Parte
quarta
Scappai,
volando quasi, a casa, dove trovai mia madre che sbocconcellava
e che mi accolse con un "dove sei stata tutto questo tempo?
Devi aver incontrato qualcuno di speciale, non è vero?".
Pranzando, le raccontai tutto quello che Rina ed io avevamo detto.
Rimase soddisfatta dalle mie parole. "Hai visto quante persone
ti ritrovi vicino? Il mondo è piccolo e la gente tanta
e ciascuno ha qualcosa da condividere con gli altri, nel bene
e nel male.
Vedi, Rina considera il Crohn un argomento di conversazione e
così ha conosciuto tante persone, tra cui me e poi te.
Se non fosse venuta fuori la cosa, non vi sareste mai parlate,
forse." Mia madre certe volte sa essere davvero meravigliosa.
L'unica cosa che non le dissi fu quel discorso sulla sua ansia,
quello era un segreto e stava a me cercare di fare in modo che
non si accrescesse ancora di più.
In pochi mesi avevo messo su una bella squadra d'attacco: Simonetta,
Rina, la mia famiglia e Gianni e poi avevo molti altri amici,
di studio e di piscina; alcuni li resi partecipi di tutto, come
Massimo e Flora, due compagni di università fidati con
cui studiavo e parlavo di tutto senza pudori. Invece non l'avrei
mai detto al un altro gruppo di studenti che passavano il tempo
a giocare brutti tiri ad un nostro amico gay. Certe cose non
si fanno e loro di certo non erano le "persone giuste"
per me.
In piscina avevo ancora più amici, di tutte le età,
parlavo sempre con tutti e tutti mi conoscevano più o
meno bene. Ad esempio feci amicizia con il giovane medico sportivo
della piscina: Roberto lo trovavo spesso ad allenarsi e notai
che era molto bravo, molto più di me; iniziammo a vederci
per nuotare insieme perché avrei imparato molto da lui.
Un sera alla settimana facevamo i mille metri insieme a tutta
la squadra del triathlon. La sera la piscina è sempre
affollata: ci sono i corsi, i bambini
e solo tre corsie
adibite al nuoto libero. Di queste tre corsie, una è per
le persone che vanno piano, una per i nuotatori "medi"
e la terza per gli agonisti.
Mi avevano detto di non esagerare, ma non potevo resistere alla
tentazione di tuffarmi nella terza corsia e di seguire i più
bravi, facendomi trascinare dalle loro poderose bracciate. Era
un modo per seminare il mio inseguitore, lo avrei vinto e poi,
con i più veloci mi sentivo al sicuro.
Inoltre nella corsia dei "lenti" mi annoiavo un po',
senza stimoli a migliorarsi.
Il dottor Roberto diventò un altro grande mio alleato
e gli sono molto grata per tutti i consigli che mi ha dato, senza
chiedere mai nulla in cambio.
Gli parlai del Crohn e lui conosceva benissimo questo tipo di
malattia, essendo medico internista.
Gli volli chiedere cosa ne pensava dei miei allenamenti, volevo
un giudizio spassionato, ma un po' "di parte", infatti
sapevo bene che da lui, nuotatore sfegatato come me, non avrei
avuto un netto divieto
Mi disse che dovevo fare quel che più mi sentivo di fare,
perciò non avei dovuto rinunciare al nuoto, soltanto moderare
il tipo di allenamento al periodo di malattia in corso. D'altronde,
me ne accorgevo bene, quando mi sentivo fiacca, durante le ricadute!
Roberto era sempre disponibile, un vero amico.
Spassosissimo. Quando entrava in vasca, se c'era qualche signora
che sfortunatamente era capitata con noi, veniva presto costretta
a spostarsi, spaventata dalle virate del "nuotatore spericolato"
o tranciata da una bracciata un po' troppo energica.
Roberto era un po' così, non sopportava i nuotatori mediocri,
voleva correre senza intralci, riconosco che fosse un po' esagerato!
A volte temevo di dargli fastidio anch'io e glielo chiesi, dei
giorni, ma rispose sempre "tu sei con noi, nessun disturbo.
Non te ne andare!". Ero ancora una nuotatrice abbastanza
forte, allora!
Roberto mi aiutò molto quando ebbi la seconda ricaduta
e dovetti fare di nuovo le biopsie; infatti andai da lui per
fare l'elettrocardiogramma preliminare, mi visitò e quanto
gli dispiaceva per quello che stavo passando. "Ma domenica
prossima (tre giorni dopo l'esame, fissato per il 17!) sarò
di nuovo in vasca!", glielo dissi per tirarci su di morale,
e infatti lo feci davvero.
Dalla seconda colonscopia videro che microscopicamente le cure
avevano fatto effetto e, a parte dei noduli infiammatori, la
situazione era buona. Però dall'esame istologico venne
fuori che l'infiammazione si era estesa al colon, prima indenne.
Quel che mi dava fastidio era il fatto che questo Crohn era indomabile
e si divertiva a camminare dentro di me a passi felpati, senza
che io potessi accorgermi del suo danno.
Le statistiche affermano che, dopo dieci anni di malattia, un
intervento chirurgico tocca alla maggior parte di noi e che i
rischi di degenerazione si corrono se tutto l'intestino è
infiammato. Con le cure si evitano le complicazioni macroscopiche,
ma come fare per fermare il sotterraneo procedere "microscopico"
della malattia? Questo ancora non lo so. Speriamo bene.
Un giorno Simonetta mi disse una cosa che mi fece sorridere "Se
c'è un Dio che stabilisce a chi dare una cosa e a chi
darne un'altra, penso che abbia scelto noi per il Crohn perché
abbiamo il giusto carattere per affrontarlo.
Come vedi, c'è gente molto ansiosa, come tua nonna, come
mia madre, che morirebbe al pensiero di avere una bomba in corpo".
Non ero del tutto d'accordo con quanto mi stava dicendo, perché
le malattie purtroppo non guardano in faccia a nessuno e troppa
gente deve soffrire cose anche più gravi della nostra,
senza certo volerlo! Le dissi che secondo me si diventa "persone
giuste", quando la necessità lo richiede. E' una
risorsa che tutti abbiamo sia i "forti" che gli insicuri
ed emerge nel momento in cui la persona tocca il fondo. L'insicuro
allora diventa straordinariamente forte, combatte come non aveva
fatto mai, è l'istinto di sopravvivenza.
Certo c'è chi si lascia andare, ma non è detto
che si tratti di persone che prima erano già dei depressi.
Nessuno di noi sceglie di stare male, così, e nemmeno
Dio,se c'è, si inventa il Crohn e altre cose a seconda
di cosa gli ispiriamo noi. Ci sono argomenti che non si possono
spiegare, secondo me. Non ci sono motivi per cui siamo io e te
ad avere il Crohn".
"Forse hai ragione, non volevo dire che Dio ci dà
quello che meritiamo. Assolutamente. Sarebbe da imbecilli pensarla
così. Volevo dire che abbiamo la fortuna, sarà
un caso, di essere degli avversari così temibili per il
Crohn". In questo che aveva detto non potevo certo darle
torto! Quando nuotavo per me era come tirare calci e pugni al
nemico e costringerlo a tirarsi fuori da me.
Anche se sapevo che non se ne sarebbe mai andato del tutto, volevo
che capisse che chi comandava ero io, almeno in vasca. Aveva
già dettato legge si cibi, sulle medicine, sui dolori,
non poteva permettersi di andare oltre.
Gli lanciai un'altra sfida: "Mi dovrai concedere l'onore
di fare il corso di bagnini e, se sarò in grado, di superare
l'esame per conseguire il brevetto. Ci tengo e non sarai tu a
fermarmi, perciò, amico, per due mesi non svegliarti.
Purtroppo non era proprio un periodo di letargo per lui, lo sapevo
perché ero nella fase primaverile di riacutizzazione,
però, a parte qualche dolore, a cui si fa l'abitudine,
volevo farcela. Così mi iscrissi ai provini di selezione.
Li passai tranquillamente, ma ora mi aspettava il duro corso,
faticoso, che richiedeva forza di gambe e la conoscenza teorica
e pratica delle manovre di salvataggio e rianimazione. Ci si
doveva allenare con un manichino peno d'acqua, pesantissimo.
La prima volta feci un disastro, sbagliai e temevo mi cacciassero
via.
Alcuni di noi, infatti, furono invitati a non proseguire il corso.
Persi solo due lezioni, nei giorni in cui avevo la colonscopia,
poi mi davo daffare e cercavo di dare il meglio di me, anche
se non era proprio oro, mi bastava farcela. Dopo uno di questi
allenamenti cominciai ad avvertire uno dei tipici temibili segnali
d'allarme: delle fitte all'addome lancinanti che arrivavano in
crescendo. Non feci in tempo a raggiungere casa, che già
mi ritrovai piegata in due, con dolori fino alle gambe. E il
bello era che avevo nello stesso tempo una fame da lupi! Ci si
abitua a tutto, così, anche se questi episodi mi sembrano
ogni volta unici e peggiori dei precedenti, so come affrontarli
perché la memoria mi guida attraverso le vecchie esperienze,
facendomi ricordare che se ce l'ho fatta una, due e più
volte, anche questa non sarà peggio. Il più grande
spavento infatti l'ebbi quando mi trovai per la prima volta di
fronte ad una cosa del genere, poi, col tempo, mi corazzai e
non provai più lo stesso tipo di paura, quella dell'ignoto
che porta via.
Tornando al brevetto, faticai non poco per ottenerlo; non che
mi stancassi facilmente, il fatto è che quel tipo di allenamento
che ci facevano fare non era paragonabile alle nuotate che facevo
di solito, nonostante queste ultime fossero considerate da chi
mi osservava "incredibili". Passai quei due mesi col
pensiero fisso a questo nuovo traguardo che mi ero imposta. Ogni
volta che ci vedevamo, Gianni mi chiedeva come andasse il mio
tour de force e trovava sempre una parola d'incoraggiamento.
Un giorno, in piscina, Gianni arrivò mentre io già
stavo nuotando. Lo vidi, mi fermai e lo schizzai perché
si desse una mossa a raggiungermi. "E' fredda!". Ma
poi entrò. Mi fece andare avanti, ma quel giorno mi sentivo
non proprio in forma al cento per cento. Quando facemmo una pausa,
Gianni, che aveva notato la mia scarsa performance, disse "Oggi
trovo che
tu non sia tu; sicura che vada tutto bene?"
al che io ribattei "Se io non sono io, allora chi sarei?
E' vero, oggi non è proprio il massimo. Pazienza! Forse
non sono io perché
" "perché l'amico
della ragazza a cui tengo e geloso di me e te la fa scontare!"
Ridemmo come pazzi, tanto che facemmo girare un notevole numero
di teste dalle cuffie colorate, per via del nostro schiamazzo.
"Non ci conosciamo" gli dissi. Prima di continuare
le nostre vasche, Gianni fu molto dolce, perché mi disse,
non so se apposta o per davvero, che si sentiva da schifo anche
lui e che potevo continuare a nuotargli davanti, senza farsi
scrupoli. "Dopo tutti questi mesi che ho iniziato il nuoto,
ancora a questo punto .." Così toccò a me
consolarlo. Tuttavia, credo che quel giorno mi fece passare avanti
per osservarmi, più che per meriti; non che questo mi
faccia dispiacere, anzi! Trovavo molto cavalleresca la sua idea
di proteggermi dalle insidie del mio nemico per la pelle, che
non la finiva di dare il tormento.
Sempre in quel periodo, ricordo che ci fu anche un giorno in
cui sentii che le mie fatiche in fondo venivano riconosciute
o per lo meno apprezzate. Accadde in occasione di un allenamento
di salvamento. Per prepararci alla prova d'esame, dovevamo ogni
volta simularla perché mancava poco alla fine del corso,
l'allenatore ci faceva tuffare dal bordo vasca, a quattro per
volta, e fare i cinquanta metri a stile libero con la testa alta,
naturalmente senza fermarsi, con gli occhi bene aperti e entro
un tempo limite. Una fatica che non vi dico: si arrivava col
fiatone, ci si guardava tra noi scambiandoci occhiate d'intesa
e consultando l'orologio per vedere quanto mancava alla fine
del supplizio. Ma ci divertivamo anche tanto. Pochi istanti e
già dovevamo ripetere il tutto, arrampicandoci sul bordo
(vietato usare le scalette!) e correndo di nuovo al via, a piedi
nudi. (Mi beccai pure un fungo, ma chi ci faceva caso?).
Qualcuno di noi si fermava a metà vasca, altri invece
erano dei veri e propri siluri, io me la cavavo, finendo la vasca
sempre, anche se mi ammazzavo di fatica. Neanche alcuni crampi
alla pancia riuscirono mai a farmi fermare: anche ultima, ma
la vasca dovevo finirla! A un certo punto, il nostro allenatore
ci riunì tutti per darci alcuni avvertimenti: ci saremmo
dovuti impegnare molto di più, altrimenti
un brevetto
di assistente bagnati non è una cosa facile che si regala
per simpatia, bisogna meritarlo, come tutte le cose, del resto,
perciò non potevamo, nessuno di noi, prendercela comoda.
"Ci sono dei tempi limite", disse, "Lo sapete.
Perché allora vi fermate a metà vasca? L'esame,
se lo fate così, è considerato senza valutazione.
Intesi?". Calò il silenzio e i nostri volti si rabbuiarono.
Osai chiedere allora quale fosse il tempo massimo richiesto.
Questa fu la risposta che ebbi: "Non è un problema
che ti riguarda". Cosa aveva voluto dirmi? Che potevo tranquillizzarmi,
a patto che continuassi a mettercela tutta, questo pensai tra
me. Mi sentivo felice perché, nonostante i miei risultati
fossero "sufficienti", l'allenatore aveva fiducia in
me, nelle mie possibilità. Ciò per me era tanto.
Voglio dire che se avessi avuto anche una sola probabilità
di farcela, valeva la pena andare fino in fondo.
Passarono i giorni, le settimane e il tempo volò fino
alla data della prova teorica. Certo, per chi non l'avesse capito,
questo brevetto non è uno scherzo!
Quel giorno avevamo un appuntamento alle tre; eravamo il primo
dei due gruppi di aspiranti bagnini.
Tornai da Roma scapicollandomi per non perdere il treno ed arrivai
trafelata, ma in tempo.
Quando toccò a me, fui interrogata su cose che avevo già
fortunatamente già studiato per un esame, perciò
non ebbi difficoltà. Mi chiesero il funzionamento del
cuore, come intervenire in caso di emorragie e fratture e infine
mi fecero provare le manovre di rianimazione cardiopolmonare
in caso di asfissia. Andò tutto bene.
La prima parte dell'esame, che prevedeva anche un quiz, era fatta.
Devo dire che però quel che temevo maggiormente era la
prova pratica; ovvio, no?
Dopo questa prima prova, un gentile signore, o meglio un mio
collega di corso, Aurelio, mi invitò al bar per festeggiare
insieme, davanti ad un tè freddo.
accettai volentieri. Aurelio mi pregò di dargli del tu,
cosa che ovviamente non avevo fatto prima, per educazione, perché
in fondo eravamo quasi colleghi di lavoro.
Mi accennò che stava organizzando, con la sovvenzione
del comune, una bella iniziativa per l'estate: un programma di
assistenza balneare per giovani con problemi psicomotori che
prevedeva esercizi in acqua ed altre cose interessanti.
Trovai ottima la sua idea. Aggiunse che, se la cosa mi avesse
fatto piacere, trovandomi una ragazza con la testa sulle spalle,
avrebbe volentieri contato su di me. Lo ringraziai molto: ero
entusiasta di questo probabile lavoro e condivisi questa mia
felicità con quante più persone potei rintracciare
nell'arco della giornata.
La settimana successiva arrivò in un battibaleno.
Giorno di esame. Tenne alle stelle: battiti accelerati, sudore
freddo e, per me, oltre a questo, i crampi fortissimi dell'amico
Crohn (odia le situazioni di stress) e la corsa ai bagni per
tre - quattro volte. Lo odiai tantissimo in quei momenti, il
Crohn, perché stava rovinando quanto avevo costruito in
due mesi di fatica. Inoltre ero terribilmente imbarazzata quando
passavo di corsa davanti alla schiera di compagni per sbrigare
le odiose faccende.
Decisi di parlare chiaro al nemico: "Se fai così,
non so come, ma troverò il modo di vendicarmi. per una
volta, ti prego, non nuotarmi contro, nuota CON me!
Ci chiamarono a quattro per volta, per la prova di velocità.
I primi quattro, i secondi e poi toccò a me. Avevo la
pelle viola. I giudice dette il via. Non so più cosa feci,
né tantomeno come arrivai in fondo. Rientrai nel tempo
limite, per un pelo. Uscii e misi l'accappatoio. Pochi minuti
e, uno alla volta, ci avrebbero chiamati per la sequenza delle
prese con manichino. Ero allo stremo. "Uno a zero per me.
Fammi sognare ancora un solo goal!. Se mi aiuterai, oggi non
farò sgarri e non berrò neanche un goccio di caffé".
Parlai con la "parte ribelle" del mio corpo, credendoci
fermamente. "Ecco, tocca a te, vai!". Fu una scena
al rallenty: tuffo a testa alta, qualche bracciata, immersine,
rana sott'acqua, fino al pupazzo (dov'è? Non lo vedevo
più). Eccolo, lo afferro prima presa, seconda. terza,
quarta. Stop. Tutto finito: ce l'ho fatta. Poi mi hanno detto
che ero come in trance, che stavo continuando a portare quel
peso oltre il necessario. Mi arrampicai e andai alle docce con
gli altri, barcollando non del tutto cosciente di avercela fatta,
ma cos' felice
Seguirono commenti, auguri e tante altre
cose che ora non ricordo. Il brevetto sarebbe arrivato tra le
mie mani un mese dopo, ma già era mio. A casa esclamai
"Sono bagnina!" Festeggiammo e lo dissi a tutti.
Quella sera mantenni la promessa e non bevvi neanche un goccio
di caffé, perché il mio amico mi aveva permesso
di farcela ed io sono corretta: quel che prometto mantengo! |