Parte
prima
In quel
momento stavo leggendo un libro che descriveva una bella estate
ma non riuscivo ad andare avanti perché la mia mente era
troppo confusamente ingombra di ricordi.
Riandavo in continuazione indietro nel tempo, precisamente rievocavo
le immagini di quell'estate, trascorsa ormai da un anno, che
mi aveva tanto segnata, quando avrei conosciuto il mio più
grande avversario. Allora avevo venti anni ed un corpo da modella
se non per l'altezza, per le misure. Ma non ne ero soddisfatta
più di tanto. Le altre ragazze mi lanciavano spesso occhiate
cariche di invidia per quel mio fisico che avrebbero tanto voluto
per sè. Spesso mi chiedevano che segreti avessi, ma
non ne avevo.
Trascorso un mese tra bagni e sole, ero riuscita a prendere un
po' di colore, ma era come se il calore estivo mi avesse prosciugato
parte delle energie ed avesse reso il mio fisico ancora più
asciutto. Pur mangiando molto, non prendevo un etto. Non riuscivo
più a sopportare gli sguardi incuriositi delle altre.
Tanto che un giorno risposi ad una conoscente, che mi aveva chiesto
ragioni del mio eccessivo dimagrimento, in una maniera non troppo
educata.
Non ne potevo più, ecco tutto. Dovevo capire cosa mi stesse
succedendo
.
Inoltre c'era un'altra cosa che volevo gettarmi alle spalle una
volta per tutte: strani fastidi di digestione. Già da
due anni addietro, se non ricordavo male, ne aveva avuto uno
simile: un pomeriggio mi presero crampi fortissimi alla pancia,
forse lo stress mi ero detta, "forse sono i prossimi esami
di maturità che mi fanno sentire
", ma non
ne ero del tutto convinta, perché quell'anno mi ero così
tanto rilassata e divertita che neppure gli esami mi facevano
innervosire poi molto.
A parte quell'episodio stavo benissimo ed ero carica di energia
positiva. coltivavo con passione le mie idee, adoravo il nuoto
ed ero soddisfatta dei 5 anni al classico che mi accingevo a
chiudere con buoni risultati. Tutto andava bene, o quasi
insomma.
Trascorso quel felice anno, frequentavo l'Università e
sempre più mi appassionavo al nuoto, tanto che nei miei
progetti facevo rientrare la conquista di qualche brevetto per
poter trovare anche un lavoro che avesse a che fare con l'acqua.
Verso luglio, gli esami alle porte, andavo spesso a Roma, il
caldo mi dava noia, sul treno non si respirava, sognavo l'acqua
e quando scendevo mi girava la testa. A volte capitava che camminando
sentissi del dolore fino alle gambe e non vedevo l'ora di terminare
la giornata per ricominciarne una migliore l'indomani.
Quando una sera mi spogliai, mi trovai un bozzo sopra l'inguine;
non ero preoccupata, però pensai fosse meglio farmi controllare,
così per sicurezza.
Così il giorno dopo mi recai dal mio medico, che non appena
mi vide esclamò: "E tu cosa ci fai qui?" Un
tipo attivo e in forma come me, infatti, era difficile si facesse
visitare, se non per qualche certificato sportivo.
Mi visitò e disse: "Hai un'ernia", sicuro di
sé. "Faremo per sicurezza, un'ecografia". L'unica
cosa che temevo era il dover lasciare in sospeso le mie attività
sportive, le mie gare. Vedendomi pensosa, il medico mi chiese:
"Cos'hai? Sei forse depressa?". "No, anzi!",
replicai decisa, "Sapesse quante cose ho in programma
proprio l'ernia non ci voleva". Salutai ed uscii. due settimane
dopo avrei dovuto fare l'ecografia.
Intanto stavo attenta a non esagerare col nuoto, anche perché
mi sentivo un po' fiacca.
Arrivò il giorno dell'ecografia ed io stavo seduta in
sala d'aspetto, sfogliando riviste e incoraggiando i miei vicini,
quando fui chiamata. Sobbalzai. Ecco, ci siamo. Il dottore fece
un apprezzamento sul mio fisico asciutto ed io ringraziai distrattamente.
La mia attenzione si risvegliò però poco dopo,
quando notai sul volto del medico un'espressione seria, pensosa.
"C'è qualcosa che non va?" chiesi, e lui "No,
spero di no, ma
In quel momento volevo solo capire cosa
avesse da aspettare, insomma, non sarò mica stata incinta?
"No, no" rispose il medico "è solo che
vedo un versamento di liquido nell'addome e bisognerà
indagare". Niente ernia, quindi. "Bene" mi dissi
sollevata al pensiero di poter ricominciare gli allenamenti.
Il medico mi fece rivestire e mi spiegò che poteva trattarsi
di varie cose, in prima ipotesi pensava a qualcosa di intestinale,
perciò avrebbe dovuto parlarne col mio curante e decidere
insieme cosa fare. Forse avrei dovuto fare una colonscopia
ma non ne avevo affatto voglia, così decisi di aspettare
ancora un po' di tempo
Passavano i giorni e le cose per me non sembravano migliorare:
la mattina perdevo troppo tempo in bagno perché ci dovevo
andare molto spesso, e questo mi infastidiva. Inoltre avevo delle
perdite, decisi che forse non era tanto malvagia l'idea di tornare
dal mio medico.
Ci andai e lui non si ricordava più nulla, così
gli dovetti rispiegare con pazienza tutto daccapo, gli mostrai
gli esami fatti e gli dissi, con un po' di imbarazzo, tutto dei
miei problemi di pancia.
A quel punto il medico cercò di farmi capire che era necessario
sottoporsi all'esame endoscopico."E' solo un po' fastidioso,
ma così avremo tutte le risposte e potrai tornare ad essere
quella di una volta". Sapevo che sarebbe stato un po' traumatico;
lo sapevo perchè mia nonna mi parlava spesso di quanto
avesse dovuto soffrire mio nonno per questi esami. infatti mio
nonno aveva da sempre avuto problemi all'intestino, ma li aveva
sottovalutati, finché non si aggravò e a nulla
valsero il ricovero e l'intervento cui fu sottoposto, perché
morì, per complicazioni intestinali che nessuno era mai
riuscito a capire, all'età di sessanta anni.
Era agosto e prima di settembre non avrei avuto l'appuntamento.
Meglio. Ero contenta perché mi sarei goduta tutta la fine
dell'estate senza tanti problemi ed avrei terminato i progetti
messi a punto in precedenza. Passai quell'agosto felicemente,
feci molti bagni, mi abbrustolii al sole e feci anche una gara
di nuoto, con la febbre a 39 e con grande disappunto di mia madre
che, ansiosa com'era, cercò invano di dissuadermi dal
mio proposito. Inoltre la sera stessa saremmo dovuti partire
per le vacanze di ferragosto dai nostri parenti ed io, come pensavo
di partire così?
ma io volevo veramente fare ogni cosa, senza rinunciare a niente,
tantomeno alla gara che avevo sognato da mesi, né al viaggio
"d'obbligo" con la mia famiglia, che per me voleva
dire una settimana di distrazioni e diversivo dalla quotidianità:
sarei andata anche a nuotare con mia cugina nella meravigliosa
piscina olimpionica, all'aperto e immersa nel verde, che non
aspettava altro se non i miei tuffi e le mie estenuanti a tanto
gratificanti nuotate. Mi sentivo incredibilmente viva; non che
temessi il peggio al mio rientro in settembre, però c'era
come un'ombra alle mie spalle, e se da una parte cercavo di allontanarne
il pensiero, dall'altra, invece, non vedevo l'ora di affrontare
la situazione e, mossa dal mio istinto, cercavo di sfruttare
al meglio quei bei giorni sereni che precedevano il temuto rientro.
Perchè comunque non mi avrebbe atteso una cosa proprio
piacevole. Di questo, ero sicura.
Alla fine, riuscii a spuntarla su mia madre e andai in spiaggia,
quel 15 agosto, pronta a dare tutta me stessa nella gara tanto
attesa di 1200 m.: il TERZO-DARSENA.
Anche mio padre da giovane era un grande nuotatore e a suo tempo
partecipò alle gare nazionali ed anche i giornali se ne
occuparono.
Adesso ha perso d'importanza a livello nazionale, ma per noi,
almeno una volta nella vita, è d'obbligo parteciparvi.
Siamo cittadini di mare e ci teniamo a queste cose. Ero tutta
rossa in viso, per la febbre e per l'emozione, avevo le gambe
che a mala pena mi sostenevano ed il sorriso entusiasta di chi
ha aveva vinto una battaglia familiare: sono sempre stata una
testa dura, me lo hanno sempre detto! capace di portare sempre
dalla mia parte la ragione, anche se non l'avevo.
Salutai i miei compagni e ci andammo tutti a spogliare. Avevo
scelto il mio costume preferito: un modello elegante (nero lucido)
ed insieme ideato apposta per rendere al meglio nelle competizioni.
Mi stava bene addosso e non comprimeva il seno. Da quando è
venuta fuori la mia passione per il nuoto, credo di avere più
costumi che vestiti, li adoro, e poi, soprattutto d'estate, sto
quasi sempre dentro l'acqua! Ogni occasione, compleanno, natale,
è buona per ottenere qualche nuovo modello o qualche nuovo
attrezzo per piscina.
Lo sanno tutti e non resto mai delusa dai miei regali. Come potrei?
Per me vale soprattutto il pensiero, l'amore di cui sono pieni.
Insomma, tornando a quel 15 agosto, venne il momento di tralasciare
le frivolezze e di gettarsi in acqua.
Il mare era calmo e, così come stavo, sarei stata soddisfatta
anche di arrivare ultima, volevo solo concludere il percorso
con dignità.
C'era tanta gente a fare il tifo, ci offrirono da bere e ci guidarono
alla partenza.
battevo i denti ed ero felice. La gara ebbe inizio e in certi
momenti pensai di non farcela, perché nuotare a ritmo
di gara è ben altra cosa rispetto ad una calma velocità
di crociera. Alla fine vidi la boa di arrivo e il sentire le
urla di incoraggiamento degli amici mi dette la carica per le
ultime bracciate: "Ce l'ho fatta?!" . Uscii ed abbracciai
i miei sostenitori. "Sono arrivata ultima, vero?! chiesi.
"Non proprio, ne avevi una quindicina dietro" e ridemmo
di cuore, mentre mi rivestivo e mangiavo un boccone.
Poi ci fu la premiazione ed infine tornai a casa, pronta per
la partenza di quella calda sera così intensa, così
intrisa di emozioni.
Si partì subito dopo una veloce cena anticipata, perché
si voleva arrivare non troppo tardi a destinazione.
Stetti malissimo, quasi mi mancava il respiro, ma ormai non vedevo
l'ora di arrivare e dormire un po'. Tre ore dopo, scesa dall'auto,
battevo i denti, mio padre mi toccò la fronte e disse:
"scotti". Decidemmo di andare in farmacia a comprare
degli antipiretici, che presi prima di gettarmi sul letto, esausta.
Dormii profondamente e sognai la giornata trascorsa. L'indomani
decisi di restare a casa per far scendere la febbre. Ogni tanto
un po' di saggezza materna ci vuole. Però, nonostante
fossi a pezzi, gironzolavo per casa e non riuscivo a stare ferma.
Tre giorni dopo, ne rimanevano altri tre prima di rientrare,
avevo solo poche linee di febbre, così decisi di fingere
la completa guarigione per andare in piscina.
Telefonai a mio zio e si decise per quel pomeriggio. Misi il
mio bel costume e preparai la borsa. Mi ero portata tutto l'occorrente
convinta che, in ogni caso l'avrei sfruttato.
Mia madre aveva riso quando mi aveva visto preparare la valigia
con tutto quel peso in più ed io tra me e me avevo pensato
che chi la dura la vince
Suonarono il campanello ed io mi precipitai giù per le
scale come una furia, prima che qualcuno mi potesse fermare.
Sentii soltanto un flebile avvertimento, che percepii appena
dal fondo della tromba delle scale. Orami ero fuori. Baci, abbracci
e mille parole, montai in macchina e zio riportò alla
piscina. erano le sei del pomeriggio, ma il sole era ancora caldo
e rosato.
Ci mettemmo in fila e pagammo l'ingresso.
Stendemmo i teli sull'erba fresca e non esitammo a tuffarci,
io per prima, tra mille spruzzi.
Ci divertimmo un mondo, anche se in acqua ci stetti relativamente
poco, perché temevo una ricaduta.
Usciti dall'acqua, ci riscaldammo al tiepido solicello serale
e, appena asciutti, facemmo ritorno a casa. Quella fu la più
bella giornata della settimana, davvero memorabile.
La sera prima del rientro, sentendo il tempo incalzare, volli
passare quante più ore possibile in compagnia di mia nonna:
ci mettemmo a letto insieme, con la televisione accesa e stemmo
a parlare fino a tardi, fino a che lei non si addormentò
ed io, piano piano, mi tirai fuori dalle coperte, lasciando la
metà del letto che apparteneva al nonno, vuota. Mi girai
ad osservare quel vuoto e pensai a quanto avrei voluto conoscerlo,
quel nonno, soprattutto ora che avevamo in comune alcune cose.
Davvero, in quei momenti sentivo la sua presenza vicino a me
farsi viva, come se mi avvertisse che eravamo legati dallo stesso
destino in un certo senso. Ma ancora non sapevo come e perché.
Quella sera, mentre stavo accanto alla nonna, le chiesi, come
ero solita fare da sempre, che mi raccontasse le storie del suo
passato, dei nostri parenti, storie che mi hanno sempre appassionata
tanto. Ad un certo punto ebbi l'ispirazione di chiederle qualcosa
riguardo i problemi del nonno, così portai il discorso
in quella direzione.
Non ebbi difficoltà: bastò dire "Nonna, parliamo
un po' di nonno?" per far partire un inesorabile fiume di
particolari su di lui.
Commentai che era un peccato non averlo mai conosciuto, al che
mia nonna si commosse e disse: "Era un testardo Alfio, non
voleva dare retta: mangiava cose che gli facevano male e non
si faceva mai controllare sul serio" ed io "Ma che
aveva?" "Ma
da ragazzino aveva spesso dolori,
diarrea; insomma aveva la colite, era delicato di pancia .. forse
era il nervoso, ma alla fine perse sangue, lo aprirono e non
si riprese più". "Era un Tumore?" chiesi
"Penso di si, ma nessuno sapeva dirci granché, tranne
che aveva un intestino rovinatissimo - Tanto da ucciderlo - pensai.
Dentro di me iniziò a farsi strada l'ipotesi di una misteriosa
malattia, su basi genetiche, ancora non ben conosciuta. "Un
giorno gli darò un nome", pensai, "Ogni cosa
ha una sua identità; a tutto si può dare una spiegazione,
ed io ho voglia di andare oltre".
Chiesi a nonna informazioni relative all'esame endoscopico che
avrei fatto, senza dirle che era per me (ne sarebbe morta di
paura): lo feci in modo vago, "così, sai, perché
a me interessano le cose di medicina
". Abboccò
in pieno; sapeva che mi era sempre piaciuto darle consigli, leggerle
le analisi: diceva che me ne intendevo e lo diceva anche al suo
medico, cosa che mi metteva un po' in imbarazzo. Così
mi descrisse come si svolgeva una colonscopia. "E' un esame
doloroso" disse "Nonno la fece e ricordo che dal corridoio
lo sentivo lamentarsi. Anche io l'ho fatta diverse volte e l'unica
consolazione era l'esito dell'esame, per me sempre buono. Ma
sai, spera di non doverla mai fare, perché è una
cosa davvero fastidiosa".
Certo, conoscendo il carattere di mia nonna, sempre portato al
peggio, lì per lì non seppi se le sue parole facessero
testo più di tanto, tuttavia mi lasciò un senso
di paura, visibile anche ai suoi occhi, ed infatti mi chiese
se avessi qualche pensiero, ma io feci finta di niente, deglutii
e subito dopo le diedi la buona notte e me ne andai a letto.
Fu una nottataccia, le sue parole non riuscivo a togliermele
dalla testa; volevo dormire, ma il sonno non arrivava e quando
guardai l'orologio, vidi che erano le tre e che quindi mancava
poco al mattino, a quando saremmo dovuti partire.
Riuscii a dormire un po' e feci sogni inquietanti. Non era stata
un'idea brillante quella di chiedere un parere a mia nonna, sarebbe
stato meglio andare alla cieca, ma ormai era fatta.
La malattia, dopo colazione, preparai in fretta le valigie, maledicendo
l'eccessivo carico che mi ero portata dietro e una volta terminato,
tornai in sala dove c'erano tutti i miei familiari e dove si
respirava l'atmosfera tipica della partenze: mia nonna, tragica
come al solito, stringeva il fazzoletto in mano e si asciugava
le lacrime degli addii.
La mia faccia assonnata e pensierosa, così, non suscitò
più di tanto meraviglia in quei frangenti e nessuno mi
chiese cosa avessi. |