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biotecnologie
avanzate |
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Area
download:
puoi
scaricare l'opuscolo, stamparlo e diffonderlo a più non posso.
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qui sotto c'è la mostra in linea
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Biotecnologie
avanzate
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A
cura di
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Gianluca
e Simona Zoni
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Federazione
provinciale di Varese
Partito
della Rifondazione Comunista
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Sommario
Prefazione
Domande
e risposte
Biotecnologie e sicurezza
La complessità e la chimera del “rischio calcolato”
La chimera del rischio calcolato
Un'equivalenza
fraudolenta
Dove comincia il cannibalismo?
Materia inanimata e materia vivente: un equivoco pericoloso
Xenotrapianti: "l'ultima frontiera"
Un’apocalisse evitabile
Monopolio – brevetti
Ogm per combattere la fame nel mondo?
Biotecnologie per guarire?
Un aiuto ai paesi poveri? Una nuova economia?
Un vero affare: per chi?
Un controsenso giuridico
Esempi ed episodi
L'uomo architetto del futuro nel secolo biotech
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Prefazione.
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Il presente opuscolo è stato progettato
e diffuso senza la pretesa di dare risposte alle problematiche legate
all’applicazione delle biotecnologie avanzate ed al carattere invasivo
che queste stanno assumendo nella vita quotidiana.
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Il tema è stato affrontato per la prima
volta alla festa di Liberazione della Federazione Provinciale di Varese
del PRC nel luglio del 2000 nella forma di una mostra i cui testi
successivamente sono stati ridotti in opuscolo e presentati informalmente
al Campeggio Nazionale dei/delle Giovani Comunisti/e dello stesso anno.
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Lo stesso opuscolo è stato poi origine
di più approfondite discussioni tra gli studenti delle scuole medie
superiori della provincia di Varese durante i momenti assembleari e nei
collettivi.
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L’incontro con gli studenti e la loro
voglia di partecipazione hanno posto le basi per lo sviluppo della
versione originaria in quella attuale, in previsione della realizzazione
di un ipertesto e di una mostra itinerante da esporre nelle scuole.
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Porto Ceresio, 26 febbraio
2001
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Gianluca
e Simona Zoni
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zoninoz@virgilio.it
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PRC - Federazione Provinciale di
Varese
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Giovani Comunisti-e
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Via Don Tazzoli, 4
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21100 Varese
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tel. 0332 239330 – fax 0332 239331
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rifondazione.va@libero.it
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Domande
e risposte.
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Che cosa sono i geni?
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Ogni gene è una straordinaria struttura
capace di “costruire” una proteina, le proteine sono sostanze che
regolano e fanno funzionare l’intero essere vivente. I geni si trovano
in ogni cellula, uniti insieme a formare il DNA.
In natura dopo miliardi di anni di evoluzione non avviene mai che i geni
di una specie possano trasferirsi in un’altra specie vivente.
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Che cos'è un organismo?
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Un'entità
biologica capace di riprodursi o di trasferire materiale genetico.
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Cos'è un microrganismo?
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Ogni
entità microbiologica, cellulare e non cellulare, capace di replicarsi o
di trasferire materiale genetico, compresi virus, viroidi, cellule animali
e vegetali in coltura.
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Cosa sono un organismo geneticamente modificato (OGM) ed un
microrganismo geneticamente modificato (MOGM)?
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Un OGM
ed un MOGM sono un organismo ed un microrganismo il cui materiale genetico
è stato modificato, in modo diverso da quanto si verifica in natura,
mediante la ricombinazione genetica.
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Cosa significa "emissione deliberata"?
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Qualsiasi
introduzione intenzionale nell'ambiente di un OGM o di una combinazione di
OGM, senza aver usato barriere fisiche o barriere chimiche e/o barriere
biologiche al fine di limitare il contatto degli stessi con la popolazione
e con l'ambiente.
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Cosa
si intende per valutazione del rischio ambientale?
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La
valutazione del rischio, diretto o indiretto, immediato o protratto, per
la salute umana e per l'ambiente, connesso con l'emissione deliberata o
l'immissione sul mercato di OGM o prodotti contenenti OGM.
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Cosa si intende per impiego confinato?
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Ogni
attività nella quale i microrganismi sono modificati geneticamente o
nella quale tali MOGM sono messi in coltura, conservati, trasportati,
distrutti, smaltiti o altrimenti utilizzati, e per la quale vengono usate
misure specifiche di contenimento al fine di limitare il contatto degli
stessi con la popolazione e con l'ambiente.
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Che cosa sono le biotecnologie?
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Sono
tecnologie che consistono nell'uso di organismi viventi allo scopo di
produrre quantità commerciali di prodotti utili, oppure di modificare
alcune caratteristiche di piante ed animali.
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Le
biotecnologie avanzate sono tecniche di biologia molecolare capaci di
modificare l’informazione genetica degli organismi (ingegneria
genetica).
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Cos'è la bioetica?
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E' una
disciplina sviluppata per studiare i problemi morali, giuridici e sociali
relativi allo sviluppo delle "scienze della vita".
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Che cos'è la biodiversità?
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E'
l'insieme di tutte le possibili combinazioni di geni che si trovano nelle
specie animali e vegetali. Essa rappresenta un indispensabile
"serbatoio genetico" che consente il mantenimento della vita
sulla terra.
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La biodiversità può essere influenzata negativamente dall'impiego
di prodotti derivanti da procedimenti biotecnologici?
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Sì,
perché le biotecnologie hanno come scopo principale l’aumento della
produttività attraverso la standardizzazione delle pratiche di coltura
minimizzando le differenze esistenti fra ambienti diversi.
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A causa
dell’ampia utilizzazione delle varietà altamente produttive, le antiche
varietà e specie locali sono quasi completamente scomparse dalla
coltivazioni. Fino a 30, 40 anni fa, per ciascuna coltura erano presenti
migliaia di varietà diverse: oggi si stima che l’80-90% di queste sia
scomparso. Questo fenomeno si chiama erosione
genetica.
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I
sostenitori delle biotecnologie accettano come inevitabile la perdita
della biodiversità, promuovendo come difesa delle risorse genetiche
agrarie la conservazione ex situ.
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Per
conservazione ex situ
s’intende la conservazione al di fuori dell’ambiente di adattamento
(in banche di germoplasma, collezioni viventi, orti botanici, …) di piante,
semi, polline, altri propaguli, tessuti e DNA. È una conservazione statica,
tesa a mantenere l’identità genetica del campione raccolto e a servire
gli interessi attuali dell’uomo. Questo tipo di conservazione non
consente la continua evoluzione delle risorse in relazione ai cambiamenti
dell’ambiente che oggi non è possibile prevedere, pertanto porterà
alla perdita di caratteristiche considerate oggi inutili
e che potrebbero essere utili in
futuro.
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La
perdita delle biodiversità è il risultato di processi socio-culturali,
economici e politici che producono un notevole calo di ricchezza poiché,
insieme con le specie e le varietà, scompaiono paesaggi, sistemi
produttivi, saperi e culture locali ad esse legate. Conservare la
biodiversità significa non solamente mantenere la diversità delle forme
di vita presenti sul territorio, ma anche patrimoni culturali unici che,
con il pretesto dello sviluppo, vengono distrutti con allarmante velocità.
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Le colture transgeniche sono diffuse nel mondo? E in Italia?
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Sì, e
sono anche in rapida crescita. Nel 1996 gli ettari coltivati con colture
geneticamente modificate ammontavano, nel mondo, a meno di 3 milioni; nel
1998 hanno raggiunto i 28 milioni e si è previsto che nel 2000 superino i
60 milioni. Il 90% dei terreni coltivati con piante transgeniche, nel
mondo, è di proprietà Monsanto e in piccola parte di Novartis e Agrevo.
In Europa l’Italia, con i suoi 250 terreni sperimentali, è seconda solo
alla Francia. L’Italia è in una posizione di leadership nelle prove
sperimentali per colture quali il pomodoro, le orticole, le arboree e le
floricole, registrando dal 32% al 61% del totale della ricerca in questi
campi dell’UE.
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Quali sono i prodotti transgenici più coltivati?
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Piante
transgeniche di colza, tabacco, soia, riso, cotone, patata, mais, zucca,
pomodoro, sono autorizzate in Canada, USA, Giappone. La Cina coltiva da
circa dieci anni pomodoro, tabacco, riso, angurie. Anche i Paesi africani
e la Bulgaria hanno avviato colture transgeniche. La pianta transgenica più
coltivata è la soia, con 15 milioni di ettari, seguono il mais (8 milioni
di ettari), cotone e colza (2 milioni di ettari) e colture orticole (0,5
milioni di ettari). In Italia, al momento, nessuna coltura transgenica è
autorizzata per la coltivazione, se non a titolo sperimentale. Per
ottenere l'autorizzazione alla libera coltivazione è necessario che la
pianta sia iscritta al registro delle varietà vegetali e ciò può
avvenire solo dopo specifica autorizzazione rilasciata dal Ministero delle
politiche agricole.
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rielaborazione da Claudia Sorlini
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Università di Milano, Dipartimento Scienze e
Tecnologie Alimentari e Microbiologiche.
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Gli ultimi dieci anni di
questo millennio sono stati caratterizzati da un intenso sviluppo delle
biotecnologie del DNA ricombinante sia sotto il profilo della ricerca
scientifica, sia sotto quello della produzione e commercializzazione di
prodotti transgenici. In altri termini, per la prima volta nella storia
dell’umanità si sono creati in laboratorio organismi contenenti
informazioni genetiche che nel corso dei milioni di anni di evoluzione e
selezione assistita non avevano acquisito.
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Si tratta certamente di un salto
qualitativo di grandissima portata, che va considerato con attenzione sia
per gli aspetti positivi sia per i rischi che può comportare, oltre che
per gli aspetti etici coinvolti.
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Le applicazioni biotecnologiche spaziano
dal campo della microbiologia e dell’agraria al campo farmaceutico,
veterinario e medico.
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Nel campo medico molte ricerche sono
indirizzate verso lo studio del genoma umano e delle mutazioni e verso la
terapia genica. Per quanto riguarda in particolare quest’ultimo aspetto,
c’è grande aspettativa e la speranza di ottenere, mediante queste
tecniche, risultati applicabili nella cura di gravi malattie che
affliggono l’umanità, come il cancro e malattie genetiche.
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Nel campo delle biotecnologie applicate
agli animali di allevamento le ricerche sono principalmente mirate a
ottenere animali per trapianti di organi, varietà animali più adatte
all’alimentazione, molecole di uso farmaceutico nel latte, animali
modello per lo studio delle patologie umane (vivisezione?!).
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I settori agrario e farmaceutico sono
quelli in cui le applicazioni, gli investimenti e la commercializzazione
su ampia scala sono più avanzati.
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Già
dalla prima applicazione biotecnologica, avvenuta in campo farmaceutico,
con la produzione d’insulina da parte di E.
Coli, un batterio nel quale era stato inserito il gene codificante per
la produzione d’insulina, è stato evidente non solo il vantaggio che si
poteva ricavare dall’utilizzo di queste tecniche (in questo modo si
poteva ottenere a costi molto minori l’insulina che fino da allora
doveva essere estratta dagli organi animali), ma anche le potenzialità
che si aprivano.
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Una
serie ampia di altri composti di interesse farmaceutico viene oggi
prodotta con queste tecniche; in questo caso comunque gli organismi
trasformati geneticamente vengono utilizzati in ambiente confinato, cioè
in condizioni tali da impedire che i geni si diffondano nell’ambiente.
Questo è anche il motivo per il quale c’è una maggior accettabilità
dei prodotti farmaceutici ottenuti con la tecnica del DNA ricombinante che
non dei prodotti vegetali coltivati in campo.
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Le
biotecnologie agrarie e vegetali.
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Per
quanto riguarda il settore agrario, al contrario, le piante transgeniche
devono essere coltivate in campo e pertanto sono a stretto contatto con le
varie componenti dell’ambiente, fatto questo che desta le preoccupazioni
di molti.
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Le tecniche su
cui si basa la costruzione di una pianta transgenica prevedono
l’identificazione e l’isolamento del gene di interesse che si intende
trasferire all’interno di un organismo nuovo. Tale gene però non può
essere direttamente inserito nella pianta, ma solo dopo essere stato
inserito in un particolare trasportatore (porzione di DNA), chiamato vettore,
al quale viene legato anche un gene marcatore, che per lo più codifica
per la resistenza a un antibiotico. A questo punto, con tecniche diverse,
il costrutto genico viene inserito nel DNA di una cellula vegetale. A
partire dalla singola cellula vegetale modificata geneticamente si arriva
alla produzione di piante passando attraverso le colture di tessuti.
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L’attività
di trasformazione fino a ora è stata indirizzata verso la costruzione di
piante transgeniche, prevalentemente di interesse alimentare, dotate delle
seguenti caratteristiche:
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·
resistenza
agli agenti fitopatogeni, con particolare riferimento agli insetti.
Le piante in oggetto vengono modificate per l’inserimento di un gene (Bt)
proveniente da un batterio (Bacillus
Thuringiensis) che codifica per una proteina letale per lepidotteri
fitopatogeni. L’inserimento di questo gene nel DNA conferisce alla
pianta la capacità di produrre in proprio la proteina tossica. In questo
modo le larve degli insetti, mangiando le foglie, muoiono. Si stima che
con questa modificazione genetica si possa effettuare un risparmio
rilevante nel consumo di antiparassitari. Le prove sperimentali condotte
in campo con ibrido di mais modificato Bt e ibrido non modificato,
coltivati sullo stesso terreno e nelle stesse condizioni, dimostrano in
modo inequivocabile quanto il primo cresca meglio e sia più sano rispetto
al secondo;
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·
resistenza
agli stress ambientali, determinati da temperature sfavorevoli,
siccità, elevato grado di salinità nel suolo, ma soprattutto tolleranza
a prodotti agrochimici quali diserbanti, ecc. In questo modo è
possibile eseguire trattamenti diserbanti in qualsiasi fase del ciclo
vitale della pianta (in pre-emergenza, in post emergenza, ecc.) senza
alcun vincolo in quanto la crescita delle piante di interesse, avendo
acquisito il carattere della tolleranza, non subisce alcun danno;
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·
ritardata
velocità di maturazione dei frutti. In
particolare è stato immesso sul mercato internazionale un pomodoro che si
conserva senza marcire per tempi molto lunghi (il
pomodoro, pur non marcendo, segue i naturali tempi e processi di
degradazione delle caratteristiche nutrizionali: il pomodoro
apparentemente fresco ha in realtà perso il suo patrimonio vitaminico);
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·
miglioramento
della qualità nutrizionale dei prodotti. Finora circa il
99%
degli investimenti del settore della produzione è stato
effettuato su piante modificate per l’acquisizione di informazioni
genetiche in grado di migliorare la produttività e solo l’1%
per il miglioramento della qualità
dei prodotti alimentari. Il risultato è che il consumatore, almeno fino
ad ora, si trova nelle condizioni di non avere nessun vantaggio
dall’acquisto di questi prodotti, che ai fini nutrizionali non
comportano nessun beneficio rispetto al prodotto non modificato. E
questo è uno dei motivi per cui la diffidenza nei confronti di questi
alimenti permane in modo rilevante. Risulta invece evidente che il
primo destinatario di questi benefici è la multinazionale che produce e
commercializza i transgenici.
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Inoltre,
le piante attualmente immesse sul mercato internazionale (colza, patata,
pomodoro, zucca, papaia, tabacco, indivia, cotone, oltre ad alcune varietà
di mais e soia) contengono per il 60% geni marcatori che codificano per la
resistenza ad antibiotici (kanamicina, ampicillina, igromicina, ecc.) e
per il 40% geni che codificano per la resistenza a quattro erbicidi:
glifosate, glufosinato, clorsulfuron e bromoxynil.
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I rischi.
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Le
preoccupazioni che vengono sollevate da una parte del mondo scientifico
riguardano il fatto che la produzione, commercializzazione e consumo di
prodotti transgenici possano avere effetti negativi sulla salute e
sull’ambiente; infatti, le ricerche finora condotte sono ancora
scarse e forniscono risposte a volte insufficienti, a volte dubbie e,
soprattutto, nella maggior parte dei casi sono state condotte dalle
stesse multinazionali che producono e commercializzano i semi
transgenici. Gli U.S.A., che sono il Paese più
avanzato in
campo biotecnologico, stanno dimostrando una certa noncuranza circa i
problemi che possono derivare da tali prodotti, in contrasto con la rigida
regolamentazione che governa per esempio la produzione e
commercializzazione dei farmaci e dei pesticidi.
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A
testimoniare la scarsa attenzione per i rischi del settore biotecnologico
sta il fatto che il tempo medio per l’emissione sul mercato di un
prodotto biotecnologico nuovo è di 4-8 anni, contro una media di 8-11
anni richiesti per un prodotto chimico nuovo, per il quale evidentemente
sono prescritte sperimentazioni più accurate e approfondite.
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I rischi
ambientali più importanti che possono derivare dalla coltivazione di
piante transgeniche e dal consumo di prodotti da esse derivati riguardano gli aspetti qui di seguito illustrati.
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1.
L’eventualità
che i transgeni possano recare danni alla salute dell’uomo.
Infatti le proteine codificate svolgono un’azione tossica e/o
allergenica. La preoccupazione discende dal fatto che la sperimentazione
fatta prima della commercializzazione dalle aziende notificanti è molto
limitata. Per esempio, sono disponibili solo risultati di prove
riguardanti esperimenti di tossicità acuta (alte concentrazioni di
prodotto somministrate per tempi molto brevi); mentre, date le particolari
caratteristiche di questi prodotti, e cioè di contenere le proteine
transgeniche in basse concentrazioni e quella di essere destinati
all’alimentazione, e quindi somministrati per tempi molto lunghi, questi
prodotti dovrebbero essere sottoposti a prove di tossicità cronica, basse
concentrazioni per tempi prolungati. Inoltre, gli animali utilizzati per
queste prove sono per lo più i topi, mentre le prove potrebbero e
dovrebbero essere condotte anche sugli animali cui è destinato
l’alimento transgenico (in molti casi bovini e polli). Inoltre nessun
monitoraggio, né nella fase di sperimentazione né in quella di post
marketing, è mai stato eseguito successivamente alla commercializzazione
sulla popolazione umana che fa uso di alimenti transgenici. Da più parti
si sospetta che il forte incremento di fenomeni di allergia sia da
attribuirsi al consumo di questi prodotti: non avendo dati sperimentali
non lo si può né confermare né escludere.
Le prove
di digeribilità vengono eseguite su stomaci artificiali. Per
quanto riguarda l’allergenicità dei prodotti, le aziende si limitano a riferire
dati di letteratura, senza prove sperimentali. Le piante modificate per la
resistenza a determinati erbicidi ne permettono un utilizzo massiccio il
cui accumulo nell’ambiente non è rilevato sperimentalmente (tossicità
cronica). Infine è possibile la compromissione delle difese
immunitarie (vai al punto 5).
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2.
L’eventualità
che i transgeni si diffondano attraverso il polline e che, di conseguenza,
si verifichino fenomeni di inquinamento genetico di altre piante della
stessa specie o di specie diverse assimilabili evolutivamente coltivate in
aree adiacenti. Nell’eventualità che quest’ultime siano infestanti,
l’inquinamento genetico le potrebbe rendere autoprotette sia nei
confronti degli insetti fitopatogeni sia nei confronti di quei diserbanti
che vengono venduti congiuntamente ai semi transgenici. Anche i semi di
piante transgeniche potrebbero diffondersi nell’ambiente, consentendo la
crescita delle piante modificate anche in tempi (stagioni successive a
quella della coltura) e in aree nelle quali non sono previste né
desiderate. È dimostrato che le piante di patata, di colza e di
barbabietola da zucchero modificate danno origine a fenomeni di
inquinamento genetico.
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3.
Con
piante modificate con la presenza di geni Bt che codificano per proteine
tossiche nei confronti di insetti fitopatogeni, i rischi sono anzitutto che
gli effetti letali non si limitino agli insetti target ma che colpiscano
anche altre specie che svolgono una funzione ecologica importante. Questo
potrebbe creare squilibri negli ecosistemi. Inoltre l’uso prolungato
potrebbe consentire la selezione di popolazioni di insetti resistenti,
anche se non è facile prevedere tempi, modi ed entità del fenomeno (sono
stati già individuati super
insetti).
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4.
L’eventualità
che geni di origine batterica, che codificano per la resistenza ad
antibiotici e che vengono usati come marker
nell’ingegnerizzazione dei vegetali, una volta rilasciati dalle cellule
dei tessuti della pianta, possano essere trasferiti nel DNA delle
cellule batteriche che vivono in simbiosi con le radici delle piante (rizosfera),
aumentando così il numero dei microrganismi antibiotico-resistenti (che
resistono agli antibiotici). Comunque, anche altri transgeni della
pianta potrebbero essere trasferiti ai microrganismi indipendentemente dal
fatto che codifichino per resistenze ad antibiotici. È dimostrato in
laboratorio che la pianta di barbabietola da zucchero modificata
trasferisce transgeni al batterio Acinetobacter e che la pianta Datura
innoxia modificata trasferisce geni alla muffa Aspergillus niger.
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5.
La
stessa eventualità considerata nel punto precedente potrebbe essere
valida anche per il tubo digerente di animali alimentati con prodotti
transgenici (per es. ruminanti e pollame; ma anche per gli esseri umani -
vedi punto 1). Nell’intestino degli animali vivono molti miliardi di
microrganismi che potrebbero inserire nel loro DNA i geni della resistenza
agli antibiotici presenti in diverse piante e prodotti transgenici. La
conseguenza anche in questo caso sarebbe di aggravare il problema già
drammatico della crescente resistenza agli antibiotici di diverse specie
batteriche.
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6.
Un
altra preoccupazione discende dal rischio che l’uso di piante
transgeniche possa ridurre la biodiversità degli ecosistemi naturali e
coltivati con molta maggior velocità di quanto non sia successo con la
selezione operata dall’uomo nei millenni scorsi. Infatti, anzitutto
la diffusione di piante di interesse agrario ingegnerizzate può
comportare l’emarginazione delle specie e varietà non transgeniche con
minori capacità di resistere ai patogeni, agli stress, ecc., anche se
queste possono presentare altri aspetti interessanti legati alla qualità
dell’alimento che producono e alla sua tipicità. In secondo luogo c’è
il rischio che tali piante rechino danno non solo agli insetti patogeni,
ma anche ad altri non dannosi per le coltivazioni, con la possibile
conseguenza di danneggiare l’ecosistema. Oggi tuttavia non è possibile
quantificare il fenomeno della riduzione delle biodiversità, le cui
dimensioni dipenderanno dallo sviluppo che avrà l’impiego di piante
transgeniche in agricoltura.
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Resta
aperto il quesito di quali effetti potrà avere nei tempi lunghi
l’emissione deliberata o accidentale di materiale modificato
geneticamente, vivente e non, nell’ambiente.
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La
complessità
e
la chimera del “rischio calcolato”
|
di Gianluca Zoni – spunti da David Ruelle:
“Caso e caos”, Bollati Boringhieri 1992
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Un
sistema complesso è un sistema
(insieme di relazioni) in cui vi è dipendenza
sensibile dalle condizioni iniziali [per condizione iniziale
intendiamo ogni nuovo intervento esterno sul sistema].
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Cosa
vuol dire?
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Un esempio: che cosa accade quando si cerca di far stare
una matita in equilibrio sulla punta? Se non si fa ricorso a
qualche trucco, ovviamente non ci si riuscirà. In effetti è pressoché
impossibile mettere la matita esattamente in equilibrio e, quando la si
lascia, ogni deviazione anche minima dall’equilibrio la farà cadere da
un lato o dall’altro. La deviazione della matita dall’equilibrio
raddoppierà in capo a un certo intervallo di tempo, e poi di nuovo
nell’intervallo di tempo successivo, e così di seguito, e ben presto la
matita sarà distesa sul tavolo. È un caso di dipendenza
sensibile dalle condizioni iniziali, infatti un piccolo mutamento
nello stato del sistema al tempo zero (nella posizione e nella velocità
iniziali della matita) produce un mutamento ulteriore che cresce in modo
esponenziale
col tempo: una piccola causa (una lievissima spinta alla matita verso
destra o verso sinistra) ha quindi un grande effetto.
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Un altro esempio: il gioco di biliardo con ostacoli rotondi (o
convessi).
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Disegno
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Un
tavolo da biliardo con ostacoli convessi. La palla parte dall’angolo
superiore sinistro e il suo centro segue la linea continua. Una palla
immaginaria parte in una direzione leggermente diversa (linea a tratti).
Dopo qualche urto, le due traiettorie non hanno più alcun rapporto fra
loro.
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La scoperta di Edward Lorenz.
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Il
meteorologo Edwrad Lorenz, del Massachusetts Institute of Technology, si
interessava del problema della convezione atmosferica. Ecco di che cosa si
tratta: il sole riscalda il suolo e gli strati inferiori dell’atmosfera
diventano in tal modo più caldi e più leggeri degli strati più elevati;
si determina di conseguenza un moto ascendente dell’aria calda, più
leggera, mentre l’aria fredda, più densa, discende. Questi movimenti
costituiscono la “convezione”. L’aria è un fluido e il suo stato
dev’essere rappresentato da un punto in uno spazio di dimensione
infinita. Lorenz semplificò le cose e si limitò allo studio di
un’evoluzione temporale in tre dimensioni, calcolabile con il computer:
il risultato fu l’oggetto che vediamo nella figura, chiamato attrattore
di Lorenz.
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Immaginiamo lo stato dell’atmosfera in convezione
come rappresentato da un punto P. Ad ogni mutamento delle condizioni
atmosferiche, P si muove nel disegno, a partire da un punto iniziale,
girando attorno all’orecchia
destra dell’attrattore, per poi passare varie volte attorno
all’orecchia sinistra, quindi gira due volte attorno all’orecchia
destra e così via. Se la condizione iniziale di P fosse lievissimamente
diversa (così poco da non essere percepita), i particolari della figura
ne verrebbero modificati totalmente: l’aspetto generale resterebbe lo
stesso, ma i numeri di giri successivi a sinistra e a destra diverrebbero
del tutto diversi. Dunque vi è dipendenza
sensibile dalle condizioni iniziali: il tempo atmosferico è un
sistema complesso, quindi imprevedibile. Possiamo solo ipotizzare previsioni – mai precise – per un tempo limitato,
oltre il quale può accadere qualsiasi cosa.
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Effetto farfalla: il battito delle ali di una farfalla, come
sosteneva Lorenz, avrà per effetto, qualche tempo dopo, di modificare
completamente lo stato dell’atmosfera terrestre.
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Con
la scoperta dei sistemi complessi nella natura, le scienze hanno
dimostrato il proprio limite invalicabile: possono migliorare gli
strumenti di misurazione, si possono scoprire e rilevare nuovi parametri e
sistemi di calcolo ma non si possono prevedere gli effetti in un sistema
complesso.
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Molti sistemi fisici,
chimici, biologici, la vita, la storia dell’umanità, l’informazione e
la genetica sono sistemi complessi. Lo dicono gli scienziati.
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La biotecnologia cancellerà tutta
la scienza acquisita: non potremo più conoscere le malattie (vedi AIDS e
MUCCA PAZZA, trasmesse dagli animali all’uomo, quindi non conoscibili) e
gli antibiotici perderanno di ogni efficacia.
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E'
evidente a questo punto che tutte le rassicurazioni delle industrie
biotecnologiche sui rischi derivanti dagli OMG non hanno alcun fondamento:
quello che viene presentato come un rischio calcolato è in realtà un
rischio incalcolabile. Ma la difficoltà più grave nella valutazione dei
rischi connessi agli OMG è la natura del tutto imprevedibile delle
trasformazioni. L'industria preferisce passare del tutto sotto silenzio
questo fatto, salvo poi invocarlo come scusa nel caso di gravi incidenti;
è tuttavia fondamentale ricordare sempre che tutti i processi in cui è
coinvolta la vita non si lasciano determinare al 100% secondo una logica
di tipo industriale. Ad esempio, l'ereditarietà delle caratteristiche
ottenute mediante l'ingegneria genetica non segue sempre le leggi note;
questo significa che non è possibile prevedere come le piante
transgeniche si comporteranno quando verranno coltivate su scala
industriale. Anche in organismi provatamente stabili in laboratorio,
condizioni ambientali come il caldo intenso o la siccità possono
innescare trasformazioni impreviste.
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Un episodio recentemente verificatosi in
Canada invita a riflettere. All'inizio di quest'anno 60 mila sacchi di
sementi di canola, prodotti dalla Limagrain su licenza della Monsanto,
sufficienti alla semina di 600 mila acri, hanno dovuto essere ritirati
dopo essere stati venduti perché vi era stato scoperto un gene non
previsto. Evidentemente tutti i controlli sulla qualità dei prodotti e
sulla stabilità della composizione genetica attualmente possibili
all'industria non sono sufficienti a garantire effettivamente i
consumatori.
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Un altro episodio.
Questi rischi non sono
soltanto teorici: gli OMG hanno già fatto le prime vittime. Nel 1992
migliaia di persone in tutto il mondo contrassero una misteriosa malattia
battezzata "sindrome da mialgia eosinofila" (EMS), i cui sintomi
erano insopportabili dolori muscolari, sfoghi cutanei e valori
emocromatici anomali; 38 persone morirono e parecchie centinaia restarono
invalide. La malattia era stata causata dall'ingestione di L-triptofano
(un aminoacido usato come tranquillante) prodotto dalla ditta giapponese
Showa Denko mediante un batterio geneticamente manipolato in modo da
essere più efficiente rispetto ai batteri normali.
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È
sinistramente probabile che le tecniche usate per l'ingegneria genetica
rappresentino di per sé un potente incentivo alla formazione di nuovi
virus capaci di superare la naturale barriera tra le specie.
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Per comprendere meglio la
natura e le proporzioni di questi rischi è poi opportuno ricordare che il
DNA presente nell'intestino può trasformare i batteri che vi si trovano;
questo vuol dire che caratteristiche come la resistenza agli antibiotici
possono essere trasmesse dai cibi geneticamente modificati ai batteri
patogeni presenti nell'intestino umano. Il DNA virale può inoltre
sopravvivere alla digestione ed insediarsi nel sangue e in parecchi tipi
di cellule dell'organismo. Persino il DNA nudo, cioè non protetto da un
ambiente cellulare, può sopravvivere per lunghi periodi in qualsiasi
ambiente e combinarsi con geni
presenti
in quell'ambiente. Questo significa che il DNA proveniente da organismi
morti, dalle feci (eventualmente usate come concime) o da cellule morte può
conservare la capacità di trasformare altri organismi. L'ampiezza delle
possibilità di trasferimento dei geni è tale che qualunque gene immesso
artificialmente in qualsiasi specie ha una certa probabilità di venir
trasmesso a parecchie altre specie, sia di virus e di batteri che di
organismi superiori; inoltre i batteri e i virus presenti in tutti gli
ambienti agiscono di per sé come autostrada e serbatoio per i
trasferimenti genici, e che a partire da loro nuovi geni possono
diffondersi a tutte le specie. La prassi, comune nell'industria, di
sintetizzare organismi transgenici contenenti sequenze geniche non
caratterizzate o di cui non si conosce la funzione rappresenta poi un
rischio veramente incalcolabile; questo rischio aumenta ulteriormente se
gli OMG in questione vengono utilizzati per l'alimentazione umana.
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Le multinazionali
sostengono che con le biotecnologie potremo diminuire l’uso di erbicidi
e potremo avere cibi più sani perché meno tossici. È vero il
contrario.Con le biotecnologie l’uso degli erbicidi è aumentato
enormemente.
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E'
opportuno ricordare che non solo il procedimento tecnico, ma anche l'uso
dei prodotti dell'ingegneria genetica presenta rischi gravissimi per la
salute umana. Prendiamo il caso delle piante resistenti agli erbicidi:
il fine per cui sono state create è permettere agli agricoltori di usare
liberamente quantità non importa quanto alte di erbicidi senza
mettere a rischio i raccolti, ed è in effetti probabile che col tempo si
rendano necessarie quantità sempre più ingenti di erbicida, dal momento
che le piante esposte sufficientemente a lungo ad un dato erbicida tendono
a sviluppare una resistenza. Purtroppo però gli erbicidi, oltre a
uccidere le piante, sono anche tossici per l'uomo, e la resistenza
all'erbicida delle piante non si trasmette ne' agli agricoltori ne' ai
consumatori. Consideriamo ad esempio il caso del Challenge, prodotto dalla
Hoechst, che è, insieme al Roundup della Monsanto, l'erbicida su cui la
ricerca genetica si è massimamente concentrata, e da cui l'industria si
attende i più alti profitti. Il principio attivo del Challenge è il
glifosinato, un erbicida non selettivo, vale a dire una sostanza che
uccide qualsiasi organismo vegetale con cui entra in contatto; purtroppo
però il glifosinato non è soltanto un efficace erbicida ma ha effetti
tossici sugli animali e sull'uomo, particolarmente sul sistema nervoso, e
non è possibile escludere che residui di erbicida si trovino in piante
destinate all'alimentazione umana. Per essere attendibili, le valutazioni
di sicurezza sulle piante rese resistenti agli erbicidi dovrebbero tenere
conto dei rischi connessi all'aumento delle dosi di erbicida, ma le
industrie si rifiutano per principio di considerarli. La
"rivoluzione" che gli OMG promettono in campo agricolo rischia
dunque di dimostrarsi sinistramente simile a quella che 50 anni fa rese
gli agricoltori entusiasti consumatori di DDT: i prodotti dell'ingegneria
genetica dovrebbero essere paragonati ad armi mortali.
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La FAO, la FDA statunitense e l'UE mettono alla
base della loro legislazione sugli OMG in campo alimentare il cosiddetto
"principio della sostanziale equivalenza". Esso afferma
che la manipolazione genetica è sostanzialmente equivalente alla
selezione dei caratteri tramite incrocio, e che pertanto gli OMG sono
sostanzialmente equivalenti agli organismi naturali. Questo principio
rappresenta naturalmente anzitutto una comoda scappatoia legale, che viene
sfruttata, ad esempio, per rifiutare qualsiasi etichettatura che renda
possibile ai commercianti o ai consumatori riconoscere e boicottare gli
OMG; ma esso ha anche una ragion d'essere più profonda. Nel campo
agroalimentare l'industria biotecnologica non è in grado di offrire
prodotti nuovi: gli alimenti geneticamente modificati non promettono a chi
li consuma niente di più dei loro corrispondenti tradizionali; è
evidente che i loro promotori possono sperare di farli accettare soltanto
affermando che, come minimo, essi non offrono niente di meno: tra il
solito risotto e un risotto, indistinguibile da quello solito, che però
fa venire il cancro, nessuno potrebbe certo avere dubbi.
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E' perciò fondamentale
puntualizzare fin dall'inizio che dal punto di vista scientifico il
principio della "sostanziale equivalenza" è assolutamente
insostenibile. Infatti, per potersi incrociare naturalmente, due organismi
debbono appartenere alla stessa specie o a specie molto simili (anche nel
caso di specie vicine come il cavallo e l'asino l'incrocio non riesce
perfettamente, e dà luogo ad ibridi sterili). Al contrario, la
manipolazione genetica permette di inserire in un organismo geni
provenienti da qualsiasi altro organismo (animale, vegetale o umano).
Inoltre, anche il rimescolamento di geni che avviene in natura non ha
nulla a che vedere con quello prodotto dall'ingegneria genetica, in
quanto:
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1) l'inserimento del gene
estraneo avviene in un punto a caso della catena del DNA, e modifica in
maniera imprevedibile la sequenza genica dell'organismo ospite. E'
importante ricordare che questa sequenza non è casuale ma è regolata da
leggi precise, ma ancora quasi del tutto ignote: l'ingegneria genetica
procede per prove ed errori, destabilizzando in maniera imprevedibile
l'ordine del genoma dei più vari organismi;
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2) l'inserimento del gene ha
effetti imprevedibili sull'azione dei geni vicini;
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3) dal momento che il
compito dei geni è produrre proteine, il nuovo gene inserito causerà la
produzione di proteine estranee all'organismo che lo ospita, potrà
inibire o alterare la produzione di proteine essenziali o modificarne la
quantità.
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Queste differenze, lungi dal
rappresentare semplici "particolari tecnici", come il principio
della sostanziale equivalenza vorrebbe far credere, possono avere
conseguenze gravissime. Tutti e tre i fattori, sopra menzionati possono
alterare infatti in maniera anche catastrofica il metabolismo cellulare e
innescare la produzione di quantità imprevedibili di sostanze tossiche o
allergeniche. Queste sostanze nocive possono comparire in organismi che si
presentano come totalmente identici ad organismi naturali, con la sola
eccezione della sostanza nociva. E' quindi evidente che il principio della
"sostanziale equivalenza" è completamente fuorviante per una
valutazione seria e responsabile dei rischi connessi agli OMG.
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Esistono poi altri fondati
motivi per ritenere che gli OMG, per la stessa tecnica con cui vengono
prodotti, presentino rischi incalcolabili per la salute.
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Ø
La tecnologia
dell'ingegneria genetica si basa infatti sull'uso di vettori costruiti
artificialmente per permettere ai geni estranei di penetrare nelle
cellule. Questi vettori non sono altro che mosaici di diversi
parassiti genetici in grado di invadere le cellule di diverse specie,
moltiplicarsi al loro interno o inserirsi nel genoma, superando i
meccanismi di sicurezza cellulare che hanno il compito di rendere inattivo
il DNA estraneo. Si tratta di meccanismi messi a punto con il preciso
fine di permettere la trasmissione di geni tra specie diverse, e una volta
che saranno stati immessi nell'ambiente la loro attività non potrà in
alcun modo essere controllata o limitata. Come se non bastasse, parecchi
di questi vettori derivano direttamente da virus patogeni. E' stato
dimostrato che questo materiale genetico è instabile e può ricombinarsi
con virus infettivi dando origine a nuovi virus pronti ad infettare
piante, animali ed esseri umani causando malattie finora sconosciute.
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Ø
Per
verificare che l'inserzione dei geni estranei nell'organismo ospite abbia
avuto successo viene spesso usata come contrassegno la resistenza agli
antibiotici. Questo tratto non ha alcuna utilità effettiva per
l'organismo geneticamente modificato, ma rappresenta unicamente una comoda
cartina di tornasole per i ricercatori; tuttavia, invece di essere
eliminata una volta completata la fase di ricerca, la resistenza agli
antibiotici resta a far parte del patrimonio genetico della gran parte
degli OMG. Dal momento che frammenti di DNA possono sopravvivere al
processo di digestione, nulla impedisce al gene della resistenza agli
antibiotici di insediarsi in batteri presenti nel tratto digestivo umano.
Il problema sanitario rappresentato della resistenza agli antibiotici è
molto serio; già oggi decine di migliaia di persone muoiono ogni anno
di infezioni che un tempo sarebbero state facilmente curabili con
antibiotici. I geni per la resistenza agli antibiotici presenti negli OMG
rischiano quindi di rendere inefficaci medicine fondamentali per la salute
umana.
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Ø
La
maggior parte dei geni usati nell'ingegneria genetica provengono da specie
che non hanno mai fatto parte dell'alimentazione umana; non c'è dunque
modo di sapere come l'organismo umano reagirà alle proteine contenute in
questi nuovi alimenti. E'
importante tuttavia ricordare che ci sono volute centinaia di migliaia di
anni perché la razza umana riuscisse ad adattarsi agli alimenti che
consuma attualmente: basti pensare che anche un alimento naturale e
nutriente come il latte di mucca risulta del tutto indigeribile per le
popolazioni, come ad esempio quelle dell'Estremo Oriente, che nella loro
storia non ne hanno mai fatto uso. E' dunque molto probabile che
l'introduzione nell'alimentazione umana degli OMG dia luogo a fenomeni
allergici o tossici che interesseranno strati molto vasti delle
popolazione e, conseguentemente, ad un'emergenza sanitaria di notevoli
proporzioni. Ad esempio, la soia transgenica prodotta dalla ditta
statunitense Pioneer Hi-Bred con l'aggiunta di un gene proveniente dalla
noce brasiliana scatena reazioni tossiche nelle persone allergiche alla
noce brasiliana, che sono circa il 5% della popolazione. Se, come le
industrie biotecnologiche pretendono, gli OMG verranno commercializzati
senza nessuna forma di etichettatura, le persone allergiche ad un
determinato tipo di cibo (e sono sempre più numerose) non avranno alcuna
possibilità di difendersi da un rischio a volte mortale. Il gesto
rassicurante e quotidiano di fare la spesa diventerà una specie di
passeggiata in un campo minato.
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E'
importante ricordare infine che nessuno degli OMG oggi disponibili sul
mercato alimentare è stato mai sottoposto a test rigorosi; l'esperienza
scientifica nel campo della tossicologia dimostra del resto che anche la
sperimentazione più seria può non essere efficace nel rivelare la
presenza di sostanze nocive che non ci si aspetta di trovare. Esiste perciò
una probabilità che sostanze nocive siano presenti nei cibi geneticamente
modificati all'insaputa sia dei produttori che dei consumatori. E' dunque
completamente inaccettabile che alle industrie biotecnologiche venga
permesso di sfruttare il principio della "sostanziale
equivalenza" per rifiutarsi di contrassegnare in alcun modo i loro
prodotti: solo etichette chiare e complete renderebbero possibile
investigare la provenienza degli effetti nocivi non appena questi si
presenteranno, e permetterebbero l'attribuzione di precise responsabilità
legali ed economiche in caso di incidenti che potranno essere molto gravi.
In assenza di queste misure cautelative l'unica alternativa ragionevole
sembra essere l'immediata interruzione della produzione e ritiro dal
mercato di questi prodotti, che rappresentano evidentemente un rischio
incalcolabile per la salute dei consumatori.
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Un'altra
interessante conseguenza dell'applicazione del principio della
"sostanziale equivalenza" in campo alimentare (non è un
principio fondato scientificamente ma un’invenzione delle multinazionali
per evitare l’etichettatura dei prodotti) riguarda poi gli "scarti
di lavorazione". A causa del gran numero di variabili sconosciute con
cui si trova ad operare, l'ingegneria genetica è una tecnologia assai
inefficiente e genera una quantità enorme di "errori",
organismi malati o deformi che risultano da esperimenti sbagliati.
L'industria biotecnologica si propone di risolvere il problema dello
smaltimento di questi "scarti", nonché dei "resti di
lavorazione", come ad esempio le carcasse dei maiali transgenici
usati per i trapianti, utilizzandoli per l'alimentazione umana. Tra i
prodotti che faranno presto la loro comparsa sulle nostre tavole vi sono
zuppe e minestre già pronte confezionate con vegetali transgenici
modificati per la produzione di sostanze chimiche per uso industriale e,
soprattutto, carne proveniente da animali geneticamente modificati per la
produzione di medicinali o di proteine umane (la pecora Tracy e le sue
sorelline), nonché carne di maiali in cui sono stati impiantati geni
umani per produrre organi da trapianto. Dove comincia il cannibalismo? Non
saremo neppure liberi di porci questa domanda perché questi inquietanti
prodotti invaderanno gli scaffali dei supermercati senza essere
contrassegnati da alcuna speciale etichetta.
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A questo punto è indispensabile una precisazione.
La stessa esistenza di un dibattito sulla brevettabilità dei geni induce
a immaginare i geni in maniera meccanica, come qualcosa di simile a
un'automobile o a un computer. Questa logica fuorviante è stata duramente
stigmatizzata dal rapporto della Commissione d'indagine sulle
biotecnologie del Parlamento Italiano, che ha messo in questione proprio
"il postulato di fondo posto a base della legislazione internazionale
sulla materia vivente, e cioè l'assimilazione della stessa a cose
inanimate. Non è pensabile che l'unico modo per proteggere la proprietà
intellettuale nel campo biotecnologico sia quella di annullare la
specificità della materia vivente per assimilarla a cose inanimate".
(Atti parlamentari p.247, Camera dei Deputati, XIII Commissione
Agricoltura).
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Infatti
i geni, come tutte le realtà biologiche, non possono essere concepiti
come entità strutturali discrete; ad esempio, non sempre occupano la
stessa posizione nei cromosomi e non si presentano necessariamente come
sequenze continue. Inoltre il funzionamento di ciascun gene dipende da
quello di uno o più altri geni che lo regolano, ed è spesso collegato a
quello di altri geni. Soprattutto, geni che hanno la stessa funzione non
presentano necessariamente la stessa struttura e geni che presentano la
stessa struttura non hanno sempre la stessa funzione. Ad esempio, il gene
di una certa proteina, l'isomerasi, si ritrova identico nei batteri, nei
lieviti, negli insetti e nei mammiferi; ciononostante la proteina svolge
funzioni diversissime nei diversi organismi. Le proprietà di ciascun gene
non sono dunque una conseguenza meccanicamente prevedibile della sua
struttura, ma dipendono da un complesso di fattori cromosomici, cellulari,
fisiologici ed evolutivi. Queste conoscenze scientifiche di base hanno
importanti conseguenze per la questione della brevettabilità. Uno dei
requisiti preliminari per la richiesta di un brevetto è infatti la
capacità di descrivere esaurientemente l'oggetto della richiesta; per
quanto possa essere facile soddisfare questo requisito per un macchinario,
per un gene esso presenta difficoltà difficilmente sormontabili. A titolo
puramente esemplificativo possiamo ricordare che il cosiddetto gene CTFR,
le cui mutazioni possono portare alla fibrosi cistica, ha più di
quattrocento varianti finora note, e di queste solo pochissime causano la
forma più grave della malattia. Come abbiamo visto, le industrie
biotecnologiche, con la complicità degli uffici brevetti di vari paesi,
hanno completamente eluso questo problema richiedendo (e ottenendo)
brevetti formulati in maniera estremamente vaga e generica, ma, com'era
facilmente prevedibile, questa anomalia giuridica ha avuto l'effetto
immediato di innescare una serie di aspre controversie legali di cui non
si riesce a prevedere la fine. Bisogna inoltre considerare che il più
importante requisito per la produzione industriale e la
commercializzazione di qualsiasi merce è la standardizzazione; se
l'industria automobilistica non potesse garantire che tutte le auto di uno
stesso modello fossero
identiche, se ogni copia di un quotidiano fosse
lievemente diversa dalle altre, il mercato di questi beni entrerebbe in
crisi. Ma questo è esattamente quello che accade con gli organismi
transgenici: spesso le piante sembrano riconoscere in qualche modo i geni
estranei e riescono ad inibirne l'azione; a volte questo fenomeno si
verifica subito, a volte nelle generazioni successive, a volte sembra
essere influenzato da fattori ambientali e climatici come la temperatura,
la composizione del suolo, o persino l'età delle piante genitrici, tutte
variabili che non vengono considerate negli esperimenti di laboratorio:
così ad esempio può accadere che piante perfettamente in grado di
resistere agli erbicidi nell'ambiente protetto di una serra soccombano
rovinosamente se sottoposte all'azione degli stessi erbicidi in un campo
aperto. In parecchi stati degli USA le piante di cotone resistente al
Roundup della Monsanto non hanno portato raccolto perché hanno perso le
infiorescenze prima della maturazione; nessun inconveniente di questo tipo
si era mai verificato durante la fase di sperimentazione. In Gran Bretagna
le patate rese velenose per i parassiti hanno ucciso anche gli insetti
utili che dei parassiti si cibano. Anche l'immissione nell'ambiente della
klebisiella planticola, un batterio geneticamente modificato in grado di
produrre alcool dai rifiuti vegetali, ha avuto conseguenze catastrofiche:
quando i residui di produzione, contenenti batteri vivi, uscirono dai
laboratori per essere usati come concime, essi produssero effetti
devastanti, sterminando tutte le piante di frumento che avrebbero dovuto
concimare; anche l'ecosistema del suolo venne modificato, con la
proliferazione esplosiva di un verme nocivo, la filaria. Nessuno sa perché
si verifichino questi ed altri misteriosi fenomeni; ma è evidente che la
logica industriale, evolutasi per risolvere problemi legati al
funzionamento di macchinari, è del tutto inadeguata ad affrontare la
complessità degli organismi viventi, e che la pretesa di applicare al
mondo vivente lo strumento del brevetto, nato da quella stessa logica
industriale, tradisce una completa incomprensione, o una colossale
malafede.
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La logica industriale non è
all'opera soltanto nella questione dei brevetti ma pervade tutto
l'approccio alla questione degli OMG.
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Parecchie ricerche di
ingegneria genetica riguardano la creazione di ibridi uomo-animale da
usare per ricavarne "pezzi di ricambio" per i trapianti. Ma questa prospettiva, che
spesso i mezzi di comunicazione di massa presentano trionfalisticamente
come l'ultima frontiera della chirurgia sperimentale, non può non
suscitare profonde riserve. Dal virus Ebola che sconvolse lo Zaire nel
1995 alla BSE, la cosiddetta "sindrome della mucca pazza", al
virus dell'AIDS, probabilmente evolutosi da un virus delle scimmie, la
maggior parte degli agenti patogeni più perniciosi per la salute umana
comparsi negli ultimi anni sono virus che hanno oltrepassato la barriera
naturale tra le specie. Come abbiamo visto, le tecniche dell'ingegneria
genetica facilitano enormemente questo mortale passaggio; la pratica
chirurgica dello xenotrapianto (trapianto di organi animali nell'uomo),
trasportando i virus presenti nell'animale donatore nell'uomo che riceve
l'organo, non farebbe che offrire ai virus nuovi e vecchi un campo libero
in cui espandersi a volontà, coadiuvati dalla terapia immunodepressiva
che accompagna inevitabilmente ogni intervento di questo tipo. E' bene
ricordare che i virus hanno effetti diversi su diverse specie animali;
spesso ad esempio una specie che ospita un virus da molto tempo ha
sviluppato una resistenza naturale alla sua azione patogena. Soprattutto,
non esistono test che permettano di individuare virus ancora sconosciuti;
l'unico modo di sapere con certezza se un organo proveniente da un animale
apparentemente sano ospita virus mortali per l'uomo è eseguire un
trapianto e stare a vedere. Come ha affermato Jonathan Allen, membro
della commissione FDA che aveva il compito di discutere i rischi collegati
allo xenotrapianto: "Raramente, o forse mai, la razza umana ha avuto
le conoscenze sufficienti a scongiurare una futura epidemia. Ciò che
manca è la saggezza di agire secondo quelle conoscenze."
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Inoltre, dopo qualsiasi
trapianto le cellule del donatore si spargono tramite la circolazione
sanguigna per tutto il corpo del ricevente e si insediano e si
moltiplicano in tutti gli organi, ad eccezione del cervello; gli
xenotrapianti non possono dunque avere successo se non dando origine ad
esseri umani il cui corpo è composto da una percentuale sempre crescente
di cellule animali, quelle che Thomas Starzl, il principale campione di
questa tecnica, definisce "chimere post-trapianto". Gli effetti
biologici a lungo termine di questo fenomeno non sono noti perché nessun
paziente sottoposto a xenotrapianto è mai sopravvissuto più di 70 giorni,
ma la prospettiva è molto inquietante.
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Non
si può fare a meno a questo punto di chiedersi quali vantaggi gli organi
animali, sia pure transgenici, offrano rispetto a quelli umani, che non
presentano nessuno dei rischi che abbiamo discusso. Dal punto di vista dei
pazienti, evidentemente nessuno. Purtroppo però il punto di vista dei
pazienti generalmente non è quello che conta di più nell'industria
biomedica. Anche nel caso degli xenotrapianti, le ragioni che spingono
gli addetti ai lavori a sostenere una soluzione così evidentemente
macchinosa e pericolosa sono in gran parte economiche. Come tutti
sanno, il commercio di organi da trapianto è illegale in tutto il mondo;
questa norma viene di fatto talvolta trasgredita, ma è impensabile che
una grande industria biotecnologica pensi di costruire una parte
consistente dei propri profitti sul business degli organi da trapianto
umani. Fortunatamente gli organi da trapianto animali non sono sottoposti
a simili restrizioni: sono considerati semplici frattaglie, e possono
essere comprati e venduti liberamente. Il prezzo di un normale fegato di
maiale, però, quali che siano gli esami clinici a cui l'animale è stato
sottoposto prima della macellazione, non può ragionevolmente superare una
certa cifra: il commercio sarebbe sì legale, ma garantirebbe introiti
assai limitati. Per risolvere questo problema, più che medico
finanziario, l'industria biotecnologica ha inventato i maiali transgenici;
il "valore aggiunto" dei geni umani impiantati nell'animale e,
soprattutto, il monopolio garantito dal brevetto, permetterebbero di
esigere prezzi da capogiro: un rapporto della multinazionale Sandoz
prevede un utile annuo di oltre 5 miliardi di dollari per 50.000 maiali già
a partire dal 2010.
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Se le industrie biotecnologiche riusciranno a realizzare i loro piani,
la disseminazione degli OMG interesserà tutto il pianeta. Non si tratterà,
come nel caso dei disastri petroliferi o nucleari, di pochi focolai di
rischio isolati nello spazio e nel tempo, ma di un unico grande
esperimento senza ritorno su scala planetaria.
Piante coltivate in campi vicini si ibridano facilmente; è quindi
impossibile essere certi che il patrimonio genetico degli OMG non si
diffonda ben al di là delle nostre intenzioni a gran parte della
popolazione vegetale: già oggi sappiamo con certezza che i geni delle
piante modificate possono superare barriere di spazio e di specie
trasmettendosi ad altri organismi nel raggio di due-tre chilometri; del
resto, anche la composizione stessa del terreno e la popolazione di
batteri in presenza di piante transgeniche cambiano in maniera
imprevedibile, non sappiamo se irreversibilmente. Anche l'uso di piante ed
animali destinati all'alimentazione umana per la produzione di sostanze
chimiche ad uso farmaceutico ed industriale rappresenta una seria minaccia
alla salute: i geni che determinano la produzione di sostanze non
alimentari potranno facilmente diffondersi ad atri organismi portando alla
contaminazione delle risorse alimentari su vasta scala per un periodo
imprevedibilmente lungo.
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Questi rischi riguardano
anche la fase di sperimentazione. Le misure di sicurezza non sono infatti
sempre sufficienti ad impedire la diffusione nell'ambiente di materiale
organico pericoloso: recentemente in Australia colonie di un virus
patogeno contro i conigli allevate in un laboratorio situato su un'isola
si sono diffuse sul continente per un raggio di 400 chilometri; nel
tentativo di arginarne la diffusione è stato necessario avvelenare tutti
i conigli, ma ancora nulla si sa sulle possibilità di mutazione del
virus, che potrebbero renderlo letale per l'uomo. A questo si aggiunge il
fatto che anche troppo spesso le misure di sicurezza non vengono neppure
rispettate: il New Scientist del 4 aprile 1988 ha pubblicato un elenco di
industrie biotecnologiche che hanno infranto consapevolmente le regole di
sicurezza durante la fase di sperimentazione in Gran Bretagna; malgrado la
lista comprenda nomi come Monsanto, AgrEvo e persino l'Istituto Nazionale
britannico di botanica agricola, si tratta verosimilmente soltanto della
punta dell'iceberg: le ispezioni diventano sempre più difficili man mano
che gli esperimenti si moltiplicano, e il rischi di infrazioni non
documentate, anche gravi, cresce continuamente.
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Gran parte dei progressi nel
campo della salute nel nostro secolo sono stati dovuti all'igienizzazione
dei processi di produzione e confezionamento dei prodotti alimentari, che
precedentemente erano micidiali veicoli di trasmissione di agenti patogeni
(basti ricordare la pastorizzazione, che ha eliminato il rischio di
mortali malattie infettive collegato fin dai tempi più remoti al consumo
del latte).
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Questi progressi rischiano
ora di essere vanificati: i cibi geneticamente modificati rappresentano
infatti efficacissimi vettori per innumerevoli virus superinfettivi, già
predisposti per oltrepassare la naturale barriera tra le specie. Ancora
una volta, si tratta non di un rischio isolato e circoscritto, ma di un
pericolo reale che interessa tutta la popolazione mondiale.
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Dalle manipolazioni
genetiche non si torna indietro. Una volta che gli OMG saranno stati
immessi nell'ambiente non sarà più possibile "ripulire" il
pianeta come dopo un disastro petrolifero: i nuovi organismi si
riprodurranno e si ibrideranno senza alcuna possibilità di controllo. Le
scelte che compiamo oggi rischiano di cambiare per sempre la vita sulla
terra, distruggendo un equilibrio che ha cominciato a formarsi con
l'inizio dell'evoluzione. Per quel che ne sappiamo, il nostro è l'unico
pianeta dove esiste la vita. Vale davvero la pena di mettere a repentaglio
i risultati di un processo unico e irripetibile che è durato tre miliardi
di anni per fare un favore a poche ditte che hanno problemi a far quadrare
il bilancio?
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Malgrado l'ottimismo che
ostentano, le industrie biotecnologiche sono perfettamente consapevoli
dell'aspetto apocalittico della questione. L'autorevole quotidiano
britannico conservatore The Guardian (mercoledì 6 agosto 1997 p.9 Home
News) ha recentemente pubblicato un documento riservato diretto alla
EuropaBios, che rappresenta gli interessi delle industrie biotecnologiche,
dall'agenzia di pubbliche relazioni Burson Marsteller, che in passato ha
curato gli interessi della Babcock e Wilcox all'epoca dell'incidente
nucleare di Three Mile Island del 1979 e della Union Carbide in occasione
del disastro del Bhopal, in cui persero la vita circa 15.000 persone.
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L'agenzia di consulenza
consiglia caldamente alle industrie biotecnologiche di "tacere sui
rischi legati agli OMG" in quanto "non possono sperare di
vincere la discussione sulla questione dei rischi". L'atteggiamento
ottimistico e fiducioso delle industrie non deriva dunque da una
convinzione sincera, per quanto errata o superficiale, ma soltanto da
calcolo e da malafede.
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Le
tecniche dell'ingegneria genetica non sono state ancora adeguatamente
sperimentate e sono state commercializzate prematuramente contro il parere
della grande maggioranza degli scienziati e dei consumatori. La malafede
dell'industria biotecnologica è dimostrata al di là di ogni ragionevole
dubbio dal suo atteggiamento nella questione delle etichette: se le ditte
sono così sicure del consenso dei consumatori, perché si rifiutano di
identificare i prodotti transgenici? Evidentemente sanno che nessuno
accetterà i rischi connessi al consumo dei loro prodotti, a meno di non
venire privato di ogni libertà di scelta. Non si può fare a meno di
chiedersi a questo punto se il compito dei governi democratici dei paesi
industrializzati, tra cui l'Italia, sia veramente quello di privare i
cittadini della libertà di scelta in una questione così importante, o
non piuttosto quello di salvaguardare questa libertà con tutto il potere
che deriva loro da un'autorità fondata proprio sulla libera scelta dei
loro elettori.
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Negli
Stati Uniti la storia dei brevetti sulla vita è cominciata nel 1978,
quando l'ufficio federale dei brevetti respinse la richiesta di un
ricercatore di poter brevettare un batterio; nel 1980 la Corte Suprema
sovvertì con cinque voti contro quattro la decisione dell'ufficio
brevetti; da allora ogni forma di brevetto sulla vita è diventata legale.
La sconvolgente richiesta presentata da Newman potrebbe avere l'effetto di
spingere la Corte Suprema o il Congresso a ritornare sulla decisione del
1980, riportando la legislazione sui brevetti allo stato originario, come
molti dei più prestigiosi istituti di ricerca, e lo stesso ufficio
brevetti, raccomandano da tempo.
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Il reale atteggiamento
dell'industria nei confronti delle popolazioni più povere risulta
comunque evidente al di là di ogni ragionevole dubbio dall'ultima novità
in fatto di prodotti vegetali. Secondo la legge, il detentore di un
brevetto ha il diritto di esigere il pagamento di diritti sui semi di
varietà vegetali brevettate, anche nel caso che quei semi provengano dal
raccolto dell'anno precedente, nonché di proibire lo scambio di sementi
tra piccoli coltivatori. Naturalmente, controllare l'applicazione
effettiva di questa norma da parte di centinaia di milioni di piccoli
coltivatori del Sud del mondo risulta assai complicato: come si fa ad
essere sicuri che nessun contadino del Centrafrica o del Bangladesh
conservi da qualche parte un sacchettino di sementi dell'anno prima,
violando così i diritti economici delle multinazionali? Semplice: basta
assicurarsi che le sementi diventino sterili alla seconda generazione
manipolandole geneticamente. E, guarda caso, è proprio ciò che le
industrie hanno fatto (brevetto USA N.5.723.765, concesso nel marzo 1998 a
Delta Pine Land e all'US Department of Agricolture). Questo particolare
tutt'altro che insignificante conferma una volta di più che i brevetti
sulla vita, lungi dal rappresentare una legittima tutela delle innovazioni
tecnologiche, offrono alle multinazionali lo strumento per estendere il
loro monopolio planetario sul settore più vitale della produzione, quello
del cibo, mettendo seriamente in pericolo la sopravvivenza delle
popolazioni più povere.
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Ora
che i brevetti sui geni delle più varie malattie hanno acquistato validità
in Europa, i sistemi sanitari dei paesi europei non avranno altra scelta
che pagare i diritti che i detentori dei brevetti esigeranno su ogni
singolo test effettuato (nonché su eventuali test nuovi e migliori messi
a punto, anche in laboratori di ricerca pubblici, usando il
"loro" gene) oppure smettere di effettuare i test perché troppo
costosi. Nel primo caso i costi dell'assistenza sanitaria pubblica, che già
sono motivo di preoccupazione in tutti i paesi industrializzati,
leviteranno al di là del tollerabile; nel secondo la medicina si troverà
a rinunciare, per motivi esclusivamente economici, a strumenti diagnostici
decisivi, tornando indietro di parecchi anni.
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Nella
stessa prospettiva è interessante notare che il brevetto della Agracetus
(ora acquistata dalla Monsanto) che copre tutte le possibili varietà di
cotone geneticamente modificato fissa la quota di licenza che altre
industrie debbono versare a un milione di dollari. Un tale prezzo non
rappresenta un ostacolo per le grandi industrie ma ha l'effetto di
escludere dalla competizione tutte quelle medio-piccole. Lo scopo a lungo
termine che le industrie biotecnologiche si prefiggono è evidentemente la
creazione di un regime di oligopolio in cui pochissime grandi
multinazionali controllano i settori chiave della produzione, quello
alimentare e quello biomedico, con tutti i pericoli per il libero mercato
e la salvaguardia dei consumatori che una situazione del genere
inevitabilmente comporta.
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Le industrie biotecnologiche
affermano che l'ingegneria genetica è un campo in vertiginosa ascesa da
cui l'economia mondiale potrà attendersi enormi benefici in termini di
profitti e di posti di lavoro. E' bene inserire a questo punto una
considerazione marginale: il solo fatto che un'attività sia
economicamente assai redditizia non è comunemente ritenuto una ragione
sufficiente per renderla legale: l'industria degli stupefacenti, lo
sfruttamento della prostituzione, il commercio di organi a scopo di
trapianto sono solo alcuni esempi di attività indubbiamente redditizie
che la legislazione di tutti i paesi civili non si astiene dal perseguire.
Ma un esame più approfondito delle affermazioni trionfalistiche
dell'industria rende addirittura superfluo ricorrere a queste astratte
considerazioni morali.
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Cominciamo col considerare
la situazione che i sostenitori della direttiva prendono a modello, quella
degli Stati Uniti. Negli USA vi sono circa 1300 aziende che lavorano nel
campo dell'ingegneria genetica; il loro punto forte è la medicina:
l'agricoltura copre meno del 10% del totale. Di queste circa 1300 aziende
solo 35 (cioè il 3%) sono in attivo, mentre le altre, vale a dire il 97%
del totale delle aziende, sono in perdita. Le industrie biotecnologiche
hanno bisogno di enormi quantità di capitale a rischio; nel 1996 queste
1300 industrie hanno accumulato perdite per circa 4.6 miliardi di dollari:
fino a questo momento l'industria americana delle biotecnologie si è
dunque rivelata un'immensa macchina mangiasoldi. Nel 1996 circa 115.000
persone erano impiegate nell'industria delle biotecnologie; in rapporto al
totale di circa 125 milioni di posti di lavoro negli USA, si tratta circa
dello 0,1%: meno di un posto di lavoro su mille ha a che fare con
l'ingegneria genetica. Ma al tempo stesso quest'industria assorbe quantità
immense di denaro pubblico: nel 1987 2,7 miliardi di dollari, nel 1993 più
di 4 miliardi di dollari, e nel 1994 4,3 miliardi di dollari; tuttavia il
danaro pubblico non rappresenta la sua unica fonte di finanziamento: negli
anni '80 le industrie biotecnologiche hanno infatti cominciato ad attrarre
quantità enormi di cosiddetti "capitali d'avventura",
investimenti ad alto rischio compiuti nell'attesa di favolosi guadagni a
lungo termine. Sfortunatamente ora il "lungo termine" è
scaduto, e gli investitori attendono impazienti profitti che le imprese
sono ben lontane dal poter garantire. Le speranze di sopravvivenza
economica dell'industria biotecnologica sono ormai legate a due strategie:
l'immediata commercializzazione dei prodotti esistenti al loro attuale
stadio di sviluppo, perché ogni prolungamento del periodo di ricerca
allontana la prospettiva di profitti e rappresenta di per se' un costo
aggiuntivo, e l'approvazione di una legislazione sui brevetti che
garantisca introiti alti e costanti.
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Sfortunatamente entrambe
queste strategie, per quanto adatte a garantire la sopravvivenza
dell'industria, rappresentano una catastrofe per la società civile. La
commercializzazione precoce e avventata di prodotti non adeguatamente
sperimentati creerà, come abbiamo visto, emergenze sanitarie che lo stato
dovrà affrontare da solo, perché l'assenza di etichettatura renderà
impossibile l'attribuzione di responsabilità legali alle aziende
produttrici di OMG. La direttiva sui brevetti avrà l'effetto di
costringere la sanità pubblica al pagamento di diritti esosi, con la
conseguenza di un vertiginoso aumento dei costi dell'assistenza medica in
tutti i paesi industrializzati.
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Per
quanto gli argomenti di ordine medico ed economico siano sicuramente più
rilevanti, forse non è superfluo spendere qualche parola su un altro
aspetto non marginale della questione: quello legale. Da questo punto di
vista la direttiva sui brevetti rappresenta una vera e propria
aberrazione. Infatti sia il GATT-TRIPS sia la EPC (European Patent
Convention) che gli accordi NAFTA tra gli Stati Uniti, il Messico e il
Canada escludono esplicitamente dalla brevettabilità le scoperte
scientifiche, le tecniche terapeutiche e diagnostiche, gli animali e le
piante, i processi biologici, nonché le invenzioni contrarie alla morale
o che presentano rischi ecologici. La direttiva è dunque in palese
conflitto con tutte queste normative, nonché con la Convenzione sulla
Biodiversità. Inoltre l'approvazione della direttiva permetterà a
pochissimi grandi gruppi industriali, con il pretesto di modifiche
apportate al loro patrimonio genetico, di assicurarsi i diritti sulla
maggior parte delle piante alimentari, creando una pericolosissima
situazione di monopolio evidentemente in contrasto con qualsiasi normativa
anti-trust.
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1.
il pomodoro non marcescibile
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Anche
la qualità dei cibi proposti ai consumatori dei paesi industrializzati
suscita tuttavia non poche inquietudini. Un esempio tipico dei nuovi
prodotti su cui l'industria ha concentrato le sue ricerche e le sue
speranze di profitto è il cosiddetto il pomodoro "flavr-savr"
("aroma-sapore"), prodotto dalla Calgene. Questo pomodoro è
stato manipolato geneticamente in modo che le pareti delle sue cellule si
decompongano più lentamente; tuttavia gli altri processi di
invecchiamento cellulare, come la decomposizione delle vitamine A e C e
delle altre sostanze nutritive, procedono alla velocità normale. Il
risultato è un pomodoro che mantiene a lungo un aspetto fresco sugli
scaffali dei supermercati ma il cui valore nutritivo è prossimo allo
zero. Naturalmente, gli entusiasti acquirenti di questa novità alimentare
non erano stati informati di questo, come neanche del fatto che nel
pomodoro "flavr-savr" vengono usati come marcatori geni che
causano la resistenza agli antibiotici, con tutti i rischi di cui abbiamo
già parlato. Quando queste notizie hanno cominciato a diffondersi la
popolarità del prodotto è molto diminuita, e la Calgene è venuta a
trovarsi in condizioni finanziarie veramente critiche.
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2.
Tra uomo e animale: l'ultima novità in fatto di prodotti
biotecnologici
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Un
caso recentissimo getta una luce inquietante su un altro aspetto della
questione dei brevetti. Stewart A. Newman, biologo del New York Medical
College, ha presentato il 18 dicembre 1997 domanda per brevettare una
creatura parzialmente umana (Nature 2 aprile 1998); diversi animali
contenenti parti di genoma umano sono del resto già stati brevettati, e
quindi non sussiste nessun ostacolo legale alla brevettazione e alla
produzione di chimere uomo-animale.
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3.
L’oncotopo: cancro 100% garantito
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Nel 1993 nei laboratori dell'università di Harvard,
con finanziamenti dell'industria farmaceutica Dupont, venne ottenuto
tramite ingegneria genetica un topo che aveva il 100% di probabilità di
ammalarsi di cancro, e che avrebbe dovuto rappresentare il modello
sperimentale ideale per la ricerca. Ovviamente, l'animale fu
immediatamente brevettato.
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A tutt'oggi, dopo cinque
anni dalla brevettazione dell'oncotopo, la Dupont non ha realizzato alcun
profitto economico grazie alla sua "invenzione"; nessun
laboratorio di ricerca al mondo, pubblico o privato, è stato infatti
disposto a pagare le somme esorbitanti che la ditta richiedeva per
concedere l'uso dell'animale, né ovviamente ad impegnarsi a corrispondere
alla Dupont dei diritti sui i risultati delle proprie ricerche eseguite
per mezzo dell'oncotopo, come stabilito dalla legislazione sui
brevetti.
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*
da Alcune osservazioni sulla direttiva
per la protezione delle
invenzioni biotecnologiche" e
sulla questione degli organismi geneticamente modificati
|
A cura di Carmen Dell'Aversano -
Università di Pisa
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a cura di MEDIAMENTE/RAI EDUCATIONAL
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Pensa
che la biotecnologia cambierà veramente la nostra vita?
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Ci
troviamo di fronte a uno dei cambiamenti più grossi nella storia della
civiltà. Stiamo passando dalla rivoluzio-ne industriale al secolo della
biotecnologia. Per 40 anni due tecnologie d'avanguardia si sono sviluppate
paralle-lamente: l'informatica e l'ingegneria genetica, la scienza
dell'informazione e le scienze naturali. Ora si stanno unendo, i computer
e i geni, per gettare le fondamenta di un'era completamente nuova nella
storia mondiale. Sempre più, il computer viene usato come un linguaggio
per organizzare i geni, decifrarli, registrare le loro informazioni, per
gestirli e sfruttarli. E il grande cambiamento che sta avvenendo
nell'economia glo-bale è il passaggio dai combu-stibili fossili, dai
metalli e dai minerali - le materie prime della rivoluzione industriale -
ai geni, al commercio genetico, le materie prime del secolo della
biotecnologia. Esistono geni per l'alimentazione, nuovi metodi di
elaborazione di geni per prodotti farmaceutici e medicine, ma anche per
costruire
materiali; è
possibile usare i geni e la manipola-zione genetica per la costruzione di
fibre e perfino per nuove risorse di energia. Questo è un grosso
cambia-mento nella storia. Ora abbiamo nuovi potenti strumenti a
disposizione delle società che operano nel campo delle scienze biologiche
e della biologia molecolare, che per-mettono all'uomo di agire come Dio in
laboratorio. Possiamo cominciare a riconfigurare, riprogettare, milioni di
anni di evoluzione per soddisfare le esigenze del mer-cato e della
generazione attuale (NdR - studi più recenti hanno di molto
ridimensionato il peso dei geni nello svi-luppo della vita: la mappatura
del genoma umano ha evidenziato il ruolo fondamentale delle proteine in un
contesto di complessità che non permette previsioni). Questo è il più
grosso intervento sulla natura mai com-piuto in tutta la storia, e solleva
grosse questioni am-bientali, etiche e sociali.
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Cosa significa
che il materiale vivente può essere brevettato?
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Il nome del gioco è "geni".
Chi controlla i geni controlla il secolo della biotecnologia. Stiamo
passando dalla fonte energetica costituita dai combustibili fossili e
minerali a quella dei geni. Geni per ogni attività economica. Ora, il
pubblico sarà sorpreso di sapere che le fusioni che si fan-no nel campo
delle telecomunicazioni, del software e del-l'industria dello spettacolo
sono poca cosa in confronto con le fusioni che avvengono nel campo
dell'industria del-le scienze naturali. E quello che vediamo è che un
certo numero di società che operano nel settore delle scienze biologiche
in tutto il mondo cominciano a controllare tutte le mappe genetiche sulle
quali è basata la nostra soprav-vivenza. Dai semi delle piante
commestibili alle fibre al materiale da costruzione alla medicina, tutto
è nelle mani di poche società. Nei prossimi 8 anni, virtualmente tutti i
60.000 geni che costituiscono la mappa del genere uma-no saranno
identificati. Ognuno di questi 60.000 geni diventerà virtualmente
proprietà registrata di una socie-tà. A mano a mano che le società
individuano questi ge-ni, come il gene del cancro al seno, il gene della
fibrosi ci-stica, del morbo di Huntington, accampano diritti su di essi
come se fossero loro invenzioni. Così tra meno di dieci anni, poche
società come Monsanto, Novartis, Smith Kline Beecham e Hoechst Chemical,
saranno in possesso della mappa genetica del genere umano, il che darà
loro un potere commerciale senza precedenti, tale da dettare i termini
entro i quali viviamo le nostre vite, e forse per dettare i termini della
futura evoluzione del genere uma-no. Inoltre, le stesse società stanno
analizzando i paesi del Sud del mondo perché è lì che si trovano le
risorse genetiche rare. La biodiversità del pianeta, le ricche risor-se
genetiche si trovano nei paesi in via di sviluppo. Così queste società
vanno laggiù, fanno ricerche, individuano dove si trovano i geni che
potrebbero avere un valore commerciale e li registrano: possono essere
microbi che si trovano nelle piante e negli animali e anche nella
popo-lazione indigena. I paesi del Sud gridano alla biopirateria. Dicono:
"Sono risorse nostre, come il petrolio nel Medio Oriente. Dovremmo
averne un compenso economico". Il mio parere, e quello che io esprimo
in Il secolo biotech, è che il
serbatoio genetico deve rimanere aperto. È un pa-trimonio comune. Fa
parte della comune eredità dell'evo-luzione. Non dovrebbe essere ridotto
a proprietà politica dei governi o proprietà intellettuale e commerciale
delle società. Se riduciamo il serbatoio genetico a una proprie-tà
privata che può essere sfruttata commercialmente avremo guerre genetiche
nei prossimi secoli, esattamen-te come le guerre che ci sono state per il
petrolio e i me-talli e minerali rari nell'era industriale. Quindi ci
vuole un accordo internazionale per mantenere aperto questo ser-batoio.
L'Antartide è un buon esempio. L'ultimo continen-te è tenuto aperto come
un patrimonio comune. Secondo il trattato possiamo esplorarlo
scientificamente, ma non lo si può sfruttare commercialmente o possedere.
Ci vuo-le un accordo internazionale simile per mantenere aperto il
serbatoio genetico, in modo che possa essere esplorato scientificamente ma
condiviso come eredità per le gene-razioni future.
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Cosa si
intende per inquinamento genetico?
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Nei prossimi due o tre anni sentiremo un
termine nuovo: "inquinamento genetico". L'inquinamento genetico
sarà una questione tanto grave per la prossima generazione quanto lo è
stata l'inquinamento petrolchimico e nucleare per la generazione
precedente. Queste enormi imprese stanno immettendo nell'ambiente scorie
di organismi creati dall'ingegneria genetica in laboratorio. Nei prossimi
anni sperano di immettere centinaia, migliaia di questi organismi
geneticamente manipolati in tutto il mondo sul nostro suolo, nelle nostre
acque, per creare nuovi vege-tali, nuove fonti di energia, un intero
settore di attività. Siamo di fronte all'esperimento più radicale sulla
natura mai concepito dall'essere umano. Riseminare la terra con una
seconda genesi artificiale. Ora, il problema è questo. Quando si
cominciano a introdurre centinaia e poi miglia-ia di organismi progettati
geneticamente in ambienti ai quali non sono stati adattati in precedenza,
alcuni di essi possono diventare dannosissimi, rimanere nell'ambiente e
provocare una destabilizzazione a lungo termine. Le fa-rò qualche
esempio. Negli ultimi tre anni la Monsanto, una società americana, ha
cercato di introdurre una pianta che produce plastica, e che si raccoglie
come il cotone, in milioni di acri in tutto il mondo. Altre società
stanno cercando di creare piante che fungono da impianti chimici e
secernono prodotti farmaceutici e prodotti chimici e vaccini. Ora,
immagini milioni di acri in tutto il mondo con piante che producono
plastica e prodotti chimici e farmaceutici e vaccini. Che succede agli
uccelli e agli insetti e ai microrganismi e agli animali che per nutrirsi
vengono in contatto con piante che producono plastica e prodotti chimici e
farmaceutici? Non ci sono precedenti di questo tipo di cambiamenti
radicali nei nostri ecosistemi. In questo stesso momento, le grosse società
stanno immettendo sementi di cibo manipolato geneticamente. Qui in Italia
e in tutto il mondo è in corso un dibattito su queste piante. Queste
piante sono potenzialmente molto pericolose. Contengono geni che rendono
le piante resistenti agli erbicidi e geni che le rendono resistenti a
insetti e virus. Il problema è questo: abbiamo studi che mostrano come
questi geni speciali possono sfuggire al controllo durante
l'impollinazione, e così ci può essere un gene resistente all'erbicida o
agli insetti che schizza via durante l'impollinazione e si fissa al codice
genetico delle erbe infestanti: le erbe infestanti diventerebbero
resistenti agli erbicidi e agli insetti. Le erbe infestanti naturalmente
si riproducono, proliferano, si diffondono. Immagini il problema su grosse
estensioni di terreno, con erbe infestanti che contengono geni resistenti
ai virus e agli insetti e agli erbicidi. Quello che il pubblico italiano
deve sapere, e in particolare i vostri rappresentanti in parlamento, è
che non c'è un risarcimento assicurativo a lungo termine contro eventuali
perdite nel caso in cui uno di questi organismi diventasse nocivo. C'è
solo un'assicurazione a breve termine per i danni all'agricoltura e per
negligenza. Il motivo per cui il sistema assicurativo non farebbe mai
assicurazioni per queste perdite a lungo termine è che dicono che nessuna
scienza è in grado di valutare i potenziali rischi. Quindi la mia domanda
è: non è un atto di irresponsabilità da parte dei governi permettere
che vengano introdotti nell'ambiente organismi manipolati geneticamente,
di qualunque tipo? Se non ci sono responsabilità per potersi assicurare
contro le perdite a lungo termine, chi sarà responsabile? Queste società
non potrebbero mai pagare i danni. Se un organismo diventa nocivo, il
danno potrebbe ammontare a centinaia di milioni di dollari, forse a
miliardi. Chi pagherà i danni? Gli agricoltori italiani? O i proprietari
di case o i contribuenti? Sarà il governo italiano ad assumersi per
generazioni milioni di dollari di danni in quanto responsabile della
tragedia? Dobbiamo imparare una lezione dalla rivoluzione petrolchimica e
nucleare. Sollevare subito le questioni scottanti. Assicurarsi di non
introdurre nella biosfera niente che possa compromettere le generazioni
presenti e quelle future. Sospendere le emissioni di qualsiasi tipo
nell'ambiente, finché non venga discussa in parlamento la questione di
una valutazione scientifica dei rischi e delle responsabilità.
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Esistono dei
limiti entro cui si dovrebbe mantenere lo sviluppo degli esperimenti di
biotecnologia?
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Qui non è in questione la scienza.
Stiamo andando verso il secolo della biologia, della biotecnologia. La
scienza ha un valore quando non viene usata in maniera riduzionista.
Stiamo imparando molte cose sui geni, come funzionano, cosa fanno, come si
comportano nell'ambiente. Questa è ottima scienza. Non è la scienza che
è in questione. È in questione il tipo di tecnologia commerciale e
sociale che useremo nelle applicazioni di questa nuova scienza nel secolo
della biotecnologia. C'è una linea dura e una linea morbida
nell'applicare questa nuova scienza che si sta sviluppando. Ciascuna ha
dei parametri molto diversi, valori molto diversi. Quanto alla linea dura,
le farò qualche esempio: gli alimenti geneticamente trattati. Creare
alimenti manipolati geneticamente che resistono agli ecosistemi locali,
che sono potenti: questo fa parte della linea dura. La stessa scienza può
però anche adottare in agricoltura la linea
morbida: è
l'agricoltura organica. Potremmo usare questa nuova scienza per creare nei
prossimi secoli una produzione agricola a sviluppo sostenibile, su base
organica, molto sofisticata. Invece di manipolare i semi in isolamento,
fuori dall'ecosistema, potremmo trovare il modo di capire come le nostre
specie tradizionali interagiscono con gli ecosistemi locali, in modo da
poter integrare al meglio milioni di anni di sapiente evoluzione e creare
approcci organici, sostenibili, per rendere le nostre piante compatibili
con le dinamiche dell'ecosistema. L'approccio duro consiste nell'agire
come Dio, essere l'architetto, l'ingegnere della seconda Genesi. La linea
morbida, l'agricoltura organica, consiste nell'agire come un collaboratore
e un amministratore. Non manipolare e riprogettare, ma piuttosto trovare
metodi di precisione e integrare la saggezza che sta dietro al processo
evolutivo con gli ecosistemi locali. Lo stesso nel campo della sanità. La
linea dura sarebbe aspettare il momento in cui uno è malato e a quel
punto iniettargli i geni per farlo guarire, o, ancor più radicalmente,
modificare le istruzioni genetiche nello sperma e l'ovulo in modo da
eliminare le potenziali malattie, ma a quel punto rischiamo di creare la
nostra propria genesi e una cultura eugenetica. C'è una linea morbida per
usare la stessa scienza in medicina, ossia la medicina preventiva: capire
meglio come i geni interagiscono con l'ambiente per mantenere la gente in
buona salute. Sa che per la maggior parte delle nostre malattie gravi,
come l'infarto e il cancro al seno, al colon, alla prostata, il diabete e
gli attacchi ischemici c'è una forte componente ambientale. Ognuno ha una
diversa predisposizione verso queste malattie, ma l'ambiente che noi
creiamo può scatenarli. Se uno fuma molto, beve molto, non fa movimento,
mangia grassi e vive nell'aria inquinata, ci sono delle probabilità che
soffra di questi disturbi. Possiamo prevenire queste situazioni con la
nuova scienza della medicina preventiva. Fra dieci anni saremo in grado di
analizzare un neonato e conoscere il suo intero codice genetico e sapere a
quali disturbi sarà predisposto nel corso della sua vita. Stiamo anche
rilevando il codice genetico di tutti gli alimenti che mangiamo. Così
saremo in grado di adattare alimenti specifici che hanno proprietà tali
da impedire a certe persone di contrarre certe particolari malattie. Così
saremo capaci di venire incontro a ogni essere umano fin dalla nascita con
un regime alimentare particolare in modo che i suoi geni non mutino
causando malattie. C'è una maniera molto più sottile, elegante,
intelligente, di usare questa nuova scienza: la linea morbida. Non implica
il trasformarsi in Dio, progettare la vita, ma al contrario il collaborare
e comprendere come integrare meglio il nostro senso del benessere
all'interno di milioni di anni di sapiente evoluzione.
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(23 novembre 1998)
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Sommario
Prefazione
Domande
e risposte
Biotecnologie e sicurezza
La complessità e la chimera del “rischio calcolato”
La chimera del rischio calcolato
Un'equivalenza
fraudolenta
Dove comincia il cannibalismo?
Materia inanimata e materia vivente: un equivoco pericoloso
Xenotrapianti: "l'ultima frontiera"
Un’apocalisse evitabile
Monopolio – brevetti
Ogm per combattere la fame nel mondo?
Biotecnologie per guarire?
Un aiuto ai paesi poveri? Una nuova economia?
Un vero affare: per chi?
Un controsenso giuridico
Esempi ed episodi
L'uomo architetto del futuro nel secolo biotech
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