PrimiPASSI

NUOTERO' CON TE,

MA CONTRO DI TE

Un racconto di Teresa Cioni

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La premessa

Parte prima

In quel momento stavo leggendo un libro che descriveva una bella estate ma non riuscivo ad andare avanti perché la mia mente era troppo confusamente ingombra di ricordi.
Riandavo in continuazione indietro nel tempo, precisamente rievocavo le immagini di quell'estate, trascorsa ormai da un anno, che mi aveva tanto segnata, quando avrei conosciuto il mio più grande avversario. Allora avevo venti anni ed un corpo da modella se non per l'altezza, per le misure. Ma non ne ero soddisfatta più di tanto. Le altre ragazze mi lanciavano spesso occhiate cariche di invidia per quel mio fisico che avrebbero tanto voluto per sè. Spesso mi chiedevano che segreti avessi, ma … non ne avevo.
Trascorso un mese tra bagni e sole, ero riuscita a prendere un po' di colore, ma era come se il calore estivo mi avesse prosciugato parte delle energie ed avesse reso il mio fisico ancora più asciutto. Pur mangiando molto, non prendevo un etto. Non riuscivo più a sopportare gli sguardi incuriositi delle altre. Tanto che un giorno risposi ad una conoscente, che mi aveva chiesto ragioni del mio eccessivo dimagrimento, in una maniera non troppo educata.
Non ne potevo più, ecco tutto. Dovevo capire cosa mi stesse succedendo….
Inoltre c'era un'altra cosa che volevo gettarmi alle spalle una volta per tutte: strani fastidi di digestione. Già da due anni addietro, se non ricordavo male, ne aveva avuto uno simile: un pomeriggio mi presero crampi fortissimi alla pancia, forse lo stress mi ero detta, "forse sono i prossimi esami di maturità che mi fanno sentire …", ma non ne ero del tutto convinta, perché quell'anno mi ero così tanto rilassata e divertita che neppure gli esami mi facevano innervosire poi molto.
A parte quell'episodio stavo benissimo ed ero carica di energia positiva. coltivavo con passione le mie idee, adoravo il nuoto ed ero soddisfatta dei 5 anni al classico che mi accingevo a chiudere con buoni risultati. Tutto andava bene, o quasi … insomma.
Trascorso quel felice anno, frequentavo l'Università e sempre più mi appassionavo al nuoto, tanto che nei miei progetti facevo rientrare la conquista di qualche brevetto per poter trovare anche un lavoro che avesse a che fare con l'acqua.
Verso luglio, gli esami alle porte, andavo spesso a Roma, il caldo mi dava noia, sul treno non si respirava, sognavo l'acqua e quando scendevo mi girava la testa. A volte capitava che camminando sentissi del dolore fino alle gambe e non vedevo l'ora di terminare la giornata per ricominciarne una migliore l'indomani.
Quando una sera mi spogliai, mi trovai un bozzo sopra l'inguine; non ero preoccupata, però pensai fosse meglio farmi controllare, così per sicurezza.
Così il giorno dopo mi recai dal mio medico, che non appena mi vide esclamò: "E tu cosa ci fai qui?" Un tipo attivo e in forma come me, infatti, era difficile si facesse visitare, se non per qualche certificato sportivo.
Mi visitò e disse: "Hai un'ernia", sicuro di sé. "Faremo per sicurezza, un'ecografia". L'unica cosa che temevo era il dover lasciare in sospeso le mie attività sportive, le mie gare. Vedendomi pensosa, il medico mi chiese: "Cos'hai? Sei forse depressa?". "No, anzi!", replicai decisa, "Sapesse quante cose ho in programma … proprio l'ernia non ci voleva". Salutai ed uscii. due settimane dopo avrei dovuto fare l'ecografia.
Intanto stavo attenta a non esagerare col nuoto, anche perché mi sentivo un po' fiacca.
Arrivò il giorno dell'ecografia ed io stavo seduta in sala d'aspetto, sfogliando riviste e incoraggiando i miei vicini, quando fui chiamata. Sobbalzai. Ecco, ci siamo. Il dottore fece un apprezzamento sul mio fisico asciutto ed io ringraziai distrattamente.
La mia attenzione si risvegliò però poco dopo, quando notai sul volto del medico un'espressione seria, pensosa. "C'è qualcosa che non va?" chiesi, e lui "No, spero di no, ma … In quel momento volevo solo capire cosa avesse da aspettare, insomma, non sarò mica stata incinta?
"No, no" rispose il medico "è solo che vedo un versamento di liquido nell'addome e bisognerà indagare". Niente ernia, quindi. "Bene" mi dissi sollevata al pensiero di poter ricominciare gli allenamenti. Il medico mi fece rivestire e mi spiegò che poteva trattarsi di varie cose, in prima ipotesi pensava a qualcosa di intestinale, perciò avrebbe dovuto parlarne col mio curante e decidere insieme cosa fare. Forse avrei dovuto fare una colonscopia … ma non ne avevo affatto voglia, così decisi di aspettare ancora un po' di tempo …
Passavano i giorni e le cose per me non sembravano migliorare: la mattina perdevo troppo tempo in bagno perché ci dovevo andare molto spesso, e questo mi infastidiva. Inoltre avevo delle perdite, decisi che forse non era tanto malvagia l'idea di tornare dal mio medico.
Ci andai e lui non si ricordava più nulla, così gli dovetti rispiegare con pazienza tutto daccapo, gli mostrai gli esami fatti e gli dissi, con un po' di imbarazzo, tutto dei miei problemi di pancia.
A quel punto il medico cercò di farmi capire che era necessario sottoporsi all'esame endoscopico."E' solo un po' fastidioso, ma così avremo tutte le risposte e potrai tornare ad essere quella di una volta". Sapevo che sarebbe stato un po' traumatico; lo sapevo perchè mia nonna mi parlava spesso di quanto avesse dovuto soffrire mio nonno per questi esami. infatti mio nonno aveva da sempre avuto problemi all'intestino, ma li aveva sottovalutati, finché non si aggravò e a nulla valsero il ricovero e l'intervento cui fu sottoposto, perché morì, per complicazioni intestinali che nessuno era mai riuscito a capire, all'età di sessanta anni.
Era agosto e prima di settembre non avrei avuto l'appuntamento. Meglio. Ero contenta perché mi sarei goduta tutta la fine dell'estate senza tanti problemi ed avrei terminato i progetti messi a punto in precedenza. Passai quell'agosto felicemente, feci molti bagni, mi abbrustolii al sole e feci anche una gara di nuoto, con la febbre a 39 e con grande disappunto di mia madre che, ansiosa com'era, cercò invano di dissuadermi dal mio proposito. Inoltre la sera stessa saremmo dovuti partire per le vacanze di ferragosto dai nostri parenti ed io, come pensavo di partire così?
ma io volevo veramente fare ogni cosa, senza rinunciare a niente, tantomeno alla gara che avevo sognato da mesi, né al viaggio "d'obbligo" con la mia famiglia, che per me voleva dire una settimana di distrazioni e diversivo dalla quotidianità: sarei andata anche a nuotare con mia cugina nella meravigliosa piscina olimpionica, all'aperto e immersa nel verde, che non aspettava altro se non i miei tuffi e le mie estenuanti a tanto gratificanti nuotate. Mi sentivo incredibilmente viva; non che temessi il peggio al mio rientro in settembre, però c'era come un'ombra alle mie spalle, e se da una parte cercavo di allontanarne il pensiero, dall'altra, invece, non vedevo l'ora di affrontare la situazione e, mossa dal mio istinto, cercavo di sfruttare al meglio quei bei giorni sereni che precedevano il temuto rientro. Perchè comunque non mi avrebbe atteso una cosa proprio piacevole. Di questo, ero sicura.
Alla fine, riuscii a spuntarla su mia madre e andai in spiaggia, quel 15 agosto, pronta a dare tutta me stessa nella gara tanto attesa di 1200 m.: il TERZO-DARSENA.
Anche mio padre da giovane era un grande nuotatore e a suo tempo partecipò alle gare nazionali ed anche i giornali se ne occuparono.
Adesso ha perso d'importanza a livello nazionale, ma per noi, almeno una volta nella vita, è d'obbligo parteciparvi. Siamo cittadini di mare e ci teniamo a queste cose. Ero tutta rossa in viso, per la febbre e per l'emozione, avevo le gambe che a mala pena mi sostenevano ed il sorriso entusiasta di chi ha aveva vinto una battaglia familiare: sono sempre stata una testa dura, me lo hanno sempre detto! capace di portare sempre dalla mia parte la ragione, anche se non l'avevo.
Salutai i miei compagni e ci andammo tutti a spogliare. Avevo scelto il mio costume preferito: un modello elegante (nero lucido) ed insieme ideato apposta per rendere al meglio nelle competizioni.
Mi stava bene addosso e non comprimeva il seno. Da quando è venuta fuori la mia passione per il nuoto, credo di avere più costumi che vestiti, li adoro, e poi, soprattutto d'estate, sto quasi sempre dentro l'acqua! Ogni occasione, compleanno, natale, è buona per ottenere qualche nuovo modello o qualche nuovo attrezzo per piscina.
Lo sanno tutti e non resto mai delusa dai miei regali. Come potrei? Per me vale soprattutto il pensiero, l'amore di cui sono pieni.
Insomma, tornando a quel 15 agosto, venne il momento di tralasciare le frivolezze e di gettarsi in acqua.
Il mare era calmo e, così come stavo, sarei stata soddisfatta anche di arrivare ultima, volevo solo concludere il percorso con dignità.
C'era tanta gente a fare il tifo, ci offrirono da bere e ci guidarono alla partenza.
battevo i denti ed ero felice. La gara ebbe inizio e in certi momenti pensai di non farcela, perché nuotare a ritmo di gara è ben altra cosa rispetto ad una calma velocità di crociera. Alla fine vidi la boa di arrivo e il sentire le urla di incoraggiamento degli amici mi dette la carica per le ultime bracciate: "Ce l'ho fatta?!" . Uscii ed abbracciai i miei sostenitori. "Sono arrivata ultima, vero?! chiesi. "Non proprio, ne avevi una quindicina dietro" e ridemmo di cuore, mentre mi rivestivo e mangiavo un boccone.
Poi ci fu la premiazione ed infine tornai a casa, pronta per la partenza di quella calda sera così intensa, così intrisa di emozioni.
Si partì subito dopo una veloce cena anticipata, perché si voleva arrivare non troppo tardi a destinazione.
Stetti malissimo, quasi mi mancava il respiro, ma ormai non vedevo l'ora di arrivare e dormire un po'. Tre ore dopo, scesa dall'auto, battevo i denti, mio padre mi toccò la fronte e disse: "scotti". Decidemmo di andare in farmacia a comprare degli antipiretici, che presi prima di gettarmi sul letto, esausta.
Dormii profondamente e sognai la giornata trascorsa. L'indomani decisi di restare a casa per far scendere la febbre. Ogni tanto un po' di saggezza materna ci vuole. Però, nonostante fossi a pezzi, gironzolavo per casa e non riuscivo a stare ferma.
Tre giorni dopo, ne rimanevano altri tre prima di rientrare, avevo solo poche linee di febbre, così decisi di fingere la completa guarigione per andare in piscina.
Telefonai a mio zio e si decise per quel pomeriggio. Misi il mio bel costume e preparai la borsa. Mi ero portata tutto l'occorrente convinta che, in ogni caso l'avrei sfruttato.
Mia madre aveva riso quando mi aveva visto preparare la valigia con tutto quel peso in più ed io tra me e me avevo pensato che chi la dura la vince…
Suonarono il campanello ed io mi precipitai giù per le scale come una furia, prima che qualcuno mi potesse fermare. Sentii soltanto un flebile avvertimento, che percepii appena dal fondo della tromba delle scale. Orami ero fuori. Baci, abbracci e mille parole, montai in macchina e zio riportò alla piscina. erano le sei del pomeriggio, ma il sole era ancora caldo e rosato.
Ci mettemmo in fila e pagammo l'ingresso.
Stendemmo i teli sull'erba fresca e non esitammo a tuffarci, io per prima, tra mille spruzzi.
Ci divertimmo un mondo, anche se in acqua ci stetti relativamente poco, perché temevo una ricaduta.
Usciti dall'acqua, ci riscaldammo al tiepido solicello serale e, appena asciutti, facemmo ritorno a casa. Quella fu la più bella giornata della settimana, davvero memorabile.
La sera prima del rientro, sentendo il tempo incalzare, volli passare quante più ore possibile in compagnia di mia nonna: ci mettemmo a letto insieme, con la televisione accesa e stemmo a parlare fino a tardi, fino a che lei non si addormentò ed io, piano piano, mi tirai fuori dalle coperte, lasciando la metà del letto che apparteneva al nonno, vuota. Mi girai ad osservare quel vuoto e pensai a quanto avrei voluto conoscerlo, quel nonno, soprattutto ora che avevamo in comune alcune cose.
Davvero, in quei momenti sentivo la sua presenza vicino a me farsi viva, come se mi avvertisse che eravamo legati dallo stesso destino in un certo senso. Ma ancora non sapevo come e perché.
Quella sera, mentre stavo accanto alla nonna, le chiesi, come ero solita fare da sempre, che mi raccontasse le storie del suo passato, dei nostri parenti, storie che mi hanno sempre appassionata tanto. Ad un certo punto ebbi l'ispirazione di chiederle qualcosa riguardo i problemi del nonno, così portai il discorso in quella direzione.
Non ebbi difficoltà: bastò dire "Nonna, parliamo un po' di nonno?" per far partire un inesorabile fiume di particolari su di lui.
Commentai che era un peccato non averlo mai conosciuto, al che mia nonna si commosse e disse: "Era un testardo Alfio, non voleva dare retta: mangiava cose che gli facevano male e non si faceva mai controllare sul serio" ed io "Ma che aveva?" "Ma …da ragazzino aveva spesso dolori, diarrea; insomma aveva la colite, era delicato di pancia .. forse era il nervoso, ma alla fine perse sangue, lo aprirono e non si riprese più". "Era un Tumore?" chiesi "Penso di si, ma nessuno sapeva dirci granché, tranne che aveva un intestino rovinatissimo - Tanto da ucciderlo - pensai.
Dentro di me iniziò a farsi strada l'ipotesi di una misteriosa malattia, su basi genetiche, ancora non ben conosciuta. "Un giorno gli darò un nome", pensai, "Ogni cosa ha una sua identità; a tutto si può dare una spiegazione, ed io ho voglia di andare oltre".
Chiesi a nonna informazioni relative all'esame endoscopico che avrei fatto, senza dirle che era per me (ne sarebbe morta di paura): lo feci in modo vago, "così, sai, perché a me interessano le cose di medicina…". Abboccò in pieno; sapeva che mi era sempre piaciuto darle consigli, leggerle le analisi: diceva che me ne intendevo e lo diceva anche al suo medico, cosa che mi metteva un po' in imbarazzo. Così mi descrisse come si svolgeva una colonscopia. "E' un esame doloroso" disse "Nonno la fece e ricordo che dal corridoio lo sentivo lamentarsi. Anche io l'ho fatta diverse volte e l'unica consolazione era l'esito dell'esame, per me sempre buono. Ma sai, spera di non doverla mai fare, perché è una cosa davvero fastidiosa".
Certo, conoscendo il carattere di mia nonna, sempre portato al peggio, lì per lì non seppi se le sue parole facessero testo più di tanto, tuttavia mi lasciò un senso di paura, visibile anche ai suoi occhi, ed infatti mi chiese se avessi qualche pensiero, ma io feci finta di niente, deglutii e subito dopo le diedi la buona notte e me ne andai a letto. Fu una nottataccia, le sue parole non riuscivo a togliermele dalla testa; volevo dormire, ma il sonno non arrivava e quando guardai l'orologio, vidi che erano le tre e che quindi mancava poco al mattino, a quando saremmo dovuti partire.
Riuscii a dormire un po' e feci sogni inquietanti. Non era stata un'idea brillante quella di chiedere un parere a mia nonna, sarebbe stato meglio andare alla cieca, ma ormai era fatta.
La malattia, dopo colazione, preparai in fretta le valigie, maledicendo l'eccessivo carico che mi ero portata dietro e una volta terminato, tornai in sala dove c'erano tutti i miei familiari e dove si respirava l'atmosfera tipica della partenze: mia nonna, tragica come al solito, stringeva il fazzoletto in mano e si asciugava le lacrime degli addii.
La mia faccia assonnata e pensierosa, così, non suscitò più di tanto meraviglia in quei frangenti e nessuno mi chiese cosa avessi.

La seconda parte