PrimiPASSI

NUOTERO' CON TE,

MA CONTRO DI TE

Un racconto di Teresa Cioni

Commenta l'articolo


Premessa - Prima parte - Seconda parte - Terza parte

Parte quarta

Scappai, volando quasi, a casa, dove trovai mia madre che sbocconcellava e che mi accolse con un "dove sei stata tutto questo tempo? Devi aver incontrato qualcuno di speciale, non è vero?". Pranzando, le raccontai tutto quello che Rina ed io avevamo detto. Rimase soddisfatta dalle mie parole. "Hai visto quante persone ti ritrovi vicino? Il mondo è piccolo e la gente tanta e ciascuno ha qualcosa da condividere con gli altri, nel bene e nel male.
Vedi, Rina considera il Crohn un argomento di conversazione e così ha conosciuto tante persone, tra cui me e poi te. Se non fosse venuta fuori la cosa, non vi sareste mai parlate, forse." Mia madre certe volte sa essere davvero meravigliosa. L'unica cosa che non le dissi fu quel discorso sulla sua ansia, quello era un segreto e stava a me cercare di fare in modo che non si accrescesse ancora di più.
In pochi mesi avevo messo su una bella squadra d'attacco: Simonetta, Rina, la mia famiglia e Gianni e poi avevo molti altri amici, di studio e di piscina; alcuni li resi partecipi di tutto, come Massimo e Flora, due compagni di università fidati con cui studiavo e parlavo di tutto senza pudori. Invece non l'avrei mai detto al un altro gruppo di studenti che passavano il tempo a giocare brutti tiri ad un nostro amico gay. Certe cose non si fanno e loro di certo non erano le "persone giuste" per me.
In piscina avevo ancora più amici, di tutte le età, parlavo sempre con tutti e tutti mi conoscevano più o meno bene. Ad esempio feci amicizia con il giovane medico sportivo della piscina: Roberto lo trovavo spesso ad allenarsi e notai che era molto bravo, molto più di me; iniziammo a vederci per nuotare insieme perché avrei imparato molto da lui. Un sera alla settimana facevamo i mille metri insieme a tutta la squadra del triathlon. La sera la piscina è sempre affollata: ci sono i corsi, i bambini … e solo tre corsie adibite al nuoto libero. Di queste tre corsie, una è per le persone che vanno piano, una per i nuotatori "medi" e la terza per gli agonisti.
Mi avevano detto di non esagerare, ma non potevo resistere alla tentazione di tuffarmi nella terza corsia e di seguire i più bravi, facendomi trascinare dalle loro poderose bracciate. Era un modo per seminare il mio inseguitore, lo avrei vinto e poi, con i più veloci mi sentivo al sicuro.
Inoltre nella corsia dei "lenti" mi annoiavo un po', senza stimoli a migliorarsi.
Il dottor Roberto diventò un altro grande mio alleato e gli sono molto grata per tutti i consigli che mi ha dato, senza chiedere mai nulla in cambio.
Gli parlai del Crohn e lui conosceva benissimo questo tipo di malattia, essendo medico internista.
Gli volli chiedere cosa ne pensava dei miei allenamenti, volevo un giudizio spassionato, ma un po' "di parte", infatti sapevo bene che da lui, nuotatore sfegatato come me, non avrei avuto un netto divieto …
Mi disse che dovevo fare quel che più mi sentivo di fare, perciò non avei dovuto rinunciare al nuoto, soltanto moderare il tipo di allenamento al periodo di malattia in corso. D'altronde, me ne accorgevo bene, quando mi sentivo fiacca, durante le ricadute!
Roberto era sempre disponibile, un vero amico.
Spassosissimo. Quando entrava in vasca, se c'era qualche signora che sfortunatamente era capitata con noi, veniva presto costretta a spostarsi, spaventata dalle virate del "nuotatore spericolato" o tranciata da una bracciata un po' troppo energica.
Roberto era un po' così, non sopportava i nuotatori mediocri, voleva correre senza intralci, riconosco che fosse un po' esagerato! A volte temevo di dargli fastidio anch'io e glielo chiesi, dei giorni, ma rispose sempre "tu sei con noi, nessun disturbo. Non te ne andare!". Ero ancora una nuotatrice abbastanza forte, allora!
Roberto mi aiutò molto quando ebbi la seconda ricaduta e dovetti fare di nuovo le biopsie; infatti andai da lui per fare l'elettrocardiogramma preliminare, mi visitò e quanto gli dispiaceva per quello che stavo passando. "Ma domenica prossima (tre giorni dopo l'esame, fissato per il 17!) sarò di nuovo in vasca!", glielo dissi per tirarci su di morale, e infatti lo feci davvero.
Dalla seconda colonscopia videro che microscopicamente le cure avevano fatto effetto e, a parte dei noduli infiammatori, la situazione era buona. Però dall'esame istologico venne fuori che l'infiammazione si era estesa al colon, prima indenne. Quel che mi dava fastidio era il fatto che questo Crohn era indomabile e si divertiva a camminare dentro di me a passi felpati, senza che io potessi accorgermi del suo danno.
Le statistiche affermano che, dopo dieci anni di malattia, un intervento chirurgico tocca alla maggior parte di noi e che i rischi di degenerazione si corrono se tutto l'intestino è infiammato. Con le cure si evitano le complicazioni macroscopiche, ma come fare per fermare il sotterraneo procedere "microscopico" della malattia? Questo ancora non lo so. Speriamo bene.
Un giorno Simonetta mi disse una cosa che mi fece sorridere "Se c'è un Dio che stabilisce a chi dare una cosa e a chi darne un'altra, penso che abbia scelto noi per il Crohn perché abbiamo il giusto carattere per affrontarlo.
Come vedi, c'è gente molto ansiosa, come tua nonna, come mia madre, che morirebbe al pensiero di avere una bomba in corpo". Non ero del tutto d'accordo con quanto mi stava dicendo, perché le malattie purtroppo non guardano in faccia a nessuno e troppa gente deve soffrire cose anche più gravi della nostra, senza certo volerlo! Le dissi che secondo me si diventa "persone giuste", quando la necessità lo richiede. E' una risorsa che tutti abbiamo sia i "forti" che gli insicuri ed emerge nel momento in cui la persona tocca il fondo. L'insicuro allora diventa straordinariamente forte, combatte come non aveva fatto mai, è l'istinto di sopravvivenza.
Certo c'è chi si lascia andare, ma non è detto che si tratti di persone che prima erano già dei depressi. Nessuno di noi sceglie di stare male, così, e nemmeno Dio,se c'è, si inventa il Crohn e altre cose a seconda di cosa gli ispiriamo noi. Ci sono argomenti che non si possono spiegare, secondo me. Non ci sono motivi per cui siamo io e te ad avere il Crohn".
"Forse hai ragione, non volevo dire che Dio ci dà quello che meritiamo. Assolutamente. Sarebbe da imbecilli pensarla così. Volevo dire che abbiamo la fortuna, sarà un caso, di essere degli avversari così temibili per il Crohn". In questo che aveva detto non potevo certo darle torto! Quando nuotavo per me era come tirare calci e pugni al nemico e costringerlo a tirarsi fuori da me.
Anche se sapevo che non se ne sarebbe mai andato del tutto, volevo che capisse che chi comandava ero io, almeno in vasca. Aveva già dettato legge si cibi, sulle medicine, sui dolori, non poteva permettersi di andare oltre.
Gli lanciai un'altra sfida: "Mi dovrai concedere l'onore di fare il corso di bagnini e, se sarò in grado, di superare l'esame per conseguire il brevetto. Ci tengo e non sarai tu a fermarmi, perciò, amico, per due mesi non svegliarti. Purtroppo non era proprio un periodo di letargo per lui, lo sapevo perché ero nella fase primaverile di riacutizzazione, però, a parte qualche dolore, a cui si fa l'abitudine, volevo farcela. Così mi iscrissi ai provini di selezione. Li passai tranquillamente, ma ora mi aspettava il duro corso, faticoso, che richiedeva forza di gambe e la conoscenza teorica e pratica delle manovre di salvataggio e rianimazione. Ci si doveva allenare con un manichino peno d'acqua, pesantissimo. La prima volta feci un disastro, sbagliai e temevo mi cacciassero via.
Alcuni di noi, infatti, furono invitati a non proseguire il corso. Persi solo due lezioni, nei giorni in cui avevo la colonscopia, poi mi davo daffare e cercavo di dare il meglio di me, anche se non era proprio oro, mi bastava farcela. Dopo uno di questi allenamenti cominciai ad avvertire uno dei tipici temibili segnali d'allarme: delle fitte all'addome lancinanti che arrivavano in crescendo. Non feci in tempo a raggiungere casa, che già mi ritrovai piegata in due, con dolori fino alle gambe. E il bello era che avevo nello stesso tempo una fame da lupi! Ci si abitua a tutto, così, anche se questi episodi mi sembrano ogni volta unici e peggiori dei precedenti, so come affrontarli perché la memoria mi guida attraverso le vecchie esperienze, facendomi ricordare che se ce l'ho fatta una, due e più volte, anche questa non sarà peggio. Il più grande spavento infatti l'ebbi quando mi trovai per la prima volta di fronte ad una cosa del genere, poi, col tempo, mi corazzai e non provai più lo stesso tipo di paura, quella dell'ignoto che porta via.
Tornando al brevetto, faticai non poco per ottenerlo; non che mi stancassi facilmente, il fatto è che quel tipo di allenamento che ci facevano fare non era paragonabile alle nuotate che facevo di solito, nonostante queste ultime fossero considerate da chi mi osservava "incredibili". Passai quei due mesi col pensiero fisso a questo nuovo traguardo che mi ero imposta. Ogni volta che ci vedevamo, Gianni mi chiedeva come andasse il mio tour de force e trovava sempre una parola d'incoraggiamento.
Un giorno, in piscina, Gianni arrivò mentre io già stavo nuotando. Lo vidi, mi fermai e lo schizzai perché si desse una mossa a raggiungermi. "E' fredda!". Ma poi entrò. Mi fece andare avanti, ma quel giorno mi sentivo non proprio in forma al cento per cento. Quando facemmo una pausa, Gianni, che aveva notato la mia scarsa performance, disse "Oggi trovo che … tu non sia tu; sicura che vada tutto bene?" al che io ribattei "Se io non sono io, allora chi sarei? E' vero, oggi non è proprio il massimo. Pazienza! Forse non sono io perché …" "perché l'amico della ragazza a cui tengo e geloso di me e te la fa scontare!" Ridemmo come pazzi, tanto che facemmo girare un notevole numero di teste dalle cuffie colorate, per via del nostro schiamazzo.
"Non ci conosciamo" gli dissi. Prima di continuare le nostre vasche, Gianni fu molto dolce, perché mi disse, non so se apposta o per davvero, che si sentiva da schifo anche lui e che potevo continuare a nuotargli davanti, senza farsi scrupoli. "Dopo tutti questi mesi che ho iniziato il nuoto, ancora a questo punto .." Così toccò a me consolarlo. Tuttavia, credo che quel giorno mi fece passare avanti per osservarmi, più che per meriti; non che questo mi faccia dispiacere, anzi! Trovavo molto cavalleresca la sua idea di proteggermi dalle insidie del mio nemico per la pelle, che non la finiva di dare il tormento.
Sempre in quel periodo, ricordo che ci fu anche un giorno in cui sentii che le mie fatiche in fondo venivano riconosciute o per lo meno apprezzate. Accadde in occasione di un allenamento di salvamento. Per prepararci alla prova d'esame, dovevamo ogni volta simularla perché mancava poco alla fine del corso, l'allenatore ci faceva tuffare dal bordo vasca, a quattro per volta, e fare i cinquanta metri a stile libero con la testa alta, naturalmente senza fermarsi, con gli occhi bene aperti e entro un tempo limite. Una fatica che non vi dico: si arrivava col fiatone, ci si guardava tra noi scambiandoci occhiate d'intesa e consultando l'orologio per vedere quanto mancava alla fine del supplizio. Ma ci divertivamo anche tanto. Pochi istanti e già dovevamo ripetere il tutto, arrampicandoci sul bordo (vietato usare le scalette!) e correndo di nuovo al via, a piedi nudi. (Mi beccai pure un fungo, ma chi ci faceva caso?).
Qualcuno di noi si fermava a metà vasca, altri invece erano dei veri e propri siluri, io me la cavavo, finendo la vasca sempre, anche se mi ammazzavo di fatica. Neanche alcuni crampi alla pancia riuscirono mai a farmi fermare: anche ultima, ma la vasca dovevo finirla! A un certo punto, il nostro allenatore ci riunì tutti per darci alcuni avvertimenti: ci saremmo dovuti impegnare molto di più, altrimenti … un brevetto di assistente bagnati non è una cosa facile che si regala per simpatia, bisogna meritarlo, come tutte le cose, del resto, perciò non potevamo, nessuno di noi, prendercela comoda. "Ci sono dei tempi limite", disse, "Lo sapete. Perché allora vi fermate a metà vasca? L'esame, se lo fate così, è considerato senza valutazione. Intesi?". Calò il silenzio e i nostri volti si rabbuiarono. Osai chiedere allora quale fosse il tempo massimo richiesto. Questa fu la risposta che ebbi: "Non è un problema che ti riguarda". Cosa aveva voluto dirmi? Che potevo tranquillizzarmi, a patto che continuassi a mettercela tutta, questo pensai tra me. Mi sentivo felice perché, nonostante i miei risultati fossero "sufficienti", l'allenatore aveva fiducia in me, nelle mie possibilità. Ciò per me era tanto. Voglio dire che se avessi avuto anche una sola probabilità di farcela, valeva la pena andare fino in fondo.
Passarono i giorni, le settimane e il tempo volò fino alla data della prova teorica. Certo, per chi non l'avesse capito, questo brevetto non è uno scherzo!
Quel giorno avevamo un appuntamento alle tre; eravamo il primo dei due gruppi di aspiranti bagnini.
Tornai da Roma scapicollandomi per non perdere il treno ed arrivai trafelata, ma in tempo.
Quando toccò a me, fui interrogata su cose che avevo già fortunatamente già studiato per un esame, perciò non ebbi difficoltà. Mi chiesero il funzionamento del cuore, come intervenire in caso di emorragie e fratture e infine mi fecero provare le manovre di rianimazione cardiopolmonare in caso di asfissia. Andò tutto bene.
La prima parte dell'esame, che prevedeva anche un quiz, era fatta. Devo dire che però quel che temevo maggiormente era la prova pratica; ovvio, no?
Dopo questa prima prova, un gentile signore, o meglio un mio collega di corso, Aurelio, mi invitò al bar per festeggiare insieme, davanti ad un tè freddo.
accettai volentieri. Aurelio mi pregò di dargli del tu, cosa che ovviamente non avevo fatto prima, per educazione, perché in fondo eravamo quasi colleghi di lavoro.
Mi accennò che stava organizzando, con la sovvenzione del comune, una bella iniziativa per l'estate: un programma di assistenza balneare per giovani con problemi psicomotori che prevedeva esercizi in acqua ed altre cose interessanti.
Trovai ottima la sua idea. Aggiunse che, se la cosa mi avesse fatto piacere, trovandomi una ragazza con la testa sulle spalle, avrebbe volentieri contato su di me. Lo ringraziai molto: ero entusiasta di questo probabile lavoro e condivisi questa mia felicità con quante più persone potei rintracciare nell'arco della giornata.
La settimana successiva arrivò in un battibaleno.
Giorno di esame. Tenne alle stelle: battiti accelerati, sudore freddo e, per me, oltre a questo, i crampi fortissimi dell'amico Crohn (odia le situazioni di stress) e la corsa ai bagni per tre - quattro volte. Lo odiai tantissimo in quei momenti, il Crohn, perché stava rovinando quanto avevo costruito in due mesi di fatica. Inoltre ero terribilmente imbarazzata quando passavo di corsa davanti alla schiera di compagni per sbrigare le odiose faccende.
Decisi di parlare chiaro al nemico: "Se fai così, non so come, ma troverò il modo di vendicarmi. per una volta, ti prego, non nuotarmi contro, nuota CON me!
Ci chiamarono a quattro per volta, per la prova di velocità. I primi quattro, i secondi e poi toccò a me. Avevo la pelle viola. I giudice dette il via. Non so più cosa feci, né tantomeno come arrivai in fondo. Rientrai nel tempo limite, per un pelo. Uscii e misi l'accappatoio. Pochi minuti e, uno alla volta, ci avrebbero chiamati per la sequenza delle prese con manichino. Ero allo stremo. "Uno a zero per me. Fammi sognare ancora un solo goal!. Se mi aiuterai, oggi non farò sgarri e non berrò neanche un goccio di caffé".
Parlai con la "parte ribelle" del mio corpo, credendoci fermamente. "Ecco, tocca a te, vai!". Fu una scena al rallenty: tuffo a testa alta, qualche bracciata, immersine, rana sott'acqua, fino al pupazzo (dov'è? Non lo vedevo più). Eccolo, lo afferro prima presa, seconda. terza, quarta. Stop. Tutto finito: ce l'ho fatta. Poi mi hanno detto che ero come in trance, che stavo continuando a portare quel peso oltre il necessario. Mi arrampicai e andai alle docce con gli altri, barcollando non del tutto cosciente di avercela fatta, ma cos' felice … Seguirono commenti, auguri e tante altre cose che ora non ricordo. Il brevetto sarebbe arrivato tra le mie mani un mese dopo, ma già era mio. A casa esclamai "Sono bagnina!" Festeggiammo e lo dissi a tutti.
Quella sera mantenni la promessa e non bevvi neanche un goccio di caffé, perché il mio amico mi aveva permesso di farcela ed io sono corretta: quel che prometto mantengo!

La quinta parte