Nadelgrat
Durrenhorn, Hohbarghorn, Stecknadelhorn, Nadelhorn
Proprio “integrale” forse non è corretto dirlo, perché la Lenzspitze l’abbiamo lasciata dov’era, e perchè le cime vere e proprie del Klein Durrenhorn e del Nadelhorn non le abbiamo toccate, ma la traversata dal Klein Durrenhorn al Nadelhorn è la più lunga e completa che abbiamo mai fatto. La cresta in sé non è difficile – è valutata AD+ la cresta Nord al Durrenhorn e AD la traversata dal Durrenhorn al Nadelhorn – ma se si considera la lunghezza dell’itinerario completo con le sue tredici ore di cammino consecutive, la via “nuova” che abbiamo fatto sul Klein Durrenhorn, il tempo cattivo, il vento, la nevicata che ci siamo presi, il terreno incrostato di neve e ghiaccio anche dove il misto non avrebbe dovuto esserci, la quantità di pendii di ghiaccio vivo… Le cose si complicano e si comprende come questa sia stata una cresta che dall’inizio alla fine non ha concesso un solo istante di vero riposo, di calma, di tregua, di rilassatezza, un istante senza tensione; è un itinerario che ci ha impegnati senza un solo piccolo intervallo; la tensione e l’impegno fisico e psicologico sono stati continui anche se non così elevati, ma tali da rendere questa un’ascensione di grande soddisfazione.
Metto subito le quote, perché ho dei conti da fare:
Mischabel Hutten: 3329
Windjoch: 3850
Ried Gletscher: 3500
Klein Durrenhorn (~): 3890
Durrenjoch: 3860
Anticima: 4000
Colle: 3950
Durrenhorn: 4035
Hohbargjoch: 3916
Hohbarghorn: 4219
Stecknadeljoch: 4142
Stecknadelhorn: 4241
Nadeljoch: 4200
Nadelhorn (~): 4327
In altre parole, circa 1650 metri di dislivello in tutto.
Non mi metto ora a raccontare di tutta l’ascensione, tanto meno dell’intero fine settimana, ma dico solo poche parole delle parti essenziali della camminata.
Partenza la mattina presto. Saliamo io e Galis, mentre Tiziana ci aspetta al rifugio. Secondo le intenzioni originali si doveva fare la traversata integrale fino alla Lenzspitze, ma poi, visto il tempo nuvoloso che ci induce a ritardare la partenza, la lasciamo da subito fuori dagli obiettivi e partiamo semplicemente per la traversata dal Durrenhorn al Nadelhorn.
Saliamo senza problemi e senza storia la costola rocciosa che parte direttamente dal rifugio, attraversiamo il plateau sotto alla Nord Est della Lenzspitze (vedremo diverse cordate attaccarla e salirla), e raggiungiamo il Windjoch. Scendiamo dall’altra parte e raggiungiamo il plateau opposto. Attraversiamo il ghiacciaio su neve non molto buona, crostosa e crepacciata. Dobbiamo andare a prendere il canalino nevoso che sale all’Hohbargjoch, ma, una volta nei presi dell’attacco, dal Ried Gletscher sembra proprio repulsivo, ripido e ghiacciato. Ci lasciamo confortare dalla vista del secondo canale, quello a Nord, quello che sale al Durrenjoch e che vediamo di profilo: sembra più bello, in condizioni migliori, e anche visto sulla cartina dovrebbe essere un filino meno ripido. E’ una decisione sofferta, ma alla fine ci dirigiamo verso quest’ultimo.
Lo saliamo
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Andrea impegnato nella risalita del canale del Durrenhorn |
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per neve dapprima buona, poi più crostosa e insicura, poi troppo soffice, si sprofonda molto, ed infine su ghiaccio infido. Ai due terzi di canale il ghiaccio si fa molto duro e parecchio più ripido; decidiamo di passare sulle rocce di destra, che sembrano offrire più sicurezza. L’uscita dal canale è delicata perché è tutta su ghiaccio duro e quest’anno di ghiaccio vero ancora non ne abbiamo visto. Iniziamo quindi la salita della seconda metà della parete Est del Klein Durrenhorn: iniziamo l’arrampicata dall’ultimo terzo di canale, ma non terminiamo all’altezza del Durrenjoch, continuiamo fin quasi sulla sua cima; in tutto sono più di 150 metri di dislivello. Quella che facciamo sembra quasi una vera e propria apertura di via perché dobbiamo scovarci la strada tra roccette di III senza alcun segno di passaggi precedenti.
La via inizia sul fondo di un canalino molto friabile - in genere tutta la prima metà di via si svolge su rocce precarie - che segna l’inizio di una apparentemente bella linea di diedri di rocce rotte. La friabilità della via si impone immediatamente e ci obbliga a tiri corti, soste ravvicinate e niente assicurazioni in via; le uniche assicurazioni sono quelle delle soste su spuntoni di roccia dall’aspetto più saldo. Un primo tiro ci porta fuori dal canalino friabile iniziale; questo è il tratto più precario della salita: un misto di rocce instabili e terriccio all’inizio e poi, via via, di roccette più salde. La sosta è su uno spuntone sulla destra del canalino. Il secondo tiro segue un diedro più marcato e verticale, di roccia leggermente migliore, ma su cui è sempre impossibile sistemare protezioni. Si arriva su una bella cengia ampia e comoda a portata di un bello spuntone saldo. Il terzo tiro è il più corto e porta in diagonale verso sinistra attraverso una rampa di rocce ancora friabili; in una quindicina di metri, al termine di una breve spaccata tra due grossi massi, si raggiunge la sommità di un terrazzo dove è di nuovo possibile una sosta. Il quarto tiro è il più lungo, facile e sicuro della serie: dalla sosta si sale prima in verticale, poi leggermente a destra attraverso una breccia tra massi incastrati e poi lungo un facile canalino di rocce rotte. Si arriva in un’ampia nicchia al di sotto di un grande diedro verticale. Fino a qui le cose sono semplici: sempre intorno al II, con pochi punti di II+, forse, ma purtroppo costantemente su rocce precarie e sempre con l’impossibilità di assicurazioni decenti; i quattro tiri sono stati tutti corti, intorno alla ventina di metri, per facilitare le assicurazioni e impedire il trascinamento di troppa corda tra queste roccette; non è mai stata piazzata una protezione in via, per la pura impossibilità di trovare un luogo abbastanza saldo, e le uniche assicurazioni sono state le soste su spuntoni rocciosi. A questo punto siamo al passaggio chiave della via: la strada è sbarrata da un diedro poco appoggiato di una ventina di metri spaccato nel mezzo da un grosso masso liscio che lo divide in due canalini: il canale di sinistra sembra il migliore, se osservato dal basso, ma una volta raggiunto, all’altezza del grosso masso, si rivela liscio e superabile essenzialmente su inconsistenti prese spioventi, che non danno nessun affidamento e portano il passaggio intorno al V grado, forse di più; il canale di destra, a prima vista repulsivo perché più verticale ed esposto, assume da vicino un aspetto più bonario: sul fondo una rampa poco inclinata permette di procedere fino alla base di un salto verticale; purtroppo la rampa è sempre ricoperta di ghiaccio e il salto verticale, una volta raggiunto si rivela quasi impossibile per noi. Il diedro che avevamo puntato fino a quel momento non si rivela pertanto percorribile. Costretti all’esplorazione si troverà che il passaggio chiave resta all’estrema destra del diedro: la parete di destra, verticale ed esposta, è tagliata a tratti da scagliette e lamette ben utilizzabili, ma purtroppo non sempre salde; con la giusta attenzione si riesce a superare i cinque metri di parete, di III+/IV-. La paretina non porta sotto alle grandi placche rocciose che lo studio della parete dal basso lasciava presagire, ma conduce all’inizio di una più semplice rampa di rocce rotte e cengette erbose che segna la fine delle difficoltà.
Il tiro è però obbligatoriamente lungo perché l’intera rampa non presenta un solo spuntone roccioso degno di questo nome e costringe ad una quarantina di metri di II senza protezioni; fortunatamente il punto chiave sta proprio all’inizio. Una volta raggiunto il primo masso stabile ed utilizzabile come sosta, sul punto culminante di un poco pronunciato crinale, che dà finalmente un buon senso di sicurezza, si trova inaspettatamente un terrificante chiodino flessibile, instabile ed arrugginito infisso in una fessurina parzialmente terrosa: si piega con la sola trazione delle mani; ovviamente non lo usiamo. A questo punto, gli ultimi ottanta metri di salita si possono percorrere in conserva, prima lungo una nuova rampa di roccette rotte, poi attraverso un nevaietto ghiacciato appoggiato sul limite sinistro delle placcone della parete Est, quindi attraverso altre rocce rotte e da ultimo lungo un canalino liscio costituito da enormi massi spioventi. Si arriva ad una selletta ben pronunciata in prossimità della cima del Klein Durrenhorn.
Abbiamo impiegato parecchio tempo in più del previsto
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Durrenhorn dalla 'Selle', tra Durrenhorn e Klein Durrenhorn |
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e siamo già piuttosto stanchi; probabilmente anche la quota inizia a farsi sentire e da questo momento in poi procederemo per tutto il resto della cresta con notevole fatica. Dalla sella dove siamo arrivati non andiamo in cima al Klein Durrenhorn - distante da noi ancora una trentina di metri - ma scendiamo immediatamente in direzione del colle, che raggiungiamo con facilità lungo semplici blocchi di rocce sufficientemente salde. Al colle ci riempie di gioia la vista della ripidità dell’uscita del canalino che avevamo percorso: siamo davvero contenti di averlo abbandonato in favore della via su roccia, perché se fossimo rimasti nel canale avremmo dovuto affrontare un compatto scivolo di ghiaccio scuro di più di 60° di inclinazione, decisamente fuori dalla nostra portata. Ancora siamo ai nostri primi passi su ghiaccio, quest’anno, e non sappiamo che quest’estate tutti i pendii normalmente di buona neve, se ne sono impoveriti e si sono trasformati in insidiosi scivoli di ghiaccio. Avremo modo di osservarlo nelle settimane future, ma pare che tutte le Alpi, questo agosto, siano fatte di poca neve e molto ghiaccio.
Dal colle si risale verso quella che sembra la cima del Durrenhorn, ma una volta raggiunta ci accorgiamo che dobbiamo invece scendere verso un secondo colle - una sella questa volta rocciosa con un’affilata crestina ghiacciata nel mezzo - e risalire poi la più lunga cresta prevalentemente rocciosa, intervallata da tratti ghiacciati e di un semplice misto, che porta in cima al Durrenhorn. La cresta raramente si rivela veramente impegnativa, ma sempre richiede la massima attenzione, ghiacciata come si presenta;
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Mirko nella risalita al Durrenhorn |
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le difficoltà su roccia non ci impegnano, anche se le guide in realtà dichiarano la presenza di passaggi di III grado. Non ne troviamo. Peccato anche la roccia, che non è mai buona e in parecchie occasioni ci rimangono in mano o ci franano di sotto i piedi blocchi rocciosi anche di grosse dimensioni. E’ più o meno a metà di questo tratto di cresta che proprio mentre iniziavo a prendere il mio ritmo e una buona confidenza con il terreno, accade l’episodio più pericoloso dell’intera ascensione: la cresta rocciosa è spezzata a metà da un cortissimo tratto - circa tre metri - di neve compatta e gelata; con gli scarponi si riesce appena a fare un minimo di taglio per restare in equilibrio; io sono davanti e riesco a passare senza troppi problemi e quando raggiungo le rocce del tratto superiore ne trovo di decenti e riesco a guadagnare una posizione sufficientemente sicura; poi deve passare Galis, legato a pochissima distanza; ha qualche problema più di me a superare il ghiaccio e quando arriva alle rocce ci si affida con troppa sicurezza, il blocco di roccia che tocca gli rimane in mano, perde l’equilibrio e la precaria posizione che ha sul ghiaccio non gli consente di non scivolare; mi grida per avvertirmi del volo e io non posso fare altro che tenermi più saldo che posso sul piccolo speroncino roccioso su cui mi trovo. Quello che segue non è che una scivolata di pochi metri, fino a quando la corda non si tende tra noi due per darmi un bello strattone sull’imbragatura e fermare la caduta; il punto è che abbiamo avuto una bella fortuna, perché se le rocce su cui avevo i piedi non fossero state buone abbastanza per sopportare lo strappo (cosa tutt’altro che improbabile visto il posto) oppure se io già non mi fossi trovato con il giusto equilibrio, fermo e nella giusta posizione, avremmo potuto cadere entrambi ed il pendio di rocce rotte e franose sottostante non ci avrebbe fermato: avremmo potuto rotolare in una frana di pietre per qualche centinaio di metri.
Chiusa la parentesi continuo con la descrizione della cresta. Dapprima si svolge su rocce rotte, sempre più ripide, con un paio di risalti più evidenti, interrotti da pochi tratti ghiacciati: è il tratto più semplice. Poi si passa attraverso il tratto della scivolata, si segue, un piccolo sperone ben pronunciato di roccia marcia e si prosegue per il solito misto ghiacciato. Nel tratto centrale la neve si fa progressivamente più presente. Nell’ultimo terzo di cresta si sale prima uno scivolo di ghiaccio, poi si segue un sistema di placcone inclinate, ricche di lame e fessure, quindi, arrivati in prossimità della vetta, si aggira da sinistra uno sperone roccioso, si risale una grossa placca fin sotto ad un salto verticale, lo si aggira da sinistra con un passaggio che probabilmente è il più tecnico in roccia dell’intera cresta (le guide dicono III+, anche se per la verità non sembra), si sale verso il limite destro della punta e quindi la si raggiunge per facili roccette. Quando arriviamo in cima al Durrenhorn siamo complessivamente in ritardo di un paio d’ore su quanto previsto alla partenza, e parecchio più stanchi. Anche il tempo non ci facilita le cose: c’è parecchio vento, non vediamo mai il sole, il cielo è costantemente scuro; ci siamo presi persino una nevicata, sotto la cima del Klein Durrenhorn.
Dal Durrenhorn si scende per rocce molto facili, sempre in cresta, fino al colle che avremmo guadagnato se fossimo saliti dal primo canale. L’uscita del canale non sembra molto migliore di quella del “nostro”, ma sulla sua destra è evidente una serie di chiodoni e fittoni metallici, sistemati per attrezzare una semplice via su roccia, ad occhio non superiore al II grado. Siamo inviperiti. Perché il gestore del rifugio non ce ne aveva detto niente quando ne avevamo parlato la sera prima?
Vediamo della gente verso metà parete,
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Hohbarghorn dal Durrenjoch |
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sulle rocce della via attrezzata; sono fermi, probabilmente per la colazione; più tardi li vedremo ripartire, salire e raggiungere la cima del Durrenhorn lungo l’elementare cresta. La nostra salita verso l’Hohbarghorn, invece, si prospetta più complicata: sempre per cresta, inizia con delle rocce rotte che sembrerebbero facili, quindi prosegue con un lungo tratto di neve abbastanza ripido, e si conclude con un salto di roccia molto più verticale del primo tratto. Visto da qui, come lo era visto dalla cima del Durrenhorn, sembra molto difficile, eppure non dovrebbe esserlo. Nondimeno la cosa mi preoccupa. Davanti a noi c’è una cordata che procede lungo la cresta molto lentamente: nel tempo che noi scendiamo la lunga cresta del Durrenhorn fanno appena metà del tratto nevoso. Quando arrivano all’ultimo tratto di rocce, quello ripido, rimangono fermi parecchio e quando ripartono sembrano ancora più lenti. La cosa mi preoccupa ancora di più. Saliamo abbastanza bene il primo tratto roccioso, anche se siamo sempre molto stanchi; nel tratto nevoso la stanchezza si fa sentire ancora di più, la neve lascia spesso posto a ghiaccio vivo e la cresta si fa progressivamente più ripida. Poi arriviamo alle rocce: tutta un’altra faccia. Siamo molto stanchi, ma saliamo comunque velocemente l’ultimo risalto lungo un facile sistema di blocchi e rocce rotte, sul lato sinistro della cresta. Quando arriviamo a quella che dal basso sembrava la cima ci accorgiamo di dovere arrampicare ancora parecchio: siamo demoralizzati perché la stanchezza aumenta costantemente. Raggiungiamo una nuova illusione di cima, poi percorriamo un tratto più pianeggiante di neve e quindi arriviamo a salire i blocchi rocciosi della vera cima. Siamo contenti di esserci arrivati, perché qui eravamo già arrivati due anni fa,
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Mirko in cima allo Stecknadelhorn; sullo sfondo Nadelhorn e Lenzspitze |
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dalla parte opposta, e perciò conosciamo bene il tratto di strada che ci resta da fare e non lo temiamo. La tensione scende di botto ed iniziamo a preoccuparci del tempo e del fatto che Tiziana ci dovrà aspettare per parecchio tempo in più del previsto, con conseguenti preoccupazioni e problemi al nostro arrivo (problemi per noi). Secondo e non meno importante problema: il fatto che rischiamo di perdere la funivia per scendere a Saas Fee; scendere a piedi fino al paese oggi mi spezzerebbe.
Dall’Hohbarghorn scendiamo lungo la corta ed elementare crestina nevosa, quindi risaliamo in direzione dello Stecknadelhorn, lungo la cresta ed i franosi pendii del suo lato destro. La cresta è lunga, ma non ci impegna; a volte abbiamo da fare per non perdere la traccia di salita sui pendii di est, ma le cospicue tracce di ramponi ci facilitano il compito. Arriviamo in cima senza problemi; ci fermiamo per il tempo di una foto e ridiscendiamo subito; la discesa è cortissima, quindi dobbiamo seguire la cresta nevosa, in gran parte piana e fatta di diverse gobbe, che ci avvicina al Nadelhorn.
A questo punto siamo ancora accettabilmente in orario - per la funivia - ma ci attende ancora un problema: il traverso sul pendio nevoso sotto al Nadelhorn non è fatto della neve che conosciamo e che ci aspettiamo, ma in prossimità di roccette affioranti diventa di ghiaccio vivo: dobbiamo fare una cinquantina di metri i traverso su un pendio ripido intorno ai 50° su ghiaccio vivo. Io proprio non ho voglia di farli, perciò una volta fatti pochi metri di ghiaccio decido di ripiegare verso la cresta, pianto una vite, assicuro Galis fino al colletto in cui ha inizio la cresta, quindi lo raggiungo. Niente traverso, dunque, ma la cresta che ci dovrebbe portare fino alla sommità di un alto gendarme a Nord del Nadelhorn. La saliamo senza problemi, ma la perdita di tempo che comporta è fondamentale: non arriveremo mai al rifugio prima delle tre e mezza, forse quattro, e alla funivia non potremo arrivare in tempo. Ormai è definitivo. E’ su questo tratto di cresta che troviamo il passaggio realmente più tecnico della giornata: una risalita in un liscio diedro sulla destra della cima del gendarme. Fortunatamente la stanchezza mi priva di ogni tensione e di ogni timore per la grande esposizione del passaggio. Arriviamo in cima al gendarme e ne scendiamo senza problemi. Attraversiamo un tratto di cresta nevosa, molto semplice, e quindi ci approssimiamo alle tracce della via normale del Nadelhorn. Le raggiungiamo a una trentina di metri dalla cima ma nessuno dei due - io soprattutto - ha voglia o intenzione di raggiungerla. Ci avviamo senza remore in discesa. Seguiamo le tracce della normale, semplicemente, lungo la cresta, fino al Windjoch, poi per i semplici pendii ed il plateau di neve ormai mollissima e stancante. Quando raggiungiamo il crinale roccioso che porta direttamente al rifugio siamo meno stanchi: evidentemente la perdita di quota è stata importante.
Arriviamo al rifugio pochi minuti dopo le tre. Tiziana è furiosa. Ci rimaniamo parecchio, ci riposiamo, mangiamo, prendiamo del tè caldo. Solo un paio d’ore dopo ripartiamo alla volta di Saas Fee che raggiungiamo miracolosamente in solo due ore e mezza di cammino, con le spalle a pezzi e i piedi doloranti. Niente di male: una splendida ascensione, nel complesso, divertente e di grande soddisfazione.
Mirko Sala Tesciat
1998
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