CONSERVATORIO DI MUSICA
“G. VERDI” DI MILANO

Corso di
Cultura Musicale Generale
(Joanne Maria Pini)


CORRISPONDENZE
fra suoni e colori
(parte prima)


Kandinskij: Luce
Kandinskij: Luce (1930)

Presta le tue orecchie alla musica, apri i tuoi occhi alla pittura, e... smetti di pensare!
Chiediti solamente se lo sforzo ti ha permesso di passeggiare all'interno di un mondo
fin qui sconosciuto. Se la risposta è sì, che cosa vuoi di più?
(Vassilij Kandinsky)

Ricerca di:
Jacopo Jerzy Grasso


ANNO ACCADEMICO 2004/2005





Indice
 

 

Introduzione

I suoni e i colori

La musica e la pittura moderna

Kandinskij e la musica

La musica e l'ineffabile

 

vai alla seconda parte

 

[CORRISPONDENZE]

 

 


Introduzione



Se già i romantici tedeschi avevano vagheggiato una fusione di tutte le arti mettendo in luce l'esistenza di una reciprocità di rapporti tra musica, pittura, architettura e poesia, e Wagner col suo wort-ton-drama ricercò l'opera totale, dalla seconda metà del XIX secolo, all'alba di una stagione di secondo romanticismo, a questo tema si potranno ricondurre le più radicali innovazioni in tutti i campi artistici. Numerose istanze, non di rado contraddittorie, vi confluiranno a dar vita a quadro culturale di grande complessità e ricchissime implicazioni.

La nascente "società di massa", prospettata dai progressi scientifici e tecnologici, vede assieme il trionfo del positivismo e i primi germi del suo rigetto, l'esaltazione dei successi del paradigma scientifico moderno e la critica della sua presunzione di onnicomprensività esaustiva, che sfocerà nella moderna crisi delle certezze verso ogni "sapere costituito". Inoltre l'emergere della "questione sociale" e delle sue manifestazioni conflittuali spinge molti artisti a interrogarsi sul ruolo proprio e delle pratiche artistiche: ciò che avrà diversi esiti, dall'impegno sociale di tanti narratori naturalisti alla rivendicazione di una suprema autonomia dell'arte ("arte pura, arte per l'arte"). Qust'ultima a sua volta potrà essere letta come affermazione di una nuova libertà creativa, svincolata da canoni naturalistici e istituzionali, o rivendicazione di specifiche capacità dei linguaggi artistici nell'indagare ed esprimere "realtà" più essenziali e profonde, o aristocratico isolamento dal mondo degradato e imbruttito delle merci.

Ciò che accomuna le diverse istanze e ricerche sopra accennate è la crescente e via via più diffusa consapevolezza intorno alla natura propria di ciascun linguaggio artistico, sviluppata anche nell'impegno di ciascuno ad andare oltre i propri "limiti costitutivi" nel confronto con altre arti o con altri campi della produzione intellettuale. Ben noti sono i molteplici effetti della diffusione di arti nuove come la fotografia prima, il cinema poi (pensiamo ad esempio ai diversi percorsi della pittura verso l'astrattismo o alla tensione futurista a rappresentare nell'immagine fissa sulla tela il dinamismo e il movimento).

La "musica sopra ogni cosa" (Verlaine, Arte poetica) verrà a costituire, in particolare agli occhi di poeti e pittori, un termine di riferimento obbligato. Scrive Hellmuth Christian Wolff: "...proprio nella misura che gran parte della pittura moderna si richiama alla pura astrattezza dei processi formativi musicali s'impone necessariamente un esame dei rapporti e delle interferenze fra musica e pittura".
Ma già Baudelaire, il poeta che, con Rimbaud, Verlaine e Mallarmé, sarà considerato caposcuola di quel simbolismo che farà della sinestesia la figura retorica più rappresentativa dell'operare artistico, aveva aperto la strada alla particolarissima attenzione e sensibilità verso il rapporto tra i linguaggi dell'arte che caratterizzerà la stagione a venire, ben al di là delle nostalgie di scuola romantica riguardo a una qualche perduta unità da ricomporre.

A conclusione della sua “Microscopia dell’ultimo Spleen nelle Fleurs du mal”, Roman Jakobson (Poetica e poesia, Torino, Einaudi 1985, pp. 320-338) dice di Baudelaire:
Il “furore del gioco fonico”, come lo ha definito Ferdinand de Saussure nella sua lettera a Meillet, e l’intreccio insolito dei significati formali, grammaticali, dunque astratti, non possono non giocare un ruolo fondamentale nell’opera del poeta che considerò la lingua e la scrittura “come operazioni magiche, magia evocatrice” e dichiarò l’arabesco ”il più ideale di tutti i disegni” (Fusées VI, XVII). Nel suo studio magistrale sull’opera di Eugène Delacroix e in accordo con le opinioni dello stesso pittore, Baudelaire, pur riconoscendo la qualità drammatica del soggetto in arte, confessa che la linea, con le sue sinuosità, è capace di penetrarlo “di un piacere del tutto estraneo al soggetto” e che una figura ben disegnata “non deve il suo fascino se non all’arabesco che essa ritaglia nello spazio”. Egli esalta la nobiltà dell’astrazione contenuta nella linea e nel colore dell’artista. Evidentemente la grammatica della poesia deve aver conquistato “il letterato”, che rifiutava come segno di debolezza morbosa ogni “entusiasmo che si volge ad altre cose che ad astrazioni“.

Pur consapevole della mia inadeguatezza culturale e... anagrafica (ho 14 anni, e non sono un "adolescente prodigio") di fronte a un tema di tale vastità e complessità, ho accettato di confrontarmi con gli stimoli che il m°. Joanne Maria Pini mi ha offerto (tenendo conto probabilmente dei miei studi musicali paralleli alla frequenza di un liceo artistico, e della mia provenienza familiare caratterizzata dalla comune passione per la musica, le arti figurative e la letteratura).
Questa ricerca raccoglie alcuni di questi stimoli e suggerimenti che, presentando prospettive variegate e talvolta anche discordanti, potrebbero costituire una base per sviluppare riflessioni ed eventuali nuovi e originali punti di vista su un argomento di indiscutibile fascino e interesse: ciò che mi ripropongo certamente di sperimentare, quando mi sentirò più maturo e autonomo nelle mie acquisizioni culturali. (J.J.G.)

 

 

 

I suoni e i colori

Maurice Touzé in questo articolo (da me tradotto e leggermente ridotto) affronta con un taglio prevalentemente scientifico la questione dei "rapporti misteriosi" fra la pittura e la musica. In primo luogo mettendo in luce gli errori più comuni fra quanti hanno proposto corrispondenze e analogie fra suoni e colori; in secondo luogo proponendo un metodo di comparazione fondato sulle relazioni istituibili fra spettro dei colori e spettro dei suoni, o "circolo delle quinte" e affermando con forza il seguente principio: "Un suono non evoca per se stesso alcun determinato colore e un colore non evoca per se stesso alcun suono determinato, noi possiamo sovrapporre i due spettri non importa come in rapporto l'uno all'altro. Noi non dobbiamo cercare di sapere se il tal suono è blu o giallo, ma se i colori si comportano fra di loro come i suoni". (J.J.G.)

 

Introduzione
Fra la pittura e la musica esistono rapporti misteriosi, affinità segrete, per cui queste due arti in molti casi ci emozionano parallelamente. Vetrate di cattedrale e canti di chiesa, fanfare e bandiere che sventolano ci suggeriscono armonie concordanti.
Del resto, suoni e colori sono entrambi fenomeni vibratori della stessa natura, di cui noi siamo i ricettori: più rapidi per i colori, meno rapidi per i suoni. È la vibrazione che, in definitiva, suscita l'emozione.
Due sono gli errori generalmente commessi da quanti hanno cercato corrispondenze e analogie fra musica e pittura.
Primo errore. - Alcuni paragonano i colori dello spettro ai suoni della gamma diatonica. Queste due cose non sono comparabili, perché se lo spettro contiene tutti i colori utilizzati in pittura, la gamma diatonica non contiene che la metà dei suoni utilizzati in musica. Inoltre, questa gamma è caratterizzata dall'irregolarità dei toni e dei semi-toni. Ne risulta che paragonare i suoni della gamma diatonica ai colori dello spettro equivale a paragonare la metà dei fenomeni sonori a tutti i fenomeni di colore, e una sequenza irregolare di suoni a una sequenza regolare di colori.
Secondo errore. - Altri hanno giustapposto i colori dello spettro a tutta la serie dei suoni percepibili, dal più grave al più acuto, trascurando un fatto della massima importanza: che i fenomeni sonori si riproducono periodicamente di ottava in ottava, ciò che non accade per i colori.
Il nostro orecchio percepisce otto ottave (da 32 a circa 8000 vibrazioni al secondo), mentre il nostro occhio una sola (da 375 trilioni a 750 trilioni di vibrazioni al secondo). Perciò paragonare tutta la serie sonora udibile alla serie di colori visibili significa paragonare otto volte la stessa cosa a una sola altra cosa.
Dunque la difficoltà consiste nel rendere comparabili i suoni e i colori, e questo mi porta a parlare dello spettro dei colori e dello spettro dei suoni.

Lo spettro dei colori e lo spettro dei suoni

spettro colori-suoni

Si sa che facendo passare la luce bianca attraverso un prisma, la si scompone nei suoi elementi costitutivi. I colori che vibrano meno si dispongono da una parte, quelli che vibrano più velocemente dall'altra. Non ci sono altri colori che quelli, e tutti i quadri del mondo sono composti da loro e dalle loro combinazioni.
È facile riprodurre i colori dell'arcobaleno sulla tavolozza, nel modo seguente:
mettiamo i tre colori detti primari (blu, giallo, rosso) ai vertici di un triangolo equilatero. Fra due colori vicini, collochiamo il colore risultante dalla loro mescolanza. Così, fra il blu e il giallo, risulterà il verde. Fra il giallo e il rosso l'arancione, e fra il rosso e il blu il viola.
Ripetiamo un'altra volta la stessa operazione. Fra blu e verde ricaviamo il turchese, fra verde e giallo il giallo-verde. Otteniamo una serie di dodici colori che si succedono in modo regolare e continuo, formando una sorta d'arcobaleno su carta che costituisce il nostro spettro dei colori.
Possiamo ottenere qualcosa di analogo coi suoni?
Niente di più facile.
Comincio scrivendo una nota qualunque: la bemolle, per esempio, poi la faccio seguire dalla sua quinta mi bemolle, poi la quinta di mi bemolle che è si bemolle e via di seguito. Dopo dodici volte arrivo a sol diesis, che è enarmonicamente equivalente al la bemolle di partenza. Così, di quinta in quinta, e a eguale distanza l'uno dall'altro, ho collocato tutti i suoni utilizzati in musica nel sistema temperato.
Per comodità di confronto, dispongo questi dodici suoni su una circonferenza e ottengo il circolo delle quinte, che chiamo spettro sonoro, analogo al circolo dei colori.
Questa maniera di ordinare i suoni per quinte non è solamente logica, ma ci è proposta dalla storia della musica, ove affonda le sue profonde radici. La lira di Orfeo, i canti popolari e le antiche cantilene di cinque note, i canti del Tibet, dell'Equatore, dell'Irlanda e della Bretagna, le modalità diatoniche greche, latine, mussulmane e certe modalità indù sono sempre costituiti da una sequenza di quinte.
NOTA BENE - Un suono non evoca per se stesso alcun determinato colore e un colore non evoca per se stesso alcun suono determinato, noi possiamo sovrapporre i due spettri non importa come in rapporto l'uno all'altro. Noi non dobbiamo cercare di sapere se il tal suono è blu o giallo, ma se i colori si comportano fra di loro come i suoni.

Gli accordi neutri e i grigi
La maniera più semplice per ottenere il grigio in pittura, consiste nel mescolare due colori detti complementari. Li troviamo alle estremità di un diametro qualunque del circolo dei colori: rosso e verde, per esempio. Attraverso la loro mescolanza essi si distruggono.
Questa proprietà non si riscontra mai fra due colori scelti in altro modo.
Ora, cosa curiosa, se facciamo ascoltare due suoni presi alle estremità di un diametro qualunque del circolo dei suoni, mi bemolle e la, per esempio, otteniamo una sonorità molto importante in musica, cioè il tritono, terrore dei cantori del Medioevo. Il Tritono presenta un carattere indeterminato; non interroga, non conclude; è neutro. Non dice sì e non dice no, dice "forse". Non è gaio né triste, è amorfo. Questa prerogativa non appartiene che a due suoni diametralmente opposti. Potremmo chiamarli "suoni complementari", per analogia con i colori.
Gli esempi abbondano. Così Chausson, in Amour d'Antan, lascia l'ascoltatore in sospeso con una piccola frase costruita su un Tritono:

Chausson

Scopriamo una prima analogia fra i suoni e i colori: per ottenere il grigio con due colori o un accordo neutro con due suoni, è necessario e sufficiente prenderli alle estremità di un diametro qualunque nel circolo dei colori o dei suoni.

Ma il pittore può ottenere il grigio in molti altri modi. Nulla impedisce di mescolare tre colori. In questo caso, è necessario prelevarli dai tre vertici di un triangolo equilatero qualunque: granata, turchese, giallo-verde, per esempio. Non è possibile ottenere la stessa cosa con tre colori, se non sono equidistanti.
Ora se, per analogia, prendiamo tre suoni ai vertici di un triangolo equilatero qualunque: si bemolle, re, fa diesis, per esempio, ci troviamo in presenza di un accordo relativamente moderno, detto di quinta aumentata. Il suo significato musicale è precisamente l'equivoco. Composto di tre note, regolarmente ripartite nel dominio sonoro, non appartiene a una tonalità piuttosto che ad un'altra. Si può presentare non importa in quale posizione; con la nota bassa al posto dell'acuta o viceversa, la mediana in alto o in basso, esso è sempre in equilibrio. Procura una sensazione atonale, imprecisa, una sensazione neutra.
Vreuls, nel Trio in re minore, ci fa ascoltare una sequenza di accordi di questo genere:

Vreuls

Da quanto precede, possiamo ricavare una seconda analogia: per dare una sensazione di grigio con tre colori, o neutra con tre suoni, è necessario e sufficiente sceglierli ai tre vertici di un triangolo equilatero qualunque inscritto nel circolo dei suoni o dei colori.

Spingiamo più lontano le nostre investigazioni, e cerchiamo come il pittore, con quattro colori, arriva a ottenere il grigio. Egli sceglie semplicemente i colori che si trovano ai quattro angoli di un quadrato qualunque. Per esempio: giallo, turchese, viola, vermiglione (rosso-arancio).
Esiste anche in musica un accordo di quattro note, ben conosciuto dai musicisti col nome di settima diminuita. Fino al secolo scorso, è stato considerato come specializzato in sofferenza e angoscia. Esso mantiene la sua sonorità indefinita qualunque sia la posizione delle note che lo compongono. Lo si è paragonato assai giustamente a un disco rotante musicale, che permette di orientarsi istantaneamente verso non importa quale direzione armonica. Questo significa che non appartiene ad alcuna tonalità determinata.
Ora, se noi tracciamo nel circolo delle quinte un quadrato qualunque, constatiamo che i suoni che si trovano agli angoli formano l'accordo di settima diminuita: si, re, fa, la bemolle, per esempio.
Ecco qualche arpeggio di Franck, nel "Preludio, corale e fuga":

Franck

Da ciò, possiamo dedurre una terza analogia: per trasmettere con quattro note o quattro colori un'impressione neutra, è necessario e sufficiente cercarli ai quattro vertici di un quadrato qualunque tracciato nel circolo delle quinte o dei colori.

Con sei elementi, faremo delle considerazioni dello stesso ordine. Il grigio pittorico è ottenuto con sei colori scelti agli angoli di un esagono regolare qualunque: rosso, viola, blu, verde, giallo, arancio, per esempio.
In musica, l'accordo così ottenuto non ha ancora un nome, ma ha giocato un gran ruolo nella musica contemporanea. Se cerchiamo nel circolo sonoro le note alle quali corrisponde, troviamo: mi bemolle, fa, sol, la, si, do diesis, per esempio. È l’accordo di sei toni che costituisce la base di quasi tutta la musica di Debussy. Questo gran colorista sonoro non poteva che essere sedotto da questa sonorità evanescente ed enigmatica.Ecco alcune battute di "Cloches à travers les feuilles":

Debussy

Da ciò si ricava una quarta analogia: una mescolanza di sei suoni o di sei colori individuati agli angoli di un esagono regolare qualunque produce un colore grigio e un accordo musicale neutro.

Infine, arriviamo alla mescolanza di dodici colori. Tutti conoscono il disco di Newton, che non è altro che il disco dei colori. Facendolo girare rapidamente non percepiamo che grigio, poiché tutti i colori si miscelano nell'occhio. In pittura, si ottiene un risultato analogo miscelando tutta la tavolozza. In musica, basta sedersi sulla tastiera del pianoforte.

Questo ci permette di dedurre una quinta analogia: con la mescolanza di tutti i colori, si ottiene il grigio pittorico. Con la mescolanza di tutti i suoni, si ottiene un accordo musicale neutro.

Si può riassumere tutto quanto precede nella seguente proposizione: in musica e in pittura, il neutro è ottenuto con la mescolanza dei suoni o dei colori regolarmente distribuiti nel circolo dei suoni o dei colori.

Conclusione
Potremmo spingerci ben più oltre nelle comparazioni e, superando l'aspetto statico, affrontare il parallelismo dei movimenti di suoni e colori: modulazioni, progressioni. Potremmo innalzarci a considerazioni filosofiche e matematiche sul cromatismo, la politonalità, la divisione della tonalità. Potremmo mostrare che allorché l'artista modella il suono o il colore, al contempo modella la nostra emozione facendo variare il nostro potenziale sentimentale con l'intermediazione della sensazione uditiva o visiva. Qui si è cercato semplicemente di esplicitare le prime analogie.
Per trovarle, è bastato immaginare di ordinare i suoni in intervalli regolari, di quinta in quinta, e di confrontare la serie di note così ottenute col disco di Newton. La quinta è la sola unità musicale possibile.

(Traduzione originale dal francese e sintesi di un articolo di Maurice Touzé in
SOU I.: LA REVUE MUSICALE Décembre-janvier 1953 - Numéro 219: Numéro spécial. La musique et le ballet
)
leggi la traduzione integrale

 

 

 

 

La musica e la pittura moderna

Nelle pagine che seguono Hellmuth Christian Wolff ci offre un quadro generale, corredato di puntuali riferimenti ed esemplificazioni, riguardo alla decisiva "influenza esercitata dalla musica sulla pittura negli ultimi cento anni": la motivazione di fondo di tale influenza è indicata dall'autore nella "pura astrattezza dei processi formativi musicali" cui si è ispirata tanta parte della pittura moderna nel tentativo "di esprimere anziché l'esterno, il mondo fenomenico, l'interiorità, l'essenza delle cose".
Wolff affronta poi in modo critico gli argomenti di quanti hanno sostenuto una "assoluta differenza" e una "impossibile interazione" tra udire e vedere, tra musica e pittura, in quanto la prima sarebbe "arte temporale", la seconda "arte spaziale"
.
La tesi di fondo dell'autore è che "soltanto l'estetica, non la fisiologia né la psicologia, può chiarire come e in quale misura sollecitazioni o esempi di una forma d'arte possano essere accolti da un'altra. Di contro alle certezze acquisite dal pensiero scientifico (peraltro soggette a loro volta ad un nuovo scetticismo), l'estetica opera su interpretazioni ed opinioni varie e mutevoli. La risposta alla domanda se e come la pittura possa suscitare o provocare effetti musicali potrà venire pertanto solo da parte di artisti e per via di considerazioni estetiche, non da parte dei fisiologi".
(J.J.G.)

 

Quaderni della Rassegna musicale - frontespizioL'influenza esercitata dalla musica sulla pittura degli ultimi cento anni è stata decisiva. Risale al 1850 circa la scoperta del valore pittorico di temi e titoli musicali, ma già prima si studiavano gli effetti immediati che i colori esercitano sull'animo umano e si instauravano rapporti tra colori, timbri e armonie timbriche.

La combinazione di determinati colori venne confrontata con l'unione di diversi toni in accordi. Allo stesso modo l'accresciuto impiego di colori diversi nella pittura del XIX secolo si accompagnò, giovandosene, all'intensificarsi del colorismo timbrico nell'orchestra moderna, in Richard Wagner come in Claude Debussy, onde la ricerca nell'arte figurativa di vere e proprie «orchestrazioni di colori» come ad esempio nel caso di Signac e degli impressionisti francesi. Sul finire del XIX secolo Gauguin annunciava apertamente una «fase musicale» della pittura moderna. Codesta fase musicale si sviluppò in seguito realmente in forme notevolissime e questo vuole essere un tentativo di esposizione del suo sviluppo storico fino ai nostri giorni.

Già i romantici tedeschi avevano vagheggiato una fusione di tutte le arti mettendo in luce l'esistenza di una reciprocità di rapporti tra musica, pittura, architettura e poesia. Era questo un tentativo di realizzare un'immediatezza di sollecitazioni psichiche che il razionalismo settecentesco aveva preferito lasciare in ombra. Analoghe esigenze tornano a farsi vive oggi che la razionalizzazione, standardizzazione, e specializzazione della vita moderna soffocano con virulenza maggiore i valori dell'interiorità. Così la pittura e la musica contemporanee fin dall'epoca del cubismo e dell'espressionismo sono alla ricerca delle origini delle cose, di elementari esperienze ed interpretazioni del mondo.

Parallelamente una parte ancor più importante ha l'altra particolarità della musica e in specie di quella antica, e cioè la sua pura e rigorosa struttura formale di cui si scoprì la fecondità anche per la pittura. Già nel 1904 Adolf Holzel sollecitava per la pittura quella teoria dell'armonia e del contrappunto che, fondata da Wassily Kandinsky, sarebbe stata sviluppata da Paul Klee.

Paul Klee: Fuga in rosso
Paul Klee: Fuga in rosso (1921)

I tentativi di tradurre pittoricamente effetti musicali sono antichissimi: la possibilità di coordinare colori e suoni era ben nota alle antiche culture dell'India e della Cina. L'idea di un'armonia del mondo approdò nel barocco ad una equiparazione dell'armonia dei colori con quella delle sfere da parte di Keplero e di Athanasius Kircher come anche di Newton che indagava su di una coincidenza dei sette colori dello spettro con gli intervalli di una scala musicale e coi sette pianeti. In seguito, di contro ai risultati di Newton fondatisi sul calcolo di frequenze, Goethe volle un'armonia di colori visualmente evidenziabile e nella sua Dottrina dei colori ne mise in luce gli effetti fisico-spirituali. Già nel 1725 il gesuita e matematico francese Louis-Bertrand Castel suggerì di riprodurre brani musicali su tappeti in forme astratte giovandosi a questo fine anche di danze, strumenti musicali e scene operistiche (idea rimasta peraltro allora allo stadio di mero progetto). Celebre divenne invece nel 1738 il pianoforte a colori di Castel di cui il filosofo Moses Mendelssohn intendeva servirsi per ottenere, mediante l'impiego di spirali e serpentine, l'imitazione di «passioni umane».

Oggi assistiamo alla rinascita di tutti questi tentativi e proprio nella misura in cui gran parte della pittura moderna si richiama alla pura astrattezza dei processi formativi musicali s'impone necessariamente un esame dei rapporti e delle interferenze fra musica e pittura.
La distinzione tra vedere e udire, per quanto rilevante dal punto di vista fisiologico, non è però mai stata tale da impedirne reciprocità di interazione e conversione. Uno dei più noti rapporti tra occhio ed orecchio, il cosiddetto «udire colori» (sinestesia) è stato oggetto nella sua vasta fenomenologia di numerosi esperimenti ed osservazioni. (...) La fisiologia moderna anziché distinguere tra vedere ed udire preferisce parlare di senso spaziale e senso temporale cui, beninteso, sia il vedere che l'udire competono seppure in modi diversi.

Kandinskij-Suoni contrastanti
Kandinskij: Suoni contrastanti (1924)

Uno dei più comuni criteri di distinzione tra pittura e musica riposa nella individuazione della prima come arte spaziale e della seconda come arte temporale, onde la loro assoluta differenza e l'impossibilità - per principio - di reciproche trasposizioni. In realtà si trascura cosi la circostanza di una forte soggezione della pittura al senso temporale che la contemplazione di un quadro non è mai istantanea, ma procede nel tempo. Quando Paul Klee scriveva: «L'occhio si muove sul quadro come un animale che pascoli» intendeva appunto sottolineare questo fatto. Dunque, la contemplazione di opere figurative avviene nel tempo anche se non eguaglia in durata l'ascolto di un brano musicale.

Da sempre la musica fa uso di elementi spaziali come ascesa e discesa (cfr. anche il concetto di «scala musicale»), successione e contrasto (ad esempio nel concetto di «polifonia»), e ancora il concetto di colore timbrico applicato ai vari strumenti. Indubbiamente fantasia, trasposizione, associazione hanno qui una grande parte, ma si tratta anche di elementari e generalissime componenti del mondo acustico fruibili anche figurativamente e produttrici di immediati effetti psichici.

Soltanto l'estetica, non la fisiologia né la psicologia, può chiarire come e in quale misura sollecitazioni o esempi di una forma d'arte possano essere accolti da un'altra. Di contro alle certezze acquisite dal pensiero scientifico (peraltro soggette a loro volta ad un nuovo scetticismo), l'estetica opera su interpretazioni ed opinioni varie e mutevoli. La risposta alla domanda se e come la pittura possa suscitare o provocare effetti musicali potrà venire pertanto solo da parte di artisti e per via di considerazioni estetiche, non da parte dei fisiologi.

Obbiezioni a prima vista di un certo peso contro l'affinità di musica e pittura ha mosso di recente il neurologo basileano Georges Floersheim rilevando come, mentre il mondo ottico dispone sempre di un modello (l'intero mondo delle forme), la musica invece non può contare su nulla di analogo nel mondo acustico ed è quindi costretta ad operare con elementi astratti. Ne conseguirebbe che una pittura che si limitasse all'impiego di elementi astratti o musicali si costringerebbe alla rappresentazione non già di un mondo eloquentemente reale, bensì di fenomeni secondari, del surrogato di un mondo. Il presupposto - ed è presupposto inesatto - è qui ovviamente quello che la musica sia struttura immaginativa meramente formale escludente il ricordo di qualcosa di realmente udito.

Anche la musica ha i suoi modelli non solo grazie alla sua traduzione figurativa nella specie della pittura e del simbolismo, musicali, ma in vere e proprie realtà acustiche come i segnali, i rumori, i ritmi di marcia e di danza, quello della respirazione o il battito del cuore come anche in movimenti di vario tipo. Così la lingua offre modelli in abbondanza per la costruzione di melodie e per l'ampiezza degli intervalli, sì che una melodia italiana si distinguerà da una francese o tedesca per la diversa sensibilità linguistica di fondo. Beninteso i modelli acustici sono meno presenti all'ascoltatore che non quelli ottici nella pittura. Di qui la maggiore efficacia della musica sul sentimento e sulle zone inconsapevoli della percezione.

L'elaborazione di modelli extrartistici accomuna comunque fondamentalmente musica e pittura che non trovano dunque qui alcun motivo sostanziale di contrasto. S'intende che la componente meramente formale dell'invenzione ha in musica una parte preponderante che spiega come la musica si sia data assai presto ai fini dell'elaborazione del proprio materiale regole e leggi di cui la teoria dell'armonia e quella del contrappunto sono le più note. Ma se una rigida regolamentazione restò ignota alla pittura più antica o comunque non venne tramandata, l'uso di leggi analoghe fu praticato da sempre anche nelle arti figurative.

Al parallelo tra musica e pittura si obbietta inoltre che alla pittura astrattistico-musicale manca un ordinamento universalmente cogente com'è per la musica la scala cromatica o quella dei suoni armonici. Obbiezione — anche questa — insostenibile. Infatti la scala cromatica basata su quella dei suoni armonici vale soltanto per la componente europea della storia musicale, mentre grandi culture musicali come quelle indiana, indonesiana, cinese e giapponese fondano le loro scale in tutt'altro modo, spesso secondo misure o significati simbolici. Un valore universalmente cogente potrà attribuirsi al più agli intervalli dell'ottava e della quinta; la scelta di tutti gli altri intervalli è stata invece sempre quanto mai arbitraria e comunque non certo in misura inferiore alla scelta delle sfumature di una scala di colori.

La scala di colori non va concepita come uno sfuggente glissando che «per natura» non consenta l'individuazione di alcun organismo universalmente cogente. Non solo i colori fondamentali blu, rosso, giallo sono chiaramente e universalmente separabili, ma se ne può forse addirittura instaurare una sorta di parallelismo con gli intervalli: tonica, quarta, quinta. Altri elementi «universali» sono in pittura il cerchio, il triangolo, il rettangolo come anche concetti quali appuntito, spuntato, rotondo i cui effetti sull'osservatore sono univoci. L'innesto di elementi musicali nella pittura contemporanea si lascia intendere solo qualora se ne conoscano i tentativi di esprimere anziché l'esterno, il mondo fenomenico, l'interiorità, l'essenza delle cose. Kandinsky fu uno dei primi portavoce teorici di codesto tipo interiorizzato di pittura da intendersi indubbiamente come una sorta di nuovo idealismo. In luogo della realtà esterna si cerca di esprimere quella interna, l'essenza, le idee in senso platonico delle cose e del mondo.


Kandinskij: Giallo -Rosso - Azzurro (1925)

Lo studio dei rapporti fra colori e musica fu variamente tentato negli anni venti sia a livello sperimentale-scientifico, sia a quello operativo-artistico. Di una certa fama godettero le esibizioni del pianista ungherese Alexander Laszló che completava-interpretava celebri brani musicali con l'ausilio di astratte proiezioni di colori. Il suo libro Die Farbiichfmusik (Lipsia 1925) è una esposizione sistematica della preistoria di codesti tentativi cui vanno aggiunti anche gli sforzi di Aleksander Skrjabin per corroborare le sue ultime opere (come la composizione per orchestra Prometeo) con effetti luminosi. Basandosi sulla teoria dei colori di Ostwaid, Laszló ne tentò una riproduzione mediante intervalli musicali; si provò inoltre ad associarne alcuni alle tonalità e volle trasporre forme come il canone e la fuga in serie di colori. Nulla impedisce di supporre che in questo modo Laszló abbia influenzato molti dei pittori di quel tempo, forse lo stesso Paul Klee che certo non si lasciò sfuggire le sue esibizioni.

Il professore viennese Oskar Rainer si servì a partire dal 1920 della reciprocità di rapporti fra suoni e colori come strumento pedagogico per l'educazione artistica dei suoi allievi cui faceva trasporre figurativamente celebri brani musicali. Codesti tentativi comportarono indubbiamente un più intimo rapporto con la musica se il limpido preludio in do maggiore dal Clavicembalo ben temperato di Bach venne reso con linee leggere e sottili e con segni più vigorosi invece la grave Toccata bachiana in re maggiore. Per l'adagio della IX sinfonia di Beethoven uno scolaro inventò la forma di un arcobaleno rosso-blu, mentre la maggiore drammaticità della III sinfonia di Bruckner (verso la fine del primo tempo) fu tradotta in figure angolose con un fulmine che doveva senza dubbio riprodurre il rullo del timpano. (...)

Kandinskij-Composizione IX
Kandinskij: Composizione IX (1936)

Tutto un gruppo di pittori fece in quegli anni qualcosa di analogo: (...) ma più persuasivi di tutti risultarono gli sforzi del primo cubismo di scegliere come soggetti di quadri strumenti musicali e musicanti. Così Raoul Dufy sortì l'organizzazione musicale della sua Orchestre grazie ai leggii color grigio-blu. Il violinista di Chagall con la sua rigorosa ripartizione a macchie e la sua struttura a parallele non dista molto dal più tardo Wechseindem Gleicbkiang di Kandinsky. Per i suoi Tre musicanti Picasso si servì di parti di strumenti musicali (un archetto, un violino, teste di note, una fisarmonica) che la fantasia del contemplatore avrebbe poi dovuto completare. Analizzando la struttura di un violino (Le violon, 1913) sempre Picasso scoprì, come anche Braque, nelle forme essenziali degli strumenti di musica la possibilità di una costruzione figurativa di semplice e chiara evidenza. Braque si limitò a fuggevoli allusioni di una chitarra per caratterizzare poi il quadro intitolato Aria di Bach del 1914 servendosi di forme geometriche elementari dall'apparenza di legno (triangolo, rettangolo) riuscendo così a tradurre in una originale forma figurativa la limpidezza della famosa Air bachiana (dalla Suite orchestrale in re maggiore) e non già illustrandola o riproducendola come nel caso dei lavori scolastici sopra citati (...).

(Hellmuth Christian Wolff, da La musica e la pittura moderna in Quaderni della Rassegna musicale (diretti da Guido M. Gatti). Musica e arti figurative. Einaudi 1968)

 

 

 

Kandinskij e la musica

Se la dissoluzione degli oggetti e l’emancipazione delle forme e dei colori nella pittura moderna corrispondono in un certo senso alla dissoluzione delle tonalità tradizionali e all’emancipazione della dissonanza nella musica, molti furono gli artisti che in quegli anni si resero per quella via protagonisti del rinnovamento dell’arte: ma un ruolo di primo piano va attribuito in particolare a Kandinskij e a Scrjabin. Per di più, il primo riconobbe più volte in modo diretto il proprio debito e l'influenza che la produzione musicale di Scrjabin aveva sullo sviluppo delle proprie concezioni teoriche ed esperienze artistiche.
Lo scritto che segue è la mia personale sintesi (dei cui eventuali errori e delle cui certe omissioni mi dichiaro interamente responsabile) di un articolo di Luigi Verdi molto ampio e documentato, accompagnato da una ricchissima bibliografia sull'argomento: potete leggerlo integralmente e/o scaricarlo in rete dal sito "De Musica - Annuario in divenire - Seminario Permanente di Filosofia della Musica" a questo indirizzo internet: http://users.unimi.it/~gpiana/dm6/dm6kmlv.htm .
Luigi Verdi, compositore, direttore d'orchestra e saggista, ha pubblicato "Alexandr Scrjabin tra musica e filosofia" (Passigli Editori. Firenze 1991) e una ricca e inedita documentazione sulle analogie fra le esperienze artistiche di Skrjabin e Kandinskij: "Kandinskij e Skrjabin. Realtà e utopia nella Russia pre-rivoluzionaria" (Akademos. Lucca 1996).
La mia "riscrittura" si è anche ispirata ai suggerimenti di scrittura ipertestuale di Luisa Carrada
( http://www.mestierediscrivere.com ): pur mantenendo il filo complessivo del discorso, ogni paragrafo è leggibile autonomamente dagli altri, anche senza seguirne l'ordine "predeterminato". (J.J.G.)

 

KandinskijCompiuti gli studi universitari di giurisprudenza ed economia politica e quelli musicali di violoncello e pianoforte, Vassilij Kandinskij (Mosca 1866 - Neuilly-sur-Seine 1944) decise di dedicarsi esclusivamente alla pittura. Decisiva fu la scoperta dell'impressionismo di Claude Monet e del Lohengrin di Richard Wagner: «Senza che me ne rendessi ben conto era screditato ai miei occhi l’oggetto come elemento indispensabile del quadro. Complessivamente ebbi l’impressione che una piccola parte della mia Mosca fiabesca esistesse già sulla tela. Il Lohengrin mi parve invece una perfetta realizzazione di tale Mosca. I violini, i bassi gravi e particolarmente gli strumenti a fiato incarnarono allora per me tutta la forza di quell’ora di prima sera. Vidi nella mente tutti i miei colori, erano davanti ai miei occhi; linee tumultuose quasi folli si disegnavano davanti a me».

Trasferitosi dalla Russia a Monaco di Baviera, Kandinskij fin dal 1896 manifestò la propria tensione a trascendere il linguaggio tradizionale della pittura e ad ampliare la propria esperienza di pittore al di là dei limiti imposti dalla propria arte. Considerò la pittura una sorta di composizione musicale, una sinfonia di colori: «Già molto presto mi resi conto dell’inaudita forza d’espressione del colore. Invidiavo i musicisti, i quali possono fare arte senza bisogno di raccontare qualcosa di realistico. Il colore mi pareva però altrettanto realistico del suono».

Kandinskij a Monaco di Baviera fece incontri determinanti per gli sviluppi delle sue asperienze artistiche: col compositore Thomas von Hartmann e col ballerino Aleksandr Sacharov. Hartmann, che aveva studiato al Conservatorio di Mosca con Arenskij e Taneev e aderito alla setta Sufi di Gurdjev, condivideva con Kandinskij l’interesse per la teosofia. Sacharov, che aveva studiato pittura a Parigi, fu spinto da una rappresentazione teatrale di Sarah Bernhardt a dedicarsi allo studio di una nuova arte fondata sulla danza: elaborò una teoria, definita "danza assoluta", che si proponeva di «rendere visibile l’invisibile».

Kandinskij collaborò con Sacharov e von Hartmann ad alcuni esperimenti: «Il musicista sceglieva da una serie di acquerelli quello che, da un punto di vista musicale, gli sembrava essere il più chiaro. In assenza del ballerino suonava questo acquerello. Poi arrivava il ballerino, gli si faceva ascoltare il brano musicale, ed egli lo trasponeva in danza, indovinando poi l’acquerello che aveva ballato». Attorno al 1908 iniziò poi a comporre piccoli pezzi "teatrali". I suoi manoscritti di quel periodo descrivono le tre componenti necessarie alla realizzazione scenica:
- il suono musicale, emesso dalla voce umana, inarticolata o su testo poetico, oppure da strumenti musicali
- il suono corporeo-psichico,
espresso in movimenti talvolta culminanti in danze frenetiche
- il suono del colore,
espresso da luci, costumi, scene.

Le "composizioni sceniche" degli anni compresi tra il 1908 e il 1914 furono sperimentazioni di un'opera d’arte totale capace di unificare i vari generi dello spettacolo (opera-dramma-balletto) liberati da ogni soggezione alla tradizione, attraverso cui Kandinskij tentava di realizzare un progetto dove le molteplici forme artistiche si facessero portatrici di un valore interiore unico: a questo scopo movimento sonoro (musica, voce umana), movimento plastico (danza, scultura in movimento) e movimento cromatico (luce, colore) dovevano interagire, subordinati ad un fine interiore, attraverso la fusione di forme, colori, luce, suoni, movimento.

Le "composizioni sceniche" di Kandinskij raggiunsero l'esito più compiuto in Der gelbe Klang (Il suono giallo, originariamente Riesen, Giganti) che, anche senza essere rappresentato, suscitò un ampio dibattito e inaugurò un nuovo genere teatrale: gli eventi vi si succedevano apparentemente senza scopo, senza un'azione da sviluppare; le voci umane non trasmettevano messaggi concettuali; i suoni restavano inarticolati o si compenetravano come incantazioni poetiche brevi e ripetute da un quadro all’altro; le parole erano utilizzate per creare un’atmosfera, per «rendere l’anima ricettiva». Nelle didascalie leggiamo: «Le persone parlano dapprima tutte insieme come in estasi; poi ripetono, ognuna per proprio conto, le stesse parole... A tratti le voci si fanno roche. A tratti qualcuno grida come un ossesso. A tratti le voci si fanno nasali, ora lente, ora furiosamente rapide (...) Si sviluppa una danza generale che inizia in punti diversi e dilaga via via trascinando tutti con sè... A volte si tratta di movimenti collettivi. Interi gruppi ripetono a volte un unico movimento, sempre uguale».

I tentativi di mettere in scena Der gelbe Klang di Kandinskij furono numerosi, ma la prima rappresentazione ebbe luogo solo nel 1975, nell’allestimento di Jacques Polieri all’Abbazia di Saint Baume in Provenza, con musica di Alfred Schnittke, riproposto l’anno successivo al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi. Una nuova messa in scena a cura di Ian Strasfogel ebbe luogo nel 1982, al teatro Marymount di Manhattan, in occasione di una esposizione di Kandinskij al Salomon Guggenheim Museum, su musica elaborata da Günther Schuller da frammenti originali di Thomas von Hartmann. Il critico John Rockwell definì lo spettacolo una «pioneering multimedia synthetic extravaganza».

Kandinskij ha lasciato appunti per diverse composizioni sceniche: Der grüner Klang, (Il suono verde, originariamente Stimmen, Voci), Schwarz un weiss (Nero e bianco, originariamente Nero-bianco-colori) e Violhetter Vorhang (Il sipario viola, originariamente Violett, Viola). Alcune parti dei manoscritti sono accompagnate da schemi in forma di partitura multimediale, che descrivono lo svolgimento dell’opera come un coro a quattro voci: colore, movimento, musica e voce.
La scenografia fantastica per Violett prevedeva colori in costante metamorfosi grazie a un sottile gioco di luci: «si doveva comporre di movimenti di folla sapientemente orchestrati, di vari suoni prodotti da battimenti di zoccoli, sonagli, campanelli, di strumenti tradizionali come violino e chalumeau, così come di parole strane, incoerenti, a volte incomprensibili». Solo in tempi recenti o spettacolo, rappresentato anche a Milano nell’ottobre 1996, è stato realizzato sulla scena grazie a una produzione dell’associazione Verein Kunst und Bühne di Hannover in collaborazione con il Museo Sprengel.

Violett

Vasilij Kandinskij: Pagina con annotazioni riguardanti la parte musicale di Violett (1914).
Mina a piombo 17,8 x 18 cm

Alla fine degli anni ’10 Kandinskij elaborò l'opera teorica che avrebbe dato forma compiuta e sistematica alla sua poetica, Dello spirituale nell’arte, (Über das Geistige in der Kunst - O duchovnom v iskusstve), e dipinse il suo primo acquerello astratto iniziando da allora ad intitolare le sue tele con termini presi in prestito dal linguaggio musicale, come «composizione» o «improvvisazione».

Kandinskij: Composizione IV
Kandinskij: Composizione IV (1911)

Kandinskij partecipò pienamente al clima artistico e culturale influenzato dalla teosofia e dalle dottrine esoteriche, come testimoniano frequentemente i suoi scritti: «La teosofia rappresenta un agente vigoroso nell’atmosfera spirituale, e in questa forma può raggiungere, come un suono di liberazione, molti cuori disperati avvolti dalle tenebre e dalla notte: esso rappresenta pertanto una mano che addita una direzione e porge un aiuto». Considerava fondamentali nell'elaborazione della propria teoria l'occultismo e i problemi religiosi. In Sguardo al passato identifica il manifestarsi dell’esperienza artistica con la «creazione del mondo»: «Il dipingere è uno scontro tempestoso di mondi diversi, che in questa battaglia si definiscono reciprocamente per creare un mondo nuovo, che è l’opera. Ogni opera nasce così, come nasce il Cosmo, attraverso le catastrofi che dal caotico frastuono degli strumenti vanno a formare una Sinfonia, la Musica delle sfere. La creazione di un’opera è la creazione del mondo» .

Kandinskij-Improvvisazione
Kandinskij: Improvvisazione 26 (Remando, 1912)

L’attenzione di Kandinskij verso il fatto musicale è testimoniata in particolare dalla pubblicazione dell'almanacco Der blaue Reiter (Il Cavaliere azzurro), compilato nel 1912 assieme al pittore Franz Marc: «Marc e io ci eravamo battuti nella pittura, ma la pittura sola non bastava. Ebbi allora l’idea di un libro sintetico che togliesse di mezzo le vecchie, anguste, concezioni, facesse crollare i muri divisori fra le arti (...) e dimostrasse infine che il problema dell’arte non è un problema delle forme ma un problema del contenuto spirituale». In Der blaue Reiter tendenze diverse seppero confluire in un quadro unitario. Gli articoli a carattere musicale furono quattro: Das Verhältinis zum Text (Il rapporto con il testo) di Arnold Schönberg, Über die Anarchie in der Musik (L’anarchia della musica) di Thomas von Hartmann, «Prometheus» von Skrjabin (Il «Prometeo» di Skrjabin) di Lev Sabaneev e Die freie Musik (La Musica libera) di Nikolaj Kul’bin. Furono inoltre riprodotti i brani musicali Herzgewächse, per soprano, celesta, harmonium e arpa, di Arnold Schönberg, i due brani per soprano e pianoforte Aus dem «glühenden» von Alfred Mombert, op.2 n.4, di Alban Berg e Ihr tratet zu dem herde di Anton Webern.

Kandinskij era affascinato degli esperimenti di Skrjabin con la luce, pur dichiarando maggior affinità con le idee Schönberg: «Ogni nuova bellezza appare informe, perchè in essa non c’è immagine del passato: è deforme. E per questo vengono sempre malvisti coloro che devono cercare e trovare la nuova bellezza... Il compositore viennese professor Schönberg è forse il più libero nella forma generale della nuova musica, essendo più costante di Debussy (Francia), R.Strauss (Germania), Skrjabin (Russia) e di altri ancora». Dopo un concerto che Schönberg a Monaco il 1° gennaio 1911 in cui furono eseguiti il Quartetto per archi op.10 e i Klavierstücke op.11, Kandinskij scrisse al compositore, pur non conoscendolo, per dichiarargli il proprio entusiasmo e le affinità che notava fra la sua musica e i propri dipinti. Poco dopo Kandinskij dipinse Impressione 3 (Konzert), elaborazione pittorica dell'emozione suscitatagli dal concerto: sulla tela si nota una grande macchia nera che ricorda un pianoforte e un’ampia zona in giallo, che per Kandinskij era il colore del calore spirituale, mentre alcune sagome sulla sinistra suggeriscono la presenza del pubblico.

Kandinskij-Impressione3
Kandinskij: Impressione 3 (Concerto, 1911)

Fu soprattutto l’esperienza del Prometeo di Skrjabin, primo tentativo di fusione fra suono e colore, ad apparire a Kandinskij fondamentale per la formulazione della propria idea di arte sintetica come armonica fusione di tutte le forme delle singole arti. Kandinskij riconobbe più volte esplicitamente a Skrjabin il merito di avere influenzato in maniera decisiva la propria concezione estetica, nella direzione di una sempre maggiore comprensione della sintesi fra le arti arti. Scrisse nel 1927: «Il primo tentativo di unificare organicamente due arti in vista della creazione di un’opera è il Prometeo di Skrjabin: andamento parallelo degli elementi musicali e di quelli pittorici. Il fine è il rafforzamento dei mezzi che servono all’espressione. Fu così abbattuto per la prima volta un muro fra due arti... Da allora si moltiplicarono i tentativi nella stessa direzione, i quali però sono ancora oggi nella loro prima infanzia: organo a colori (Inghilterra, America, Germania), giochi di luce colorata con musica (Germania), film astratti con musica (Francia, Germania)».

Sebbene Skrjabin non avesse fornito nella partitura del Prometeo alcuna spiegazione circa il modo di realizzare i colori durante l’esecuzione, la novità dell'opera alimentò per anni un vasto dibattito europeo nel quale Kandinskij ebba parte attiva. L’articolo di Sabaneev sul Prometeo in Der blaue Reiter trattava soprattutto del rapporto-suono colore all’interno della partitura: «Le sensazioni coloristiche musicali di Skrjabin possono, in un certo senso, rappresentare un canone teorico di cui lo stesso compositore si è reso conto solo attraverso tappe successive. Il canone risulta evidente dalla distribuzione dei suoni ad intervalli di quinta. I colori si distribuiscono in modo quasi esattamente corrispondente alla sequenza dello spettro... Chi ha ascoltato il Prometeo con i relativi effetti di luce deve effettivamente riconoscere che l’impressione musicale corrisponde in modo perfetto agli effetti luminosi e che questa combinazione raddoppia e intensifica al massimo la forza espressiva dell’opera».

Sergej Rachmaninov raccontò di un incontro fra Rimskij Korsakov e Skrjabin all'epoca della composizione del Prometeo. Rimskij Korsakov era d’accordo con Skrjabin circa le impressioni colorate che egli provava in rapporto a certe note, benchè non tutte le corrispondenze indicate da lui coincidessero con quelle di Skrjabin. Ad esempio il suo mi bemolle era blu, mentre Skrjabin sosteneva che il mi bemolle era rosso (nel Prometeo il mi bemolle è però colore acciaio) ma entrambi concordavano sul re-giallo.

La parte «Luce» nella partitura del Prometeo di Skrjabin svolge anche una funzione indipendente dall’andamento armonico della composizione, investita piuttosto di un significato esoterico e programmatico. Il reciproco gioco di forze centrifughe e centripete, evidente nell’uso della Luce nel Prometeo di Skrjabin, trova conferma nelle trattazioni di Kandinskij, il quale illustra l’azione centrifuga del blu e quella centripeta del giallo: «Il movimento del giallo e dell’azzurro, che contribuisce al loro grande contrasto, è il loro moto centrifugo o centripeto. Se si descrivono due circoli di uguale grandezza, e se ne riempie uno di colore giallo, e l’altro di azzurro, si nota, dopo essersi concentrati brevemente su entrambi, che il giallo s’irradia verso l’esterno, riceve l’impulso motorio dal centro e quasi si avvicina a chi guarda. L’azzurro invece sviluppa un movimento centripeto (come una chiocciola, che si rintani nella sua casetta) e si allontana da noi; dal primo circolo l’occhio è colpito mentre affonda nel secondo» .

Kandinskij: Giallo-rosso-azzurro
Kandinskij: Giallo - Rosso - Azzurro (1925)

Per Kandinskij «Il rosso esercita interiormente l’azione di un colore molto vivo, vivace e irrequieto... nonostante tutta la sua energia e intensità ha una robusta nota di immensa forza quasi consapevole del proprio scopo. In questo fremere e ardere precipuamente in sé, e pochissimo verso l’esterno, v’è, per così dire, della maturità virile». Questa definizione del rosso si accorda con la conquista della consapevolezza di sè da parte dell’uomo, simboleggiata dalla sezione centrale del Prometeo di Skrjabin. La polarità spirito-materia si manifesta qui attraverso l’opposizione di due colori primari (rosso e blu), corrispondenti a due suoni alla massima distanza intervallare possibile, il tritono (do e fa#). Kandinskij era in grado di percepire sensazioni uditive in accordo con determinati colori.

In un significativo passo di Dello spirituale nell’arte Kandinskij scrive: «Negli esseri umani più evoluti, le vie che conducono all’anima sono così dirette, e le impressioni psichiche raggiungibili così rapidamente, che un’azione che si eserciti attraverso un senso arriva direttamente all’anima, facendo vibrare per simpatia le vie corrispondenti che vanno dall’anima agli altri organi sensoriali. Si potrebbe paragonare questo fenomeno a una sorta di eco o di risonanza quale si ha in determinati strumenti musicali quando, senza essere toccati, entrano in risonanza con un altro strumento, suonato invece direttamente (...) È chiaro pertanto che l’armonia dei colori deve fondarsi solo sul principio della giusta stimolazione dell’anima umana». Con questi presupposti, Kandinskij ha collegato i colori non solo con i suoni ma anche con i sensi, i pensieri, le azioni, i temperamenti, organizzandoli in modo corrispondente al loro grado di intensità, in un circolo i cui poli opposti rappresentano la vita tra la nascita e la morte:



Tornato in Russia alla fine del 1914, Kandinskij partecipò attivamente al riassetto delle istituzioni culturali russe dopo la rivoluzione d’ottobre, proponendosi di rinnovare radicalmente l’istruzione artistica nel grandioso progetto del Programma dell’Istituto di Cultura artistica del 1920. Secondo Kandinskij l’opera d’arte si deve manifestare spontaneamente all’artista, il cui compito consiste nel saperla rendere il più fedelmente possibile alla propria visione; il sogno dell’artista «non ha dunque in sé e per sé alcun valore finchè le dita non siano in grado di uniformarsi con la massima precisione ai dettami di questo sogno». È così chiaramente formulata l’idea di un’opera d’arte che, per essere tale, debba necessariamente svolgersi su un piano cosciente superiore, estatico.

Nel 1921 Kandinskij, in una conferenza tenuta all’Accademia delle Scienze Artistiche di Mosca, riconosce esplicitamente a Skrjabin il ruolo di ispiratore della propria concezione dell’arte sintetica: «Il principio della semplice addizione aritmetica è chiamato a rinforzare i procedimenti propri di ogni arte grazie a un processo parallelo tratto dall’una o dall’altra arte. È così che «l’arte monumentale» era intesa da Wagner, che nelle sue opera spingeva il parallelismo fino ai limiti estremi. È su questo fondamento che sono costruite le opere più importanti di questi ultimi tempi, e in particolare quelle di Skrjabin. L’importanza di queste opere dal punto di vista della scienza e dell’arte appare chiaramente nell’approccio di Skrjabin agli elementi dell’arte. Skrjabin non si limita solamente a procedimenti intuitivi dell’addizione, ma introduce il procedimento del processo psichico».

Kandinskij strinse amicizia con Aleksandr Sensin, professore di Teoria musicale al Conservatorio di Mosca, interessato ai rapporti fra musica e matematica. Certamente quest'ultimo influenzò il linguaggio pittorico di Kandinskij, sempre più orientato verso un astrattismo di tipo geometrico. «Conosciamo esempi di opere realizzate col calcolo. È certo che talvolta tale calcolo è inconscio, talvolta matematico. Esso può saltare agli occhi oppure esigere, per essere portato in luce, una misurazione. Il musicista russo Sensin aveva intrapreso una ventina di anni fa una analisi sorprendente. Egli aveva misurato due pezzi degli Anni di pellegrinaggio di Liszt, ispirati l’uno dal Pensieroso di Michelangelo, l’altro dallo Sposalizio di Raffaello. Io penso che in questi casi abbiamo le due specie di calcolo. Se si può ammettere che le due opere figurative fossero calcolate direttamente, ossia con l’aiuto di un metodo matematico, è fuori di dubbio che Liszt ha scoperto le due formule per divinazione, con l’aiuto del suo subcosciente».

Molti degli artisti operanti al Bauhaus riservarono un posto fondamentale alla ricerca dei rapporti fra musica e pittura, considerandoli come tappa fondamentale nella realizzazione di nuove forme d’arte. All’ambito dell’esperienza del Bauhaus, vanno ricondotti gli esperimenti di Alexander Laszlò e Ludwig Hirschfeld-Mack. La Farblichtmusik di Laszlò fu un originale tentativo di fondere due forme artistiche separate. Laszlo definiva per prima cosa il colore fondamentale di singoli brani musicali, intitolati, ad esempio, Preludio per luce colorata blu e pianoforte, oppure Rosso; poi, secondo i cambiamenti dinamici e ritmici o con l’ingresso di un nuovo tema o di una nuova tonalità, subentravano altri colori, che variavano in accordo con lo svolgimento musicale. Parallelemente ai colori e alle figure musicali, si succedevano immagini plastiche, ad esempio linee ondulate o forme geometriche. Un altro esperimento di fusione suono-colore (movimenti di ombre generati da diverse fonti di luce colorata) fu tentato con successo nei Reflektorische Lichtspiele (Giochi di luce riflessi) di Hirschfeld-Mack, realizzati la prima volta a Weimar nel laboratorio del Bauhaus cittadino, nell’estate 1922.

All’ambito del Bauhaus è riconducibile anche l’esperienza di Johannes Itten (1888-1967), primo insegnante titolare del corso di pittura in quell’istituto, collaboratore e amico del compositore Josef Mathias Hauer. Suggestionato dai quadri di Itten, Hauer teorizzò gruppi di dodici note, i «tropi», che mise in relazione con i colori; durante questa ricerca, Hauer dichiarò di aver appeso sopra il suo pianoforte il quadro di Itten Zwei Formthemen e di aver trovato nella pittura di Itten la conferma delle proprie intuizioni musicali.

Nel 1928 Kandinskij accettò la proposta di Gustav Hartmann, direttore del teatro di Dessau, di lavorare all’allestimento scenico dei Quadri di una esposizione di Mussorgskij: fu l’unica occasione per Kandinskij di portare sulle scene le proprie idee, e di mettere in pratica il suo vecchio sogno di sintesi scenica fra le varie arti, risalente alle sue Composizioni sceniche. Per l’allestimento dei Quadri di una esposizione realizzò una serie di acquerelli e numerosi disegni a matita con i progetti delle luci, delle scene fisse e dei movimenti di elementi geometrici mobili attraverso la scena. Kandinskij disegnò anche i costumi dei due danzatori, unico elemento vivente all’interno di forme astratte, che intervenivano solo in due quadri (I due ebrei, Il mercato di Limoges); i colori delle luci ricreavano una sorta di pittura tridimensionale.


Vasilij Kandinskij: Scenografie per l’esecuzione dei "Quadri di un’esposizione"di Musorgskij
al Friedrich Theater di Dessau (1928). Acquarelli

Uno scritto di Kandinskij del 1930 chiariva i criteri che avevano ispirato la sua messa in scena dei Quadri di una esposizione. Per Kandinskij la musica non si ispirava a un programma, bensì rispecchiava le esperienze interiori di Mussorgskij, le quali andavano ben oltre il ’contenuto’ dei quadri, manifestandosi in una forma puramente musicale. Quello stesso anno Kandinskij sollecitò l’interessamento di Leopold Stokovsky, direttore dell’Orchestra Filarmonica di Filadelfia, per una messa in scena dei Quadri di una esposizione negli Stati Uniti. Stokovsky comunicò al pittore che la Lega dei Compositori di New York si era pronunciata contro la rappresentazione dei Quadri di Mussorgskij in quell’allestimento scenico, che sarà realizzato solo sessan’anni dopo.

In nessun altro pittore del nostro secolo si è manifestato con tanta evidenza l’influsso della musica, quanto in Kandinskij; influsso espresso in diverse circostanze e nelle forme più varie:
- nell'affinità dell’esperienza artistica del pittore con quella di alcuni compositori suoi contemporanei come Skrjabin e Schönberg, e nella costante collaborazione con altri musicisti (von Hartmann, Sensin, Kul’bin);
- nella capacità di esprimere visivamente i suoni attraverso l’esperienza della ’sinestesia’, la facoltà sensoriale che consente di percepire i colori espressi musicalmente in suoni e viceversa;
- nella creazione di composizioni pittoriche e sceniche basate su principi derivati dalla tecnica della composizione musicale;
- nell'elaborazione di una teoria artistica che, partendo dall’analogia fra il suono e il colore giungesse a prospettare un’opera d’arte sintetica, fondata organicamente su tutte le arti.

 

 

 

La musica e l'ineffabile

Per il filosofo russo-francese Vladimir Jankélévitch, scomparso nel 1985, autore anche di molti saggi "musicali", la musica è "una bolla di sapone iridescente", un "quasi-nulla". Da sempre abbiamo cercato di tradurla in parole e in significati, sforzandoci di vedere dietro ad essa una verità grande e misteriosa, una "metafisica", un messaggio di eternità. Eppure essa si scioglie, come una bolla, in un tempo brevissimo, nell'atto di un esecutore e nella fuggevole percezione di chi ascolta.
La musica non
"dice": suggerisce, sussurra, bisbiglia un nome sconosciuto. E può farlo quando "il buio della notte inghiotte e sommerge la statica coesistenza delle cose singole e obbliga la coscienza, divenuta cieca, a procedere a tentoni". Ma a che cosa può servire allora la musica? "La musica non opera miracoli, non guarisce gli appestati né il morso dei serpenti, non fa crescere il grano né scendere la pioggia... La berceuse di Chopin non è fatta per addormentare i piccini, né le barcarolles di Fauré per far scivolare le gondole, né le polacche per trascinare gli squadroni e neppure i Valzer per essere danzati...".
La musica, nel suo pudore, nel suo ritrarsi, nel suo essere quasi-nulla, accompagna la nostra felicità. Vaga e defluente, non frivola, scorre alla superficie facendoci evitare la superficialità e la falsa profondità.
"La musica attesta il fatto che l'essenziale in tutte le cose è non so che d'inafferrabile e d'ineffabile; essa rafforza in noi la convinzione che, ecco, la cosa più importante del mondo è proprio quella che non si può dire".
Jankélévitch, che è stato il filosofo della Differenza - molto prima che diventasse tema di moda nella filosofia e nella letteratura - e del tempo (della mobilità del reale, del divenire), in queste pagine che presentiamo muove i suoi rilievi critici alla "metafisica" della musica prendendo di mira le "metafore spaziali" che finiscono col nascondere ciò che di più essenziale caratterizza il fenomeno musicale: "
...l'idea di una voluminosità e di una profondità spaziale... non ha senso se non in rapporto al tempo: è il tempo che rende lo charme evasivo e soffuso, e fa dell'essere stesso della musica una presenza assente infinitamente fugace e illusiva". (J.J.G.)

 

Fin qui si è parlato soprattutto degli idoli della retorica, che assimilano la musica ad un linguaggio. Ma gli idoli ottici sono ancora più adescanti e ingannevoli. L'animale parlante è al contempo un animale dotato di vista, che comprende bene solo ciò che egli proietta nello spazio. La metafora non è una trasposizione spaziale per eccellenza? La «metafisica» della musica (...) riposa interamente su queste metafore... Ci vorrebbe un altro Bergson per sventare nell'estetica musicale i miraggi della spazializzazione. È che l'incerta, indistinta e controvertibile verità del divenire musicale sollecita più d'ogni altra la metafora, sicché la visione influenza l'ascolto e proietta nella dimensione spaziale, secondo coordinate spaziali, l'ordine defluente e temporale della musica. Le immagini ispirate dalle arti plastiche — pittura o scultura — oggi formano la parte più evidente del frasario alla moda.

Spesso suggestiva, talvolta sospetta, la corrispondenza fra le arti (E. Souriau studia a fondo la questione in La Correspondance des arts, Paris 1947) non ci invita a considerare la musica come una sorta di architettura magica? Non ci sono che «strutture», piani, volumi, linee melodiche e colorito strumentale... Ci si può persino domandare — dato che il linguaggio è interamente modellato per la traduzione di esperienze visive — se in generale esistano altri mezzi per potere esprimere l'inesprimibile della sinfonia o per dire l'indicibile della sonata. Le preposizioni e gli avverbi stessi di cui ci serviamo per designare i rapporti delle linee melodiche e dei suoni fra loro — Dentro, Sopra, Sotto — sono di origine spaziale! D'altra parte l'analogia fra i colori e le tonalità (sull'argomento vedi A. Remizov, Les couleurs), beninteso se non la si confonde con una similitudine letterale, non è forse pneumaticamente giustificata dalla confluenza delle impressioni uditive e visive in seno ad una coscienza che le associa, le paragona, interpreta le une con le altre e traduce un medesimo stato d'animo su differenti tastiere e registri eterogenei? Del resto i tre quarti del vocabolario musicale — da Disegno a Forma, da Intervallo a Ornamento — sono presi a prestito dal mondo della vista... Vi dovremmo rinunciare?

Tuttavia l'estetica metaforica pretende ancora di più: pretende che il fenomeno musicale sia una cosa definibile e circostanziabile, e vuol rispondere in maniera univoca alle domande che? dove? — alla prima attraverso definizioni e alla seconda tramite localizzazioni! Insomma: dov'è la musica? è sulla tastiera o a livello della corda vibrante? sonnecchia nello spartito o forse nei solchi del disco? oppure si troverebbe sulla punta della bacchetta del direttore d'orchestra? Di fatto i caratteri generalmente attribuiti alla musica molto spesso non esistono che per l'occhio e grazie alla prestidigitazione delle analogie grafiche: semplici modalità di scrittura, dovute alla proiezione simbolica del fatto musicale su due dimensioni, servono a caratterizzare la «curva» melodica; la melodia stessa, che fuori dello spazio è successione di suoni e durata pura, subisce il contagio dei segni scritti orizzontalmente sul pentagramma; del pari l'accordo, armonia di molteplici suoni concepiti simultaneamente, tende a conformarsi con quell'aggregazione verticale di note che serve a schematizzarlo; così le parti, nella musica polifonica, sembrano «sovrapporsi». Gli artifici della carta pentagrammata finiscono per estromettere le realtà acustiche!

Bartók in Mikrokosmos (Linea e punto) scrive due piccoli pezzi in cui il serrarsi delle note sul pedale di tonica si traduce in un grafismo che evoca l'alternanza della linea e del punto. E chissà se il «turbinio» della terzina non ci è suggerito, in virtù di un'associazione abituale, dall'immagine grafica di questa figura sulla carta! Giustamente Robert Siohan denuncia il «visualismo» di certi procedimenti cari alla musica seriale: «giochi speculari», forme rovesciate, ecc. (R. Siohan, Horizons sonores, pp. 113-14, 116) — l'orecchio molto spesso non si accorge di niente. Analogamente occorrerebbe denunciare il visualismo di tutti quelli che parlano di rovesci, e addirittura di rime musicali (Come testimonia una melodia di C. Bohdes, Le son du cor s'afflige vers les boi).

Ciò significa dimenticare che la musica è fatta per essere ascoltata e non per esser letta, e che la simmetria — intuizione visiva — non è riconoscibile a orecchio. Per il fatto che un tragitto nello spazio può essere percorso nei due sensi, si applica alla musica l'idea di un ciclo o di un andirivieni, come se il movimento musicale fosse reversibile. Ora, se è vero che c'è un ricordo della cosa ripetuta, non ci sono però simmetrie o centri in un divenire orientato irreversibilmente, dove la riesposizione stessa viene di seguito e la seconda volta, per quanto indiscernibile dalla prima, ne differisce impercettibilmente per il solo fatto che le è seconda, ossia per la sola priorità cronologica della prima volta. Il movimento della futurazione, senza escludere la memoria, impedisce al cerchio di chiudersi.

Ma il fatto musicale può essere contaminato anche dalle impressioni cinestetiche: l'Arcolaio di Nicolaj Scerbatcév pare proprio che debba il suo titolo al movimento oscillante della mano sinistra sulla mano destra e al grazioso ondeggiamento che questo incrocio produce sui tasti. L'associazione che viene a stabilirsi fra il suono e gli spostamenti della mano sul pianoforte, tra la musica e le scansioni coreografiche, tra l'indebolimento del suono con la distanza e l'esperienza dello spostamento nello spazio, tutto concorre a creare intorno a noi uno spazio sonoro: ambito ibrido in cui la musica salendo e scendendo si allontana e che, come ogni spazio, possiede un alto e un basso; la coreografia completa poi l'opera.

L'innatismo non ha torto: esiste uno spazio concreto alla cui edificazione concorrono tutti i sensi. Ma l'idea di una voluminosità e di una profondità spaziale, lo si è visto, non ha senso se non in rapporto al tempo: è il tempo che rende lo charme evasivo e soffuso, e fa dell'essere stesso della musica una presenza assente infinitamente fugace e illusiva. Nell'ordine-completamente-altro della temporalità musicale persino il medesimo appare incessantemente altro da se stesso! La musica non è una calligrafia proiettata nello spazio, ma un'esperienza vissuta direttamente dalla vita stessa. E ciò non equivale a ricordare, molto semplicemente, che essa si rivolge a quell'organo chiamato orecchio?

(Vladimir Jankélévitch, La musica e l'ineffabile, Napoli, Tempi Moderni Edizioni, 1985, pp.124-129)