I Celti e le altre potenze della penisola italiana (Roma esclusa)
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LA CELTIZZAZIONE DELLA VALLE PADANA | LA PROGRESSIVA COLONIZZAZIONE ROMANA |
Esistono testimonianze archeologiche ed epigrafiche di contatti
tra l'etnia venetica e l'etnia celtica già a partire dal VI secolo. I
Veneti possedevano un proprio alfabeto, derivato da quello greco attraverso
la mediazione etrusca. Differivano dai Celti della pianura padana per la lingua,
ma erano del tutto simili per costumi. Nonostante questo i Veneti considerarono
i Celti degli invasori, e contro di essi difesero strenuamente l'indipendenza
del proprio territorio. Il confine meridionale delle loro terre era il fiume
Adige, mentre quello occidentale era il fiume Timavo, nel Carso.
Verso il 400 a.C., in un momento in cui la civiltà venetica stava conoscendo
un forte periodo di espansione, iniziarono gli attacchi gallici. Adria fu indebolita,
ed il primo ad approfittarne fu Dionigi di Siracusa (vedi infra), che
la conquistò; poi l'emporio fu certamente occupato dai Celti a cominciare
dal III secolo a.C., come sembrano indicare i ritrovamenti di tombe a inumazione
galliche. Lo stretto legame tra Adria e il mondo venetico evitò comunque
alla città la fine di Spina e ne garantì la sopravvivenza anche
in età romana.
Nel corso del III secolo i Veneti strinsero un'alleanza con Roma in funzione
anti-celtica. Probabilmente il primo trattato di amicizia venne stipulato verso
il 235 a.C. I Veneti furono presenti accanto ai Romani nella decisiva battaglia
di Talamone, che segnò nel 225 la più grave sconfitta militare
dei Celti. Furono alleati dei Romani anche contro Annibale, cui chiusero l'accesso
ai porti dell'alto Adriatico per impedirgli di ricevere rifornimenti. Non venne
visto di buon occhio, invece, l'accordo che Romani stipularono con i popoli
celtici prealpini in funzione anti-annibalica (211 a.C.), per attirare dalla
propria parte tali comunità. I Veneti, sempre in ansia per la vicinanza
delle numerose tribù celtiche sia ad Est che ad Ovest, non si sentirono abbastanza
tutelati.
Dopo la definitiva sottomissione dei Galli da parte dei romani all'inizio del
II sec. a.C., il confine più pericoloso per Roma diventava proprio quello
dei Veneti, in particolare quello con la Carnia. Proprio da lì nel 186-83
12.000 Celti entrarono in Italia, chiedendo poi al governo romano il permesso
di stanziarsi pacificamente, ma il Senato rispose loro con un perentorio "no".
Roma colse così l'occasione di intervenire per creare un suo insediamento
a difesa dei confini nord-orientali. Nel 183 il Senato decise la fondazione,
ad est del territorio venetico, in agrum Gallorum (ossia nel territorio
dei Galli), della colonia-fortezza di Aquileia. Ciò avviò l'intensa
romanizzazione di tutta l'area, che comprendeva anche Galli ed Istri non ancora
pacificati. Siccome l'area non era ancora percepita come sicura, Roma incontrò
molte difficoltà a trovare cittadini che si arruolassero. La deduzione
della colonia, infatti, venne realizzata solo due anni dopo, nel 181.
Fino al V secolo a. C. la Liguria si estendeva ad est fino
alla Toscana settentrionale, a nord fino al Po e ad ovest fino a Marsiglia.
L'avanzata dei Celti la ridusse ai confini attuali, favorendo nel contempo la
formazione di tribù miste Celto-Liguri (Salluvi, Taurini, Salassi, Anamari).
Si calcola che il popolo ligure contasse circa 100mila persone, donne e bambini
compresi. I contatti tra i Liguri e i Celti padani (in primo luogo i Boi) sembrano
essere stati molto stretti. Le due popolazioni, vicine per spirito guerriero
e forse anche per lingua, strinsero numerose alleanze in funzione anti-romana.
Il porto di Genua (Genova) si rivelò un luogo favorevole per il
reclutamento dei mercenari.
Alla metà del III secolo le due popolazioni stipularono una nuova alleanza
contro Roma, che però ebbe esito sfortunato. I Celti furono sottomessi
dai romani, ed ai Liguri toccò una sorte ancora peggiore. La furia romana
si scatenò in seguito a un’inattesa quanto bruciante sconfitta nel 187
ad opera degli Apuani e dei Frignati (tribù dell'appennino emiliano).
I villaggi delle due tribù furono saccheggiati e i loro boschi bruciati.
Tutta la popolazione inerme fu catturata e nel 180 a.C. 40.000 prigionieri vennero
deportati nel Sannio (regione montagnosa tra Campania e Molise). In seguito
ne furono trasferiti forzatamente altri 7.000. Fu una delle prime deportazioni
della storia occidentale. Nella zona, spopolata, venne fondata Lucca. Nel 177
alcune popolazioni di Liguri Frignati attestate sulle colline di Modena e da
cui erano state scacciate, riuscirono a rilanciare la loro sfida e occuparono
la colonia stessa. Modena fu riconquistata subito dopo dai romani e i Frignati
rimanenti sulle colline furono anch'essi deportati.
I Senoni chiamavano gli Umbri Sapini/Sappini, similmente
ai latini, che li chiamavano Sabini.
Con l'arrivo dei Celti nella Valle padana gli Umbri furono costretti ad abbandonare
progressivamente i propri insediamenti in Romagna; il loro territorio si ridusse
in pochi decenni all’Umbria storica. I Senoni, all'inizio del IV secolo a.C.,
conquistarono i territori da Ravenna fino al fiume Esino (presso Pesaro). Dell'odierna
Romagna rimasero sotto il controllo umbro solamente alcune aree circoscritte,
tra cui quella di Sarsina, centro nevralgico per i contatti con l'Adriatico.
In un'unica occasione gli Umbri furono alleati dei Celti, insieme ad altre nazioni
italiche: nella battaglia di Sentino (295 a.C.)
Non si unirono alla coalizione soltanto i centri di Gubbio e Camers,
Camerino. I campi di battaglia furono due: Chiusi e la piana di Sentino (tra Ancona
e Perugia, presso l'odierna Sassoferrato). A Chiusi la coalizione di Etruschi ed Umbri vinse la propria battaglia contro i romani, invece gli alleati persero nettamente a Sentino. Dopo la sconfitta gli Umbri decisero
di allearsi con Roma, confidando di ritornare nelle terre da cui i Celti li
avevano cacciati. Roma invece cominciò a perseguire una sottile politica di
alleanze e occupazioni volta all'annessione del loro territorio. Tappa fondamentale
fu la conquista di Sarsina, nel 266 a.C. Successivamente, quasi tutte le città
umbre entrarono nell'orbita di Roma con lo status di città
alleata (civitas foederata). La prima prova della stabilità dell'alleanza
venne data nel 225, proprio contro i Galli, quando gli Umbri fornirono a Roma
20.000 soldati. Anche durante la guerra annibalica (218-202 a.C.), mentre i
Celti appoggiarono il condottiero cartaginese, gli Umbri rimasero al fianco
di Roma.
Nel 201, appena un anno dopo la fine della guerra, gli Umbri fecero pressioni
sui romani affinché li liberassero dalle incursioni dei Celti sul loro
territorio. I romani incaricarono il prefetto Caio Ampio di cacciare i Sénoni,
ma incorse nel massacro dei propri soldati (vedi).
I Celti cessarono di essere un pericolo per gli umbri solo nel 191, quando i
romani vinsero definitivamente i Boi.
Con la sistematizzazione delle regioni italiane ordinata da Augusto, gli Umbri
ottennero una regione autonoma, la Regio VI, il cui confine settentrionale
si estendeva a nord di Sarsina, fermandosi a poche miglia dalla via Emilia,
e i cui confini orientali raggiungevano l’Adriatico tra i fiumi Conca ed Eusino.
La Regio VI invece non comprendeva l'Ager Gallicus, assegnato
all'Emilia, e i territori ad occidente del Tevere, assegnati invece all’Etruria.
Il commediografo Tito Maccio Plauto (nato a Sarsina nel 254 a.C.) può
essere definito il più grande autore umbro dell'antichità. Il
suo nome in umbro era probabilmente Tite Plote.
I Sénoni strinsero un’alleanza con Dionigi I ("il
Vecchio"), il tiranno di Siracusa noto per l'ambizione smisurata di gloria,
potere e interessi commerciali. Il tiranno entrò in contatto coi Celti
cisalpini sin dall’assedio di Roma del 390 a.C. Lo storico latino Pompeo Trogo
scrive che i legati dei Galli, avendo lasciato Roma in fiamme, "vennero
a domandare l'amicizia e l'alleanza di Dionigi", che nel frattempo era
risalito lungo la penisola per combattere una guerra. L'ambasceria fu gradita
dal tiranno di Siracusa, che arruolò un reparto di mercenari celti al
suo servizio. Ma l'alleanza fu utile soprattutto a Dionigi stesso, il quale
tolse progressivamente alle città della Grecia (Atene in primis) il controllo
dei traffici con le città dell'alto Adriatico.
Con l'aiuto dei Sénoni il tiranno di Siracusa aveva posto basi ad Ancona
e a Numana, colonie da lui fondate all'inizio del IV secolo, e ad Adria, che
occupò nel 388-83, facendone una sua colonia fino alla morte del successore
Dionigi il Giovane (cioè alla metà del secolo). È attendibile
che si avvalesse di tali avamposti come centri di reclutamento di mercenari
celti. Nello stesso tempo i Celti erano avanzati sulla terraferma, approfittando
anche dell'indebolimento degli Etruschi. Tale concomitanza fu probabilmente
l'esito di un accordo: i Celti, infatti, compaiono più volte come combattenti
al soldo dell'esercito di Dionigi il Giovane. Milizie celtiche combatterono
nella Locride, in Iapigia (alta Puglia) e anche contro l'etrusca Caere (Cerveteri).
In particolare, la spedizione di Dionigi contro la città etrusca (384-383)
portò al saccheggio del santuario di Pyrgi (il porto di Caere), che fruttò
un bottino di 500 talenti.
Furono sempre i Sénoni a fornire a Dionigi i primi celti mercenari che
i documenti storici citano esplicitamente come tali: facevano parte, assieme
agli Iberi, del corpo di spedizione siracusano inviato in Grecia in aiuto di
Sparta nel 369-368 a.C. contro i tebani. Lo attesta lo storico Senofonte.
I Celti furono i maggiori alleati dei Cartaginesi in Italia.
Mercenari celtici combatterono a fianco dei Cartaginesi durante la I guerra
punica. Ma nonostante questo Cartagine firmò un accordo (trattato
dell'Ebro, 226 a.C.) con cui spartiva la celtica Spagna coi romani ed otteneva
la neutralità punica nella guerra di questi ultimi coi Galli.
Nel 225 Roma sconfigge i Galli in Etruria. Invano i Celti attesero l'arrivo
a Talamone di rinforzi provenienti da Cartagine.
I Cartaginesi ebbero di nuovo al loro fianco le tribù celtiche, come
mercenarie, durante la guerra di Annibale contro Roma, che entrò in Italia
passando da Nord-ovest (II guerra punica), quindi dal territorio dei Celti.
Furono ben 70.000 i soldati che si unirono all'esercito cartaginese, ridottosi
a poco più di 20.000 effettivi dopo il superamento delle Alpi. I celti
si sobbarcarono anche l’onere di ospitare l’esercito cartaginese durante l’inverno
218-217 e successivamente lo affiancarono nelle battaglie contro l’esercito
romano per due anni. In quel periodo alcune tribù cisalpine, da poco
soggiogate da Roma, si ribellarono e tennero in scacco le legioni romane. Più
della metà dell’esercito guidato da Annibale che vinse a Canne era formata
da Celti cisalpini. Annibale fu poi costretto a tornare in patria, ove subì
nel 201 una disastrosa disfatta ad opera di Scipione (detto in seguito l'Africano).
Intanto il comando delle operazioni cartaginesi in Italia era stato preso dal
fratello Asdrubale. Il generale aveva arruolato Liguri e Celti (III guerra punica),
più volontari etruschi ed umbri, ma era stato fermato e poi sconfitto
dai romani nella battaglia del Metauro (207). Si ritiene che il console che
lo sconfisse, Marco Livio Salinatore, è colui che diede il nome a Forum
Livii (Forlì).
Cartagine si arrese nel 201 e ciò indusse i Celti a sganciarsi dall’alleanza.
Asdrubale morì in Italia, dopo la momentanea presa di Cremona, tolta
ai romani con l'aiuto dei Boi scesi in rivolta contro l'Urbe (200).