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biotecnologie avanzate

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Biotecnologie avanzate

    

  

A cura di

Gianluca e Simona Zoni

 

Federazione provinciale di Varese  

Partito della Rifondazione Comunista

 

 

Sommario

Prefazione

Domande e risposte

Biotecnologie e sicurezza

La complessità e la chimera del “rischio calcolato”

La chimera del rischio calcolato

Un'equivalenza fraudolenta

Dove comincia il cannibalismo?

Materia inanimata e materia vivente: un equivoco pericoloso

Xenotrapianti: "l'ultima frontiera"

Un’apocalisse evitabile

Monopolio – brevetti

Ogm per combattere la fame nel mondo?

Biotecnologie per guarire?

Un aiuto ai paesi poveri? Una nuova economia?

Un vero affare: per chi?

Un controsenso giuridico

Esempi ed episodi

L'uomo architetto del futuro nel secolo biotech


Prefazione.

 

 

Il presente opuscolo è stato progettato e diffuso senza la pretesa di dare risposte alle problematiche legate all’applicazione delle biotecnologie avanzate ed al carattere invasivo che queste stanno assumendo nella vita quotidiana.

Il tema è stato affrontato per la prima volta alla festa di Liberazione della Federazione Provinciale di Varese del PRC nel luglio del 2000 nella forma di una mostra i cui testi successivamente sono stati ridotti in opuscolo e presentati informalmente al Campeggio Nazionale dei/delle Giovani Comunisti/e dello stesso anno.

Lo stesso opuscolo è stato poi origine di più approfondite discussioni tra gli studenti delle scuole medie superiori della provincia di Varese durante i momenti assembleari e nei collettivi.

L’incontro con gli studenti e la loro voglia di partecipazione hanno posto le basi per lo sviluppo della versione originaria in quella attuale, in previsione della realizzazione di un ipertesto e di una mostra itinerante da esporre nelle scuole.

 

Porto Ceresio, 26 febbraio  2001

 

 

 

Gianluca e Simona Zoni

zoninoz@virgilio.it

 

 

 

 

PRC - Federazione Provinciale di Varese

Giovani Comunisti-e

Via Don Tazzoli, 4

21100 Varese

tel. 0332 239330 – fax 0332 239331

rifondazione.va@libero.it  


Domande e risposte.

 

Che cosa sono i geni?

Ogni gene è una straordinaria struttura capace di “costruire” una proteina, le proteine sono sostanze che regolano e fanno funzionare l’intero essere vivente. I geni si trovano in ogni cellula, uniti insieme a formare il DNA.
In natura dopo miliardi di anni di evoluzione non avviene mai che i geni di una specie possano trasferirsi in un’altra specie vivente.        

Casella di testo: Watson, Crick e il modello del DNA

 

Che cos'è un organismo?

Un'entità biologica capace di riprodursi o di trasferire materiale genetico.

 

       Cos'è un microrganismo?

Ogni entità microbiologica, cellulare e non cellulare, capace di replicarsi o di trasferire materiale genetico, compresi virus, viroidi, cellule animali e vegetali in coltura.

 

       Cosa sono un organismo geneticamente modificato (OGM) ed un microrganismo geneticamente modificato (MOGM)?

Un OGM ed un MOGM sono un organismo ed un microrganismo il cui materiale genetico è stato modificato, in modo diverso da quanto si verifica in natura, mediante la ricombinazione genetica.

 

       Cosa significa "emissione deliberata"?

Qualsiasi introduzione intenzionale nell'ambiente di un OGM o di una combinazione di OGM, senza aver usato barriere fisiche o barriere chimiche e/o barriere biologiche al fine di limitare il contatto degli stessi con la popolazione e con l'ambiente.

 

         Cosa si intende per valutazione del rischio ambientale?

La valutazione del rischio, diretto o indiretto, immediato o protratto, per la salute umana e per l'ambiente, connesso con l'emissione deliberata o l'immissione sul mercato di OGM o prodotti contenenti OGM.

 

       Cosa si intende per impiego confinato?

Ogni attività nella quale i microrganismi sono modificati geneticamente o nella quale tali MOGM sono messi in coltura, conservati, trasportati, distrutti, smaltiti o altrimenti utilizzati, e per la quale vengono usate misure specifiche di contenimento al fine di limitare il contatto degli stessi con la popolazione e con l'ambiente.

 

       Che cosa sono le biotecnologie?

Sono tecnologie che consistono nell'uso di organismi viventi allo scopo di produrre quantità commerciali di prodotti utili, oppure di modificare alcune caratteristiche di piante ed animali.

Le biotecnologie avanzate sono tecniche di biologia molecolare capaci di modificare l’informazione genetica degli organismi (ingegneria genetica).

 

       Cos'è la bioetica?

E' una disciplina sviluppata per studiare i problemi morali, giuridici e sociali relativi allo sviluppo delle "scienze della vita".

 

       Che cos'è la biodiversità?

E' l'insieme di tutte le possibili combinazioni di geni che si trovano nelle specie animali e vegetali. Essa rappresenta un indispensabile "serbatoio genetico" che consente il mantenimento della vita sulla terra.

 

       La biodiversità può essere influenzata negativamente dall'impiego di prodotti derivanti da procedimenti biotecnologici?

Sì, perché le biotecnologie hanno come scopo principale l’aumento della produttività attraverso la standardizzazione delle pratiche di coltura minimizzando le differenze esistenti fra ambienti diversi.

A causa dell’ampia utilizzazione delle varietà altamente produttive, le antiche varietà e specie locali sono quasi completamente scomparse dalla coltivazioni. Fino a 30, 40 anni fa, per ciascuna coltura erano presenti migliaia di varietà diverse: oggi si stima che l’80-90% di queste sia scomparso. Questo fenomeno si chiama erosione genetica.

I sostenitori delle biotecnologie accettano come inevitabile la perdita della biodiversità, promuovendo come difesa delle risorse genetiche agrarie la conservazione ex situ.

Per conservazione ex situ s’intende la conservazione al di fuori dell’ambiente di adattamento (in banche di germoplasma, collezioni viventi, orti botanici, …) di piante, semi, polline, altri propaguli, tessuti e DNA. È una conservazione statica, tesa a mantenere l’identità genetica del campione raccolto e a servire gli interessi attuali dell’uomo. Questo tipo di conservazione non consente la continua evoluzione delle risorse in relazione ai cambiamenti dell’ambiente che oggi non è possibile prevedere, pertanto porterà alla perdita di caratteristiche considerate oggi inutili e che potrebbero essere utili in futuro.

La perdita delle biodiversità è il risultato di processi socio-culturali, economici e politici che producono un notevole calo di ricchezza poiché, insieme con le specie e le varietà, scompaiono paesaggi, sistemi produttivi, saperi e culture locali ad esse legate. Conservare la biodiversità significa non solamente mantenere la diversità delle forme di vita presenti sul territorio, ma anche patrimoni culturali unici che, con il pretesto dello sviluppo, vengono distrutti con allarmante velocità.

 

       Le colture transgeniche sono diffuse nel mondo? E in Italia?

Sì, e sono anche in rapida crescita. Nel 1996 gli ettari coltivati con colture geneticamente modificate ammontavano, nel mondo, a meno di 3 milioni; nel 1998 hanno raggiunto i 28 milioni e si è previsto che nel 2000 superino i 60 milioni. Il 90% dei terreni coltivati con piante transgeniche, nel mondo, è di proprietà Monsanto e in piccola parte di Novartis e Agrevo. In Europa l’Italia, con i suoi 250 terreni sperimentali, è seconda solo alla Francia. L’Italia è in una posizione di leadership nelle prove sperimentali per colture quali il pomodoro, le orticole, le arboree e le floricole, registrando dal 32% al 61% del totale della ricerca in questi campi dell’UE.

 

       Quali sono i prodotti transgenici più coltivati?

Piante transgeniche di colza, tabacco, soia, riso, cotone, patata, mais, zucca, pomodoro, sono autorizzate in Canada, USA, Giappone. La Cina coltiva da circa dieci anni pomodoro, tabacco, riso, angurie. Anche i Paesi africani e la Bulgaria hanno avviato colture transgeniche. La pianta transgenica più coltivata è la soia, con 15 milioni di ettari, seguono il mais (8 milioni di ettari), cotone e colza (2 milioni di ettari) e colture orticole (0,5 milioni di ettari). In Italia, al momento, nessuna coltura transgenica è autorizzata per la coltivazione, se non a titolo sperimentale. Per ottenere l'autorizzazione alla libera coltivazione è necessario che la pianta sia iscritta al registro delle varietà vegetali e ciò può avvenire solo dopo specifica autorizzazione rilasciata dal Ministero delle politiche agricole.

 

   

 


rielaborazione da Claudia Sorlini

Università di Milano, Dipartimento Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche.

 

Gli ultimi dieci anni di questo millennio sono stati caratterizzati da un intenso sviluppo delle biotecnologie del DNA ricombinante sia sotto il profilo della ricerca scientifica, sia sotto quello della produzione e commercializzazione di prodotti transgenici. In altri termini, per la prima volta nella storia dell’umanità si sono creati in laboratorio organismi contenenti informazioni genetiche che nel corso dei milioni di anni di evoluzione e selezione assistita non avevano acquisito.

Si tratta certamente di un salto qualitativo di grandissima portata, che va considerato con attenzione sia per gli aspetti positivi sia per i rischi che può comportare, oltre che per gli aspetti etici coinvolti.

Le applicazioni biotecnologiche spaziano dal campo della microbiologia e dell’agraria al campo farmaceutico, veterinario e medico.

Nel campo medico molte ricerche sono indirizzate verso lo studio del genoma umano e delle mutazioni e verso la terapia genica. Per quanto riguarda in particolare quest’ultimo aspetto, c’è grande aspettativa e la speranza di ottenere, mediante queste tecniche, risultati applicabili nella cura di gravi malattie che affliggono l’umanità, come il cancro e malattie genetiche.

Nel campo delle biotecnologie applicate agli animali di allevamento le ricerche sono principalmente mirate a ottenere animali per trapianti di organi, varietà animali più adatte all’alimentazione, molecole di uso farmaceutico nel latte, animali modello per lo studio delle patologie umane (vivisezione?!).

I settori agrario e farmaceutico sono quelli in cui le applicazioni, gli investimenti e la commercializzazione su ampia scala sono più avanzati.

Già dalla prima applicazione biotecnologica, avvenuta in campo farmaceutico, con la produzione d’insulina da parte di E. Coli, un batterio nel quale era stato inserito il gene codificante per la produzione d’insulina, è stato evidente non solo il vantaggio che si poteva ricavare dall’utilizzo di queste tecniche (in questo modo si poteva ottenere a costi molto minori l’insulina che fino da allora doveva essere estratta dagli organi animali), ma anche le potenzialità che si aprivano.

Una serie ampia di altri composti di interesse farmaceutico viene oggi prodotta con queste tecniche; in questo caso comunque gli organismi trasformati geneticamente vengono utilizzati in ambiente confinato, cioè in condizioni tali da impedire che i geni si diffondano nell’ambiente. Questo è anche il motivo per il quale c’è una maggior accettabilità dei prodotti farmaceutici ottenuti con la tecnica del DNA ricombinante che non dei prodotti vegetali coltivati in campo.

 

 

Le biotecnologie agrarie e vegetali.

 

Per quanto riguarda il settore agrario, al contrario, le piante transgeniche devono essere coltivate in campo e pertanto sono a stretto contatto con le varie componenti dell’ambiente, fatto questo che desta le preoccupazioni di molti.

Le tecniche su cui si basa la costruzione di una pianta transgenica prevedono l’identificazione e l’isolamento del gene di interesse che si intende trasferire all’interno di un organismo nuovo. Tale gene però non può essere direttamente inserito nella pianta, ma solo dopo essere stato inserito in un particolare trasportatore (porzione di DNA), chiamato vettore, al quale viene legato anche un gene marcatore, che per lo più codifica per la resistenza a un antibiotico. A questo punto, con tecniche diverse, il costrutto genico viene inserito nel DNA di una cellula vegetale. A partire dalla singola cellula vegetale modificata geneticamente si arriva alla produzione di piante passando attraverso le colture di tessuti.

L’attività di trasformazione fino a ora è stata indirizzata verso la costruzione di piante transgeniche, prevalentemente di interesse alimentare, dotate delle seguenti caratteristiche:

 

·         resistenza agli agenti fitopatogeni, con particolare riferimento agli insetti. Le piante in oggetto vengono modificate per l’inserimento di un gene (Bt) proveniente da un batterio (Bacillus Thuringiensis) che codifica per una proteina letale per lepidotteri fitopatogeni. L’inserimento di questo gene nel DNA conferisce alla pianta la capacità di produrre in proprio la proteina tossica. In questo modo le larve degli insetti, mangiando le foglie, muoiono. Si stima che con questa modificazione genetica si possa effettuare un risparmio rilevante nel consumo di antiparassitari. Le prove sperimentali condotte in campo con ibrido di mais modificato Bt e ibrido non modificato, coltivati sullo stesso terreno e nelle stesse condizioni, dimostrano in modo inequivocabile quanto il primo cresca meglio e sia più sano rispetto al secondo;

·         resistenza agli stress ambientali, determinati da temperature sfavorevoli, siccità, elevato grado di salinità nel suolo, ma soprattutto tolleranza a prodotti agrochimici quali diserbanti, ecc. In questo modo è possibile eseguire trattamenti diserbanti in qualsiasi fase del ciclo vitale della pianta (in pre-emergenza, in post emergenza, ecc.) senza alcun vincolo in quanto la crescita delle piante di interesse, avendo acquisito il carattere della tolleranza, non subisce alcun danno;

·         ritardata velocità di maturazione dei frutti. In particolare è stato immesso sul mercato internazionale un pomodoro che si conserva senza marcire per tempi molto lunghi (il pomodoro, pur non marcendo, segue i naturali tempi e processi di degradazione delle caratteristiche nutrizionali: il pomodoro apparentemente fresco ha in realtà perso il suo patrimonio vitaminico);

·         miglioramento della qualità nutrizionale dei prodotti. Finora circa il 99% degli investimenti del settore della produzione è stato effettuato su piante modificate per l’acquisizione di informazioni genetiche in grado di migliorare la produttività e solo l’1% per il miglioramento della qualità dei prodotti alimentari. Il risultato è che il consumatore, almeno fino ad ora, si trova nelle condizioni di non avere nessun vantaggio dall’acquisto di questi prodotti, che ai fini nutrizionali non comportano nessun beneficio rispetto al prodotto non modificato. E questo è uno dei motivi per cui la diffidenza nei confronti di questi alimenti permane in modo rilevante. Risulta invece evidente che il primo destinatario di questi benefici è la multinazionale che produce e commercializza i transgenici.

 

Inoltre, le piante attualmente immesse sul mercato internazionale (colza, patata, pomodoro, zucca, papaia, tabacco, indivia, cotone, oltre ad alcune varietà di mais e soia) contengono per il 60% geni marcatori che codificano per la resistenza ad antibiotici (kanamicina, ampicillina, igromicina, ecc.) e per il 40% geni che codificano per la resistenza a quattro erbicidi: glifosate, glufosinato, clorsulfuron e bromoxynil.

 

I rischi.

 

Le preoccupazioni che vengono sollevate da una parte del mondo scientifico riguardano il fatto che la produzione, commercializzazione e consumo di prodotti transgenici possano avere effetti negativi sulla salute e sull’ambiente; infatti, le ricerche finora condotte sono ancora scarse e forniscono risposte a volte insufficienti, a volte dubbie e, soprattutto, nella maggior parte dei casi sono state condotte dalle stesse multinazionali che producono e commercializzano i semi transgenici. Gli U.S.A., che sono il Paese più avanzato in campo biotecnologico, stanno dimostrando una certa noncuranza circa i problemi che possono derivare da tali prodotti, in contrasto con la rigida regolamentazione che governa per esempio la produzione e commercializzazione dei farmaci e dei pesticidi.

A testimoniare la scarsa attenzione per i rischi del settore biotecnologico sta il fatto che il tempo medio per l’emissione sul mercato di un prodotto biotecnologico nuovo è di 4-8 anni, contro una media di 8-11 anni richiesti per un prodotto chimico nuovo, per il quale evidentemente sono prescritte sperimentazioni più accurate e approfondite.

I rischi ambientali più importanti che possono derivare dalla coltivazione di piante transgeniche e dal consumo di prodotti da esse  derivati riguardano gli aspetti qui di seguito illustrati.

1.  L’eventualità che i transgeni possano recare danni alla salute dell’uomo. Infatti le proteine codificate svolgono un’azione tossica e/o allergenica. La preoccupazione discende dal fatto che la sperimentazione fatta prima della commercializzazione dalle aziende notificanti è molto limitata. Per esempio, sono disponibili solo risultati di prove riguardanti esperimenti di tossicità acuta (alte concentrazioni di prodotto somministrate per tempi molto brevi); mentre, date le particolari caratteristiche di questi prodotti, e cioè di contenere le proteine transgeniche in basse concentrazioni e quella di essere destinati all’alimentazione, e quindi somministrati per tempi molto lunghi, questi prodotti dovrebbero essere sottoposti a prove di tossicità cronica, basse concentrazioni per tempi prolungati. Inoltre, gli animali utilizzati per queste prove sono per lo più i topi, mentre le prove potrebbero e dovrebbero essere condotte anche sugli animali cui è destinato l’alimento transgenico (in molti casi bovini e polli). Inoltre nessun monitoraggio, né nella fase di sperimentazione né in quella di post marketing, è mai stato eseguito successivamente alla commercializzazione sulla popolazione umana che fa uso di alimenti transgenici. Da più parti si sospetta che il forte incremento di fenomeni di allergia sia da attribuirsi al consumo di questi prodotti: non avendo dati sperimentali non lo si può né confermare né escludere.                         Le prove di digeribilità vengono eseguite su stomaci artificiali. Per quanto riguarda l’allergenicità dei prodotti, le aziende si limitano a riferire dati di letteratura, senza prove sperimentali. Le piante modificate per la resistenza a determinati erbicidi ne permettono un utilizzo massiccio il cui accumulo nell’ambiente non è rilevato sperimentalmente (tossicità cronica). Infine è possibile la compromissione delle difese immunitarie (vai al punto 5).

2.   L’eventualità che i transgeni si diffondano attraverso il polline e che, di conseguenza, si verifichino fenomeni di inquinamento genetico di altre piante della stessa specie o di specie diverse assimilabili evolutivamente coltivate in aree adiacenti. Nell’eventualità che quest’ultime siano infestanti, l’inquinamento genetico le potrebbe rendere autoprotette sia nei confronti degli insetti fitopatogeni sia nei confronti di quei diserbanti che vengono venduti congiuntamente ai semi transgenici. Anche i semi di piante transgeniche potrebbero diffondersi nell’ambiente, consentendo la crescita delle piante modificate anche in tempi (stagioni successive a quella della coltura) e in aree nelle quali non sono previste né desiderate. È dimostrato che le piante di patata, di colza e di barbabietola da zucchero modificate danno origine a fenomeni di inquinamento genetico.

3.   Con piante modificate con la presenza di geni Bt che codificano per proteine tossiche nei confronti di insetti fitopatogeni, i rischi sono anzitutto che gli effetti letali non si limitino agli insetti target ma che colpiscano anche altre specie che svolgono una funzione ecologica importante. Questo potrebbe creare squilibri negli ecosistemi. Inoltre l’uso prolungato potrebbe consentire la selezione di popolazioni di insetti resistenti, anche se non è facile prevedere tempi, modi ed entità del fenomeno (sono stati già individuati super insetti).

4.   L’eventualità che geni di origine batterica, che codificano per la resistenza ad antibiotici e che vengono usati come marker nell’ingegnerizzazione dei vegetali, una volta rilasciati dalle cellule dei tessuti della pianta, possano essere trasferiti nel DNA delle cellule batteriche che vivono in simbiosi con le radici delle piante (rizosfera), aumentando così il numero dei microrganismi antibiotico-resistenti (che resistono agli antibiotici). Comunque, anche altri transgeni della pianta potrebbero essere trasferiti ai microrganismi indipendentemente dal fatto che codifichino per resistenze ad antibiotici. È dimostrato in laboratorio che la pianta di barbabietola da zucchero modificata trasferisce transgeni al batterio Acinetobacter e che la pianta Datura innoxia modificata trasferisce geni alla muffa Aspergillus niger.

5.   La stessa eventualità considerata nel punto precedente potrebbe essere valida anche per il tubo digerente di animali alimentati con prodotti transgenici (per es. ruminanti e pollame; ma anche per gli esseri umani - vedi punto 1). Nell’intestino degli animali vivono molti miliardi di microrganismi che potrebbero inserire nel loro DNA i geni della resistenza agli antibiotici presenti in diverse piante e prodotti transgenici. La conseguenza anche in questo caso sarebbe di aggravare il problema già drammatico della crescente resistenza agli antibiotici di diverse specie batteriche.

6.   Un altra preoccupazione discende dal rischio che l’uso di piante transgeniche possa ridurre la biodiversità degli ecosistemi naturali e coltivati con molta maggior velocità di quanto non sia successo con la selezione operata dall’uomo nei millenni scorsi. Infatti, anzitutto la diffusione di piante di interesse agrario ingegnerizzate può comportare l’emarginazione delle specie e varietà non transgeniche con minori capacità di resistere ai patogeni, agli stress, ecc., anche se queste possono presentare altri aspetti interessanti legati alla qualità dell’alimento che producono e alla sua tipicità. In secondo luogo c’è il rischio che tali piante rechino danno non solo agli insetti patogeni, ma anche ad altri non dannosi per le coltivazioni, con la possibile conseguenza di danneggiare l’ecosistema. Oggi tuttavia non è possibile quantificare il fenomeno della riduzione delle biodiversità, le cui dimensioni dipenderanno dallo sviluppo che avrà l’impiego di piante transgeniche in agricoltura.

 

Resta aperto il quesito di quali effetti potrà avere nei tempi lunghi l’emissione deliberata o accidentale di materiale modificato geneticamente, vivente e non, nell’ambiente.

 

 


 

La complessità e la chimera del “rischio calcolato”

di Gianluca Zoni – spunti da David Ruelle: “Caso e caos”, Bollati Boringhieri 1992

 

Un sistema complesso è un sistema (insieme di relazioni) in cui vi è dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali [per condizione iniziale intendiamo ogni nuovo intervento esterno sul sistema].

Cosa vuol dire?

 

Un esempio: che cosa accade quando si cerca di far stare una matita in equilibrio sulla punta? Se non si fa ricorso a qualche trucco, ovviamente non ci si riuscirà. In effetti è pressoché impossibile mettere la matita esattamente in equilibrio e, quando la si lascia, ogni deviazione anche minima dall’equilibrio la farà cadere da un lato o dall’altro. La deviazione della matita dall’equilibrio raddoppierà in capo a un certo intervallo di tempo, e poi di nuovo nell’intervallo di tempo successivo, e così di seguito, e ben presto la matita sarà distesa sul tavolo. È un caso di dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali, infatti un piccolo mutamento nello stato del sistema al tempo zero (nella posizione e nella velocità iniziali della matita) produce un mutamento ulteriore che cresce in modo esponenziale[1] col tempo: una piccola causa (una lievissima spinta alla matita verso destra o verso sinistra) ha quindi un grande effetto.

 

Un altro esempio: il gioco di biliardo con ostacoli rotondi (o convessi).

Disegno

Un tavolo da biliardo con ostacoli convessi. La palla parte dall’angolo superiore sinistro e il suo centro segue la linea continua. Una palla immaginaria parte in una direzione leggermente diversa (linea a tratti). Dopo qualche urto, le due traiettorie non hanno più alcun rapporto fra loro.

 

La scoperta di Edward Lorenz.

Il meteorologo Edwrad Lorenz, del Massachusetts Institute of Technology, si interessava del problema della convezione atmosferica. Ecco di che cosa si tratta: il sole riscalda il suolo e gli strati inferiori dell’atmosfera diventano in tal modo più caldi e più leggeri degli strati più elevati; si determina di conseguenza un moto ascendente dell’aria calda, più leggera, mentre l’aria fredda, più densa, discende. Questi movimenti costituiscono la “convezione”. L’aria è un fluido e il suo stato dev’essere rappresentato da un punto in uno spazio di dimensione infinita. Lorenz semplificò le cose e si limitò allo studio di un’evoluzione temporale in tre dimensioni, calcolabile con il computer: il risultato fu l’oggetto che vediamo nella figura, chiamato attrattore di Lorenz.

Immaginiamo lo stato dell’atmosfera in convezione come rappresentato da un punto P. Ad ogni mutamento delle condizioni atmosferiche, P si muove nel disegno, a partire da un punto iniziale, girando attorno all’orecchia destra dell’attrattore, per poi passare varie volte attorno all’orecchia sinistra, quindi gira due volte attorno all’orecchia destra e così via. Se la condizione iniziale di P fosse lievissimamente diversa (così poco da non essere percepita), i particolari della figura ne verrebbero modificati totalmente: l’aspetto generale resterebbe lo stesso, ma i numeri di giri successivi a sinistra e a destra diverrebbero del tutto diversi. Dunque vi è dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali: il tempo atmosferico è un sistema complesso, quindi imprevedibile. Possiamo solo ipotizzare previsioni – mai precise – per un tempo limitato, oltre il quale può accadere qualsiasi cosa.

 

Effetto farfalla: il battito delle ali di una farfalla, come sosteneva Lorenz, avrà per effetto, qualche tempo dopo, di modificare completamente lo stato dell’atmosfera terrestre.

 

Con la scoperta dei sistemi complessi nella natura, le scienze hanno dimostrato il proprio limite invalicabile: possono migliorare gli strumenti di misurazione, si possono scoprire e rilevare nuovi parametri e sistemi di calcolo ma non si possono prevedere gli effetti in un sistema complesso.

 

Molti sistemi fisici, chimici, biologici, la vita, la storia dell’umanità, l’informazione e la genetica sono sistemi complessi. Lo dicono gli scienziati.

 

 

 

La biotecnologia cancellerà tutta la scienza acquisita: non potremo più conoscere le malattie (vedi AIDS e MUCCA PAZZA, trasmesse dagli animali all’uomo, quindi non conoscibili) e gli antibiotici perderanno di ogni efficacia.

 


 

La chimera del rischio calcolato*

E' evidente a questo punto che tutte le rassicurazioni delle industrie biotecnologiche sui rischi derivanti dagli OMG non hanno alcun fondamento: quello che viene presentato come un rischio calcolato è in realtà un rischio incalcolabile. Ma la difficoltà più grave nella valutazione dei rischi connessi agli OMG è la natura del tutto imprevedibile delle trasformazioni. L'industria preferisce passare del tutto sotto silenzio questo fatto, salvo poi invocarlo come scusa nel caso di gravi incidenti; è tuttavia fondamentale ricordare sempre che tutti i processi in cui è coinvolta la vita non si lasciano determinare al 100% secondo una logica di tipo industriale. Ad esempio, l'ereditarietà delle caratteristiche ottenute mediante l'ingegneria genetica non segue sempre le leggi note; questo significa che non è possibile prevedere come le piante transgeniche si comporteranno quando verranno coltivate su scala industriale. Anche in organismi provatamente stabili in laboratorio, condizioni ambientali come il caldo intenso o la siccità possono innescare trasformazioni impreviste.

Un episodio recentemente verificatosi in Canada invita a riflettere. All'inizio di quest'anno 60 mila sacchi di sementi di canola, prodotti dalla Limagrain su licenza della Monsanto, sufficienti alla semina di 600 mila acri, hanno dovuto essere ritirati dopo essere stati venduti perché vi era stato scoperto un gene non previsto. Evidentemente tutti i controlli sulla qualità dei prodotti e sulla stabilità della composizione genetica attualmente possibili all'industria non sono sufficienti a garantire effettivamente i consumatori.

Un altro episodio. Questi rischi non sono soltanto teorici: gli OMG hanno già fatto le prime vittime. Nel 1992 migliaia di persone in tutto il mondo contrassero una misteriosa malattia battezzata "sindrome da mialgia eosinofila" (EMS), i cui sintomi erano insopportabili dolori muscolari, sfoghi cutanei e valori emocromatici anomali; 38 persone morirono e parecchie centinaia restarono invalide. La malattia era stata causata dall'ingestione di L-triptofano (un aminoacido usato come tranquillante) prodotto dalla ditta giapponese Showa Denko mediante un batterio geneticamente manipolato in modo da essere più efficiente rispetto ai batteri normali.

È sinistramente probabile che le tecniche usate per l'ingegneria genetica rappresentino di per sé un potente incentivo alla formazione di nuovi virus capaci di superare la naturale barriera tra le specie.

Per comprendere meglio la natura e le proporzioni di questi rischi è poi opportuno ricordare che il DNA presente nell'intestino può trasformare i batteri che vi si trovano; questo vuol dire che caratteristiche come la resistenza agli antibiotici possono essere trasmesse dai cibi geneticamente modificati ai batteri patogeni presenti nell'intestino umano. Il DNA virale può inoltre sopravvivere alla digestione ed insediarsi nel sangue e in parecchi tipi di cellule dell'organismo. Persino il DNA nudo, cioè non protetto da un ambiente cellulare, può sopravvivere per lunghi periodi in qualsiasi ambiente e combinarsi con geni presenti in quell'ambiente. Questo significa che il DNA proveniente da organismi morti, dalle feci (eventualmente usate come concime) o da cellule morte può conservare la capacità di trasformare altri organismi. L'ampiezza delle possibilità di trasferimento dei geni è tale che qualunque gene immesso artificialmente in qualsiasi specie ha una certa probabilità di venir trasmesso a parecchie altre specie, sia di virus e di batteri che di organismi superiori; inoltre i batteri e i virus presenti in tutti gli ambienti agiscono di per sé come autostrada e serbatoio per i trasferimenti genici, e che a partire da loro nuovi geni possono diffondersi a tutte le specie. La prassi, comune nell'industria, di sintetizzare organismi transgenici contenenti sequenze geniche non caratterizzate o di cui non si conosce la funzione rappresenta poi un rischio veramente incalcolabile; questo rischio aumenta ulteriormente se gli OMG in questione vengono utilizzati per l'alimentazione umana.

Le multinazionali sostengono che con le biotecnologie potremo diminuire l’uso di erbicidi e potremo avere cibi più sani perché meno tossici. È vero il contrario.Con le biotecnologie l’uso degli erbicidi è aumentato enormemente.

E' opportuno ricordare che non solo il procedimento tecnico, ma anche l'uso dei prodotti dell'ingegneria genetica presenta rischi gravissimi per la salute umana. Prendiamo il caso delle piante resistenti agli erbicidi: il fine per cui sono state create è permettere agli agricoltori di usare liberamente quantità non importa quanto alte di erbicidi senza mettere a rischio i raccolti, ed è in effetti probabile che col tempo si rendano necessarie quantità sempre più ingenti di erbicida, dal momento che le piante esposte sufficientemente a lungo ad un dato erbicida tendono a sviluppare una resistenza. Purtroppo però gli erbicidi, oltre a uccidere le piante, sono anche tossici per l'uomo, e la resistenza all'erbicida delle piante non si trasmette ne' agli agricoltori ne' ai consumatori. Consideriamo ad esempio il caso del Challenge, prodotto dalla Hoechst, che è, insieme al Roundup della Monsanto, l'erbicida su cui la ricerca genetica si è massimamente concentrata, e da cui l'industria si attende i più alti profitti. Il principio attivo del Challenge è il glifosinato, un erbicida non selettivo, vale a dire una sostanza che uccide qualsiasi organismo vegetale con cui entra in contatto; purtroppo però il glifosinato non è soltanto un efficace erbicida ma ha effetti tossici sugli animali e sull'uomo, particolarmente sul sistema nervoso, e non è possibile escludere che residui di erbicida si trovino in piante destinate all'alimentazione umana. Per essere attendibili, le valutazioni di sicurezza sulle piante rese resistenti agli erbicidi dovrebbero tenere conto dei rischi connessi all'aumento delle dosi di erbicida, ma le industrie si rifiutano per principio di considerarli. La "rivoluzione" che gli OMG promettono in campo agricolo rischia dunque di dimostrarsi sinistramente simile a quella che 50 anni fa rese gli agricoltori entusiasti consumatori di DDT: i prodotti dell'ingegneria genetica dovrebbero essere paragonati ad armi mortali.  

 

Un'equivalenza fraudolenta*

La FAO, la FDA statunitense e l'UE mettono alla base della loro legislazione sugli OMG in campo alimentare il cosiddetto "principio della sostanziale equivalenza". Esso afferma che la manipolazione genetica è sostanzialmente equivalente alla selezione dei caratteri tramite incrocio, e che pertanto gli OMG sono sostanzialmente equivalenti agli organismi naturali. Questo principio rappresenta naturalmente anzitutto una comoda scappatoia legale, che viene sfruttata, ad esempio, per rifiutare qualsiasi etichettatura che renda possibile ai commercianti o ai consumatori riconoscere e boicottare gli OMG; ma esso ha anche una ragion d'essere più profonda. Nel campo agroalimentare l'industria biotecnologica non è in grado di offrire prodotti nuovi: gli alimenti geneticamente modificati non promettono a chi li consuma niente di più dei loro corrispondenti tradizionali; è evidente che i loro promotori possono sperare di farli accettare soltanto affermando che, come minimo, essi non offrono niente di meno: tra il solito risotto e un risotto, indistinguibile da quello solito, che però fa venire il cancro, nessuno potrebbe certo avere dubbi.

E' perciò fondamentale puntualizzare fin dall'inizio che dal punto di vista scientifico il principio della "sostanziale equivalenza" è assolutamente insostenibile. Infatti, per potersi incrociare naturalmente, due organismi debbono appartenere alla stessa specie o a specie molto simili (anche nel caso di specie vicine come il cavallo e l'asino l'incrocio non riesce perfettamente, e dà luogo ad ibridi sterili). Al contrario, la manipolazione genetica permette di inserire in un organismo geni provenienti da qualsiasi altro organismo (animale, vegetale o umano). Inoltre, anche il rimescolamento di geni che avviene in natura non ha nulla a che vedere con quello prodotto dall'ingegneria genetica, in quanto:

1) l'inserimento del gene estraneo avviene in un punto a caso della catena del DNA, e modifica in maniera imprevedibile la sequenza genica dell'organismo ospite. E' importante ricordare che questa sequenza non è casuale ma è regolata da leggi precise, ma ancora quasi del tutto ignote: l'ingegneria genetica procede per prove ed errori, destabilizzando in maniera imprevedibile l'ordine del genoma dei più vari organismi;

2) l'inserimento del gene ha effetti imprevedibili sull'azione dei geni vicini;

3) dal momento che il compito dei geni è produrre proteine, il nuovo gene inserito causerà la produzione di proteine estranee all'organismo che lo ospita, potrà inibire o alterare la produzione di proteine essenziali o modificarne la quantità.

Queste differenze, lungi dal rappresentare semplici "particolari tecnici", come il principio della sostanziale equivalenza vorrebbe far credere, possono avere conseguenze gravissime. Tutti e tre i fattori, sopra menzionati possono alterare infatti in maniera anche catastrofica il metabolismo cellulare e innescare la produzione di quantità imprevedibili di sostanze tossiche o allergeniche. Queste sostanze nocive possono comparire in organismi che si presentano come totalmente identici ad organismi naturali, con la sola eccezione della sostanza nociva. E' quindi evidente che il principio della "sostanziale equivalenza" è completamente fuorviante per una valutazione seria e responsabile dei rischi connessi agli OMG.

Esistono poi altri fondati motivi per ritenere che gli OMG, per la stessa tecnica con cui vengono prodotti, presentino rischi incalcolabili per la salute.

Ø      La tecnologia dell'ingegneria genetica si basa infatti sull'uso di vettori costruiti artificialmente per permettere ai geni estranei di penetrare nelle cellule. Questi vettori non sono altro che mosaici di diversi parassiti genetici in grado di invadere le cellule di diverse specie, moltiplicarsi al loro interno o inserirsi nel genoma, superando i meccanismi di sicurezza cellulare che hanno il compito di rendere inattivo il DNA estraneo. Si tratta di meccanismi messi a punto con il preciso fine di permettere la trasmissione di geni tra specie diverse, e una volta che saranno stati immessi nell'ambiente la loro attività non potrà in alcun modo essere controllata o limitata. Come se non bastasse, parecchi di questi vettori derivano direttamente da virus patogeni. E' stato dimostrato che questo materiale genetico è instabile e può ricombinarsi con virus infettivi dando origine a nuovi virus pronti ad infettare piante, animali ed esseri umani causando malattie finora sconosciute.

Ø      Per verificare che l'inserzione dei geni estranei nell'organismo ospite abbia avuto successo viene spesso usata come contrassegno la resistenza agli antibiotici. Questo tratto non ha alcuna utilità effettiva per l'organismo geneticamente modificato, ma rappresenta unicamente una comoda cartina di tornasole per i ricercatori; tuttavia, invece di essere eliminata una volta completata la fase di ricerca, la resistenza agli antibiotici resta a far parte del patrimonio genetico della gran parte degli OMG. Dal momento che frammenti di DNA possono sopravvivere al processo di digestione, nulla impedisce al gene della resistenza agli antibiotici di insediarsi in batteri presenti nel tratto digestivo umano. Il problema sanitario rappresentato della resistenza agli antibiotici è molto serio; già oggi decine di migliaia di persone muoiono ogni anno di infezioni che un tempo sarebbero state facilmente curabili con antibiotici. I geni per la resistenza agli antibiotici presenti negli OMG rischiano quindi di rendere inefficaci medicine fondamentali per la salute umana.

Ø      La maggior parte dei geni usati nell'ingegneria genetica provengono da specie che non hanno mai fatto parte dell'alimentazione umana; non c'è dunque modo di sapere come l'organismo umano reagirà alle proteine contenute in questi nuovi alimenti. E' importante tuttavia ricordare che ci sono volute centinaia di migliaia di anni perché la razza umana riuscisse ad adattarsi agli alimenti che consuma attualmente: basti pensare che anche un alimento naturale e nutriente come il latte di mucca risulta del tutto indigeribile per le popolazioni, come ad esempio quelle dell'Estremo Oriente, che nella loro storia non ne hanno mai fatto uso. E' dunque molto probabile che l'introduzione nell'alimentazione umana degli OMG dia luogo a fenomeni allergici o tossici che interesseranno strati molto vasti delle popolazione e, conseguentemente, ad un'emergenza sanitaria di notevoli proporzioni. Ad esempio, la soia transgenica prodotta dalla ditta statunitense Pioneer Hi-Bred con l'aggiunta di un gene proveniente dalla noce brasiliana scatena reazioni tossiche nelle persone allergiche alla noce brasiliana, che sono circa il 5% della popolazione. Se, come le industrie biotecnologiche pretendono, gli OMG verranno commercializzati senza nessuna forma di etichettatura, le persone allergiche ad un determinato tipo di cibo (e sono sempre più numerose) non avranno alcuna possibilità di difendersi da un rischio a volte mortale. Il gesto rassicurante e quotidiano di fare la spesa diventerà una specie di passeggiata in un campo minato.

E' importante ricordare infine che nessuno degli OMG oggi disponibili sul mercato alimentare è stato mai sottoposto a test rigorosi; l'esperienza scientifica nel campo della tossicologia dimostra del resto che anche la sperimentazione più seria può non essere efficace nel rivelare la presenza di sostanze nocive che non ci si aspetta di trovare. Esiste perciò una probabilità che sostanze nocive siano presenti nei cibi geneticamente modificati all'insaputa sia dei produttori che dei consumatori. E' dunque completamente inaccettabile che alle industrie biotecnologiche venga permesso di sfruttare il principio della "sostanziale equivalenza" per rifiutarsi di contrassegnare in alcun modo i loro prodotti: solo etichette chiare e complete renderebbero possibile investigare la provenienza degli effetti nocivi non appena questi si presenteranno, e permetterebbero l'attribuzione di precise responsabilità legali ed economiche in caso di incidenti che potranno essere molto gravi. In assenza di queste misure cautelative l'unica alternativa ragionevole sembra essere l'immediata interruzione della produzione e ritiro dal mercato di questi prodotti, che rappresentano evidentemente un rischio incalcolabile per la salute dei consumatori. 

 

Dove comincia il cannibalismo? *

Un'altra interessante conseguenza dell'applicazione del principio della "sostanziale equivalenza" in campo alimentare (non è un principio fondato scientificamente ma un’invenzione delle multinazionali per evitare l’etichettatura dei prodotti) riguarda poi gli "scarti di lavorazione". A causa del gran numero di variabili sconosciute con cui si trova ad operare, l'ingegneria genetica è una tecnologia assai inefficiente e genera una quantità enorme di "errori", organismi malati o deformi che risultano da esperimenti sbagliati. L'industria biotecnologica si propone di risolvere il problema dello smaltimento di questi "scarti", nonché dei "resti di lavorazione", come ad esempio le carcasse dei maiali transgenici usati per i trapianti, utilizzandoli per l'alimentazione umana. Tra i prodotti che faranno presto la loro comparsa sulle nostre tavole vi sono zuppe e minestre già pronte confezionate con vegetali transgenici modificati per la produzione di sostanze chimiche per uso industriale e, soprattutto, carne proveniente da animali geneticamente modificati per la produzione di medicinali o di proteine umane (la pecora Tracy e le sue sorelline), nonché carne di maiali in cui sono stati impiantati geni umani per produrre organi da trapianto. Dove comincia il cannibalismo? Non saremo neppure liberi di porci questa domanda perché questi inquietanti prodotti invaderanno gli scaffali dei supermercati senza essere contrassegnati da alcuna speciale etichetta.  

 

Materia inanimata e materia vivente: un equivoco pericoloso*

Casella di testo: La pecora Dolly A questo punto è indispensabile una precisazione. La stessa esistenza di un dibattito sulla brevettabilità dei geni induce a immaginare i geni in maniera meccanica, come qualcosa di simile a un'automobile o a un computer. Questa logica fuorviante è stata duramente stigmatizzata dal rapporto della Commissione d'indagine sulle biotecnologie del Parlamento Italiano, che ha messo in questione proprio "il postulato di fondo posto a base della legislazione internazionale sulla materia vivente, e cioè l'assimilazione della stessa a cose inanimate. Non è pensabile che l'unico modo per proteggere la proprietà intellettuale nel campo biotecnologico sia quella di annullare la specificità della materia vivente per assimilarla a cose inanimate". (Atti parlamentari p.247, Camera dei Deputati, XIII Commissione Agricoltura).

Infatti i geni, come tutte le realtà biologiche, non possono essere concepiti come entità strutturali discrete; ad esempio, non sempre occupano la stessa posizione nei cromosomi e non si presentano necessariamente come sequenze continue. Inoltre il funzionamento di ciascun gene dipende da quello di uno o più altri geni che lo regolano, ed è spesso collegato a quello di altri geni. Soprattutto, geni che hanno la stessa funzione non presentano necessariamente la stessa struttura e geni che presentano la stessa struttura non hanno sempre la stessa funzione. Ad esempio, il gene di una certa proteina, l'isomerasi, si ritrova identico nei batteri, nei lieviti, negli insetti e nei mammiferi; ciononostante la proteina svolge funzioni diversissime nei diversi organismi. Le proprietà di ciascun gene non sono dunque una conseguenza meccanicamente prevedibile della sua struttura, ma dipendono da un complesso di fattori cromosomici, cellulari, fisiologici ed evolutivi. Queste conoscenze scientifiche di base hanno importanti conseguenze per la questione della brevettabilità. Uno dei requisiti preliminari per la richiesta di un brevetto è infatti la capacità di descrivere esaurientemente l'oggetto della richiesta; per quanto possa essere facile soddisfare questo requisito per un macchinario, per un gene esso presenta difficoltà difficilmente sormontabili. A titolo puramente esemplificativo possiamo ricordare che il cosiddetto gene CTFR, le cui mutazioni possono portare alla fibrosi cistica, ha più di quattrocento varianti finora note, e di queste solo pochissime causano la forma più grave della malattia. Come abbiamo visto, le industrie biotecnologiche, con la complicità degli uffici brevetti di vari paesi, hanno completamente eluso questo problema richiedendo (e ottenendo) brevetti formulati in maniera estremamente vaga e generica, ma, com'era facilmente prevedibile, questa anomalia giuridica ha avuto l'effetto immediato di innescare una serie di aspre controversie legali di cui non si riesce a prevedere la fine. Bisogna inoltre considerare che il più importante requisito per la produzione industriale e la commercializzazione di qualsiasi merce è la standardizzazione; se l'industria automobilistica non potesse garantire che tutte le auto di uno stesso modello fossero identiche, se ogni copia di un quotidiano fosse lievemente diversa dalle altre, il mercato di questi beni entrerebbe in crisi. Ma questo è esattamente quello che accade con gli organismi transgenici: spesso le piante sembrano riconoscere in qualche modo i geni estranei e riescono ad inibirne l'azione; a volte questo fenomeno si verifica subito, a volte nelle generazioni successive, a volte sembra essere influenzato da fattori ambientali e climatici come la temperatura, la composizione del suolo, o persino l'età delle piante genitrici, tutte variabili che non vengono considerate negli esperimenti di laboratorio: così ad esempio può accadere che piante perfettamente in grado di resistere agli erbicidi nell'ambiente protetto di una serra soccombano rovinosamente se sottoposte all'azione degli stessi erbicidi in un campo aperto. In parecchi stati degli USA le piante di cotone resistente al Roundup della Monsanto non hanno portato raccolto perché hanno perso le infiorescenze prima della maturazione; nessun inconveniente di questo tipo si era mai verificato durante la fase di sperimentazione. In Gran Bretagna le patate rese velenose per i parassiti hanno ucciso anche gli insetti utili che dei parassiti si cibano. Anche l'immissione nell'ambiente della klebisiella planticola, un batterio geneticamente modificato in grado di produrre alcool dai rifiuti vegetali, ha avuto conseguenze catastrofiche: quando i residui di produzione, contenenti batteri vivi, uscirono dai laboratori per essere usati come concime, essi produssero effetti devastanti, sterminando tutte le piante di frumento che avrebbero dovuto concimare; anche l'ecosistema del suolo venne modificato, con la proliferazione esplosiva di un verme nocivo, la filaria. Nessuno sa perché si verifichino questi ed altri misteriosi fenomeni; ma è evidente che la logica industriale, evolutasi per risolvere problemi legati al funzionamento di macchinari, è del tutto inadeguata ad affrontare la complessità degli organismi viventi, e che la pretesa di applicare al mondo vivente lo strumento del brevetto, nato da quella stessa logica industriale, tradisce una completa incomprensione, o una colossale malafede.   

 

Xenotrapianti: "l'ultima frontiera"*

La logica industriale non è all'opera soltanto nella questione dei brevetti ma pervade tutto l'approccio alla questione degli OMG.

Parecchie ricerche di ingegneria genetica riguardano la creazione di ibridi uomo-animale da usare per ricavarne "pezzi di ricambio" per i trapianti. Ma questa prospettiva, che spesso i mezzi di comunicazione di massa presentano trionfalisticamente come l'ultima frontiera della chirurgia sperimentale, non può non suscitare profonde riserve. Dal virus Ebola che sconvolse lo Zaire nel 1995 alla BSE, la cosiddetta "sindrome della mucca pazza", al virus dell'AIDS, probabilmente evolutosi da un virus delle scimmie, la maggior parte degli agenti patogeni più perniciosi per la salute umana comparsi negli ultimi anni sono virus che hanno oltrepassato la barriera naturale tra le specie. Come abbiamo visto, le tecniche dell'ingegneria genetica facilitano enormemente questo mortale passaggio; la pratica chirurgica dello xenotrapianto (trapianto di organi animali nell'uomo), trasportando i virus presenti nell'animale donatore nell'uomo che riceve l'organo, non farebbe che offrire ai virus nuovi e vecchi un campo libero in cui espandersi a volontà, coadiuvati dalla terapia immunodepressiva che accompagna inevitabilmente ogni intervento di questo tipo. E' bene ricordare che i virus hanno effetti diversi su diverse specie animali; spesso ad esempio una specie che ospita un virus da molto tempo ha sviluppato una resistenza naturale alla sua azione patogena. Soprattutto, non esistono test che permettano di individuare virus ancora sconosciuti; l'unico modo di sapere con certezza se un organo proveniente da un animale apparentemente sano ospita virus mortali per l'uomo è eseguire un trapianto e stare a vedere. Come ha affermato Jonathan Allen, membro della commissione FDA che aveva il compito di discutere i rischi collegati allo xenotrapianto: "Raramente, o forse mai, la razza umana ha avuto le conoscenze sufficienti a scongiurare una futura epidemia. Ciò che manca è la saggezza di agire secondo quelle conoscenze."

Inoltre, dopo qualsiasi trapianto le cellule del donatore si spargono tramite la circolazione sanguigna per tutto il corpo del ricevente e si insediano e si moltiplicano in tutti gli organi, ad eccezione del cervello; gli xenotrapianti non possono dunque avere successo se non dando origine ad esseri umani il cui corpo è composto da una percentuale sempre crescente di cellule animali, quelle che Thomas Starzl, il principale campione di questa tecnica, definisce "chimere post-trapianto". Gli effetti biologici a lungo termine di questo fenomeno non sono noti perché nessun paziente sottoposto a xenotrapianto è mai sopravvissuto più di 70 giorni, ma la prospettiva è molto inquietante.

Non si può fare a meno a questo punto di chiedersi quali vantaggi gli organi animali, sia pure transgenici, offrano rispetto a quelli umani, che non presentano nessuno dei rischi che abbiamo discusso. Dal punto di vista dei pazienti, evidentemente nessuno. Purtroppo però il punto di vista dei pazienti generalmente non è quello che conta di più nell'industria biomedica. Anche nel caso degli xenotrapianti, le ragioni che spingono gli addetti ai lavori a sostenere una soluzione così evidentemente macchinosa e pericolosa sono in gran parte economiche. Come tutti sanno, il commercio di organi da trapianto è illegale in tutto il mondo; questa norma viene di fatto talvolta trasgredita, ma è impensabile che una grande industria biotecnologica pensi di costruire una parte consistente dei propri profitti sul business degli organi da trapianto umani. Fortunatamente gli organi da trapianto animali non sono sottoposti a simili restrizioni: sono considerati semplici frattaglie, e possono essere comprati e venduti liberamente. Il prezzo di un normale fegato di maiale, però, quali che siano gli esami clinici a cui l'animale è stato sottoposto prima della macellazione, non può ragionevolmente superare una certa cifra: il commercio sarebbe sì legale, ma garantirebbe introiti assai limitati. Per risolvere questo problema, più che medico finanziario, l'industria biotecnologica ha inventato i maiali transgenici; il "valore aggiunto" dei geni umani impiantati nell'animale e, soprattutto, il monopolio garantito dal brevetto, permetterebbero di esigere prezzi da capogiro: un rapporto della multinazionale Sandoz prevede un utile annuo di oltre 5 miliardi di dollari per 50.000 maiali già a partire dal 2010.

 

Un’apocalisse evitabile*

Se le industrie biotecnologiche riusciranno a realizzare i loro piani, la disseminazione degli OMG interesserà tutto il pianeta. Non si tratterà, come nel caso dei disastri petroliferi o nucleari, di pochi focolai di rischio isolati nello spazio e nel tempo, ma di un unico grande esperimento senza ritorno su scala planetaria. Piante coltivate in campi vicini si ibridano facilmente; è quindi impossibile essere certi che il patrimonio genetico degli OMG non si diffonda ben al di là delle nostre intenzioni a gran parte della popolazione vegetale: già oggi sappiamo con certezza che i geni delle piante modificate possono superare barriere di spazio e di specie trasmettendosi ad altri organismi nel raggio di due-tre chilometri; del resto, anche la composizione stessa del terreno e la popolazione di batteri in presenza di piante transgeniche cambiano in maniera imprevedibile, non sappiamo se irreversibilmente. Anche l'uso di piante ed animali destinati all'alimentazione umana per la produzione di sostanze chimiche ad uso farmaceutico ed industriale rappresenta una seria minaccia alla salute: i geni che determinano la produzione di sostanze non alimentari potranno facilmente diffondersi ad atri organismi portando alla contaminazione delle risorse alimentari su vasta scala per un periodo imprevedibilmente lungo.

Questi rischi riguardano anche la fase di sperimentazione. Le misure di sicurezza non sono infatti sempre sufficienti ad impedire la diffusione nell'ambiente di materiale organico pericoloso: recentemente in Australia colonie di un virus patogeno contro i conigli allevate in un laboratorio situato su un'isola si sono diffuse sul continente per un raggio di 400 chilometri; nel tentativo di arginarne la diffusione è stato necessario avvelenare tutti i conigli, ma ancora nulla si sa sulle possibilità di mutazione del virus, che potrebbero renderlo letale per l'uomo. A questo si aggiunge il fatto che anche troppo spesso le misure di sicurezza non vengono neppure rispettate: il New Scientist del 4 aprile 1988 ha pubblicato un elenco di industrie biotecnologiche che hanno infranto consapevolmente le regole di sicurezza durante la fase di sperimentazione in Gran Bretagna; malgrado la lista comprenda nomi come Monsanto, AgrEvo e persino l'Istituto Nazionale britannico di botanica agricola, si tratta verosimilmente soltanto della punta dell'iceberg: le ispezioni diventano sempre più difficili man mano che gli esperimenti si moltiplicano, e il rischi di infrazioni non documentate, anche gravi, cresce continuamente.

Gran parte dei progressi nel campo della salute nel nostro secolo sono stati dovuti all'igienizzazione dei processi di produzione e confezionamento dei prodotti alimentari, che precedentemente erano micidiali veicoli di trasmissione di agenti patogeni (basti ricordare la pastorizzazione, che ha eliminato il rischio di mortali malattie infettive collegato fin dai tempi più remoti al consumo del latte).

Questi progressi rischiano ora di essere vanificati: i cibi geneticamente modificati rappresentano infatti efficacissimi vettori per innumerevoli virus superinfettivi, già predisposti per oltrepassare la naturale barriera tra le specie. Ancora una volta, si tratta non di un rischio isolato e circoscritto, ma di un pericolo reale che interessa tutta la popolazione mondiale.

Dalle manipolazioni genetiche non si torna indietro. Una volta che gli OMG saranno stati immessi nell'ambiente non sarà più possibile "ripulire" il pianeta come dopo un disastro petrolifero: i nuovi organismi si riprodurranno e si ibrideranno senza alcuna possibilità di controllo. Le scelte che compiamo oggi rischiano di cambiare per sempre la vita sulla terra, distruggendo un equilibrio che ha cominciato a formarsi con l'inizio dell'evoluzione. Per quel che ne sappiamo, il nostro è l'unico pianeta dove esiste la vita. Vale davvero la pena di mettere a repentaglio i risultati di un processo unico e irripetibile che è durato tre miliardi di anni per fare un favore a poche ditte che hanno problemi a far quadrare il bilancio?

Malgrado l'ottimismo che ostentano, le industrie biotecnologiche sono perfettamente consapevoli dell'aspetto apocalittico della questione. L'autorevole quotidiano britannico conservatore The Guardian (mercoledì 6 agosto 1997 p.9 Home News) ha recentemente pubblicato un documento riservato diretto alla EuropaBios, che rappresenta gli interessi delle industrie biotecnologiche, dall'agenzia di pubbliche relazioni Burson Marsteller, che in passato ha curato gli interessi della Babcock e Wilcox all'epoca dell'incidente nucleare di Three Mile Island del 1979 e della Union Carbide in occasione del disastro del Bhopal, in cui persero la vita circa 15.000 persone.

L'agenzia di consulenza consiglia caldamente alle industrie biotecnologiche di "tacere sui rischi legati agli OMG" in quanto "non possono sperare di vincere la discussione sulla questione dei rischi". L'atteggiamento ottimistico e fiducioso delle industrie non deriva dunque da una convinzione sincera, per quanto errata o superficiale, ma soltanto da calcolo e da malafede.

Le tecniche dell'ingegneria genetica non sono state ancora adeguatamente sperimentate e sono state commercializzate prematuramente contro il parere della grande maggioranza degli scienziati e dei consumatori. La malafede dell'industria biotecnologica è dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio dal suo atteggiamento nella questione delle etichette: se le ditte sono così sicure del consenso dei consumatori, perché si rifiutano di identificare i prodotti transgenici? Evidentemente sanno che nessuno accetterà i rischi connessi al consumo dei loro prodotti, a meno di non venire privato di ogni libertà di scelta. Non si può fare a meno di chiedersi a questo punto se il compito dei governi democratici dei paesi industrializzati, tra cui l'Italia, sia veramente quello di privare i cittadini della libertà di scelta in una questione così importante, o non piuttosto quello di salvaguardare questa libertà con tutto il potere che deriva loro da un'autorità fondata proprio sulla libera scelta dei loro elettori.

 

Monopolio – brevetti*

Negli Stati Uniti la storia dei brevetti sulla vita è cominciata nel 1978, quando l'ufficio federale dei brevetti respinse la richiesta di un ricercatore di poter brevettare un batterio; nel 1980 la Corte Suprema sovvertì con cinque voti contro quattro la decisione dell'ufficio brevetti; da allora ogni forma di brevetto sulla vita è diventata legale. La sconvolgente richiesta presentata da Newman potrebbe avere l'effetto di spingere la Corte Suprema o il Congresso a ritornare sulla decisione del 1980, riportando la legislazione sui brevetti allo stato originario, come molti dei più prestigiosi istituti di ricerca, e lo stesso ufficio brevetti, raccomandano da tempo. 

 

OGM per combattere la fame nel mondo?*

Il reale atteggiamento dell'industria nei confronti delle popolazioni più povere risulta comunque evidente al di là di ogni ragionevole dubbio dall'ultima novità in fatto di prodotti vegetali. Secondo la legge, il detentore di un brevetto ha il diritto di esigere il pagamento di diritti sui semi di varietà vegetali brevettate, anche nel caso che quei semi provengano dal raccolto dell'anno precedente, nonché di proibire lo scambio di sementi tra piccoli coltivatori. Naturalmente, controllare l'applicazione effettiva di questa norma da parte di centinaia di milioni di piccoli coltivatori del Sud del mondo risulta assai complicato: come si fa ad essere sicuri che nessun contadino del Centrafrica o del Bangladesh conservi da qualche parte un sacchettino di sementi dell'anno prima, violando così i diritti economici delle multinazionali? Semplice: basta assicurarsi che le sementi diventino sterili alla seconda generazione manipolandole geneticamente. E, guarda caso, è proprio ciò che le industrie hanno fatto (brevetto USA N.5.723.765, concesso nel marzo 1998 a Delta Pine Land e all'US Department of Agricolture). Questo particolare tutt'altro che insignificante conferma una volta di più che i brevetti sulla vita, lungi dal rappresentare una legittima tutela delle innovazioni tecnologiche, offrono alle multinazionali lo strumento per estendere il loro monopolio planetario sul settore più vitale della produzione, quello del cibo, mettendo seriamente in pericolo la sopravvivenza delle popolazioni più povere.

 

Biotecnologie per guarire?*

Ora che i brevetti sui geni delle più varie malattie hanno acquistato validità in Europa, i sistemi sanitari dei paesi europei non avranno altra scelta che pagare i diritti che i detentori dei brevetti esigeranno su ogni singolo test effettuato (nonché su eventuali test nuovi e migliori messi a punto, anche in laboratori di ricerca pubblici, usando il "loro" gene) oppure smettere di effettuare i test perché troppo costosi. Nel primo caso i costi dell'assistenza sanitaria pubblica, che già sono motivo di preoccupazione in tutti i paesi industrializzati, leviteranno al di là del tollerabile; nel secondo la medicina si troverà a rinunciare, per motivi esclusivamente economici, a strumenti diagnostici decisivi, tornando indietro di parecchi anni.

 

Un aiuto ai paesi poveri? Una nuova economia?*

Nella stessa prospettiva è interessante notare che il brevetto della Agracetus (ora acquistata dalla Monsanto) che copre tutte le possibili varietà di cotone geneticamente modificato fissa la quota di licenza che altre industrie debbono versare a un milione di dollari. Un tale prezzo non rappresenta un ostacolo per le grandi industrie ma ha l'effetto di escludere dalla competizione tutte quelle medio-piccole. Lo scopo a lungo termine che le industrie biotecnologiche si prefiggono è evidentemente la creazione di un regime di oligopolio in cui pochissime grandi multinazionali controllano i settori chiave della produzione, quello alimentare e quello biomedico, con tutti i pericoli per il libero mercato e la salvaguardia dei consumatori che una situazione del genere inevitabilmente comporta.

 

Un vero affare: per chi?*

Le industrie biotecnologiche affermano che l'ingegneria genetica è un campo in vertiginosa ascesa da cui l'economia mondiale potrà attendersi enormi benefici in termini di profitti e di posti di lavoro. E' bene inserire a questo punto una considerazione marginale: il solo fatto che un'attività sia economicamente assai redditizia non è comunemente ritenuto una ragione sufficiente per renderla legale: l'industria degli stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, il commercio di organi a scopo di trapianto sono solo alcuni esempi di attività indubbiamente redditizie che la legislazione di tutti i paesi civili non si astiene dal perseguire. Ma un esame più approfondito delle affermazioni trionfalistiche dell'industria rende addirittura superfluo ricorrere a queste astratte considerazioni morali.

Cominciamo col considerare la situazione che i sostenitori della direttiva prendono a modello, quella degli Stati Uniti. Negli USA vi sono circa 1300 aziende che lavorano nel campo dell'ingegneria genetica; il loro punto forte è la medicina: l'agricoltura copre meno del 10% del totale. Di queste circa 1300 aziende solo 35 (cioè il 3%) sono in attivo, mentre le altre, vale a dire il 97% del totale delle aziende, sono in perdita. Le industrie biotecnologiche hanno bisogno di enormi quantità di capitale a rischio; nel 1996 queste 1300 industrie hanno accumulato perdite per circa 4.6 miliardi di dollari: fino a questo momento l'industria americana delle biotecnologie si è dunque rivelata un'immensa macchina mangiasoldi. Nel 1996 circa 115.000 persone erano impiegate nell'industria delle biotecnologie; in rapporto al totale di circa 125 milioni di posti di lavoro negli USA, si tratta circa dello 0,1%: meno di un posto di lavoro su mille ha a che fare con l'ingegneria genetica. Ma al tempo stesso quest'industria assorbe quantità immense di denaro pubblico: nel 1987 2,7 miliardi di dollari, nel 1993 più di 4 miliardi di dollari, e nel 1994 4,3 miliardi di dollari; tuttavia il danaro pubblico non rappresenta la sua unica fonte di finanziamento: negli anni '80 le industrie biotecnologiche hanno infatti cominciato ad attrarre quantità enormi di cosiddetti "capitali d'avventura", investimenti ad alto rischio compiuti nell'attesa di favolosi guadagni a lungo termine. Sfortunatamente ora il "lungo termine" è scaduto, e gli investitori attendono impazienti profitti che le imprese sono ben lontane dal poter garantire. Le speranze di sopravvivenza economica dell'industria biotecnologica sono ormai legate a due strategie: l'immediata commercializzazione dei prodotti esistenti al loro attuale stadio di sviluppo, perché ogni prolungamento del periodo di ricerca allontana la prospettiva di profitti e rappresenta di per se' un costo aggiuntivo, e l'approvazione di una legislazione sui brevetti che garantisca introiti alti e costanti.

Sfortunatamente entrambe queste strategie, per quanto adatte a garantire la sopravvivenza dell'industria, rappresentano una catastrofe per la società civile. La commercializzazione precoce e avventata di prodotti non adeguatamente sperimentati creerà, come abbiamo visto, emergenze sanitarie che lo stato dovrà affrontare da solo, perché l'assenza di etichettatura renderà impossibile l'attribuzione di responsabilità legali alle aziende produttrici di OMG. La direttiva sui brevetti avrà l'effetto di costringere la sanità pubblica al pagamento di diritti esosi, con la conseguenza di un vertiginoso aumento dei costi dell'assistenza medica in tutti i paesi industrializzati.  

 

Un controsenso giuridico*

Per quanto gli argomenti di ordine medico ed economico siano sicuramente più rilevanti, forse non è superfluo spendere qualche parola su un altro aspetto non marginale della questione: quello legale. Da questo punto di vista la direttiva sui brevetti rappresenta una vera e propria aberrazione. Infatti sia il GATT-TRIPS sia la EPC (European Patent Convention) che gli accordi NAFTA tra gli Stati Uniti, il Messico e il Canada escludono esplicitamente dalla brevettabilità le scoperte scientifiche, le tecniche terapeutiche e diagnostiche, gli animali e le piante, i processi biologici, nonché le invenzioni contrarie alla morale o che presentano rischi ecologici. La direttiva è dunque in palese conflitto con tutte queste normative, nonché con la Convenzione sulla Biodiversità. Inoltre l'approvazione della direttiva permetterà a pochissimi grandi gruppi industriali, con il pretesto di modifiche apportate al loro patrimonio genetico, di assicurarsi i diritti sulla maggior parte delle piante alimentari, creando una pericolosissima situazione di monopolio evidentemente in contrasto con qualsiasi normativa anti-trust.

 

ESEMPI ED EPISODI*

1.  il pomodoro non marcescibile

Anche la qualità dei cibi proposti ai consumatori dei paesi industrializzati suscita tuttavia non poche inquietudini. Un esempio tipico dei nuovi prodotti su cui l'industria ha concentrato le sue ricerche e le sue speranze di profitto è il cosiddetto il pomodoro "flavr-savr" ("aroma-sapore"), prodotto dalla Calgene. Questo pomodoro è stato manipolato geneticamente in modo che le pareti delle sue cellule si decompongano più lentamente; tuttavia gli altri processi di invecchiamento cellulare, come la decomposizione delle vitamine A e C e delle altre sostanze nutritive, procedono alla velocità normale. Il risultato è un pomodoro che mantiene a lungo un aspetto fresco sugli scaffali dei supermercati ma il cui valore nutritivo è prossimo allo zero. Naturalmente, gli entusiasti acquirenti di questa novità alimentare non erano stati informati di questo, come neanche del fatto che nel pomodoro "flavr-savr" vengono usati come marcatori geni che causano la resistenza agli antibiotici, con tutti i rischi di cui abbiamo già parlato. Quando queste notizie hanno cominciato a diffondersi la popolarità del prodotto è molto diminuita, e la Calgene è venuta a trovarsi in condizioni finanziarie veramente critiche.

 

2.  Tra uomo e animale: l'ultima novità in fatto di prodotti biotecnologici

Un caso recentissimo getta una luce inquietante su un altro aspetto della questione dei brevetti. Stewart A. Newman, biologo del New York Medical College, ha presentato il 18 dicembre 1997 domanda per brevettare una creatura parzialmente umana (Nature 2 aprile 1998); diversi animali contenenti parti di genoma umano sono del resto già stati brevettati, e quindi non sussiste nessun ostacolo legale alla brevettazione e alla produzione di chimere uomo-animale.

 

3.  L’oncotopo: cancro 100% garantito

Nel 1993 nei laboratori dell'università di Harvard, con finanziamenti dell'industria farmaceutica Dupont, venne ottenuto tramite ingegneria genetica un topo che aveva il 100% di probabilità di ammalarsi di cancro, e che avrebbe dovuto rappresentare il modello sperimentale ideale per la ricerca. Ovviamente, l'animale fu immediatamente brevettato.

A tutt'oggi, dopo cinque anni dalla brevettazione dell'oncotopo, la Dupont non ha realizzato alcun profitto economico grazie alla sua "invenzione"; nessun laboratorio di ricerca al mondo, pubblico o privato, è stato infatti disposto a pagare le somme esorbitanti che la ditta richiedeva per concedere l'uso dell'animale, né ovviamente ad impegnarsi a corrispondere alla Dupont dei diritti sui i risultati delle proprie ricerche eseguite per mezzo  dell'oncotopo, come stabilito dalla legislazione sui brevetti.

 

* da Alcune osservazioni sulla direttiva per la protezione delle invenzioni biotecnologiche" e sulla questione degli organismi geneticamente modificati 

A cura di Carmen Dell'Aversano - Università di Pisa

   

 


L'uomo architetto del futuro nel secolo biotech
da un’intervista a Jeremy Rifkin

a cura di MEDIAMENTE/RAI EDUCATIONAL

 

Pensa che la biotecnologia cambierà veramente la nostra vita?

Ci troviamo di fronte a uno dei cambiamenti più grossi nella storia della civiltà. Stiamo passando dalla rivoluzio-ne industriale al secolo della biotecnologia. Per 40 anni due tecnologie d'avanguardia si sono sviluppate paralle-lamente: l'informatica e l'ingegneria genetica, la scienza dell'informazione e le scienze naturali. Ora si stanno unendo, i computer e i geni, per gettare le fondamenta di un'era completamente nuova nella storia mondiale. Sempre più, il computer viene usato come un linguaggio per organizzare i geni, decifrarli, registrare le loro informazioni, per gestirli e sfruttarli. E il grande cambiamento che sta avvenendo nell'economia glo-bale è il passaggio dai combu-stibili fossili, dai metalli e dai minerali - le materie prime della rivoluzione industriale - ai geni, al commercio genetico, le materie prime del secolo della biotecnologia. Esistono geni per l'alimentazione, nuovi metodi di elaborazione di geni per prodotti farmaceutici e medicine, ma anche per costruire materiali; è possibile usare i geni e la manipola-zione genetica per la costruzione di fibre e perfino per nuove risorse di energia. Questo è un grosso cambia-mento nella storia. Ora abbiamo nuovi potenti strumenti a disposizione delle società che operano nel campo delle scienze biologiche e della biologia molecolare, che per-mettono all'uomo di agire come Dio in laboratorio. Possiamo cominciare a riconfigurare, riprogettare, milioni di anni di evoluzione per soddisfare le esigenze del mer-cato e della generazione attuale (NdR - studi più recenti hanno di molto ridimensionato il peso dei geni nello svi-luppo della vita: la mappatura del genoma umano ha evidenziato il ruolo fondamentale delle proteine in un contesto di complessità che non permette previsioni). Questo è il più grosso intervento sulla natura mai com-piuto in tutta la storia, e solleva grosse questioni am-bientali, etiche e sociali.

 
Cosa significa che il materiale vivente può essere brevettato?

Il nome del gioco è "geni". Chi controlla i geni controlla il secolo della biotecnologia. Stiamo passando dalla fonte energetica costituita dai combustibili fossili e minerali a quella dei geni. Geni per ogni attività economica. Ora, il pubblico sarà sorpreso di sapere che le fusioni che si fan-no nel campo delle telecomunicazioni, del software e del-l'industria dello spettacolo sono poca cosa in confronto con le fusioni che avvengono nel campo dell'industria del-le scienze naturali. E quello che vediamo è che un certo numero di società che operano nel settore delle scienze biologiche in tutto il mondo cominciano a controllare tutte le mappe genetiche sulle quali è basata la nostra soprav-vivenza. Dai semi delle piante commestibili alle fibre al materiale da costruzione alla medicina, tutto è nelle mani di poche società. Nei prossimi 8 anni, virtualmente tutti i 60.000 geni che costituiscono la mappa del genere uma-no saranno identificati. Ognuno di questi 60.000 geni diventerà virtualmente proprietà registrata di una socie-tà. A mano a mano che le società individuano questi ge-ni, come il gene del cancro al seno, il gene della fibrosi ci-stica, del morbo di Huntington, accampano diritti su di essi come se fossero loro invenzioni. Così tra meno di dieci anni, poche società come Monsanto, Novartis, Smith Kline Beecham e Hoechst Chemical, saranno in possesso della mappa genetica del genere umano, il che darà loro un potere commerciale senza precedenti, tale da dettare i termini entro i quali viviamo le nostre vite, e forse per dettare i termini della futura evoluzione del genere uma-no. Inoltre, le stesse società stanno analizzando i paesi del Sud del mondo perché è lì che si trovano le risorse genetiche rare. La biodiversità del pianeta, le ricche risor-se genetiche si trovano nei paesi in via di sviluppo. Così queste società vanno laggiù, fanno ricerche, individuano dove si trovano i geni che potrebbero avere un valore commerciale e li registrano: possono essere microbi che si trovano nelle piante e negli animali e anche nella popo-lazione indigena. I paesi del Sud gridano alla biopirateria. Dicono: "Sono risorse nostre, come il petrolio nel Medio Oriente. Dovremmo averne un compenso economico". Il mio parere, e quello che io esprimo in Il secolo biotech, è che il serbatoio genetico deve rimanere aperto. È un pa-trimonio comune. Fa parte della comune eredità dell'evo-luzione. Non dovrebbe essere ridotto a proprietà politica dei governi o proprietà intellettuale e commerciale delle società. Se riduciamo il serbatoio genetico a una proprie-tà privata che può essere sfruttata commercialmente avremo guerre genetiche nei prossimi secoli, esattamen-te come le guerre che ci sono state per il petrolio e i me-talli e minerali rari nell'era industriale. Quindi ci vuole un accordo internazionale per mantenere aperto questo ser-batoio. L'Antartide è un buon esempio. L'ultimo continen-te è tenuto aperto come un patrimonio comune. Secondo il trattato possiamo esplorarlo scientificamente, ma non lo si può sfruttare commercialmente o possedere. Ci vuo-le un accordo internazionale simile per mantenere aperto il serbatoio genetico, in modo che possa essere esplorato scientificamente ma condiviso come eredità per le gene-razioni future.


Cosa si intende per inquinamento genetico?

Nei prossimi due o tre anni sentiremo un termine nuovo: "inquinamento genetico". L'inquinamento genetico sarà una questione tanto grave per la prossima generazione quanto lo è stata l'inquinamento petrolchimico e nucleare per la generazione precedente. Queste enormi imprese stanno immettendo nell'ambiente scorie di organismi creati dall'ingegneria genetica in laboratorio. Nei prossimi anni sperano di immettere centinaia, migliaia di questi organismi geneticamente manipolati in tutto il mondo sul nostro suolo, nelle nostre acque, per creare nuovi vege-tali, nuove fonti di energia, un intero settore di attività. Siamo di fronte all'esperimento più radicale sulla natura mai concepito dall'essere umano. Riseminare la terra con una seconda genesi artificiale. Ora, il problema è questo. Quando si cominciano a introdurre centinaia e poi miglia-ia di organismi progettati geneticamente in ambienti ai quali non sono stati adattati in precedenza, alcuni di essi possono diventare dannosissimi, rimanere nell'ambiente e provocare una destabilizzazione a lungo termine. Le fa-rò qualche esempio. Negli ultimi tre anni la Monsanto, una società americana, ha cercato di introdurre una pianta che produce plastica, e che si raccoglie come il cotone, in milioni di acri in tutto il mondo. Altre società stanno cercando di creare piante che fungono da impianti chimici e secernono prodotti farmaceutici e prodotti chimici e vaccini. Ora, immagini milioni di acri in tutto il mondo con piante che producono plastica e prodotti chimici e farmaceutici e vaccini. Che succede agli uccelli e agli insetti e ai microrganismi e agli animali che per nutrirsi vengono in contatto con piante che producono plastica e prodotti chimici e farmaceutici? Non ci sono precedenti di questo tipo di cambiamenti radicali nei nostri ecosistemi. In questo stesso momento, le grosse società stanno immettendo sementi di cibo manipolato geneticamente. Qui in Italia e in tutto il mondo è in corso un dibattito su queste piante. Queste piante sono potenzialmente molto pericolose. Contengono geni che rendono le piante resistenti agli erbicidi e geni che le rendono resistenti a insetti e virus. Il problema è questo: abbiamo studi che mostrano come questi geni speciali possono sfuggire al controllo durante l'impollinazione, e così ci può essere un gene resistente all'erbicida o agli insetti che schizza via durante l'impollinazione e si fissa al codice genetico delle erbe infestanti: le erbe infestanti diventerebbero resistenti agli erbicidi e agli insetti. Le erbe infestanti naturalmente si riproducono, proliferano, si diffondono. Immagini il problema su grosse estensioni di terreno, con erbe infestanti che contengono geni resistenti ai virus e agli insetti e agli erbicidi. Quello che il pubblico italiano deve sapere, e in particolare i vostri rappresentanti in parlamento, è che non c'è un risarcimento assicurativo a lungo termine contro eventuali perdite nel caso in cui uno di questi organismi diventasse nocivo. C'è solo un'assicurazione a breve termine per i danni all'agricoltura e per negligenza. Il motivo per cui il sistema assicurativo non farebbe mai assicurazioni per queste perdite a lungo termine è che dicono che nessuna scienza è in grado di valutare i potenziali rischi. Quindi la mia domanda è: non è un atto di irresponsabilità da parte dei governi permettere che vengano introdotti nell'ambiente organismi manipolati geneticamente, di qualunque tipo? Se non ci sono responsabilità per potersi assicurare contro le perdite a lungo termine, chi sarà responsabile? Queste società non potrebbero mai pagare i danni. Se un organismo diventa nocivo, il danno potrebbe ammontare a centinaia di milioni di dollari, forse a miliardi. Chi pagherà i danni? Gli agricoltori italiani? O i proprietari di case o i contribuenti? Sarà il governo italiano ad assumersi per generazioni milioni di dollari di danni in quanto responsabile della tragedia? Dobbiamo imparare una lezione dalla rivoluzione petrolchimica e nucleare. Sollevare subito le questioni scottanti. Assicurarsi di non introdurre nella biosfera niente che possa compromettere le generazioni presenti e quelle future. Sospendere le emissioni di qualsiasi tipo nell'ambiente, finché non venga discussa in parlamento la questione di una valutazione scientifica dei rischi e delle responsabilità.


Esistono dei limiti entro cui si dovrebbe mantenere lo sviluppo degli esperimenti di biotecnologia?

Qui non è in questione la scienza. Stiamo andando verso il secolo della biologia, della biotecnologia. La scienza ha un valore quando non viene usata in maniera riduzionista. Stiamo imparando molte cose sui geni, come funzionano, cosa fanno, come si comportano nell'ambiente. Questa è ottima scienza. Non è la scienza che è in questione. È in questione il tipo di tecnologia commerciale e sociale che useremo nelle applicazioni di questa nuova scienza nel secolo della biotecnologia. C'è una linea dura e una linea morbida nell'applicare questa nuova scienza che si sta sviluppando. Ciascuna ha dei parametri molto diversi, valori molto diversi. Quanto alla linea dura, le farò qualche esempio: gli alimenti geneticamente trattati. Creare alimenti manipolati geneticamente che resistono agli ecosistemi locali, che sono potenti: questo fa parte della linea dura. La stessa scienza può però anche adottare in agricoltura la linea morbida: è l'agricoltura organica. Potremmo usare questa nuova scienza per creare nei prossimi secoli una produzione agricola a sviluppo sostenibile, su base organica, molto sofisticata. Invece di manipolare i semi in isolamento, fuori dall'ecosistema, potremmo trovare il modo di capire come le nostre specie tradizionali interagiscono con gli ecosistemi locali, in modo da poter integrare al meglio milioni di anni di sapiente evoluzione e creare approcci organici, sostenibili, per rendere le nostre piante compatibili con le dinamiche dell'ecosistema. L'approccio duro consiste nell'agire come Dio, essere l'architetto, l'ingegnere della seconda Genesi. La linea morbida, l'agricoltura organica, consiste nell'agire come un collaboratore e un amministratore. Non manipolare e riprogettare, ma piuttosto trovare metodi di precisione e integrare la saggezza che sta dietro al processo evolutivo con gli ecosistemi locali. Lo stesso nel campo della sanità. La linea dura sarebbe aspettare il momento in cui uno è malato e a quel punto iniettargli i geni per farlo guarire, o, ancor più radicalmente, modificare le istruzioni genetiche nello sperma e l'ovulo in modo da eliminare le potenziali malattie, ma a quel punto rischiamo di creare la nostra propria genesi e una cultura eugenetica. C'è una linea morbida per usare la stessa scienza in medicina, ossia la medicina preventiva: capire meglio come i geni interagiscono con l'ambiente per mantenere la gente in buona salute. Sa che per la maggior parte delle nostre malattie gravi, come l'infarto e il cancro al seno, al colon, alla prostata, il diabete e gli attacchi ischemici c'è una forte componente ambientale. Ognuno ha una diversa predisposizione verso queste malattie, ma l'ambiente che noi creiamo può scatenarli. Se uno fuma molto, beve molto, non fa movimento, mangia grassi e vive nell'aria inquinata, ci sono delle probabilità che soffra di questi disturbi. Possiamo prevenire queste situazioni con la nuova scienza della medicina preventiva. Fra dieci anni saremo in grado di analizzare un neonato e conoscere il suo intero codice genetico e sapere a quali disturbi sarà predisposto nel corso della sua vita. Stiamo anche rilevando il codice genetico di tutti gli alimenti che mangiamo. Così saremo in grado di adattare alimenti specifici che hanno proprietà tali da impedire a certe persone di contrarre certe particolari malattie. Così saremo capaci di venire incontro a ogni essere umano fin dalla nascita con un regime alimentare particolare in modo che i suoi geni non mutino causando malattie. C'è una maniera molto più sottile, elegante, intelligente, di usare questa nuova scienza: la linea morbida. Non implica il trasformarsi in Dio, progettare la vita, ma al contrario il collaborare e comprendere come integrare meglio il nostro senso del benessere all'interno di milioni di anni di sapiente evoluzione.


(23 novembre 1998)

 


 

Sommario

Prefazione

Domande e risposte

Biotecnologie e sicurezza

La complessità e la chimera del “rischio calcolato”

La chimera del rischio calcolato

Un'equivalenza fraudolenta

Dove comincia il cannibalismo?

Materia inanimata e materia vivente: un equivoco pericoloso

Xenotrapianti: "l'ultima frontiera"

Un’apocalisse evitabile

Monopolio – brevetti

Ogm per combattere la fame nel mondo?

Biotecnologie per guarire?

Un aiuto ai paesi poveri? Una nuova economia?

Un vero affare: per chi?

Un controsenso giuridico

Esempi ed episodi

L'uomo architetto del futuro nel secolo biotech


note:

[1] Se una quantità si raddoppia in capo a un certo tempo, poi si raddoppia di nuovo in un intervallo di tempo uguale al primo, e così di seguito, si dice che ha una crescita esponenziale. La crescita sarà ben presto enorme: è ben nota la storia dell’inventore degli scacchi. Al re che, entusiasta del dono, voleva offrirgli una generosa ricompensa, questo sapiente chiese che si mettessero un chicco di riso sulla prima casella della scacchiera, due sulla seconda, quattro sulla terza e così di seguito, raddoppiando ogni volta il numero dei chicchi della casella precedente. Il re giudicò dapprima la richiesta molto moderata, ma dovette ammettere ben presto che la quantità di riso necessaria era così grande che né lui né alcun re al mondo sarebbe stato in grado di far fronte a quell’impegno (il re aveva ragione: 2^64 dà infatti la bella cifra di 18 446 744 070 000 000 000, cioè la somma dei chicchi necessari, cioè oltre i 6000 miliardi di quintali di riso: nel 1988 si sono prodotti nel mondo “soltanto” 5 miliardi di quintali)

 

 

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