erano stati contrari alla riesumazione. Non hanno voluto sapere neanche gli intellettuali perfino nel 1996, quando già da parecchio tempo tutto era finito, perché "non è da loro immischiarsi in qualcosa su cui non sia stata fatta chiarezza fino in fondo". E la città ha tremato dietro le saracinesche abbassate aspettando che almeno qualcuno sciogliesse il dilemma: chi è il criminale? Chi è la vittima? Ma per quel gesto ci voleva coraggio. Non conta se l'abbia fatto qualcuno da qualche parte, sia nella vita che in quei manuali ricordati. Là dove tutto può essere il contrario di tutto, dove il rosso può essere bianco e viceversa, anche quel qualcuno non avrà una grande sorte. E per noi che, ecco "non sapevamo", è come se quasi questo ci faccia piacere. Ed ecco che ora anche lo scrittore tutto umanità e coraggio è "uguale" a quello che in eterno terrorizza chiunque sia libero e normale su questa terra, e lo fa in nome della fede e del partito. Ora i pochi topi di cantina sono la stessa cosa di quelli che hanno offerto se stessi per i più dubbi sentimenti patriottici. Ora "non sappiamo" più come e quali farabutti si erano impadroniti del potere e del piacere, "non sappiamo" chi ci abbia fatto questo, nel nome di chi e di che cosa. Ora finalmente, siamo uguali a quelli che "non sapevano" prima degli anni Cinquanta, o a quelli che "non sapevano" nulla di noi per 56 anni e che per questo abbiamo disprezzato. Come tali, tutto questo un po' mi riguarda [bonta' sua! n.d.crj], siamo ancora lontani dai manuali e da quei nostri sentimenti di cui noi stessi abbiamo scritto. A noi rimane solo il coraggio, il coraggio di averlo saputo.


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