Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati CAPORETTO  1917 

12a battaglia dell'Isonzo 24/10- 9/11

                           

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Dopo aver occupato la Bainsizza (10a offensiva (maggio) e 11a offensiva (18 ago.-12 sett) all'interno anche i bollettini di guerra di quel periodo e la medaglia oro Grifeo), l'esercito italiano schierava nel settore orientale  due armate. La II di Luigi Capello*, il conquistatore di Gorizia nel 1916, e la III del duca d'Aosta. Su questo fronte, alla 14a armata del generale von Below si oppone la II. Se l'armata austriaca secondo alcuni autori non supera fra i combattenti le 150.000 unità (almeno il doppio con logistica e rincalzi di 2a linea) quella di Capello arriva a oltre 300.000 uomini (da raddoppiare come sopra ma qualche autore si spinge anche oltre perche le retrovie pullulavano di unità in costituzione e di riserve che dipendevano  tutte da lui). E' chiaramente una sproporzione di forze a nostro favore, anche se mal disposte e governate, che poco lascia alla discussione sulla fine in tragedia.

Il nostro schieramento da Nord a Sud è il seguente: 4° Corpo d'armata C.d.A (Gen. Alberto Cavaciocchi), tra la conca di Plezzo (Rombon) e la costa Raunza; 27° C.d.A (Pietro Badoglio), dalla costa Raunza alla Bainsizza (oltre Tolmino); 24° C.d.A (Enrico Caviglia), sulla Bainsizza; 2° C.d.A (Alberico Albricci), dalla Bainsizza a Gorizia; il 6° C.d.A (Stefano Lombardi) e l 8° C.d.A (Francesco Grazioli), da Gorizia al Vipacco, dove la II si congiunge con la III armata, del Duca Emanuele Filiberto d'Aosta, cugino del re Vittorio Emanuele III composta dei Corpi d'Armata XI, XIII, XXIII, XXX e XXV.

In seconda linea, a disposizione ma molto spostati verso Sud tanto da non poter intervenire alla discesa tedesca su Udine dalla valle Uccea e da Caporetto, si trovano il 7° C.d.A del gen. Luigi Bongiovanni**(non operativo in costituzione da pochi giorni !! e coi reparti operativamente dipendenti da altri Cda ), il 14° C.d.A del gen. Pier Luigi Sagramoso e il 28° C.d.A del gen. Alessandro Saporiti comunque privi di artiglieria o in carenza d'organico. In totale 353 battaglioni di fanteria !!!,operativi 6198 cannoni, 725 bombarde. Gli austro-ungarici hanno sull'intero fronte 23 divisioni, 2800 cannoni; i tedeschi venuti di rinforzo schierano altre 7 divisioni e 1000 cannoni. .

Noi (II da Tolmino e IIIa armata Mare) 42 divisioni per 50 km di fronte, dalla Carnia (comprende tutto il settore alpino carnico Giulio) a Tolmino 20 divisioni per 600 km su un settore definito tranquillo perche alta montagna. Qui però in posizione critica di Giunzione il XXVII c.d.a.(27° Badoglio) e il IV (4° Cavaciocchi) su un fronte poco presidiato e aperto tatticamente. E da specificare che la III armata a sud ha molti meno uomini e gli austriaci che ora li fronteggiano un velo avendo spostato tutto verso nord. Ciò faciliterà lo sganciamento del Duca d'Aosta (ma avrebbe facilitato anche un suo attacco sul piano della Difesa elastica tanto cara a Capello se supportato dalle riserve). Sull'Ortigara (dopo la Strafexpedition) nell'estate si è intanto scatenata una lotta corpo a corpo iniziata l'8 giugno che alla fine (30/6) conterà oltre 23.000 caduti (I bersaglieri lasceranno qui al passo dell'Agnella oltre 1.000 uomini del 9° Rgt. di Redaelli spostato poi  sul Carso ritenuto più tranquillo)

Sugli altri fronti la situazione è la seguente

dallo Stelvio al Garda il III Corpo Autonomo (gen. CAMERANA); dal Garda alla Valsugana la I Armata (gen. PECORI-GIRALDI), composta dai C.d.A V, X, XX, XXII, XXVI e XXIX e di una riserva in Bassano; dalla Valsugana al Peralba la IV Armata (gen. ROBILANT), formata dei Corpi d'Armata I IX e XVIII; dal Peralba al Canin il XII Corpo Autonomo o Gruppo Carnico (gen. TASSONI) che vedremo a parte;

In Settembre si è consumato intanto il sogno di Carzano, possibile crollo del fronte trentino della Valsugana che avrebbe aperto le porte di Trento (ma questa era fortemente difesa) e l'eventuale  arretramento dagli Altipiani financo alle Dolomiti e naturalmente una offensiva a Est più limitata e quindi non come sarà con Caporetto (era già di per se di finalità ridotte e solo lo sfruttamento delle nostre manchevolezze ci porterà ad arretrare al Piave e lasciare in mano nemica uomini e cannoni). Maretta correva tra i soldati non austriaci dell'impero (e ce ne eravamo accorti per le informazioni che riuscivamo ad avere sul Carso) ma qui la spiata di luglio era una assoluta novità. I Bersaglieri qui avevano il 72° Battaglione autonomo che sacrificherà sul campo la maggior parte degli uomini.

Carzano è una borgata situata sulla sinistra del Brenta e sulla destra del torrente Maso a 2 km dalla confluenza dei due corsi . Nel maggio 1917 vi passava la linea del fronte austriaco difesa da una sola divisione austriaca, la 18a su due brigate, che aveva di fronte il XVIII° C.d'A. italiano (generale Etna) su due divisioni: la 51a (generale Di Giorgio) e la 15a (generale De Bono). La posizione austriaca di Carzano era tenuta da un battaglione della 181a Brigata austriaca composta da bosniaci. Un gruppo di questi, per ostilità al dominio austriaco sulla loro terra, si coalizzò per offrire agli Italiani la possibilità di penetrare di sorpresa entro le linee austriache. Si mise quindi in contatto il 15 luglio con le truppe italiane che aveva di fronte offrendo copia delle carte topografiche austriache, con il dettaglio dello schieramento delle truppe e di ogni postazione sia di mitragliatrici sia di artiglierie che dovevano essere annientate durante un assalto notturno. Inizialmente gli Italiani dovevano penetrare fino a Carzano e subito dopo a Telve per conquistarvi le batterie impedendo reazioni di fuoco. Successivamente la breccia doveva essere allargata in modo da permettere alle truppe italiane di usufruire della strada del fondo Valsugana per completare in campo strategico la sorpresa tattica arrivando a Trento. La proposta fu portata all'attenzione di Cadorna che l'accettò. Il C.S. italiano predispose un piano d'azione che prevedeva uno sfondamento operato da una divisione, al comando del generale Zincone, suddivisa in 12 colonne pari a circa 10.000 uomini. Lo sfruttamento di questo successo tattico doveva essere realizzato da parte di una poderosa colonna composta da ben due divisioni al completo. "Oltre a queste truppe, Cadorna aveva concentrato più a tergo, fuori da ogni occhio indiscreto, battaglioni di bersaglieri ciclisti, colonne di autobatterie, di automitragliatrici, di camion per il trasporto truppe, il tutto sparso nella Conca di Tesino e in quelle di Arsiè e Seren. L'azione scattò nella notte tra il 17 e il 18 settembre. Carzano e Telve furono subito occupate e il presidio fu catturato; tutto si svolse regolarmente fino all'intervento della sesta colonna, poi il disastro! Le truppe delle sei colonne successive dovevano percorrere circa 12 km provenendo da Strigno, ma un assurdo, inspiegabile ordine invece di inoltrarle lungo la strada carrozzabile Strigno-Spera-Carzano, larga 3 metri, le mise in marcia lungo un camminamento largo 80 cm dove si intasavano provocando un enorme ritardo rispetto ai tempi previsti per l'azione. Nel frattempo i soldati austriaci fuggiti da Telve verso Borgo (Valsugana) avevano dato l'allarme e all'alba si manifestò la reazione nemica. Così il Comando italiano alle prime cannonate austriache ordinò la ritirata. In realtà il CS italiano aveva preparato un piano basato sulla quantità, ma aveva trascurato la qualità delle truppe, che non erano addestrate per un'azione di sorpresa notturna, e aveva prescritto ordini di operazione che avrebbero limitato la libertà di movimento e quindi quella velocità d'azione delle varie colonne che era nelle premesse del piano. Inoltre aveva assegnato il comando dell'operazione ai generali Etna e Zincone, con esperienza consolidata nella guerra di trincea, trascurando ufficiali di grado inferiore che, provenendo da truppe ben addestrate alla sorpresa e al movimento come gli Arditi, sarebbero stati più adatti a realizzare il piano molto complesso che richiedeva agilità mentale e prontezza di decisione in corso d'opera. Mario Troso "LA BATTAGLIA DI CAPORETTO"

Il Generale Capello* Il gen. Luigi Capello era al comando della divisione Cagliari quando scoppiò la Guerra. L'anno seguente era già salito di grado per il II C.d'A. comandandolo alla conquista di Gorizia dove ottenne anche la Croce di Ufficiale dell'O.M.S. - Passò poi al XXII e V C.d'A. e nel giugno '17 a quello della II Armata nella offensiva vittoriosa della Bainsizza con Gran Croce dell'O.M.S. Capello era tristemente famoso per i metodi già sperimentati in colonia e per i suoi discorsi alle truppe inframmezzati da ingiurie e minacce (ma qualche storico tende a smorzare l'uso da parte sua di questi toni). Nell'ottobre del '17 per non avere tempestivamente valutato la minaccia incombente sull'estrema sinistra della II Armata a Caporetto (Tolmino) e più su a Plezzo, fu sottoposto ad inchiesta e collocato a riposo, ma non prima della fine del conflitto. Le sue vicissitudini nell'immediato dopoguerra (era massone) con la messa in stato d'accusa ed altre vicende legate al fascismo nella biografia in Carneade o nei libri dalla home page.

Il mio racconto sulla vicenda di Caporetto si limita d'ora in poi ad accenni generali (essendo ultranoto) riservandomi un racconto più approfondito nella terza parte "speciale - L'altra Caporetto..." che copre lo sfondamento della zona alta di Plezzo e il crollo improvviso di tutto il settore di Carnia (letteratura scarsa), nonostante che la copertura della ritirata di questo settore fosse stata "anche affidata" nel momento del panico alla retroguardia del Corpo d'Armata Speciale del Gen. Antonino Di Giorgio che coi pochi uomini e mezzi a disposizione, improvvisava una guerra moderna di sganciamento mentre doveva già presidiare il fianco sinistro rinculante della II (minacciata di accerchiamento) e III armata.

**Luigi Bongiovanni (Reggio nell'Emilia, 8 dicembre 1866 – Roma, 4 aprile 1941) Dopo gli studi all'Accademia militare di Torino, fu nominato sottotenente di Artiglieria. Entrato nel Corpo di Stato Maggiore (CSM) come capitano, partecipò dal 1901 al 1905 alla missione italiana in Giappone. Tra il 1911 e il 1912 partecipò con il ruolo di Capo di Stato Maggiore della seconda divisione speciale alla guerra italo-turca, guadagnandosi la promozione a tenente colonnello nel novembre del 1912. Ricoprirà negli anni dell’anteguerra il ruolo di addetto militare a Berlino. Allo scoppio della guerra, promosso colonnello, assunse il ruolo di CSM del VI e poi del II corpo d'armata (CdA). Nel maggio 1916 assunse il comando (Col. Brigadiere) della brigata Ancona, distinguendosi nella difesa del saliente trentino e ottenendo la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia nel combattimento di Monte Novegno (12-13 giugno 1916) e la medaglia d'argento per i combattimenti in Vallarsa (25 giugno-12 luglio 1916). Nell'agosto 1916 passò al comando della brigata Firenze, nel settore di Plava, e fu promosso maggior generale per meriti di guerra. Esercitò poi il ruolo di comandante della brigata Firenze sul fronte dell'Isonzo, mentre comandò la terza divisione nelle battaglie di Kuk – Vodice e Bainsizza del Maggio 1917. Divenuto capo del VII CdA il 7 ottobre 1917 venne destinato a schierarsi in seconda linea nella zona di Caporetto per assicurare la saldatura tra il IV CdA del generale Cavaciocchi, a cavallo del massiccio del Monte Nero, e il XXVII CdA del generale Badoglio, che fronteggiava Tolmino e dove avverrà lo sfondamento. Alla vigilia dell'offensiva austro-tedesca, il VII corpo non aveva ancora completato il suo schieramento sulle alture della destra dell'Isonzo con le divisioni appena assegnategli (3a e 62a ); insufficienti erano inoltre i collegamenti con i comandi di Badoglio e Cavaciocchi al IV e non definiti i rispettivi settori. Il 24 ottobre le truppe austro-tedesche, superate rapidamente le linee di Badoglio, ebbero ragione delle truppe del Bongiovanni schierate sul Kolovrat con relativa facilità, approfittando della sorpresa tattica e del terreno favorevole; il VII corpo fu travolto reparto per reparto e cessò praticamente di esistere come grande unità il giorno seguente. Il 29 ottobre i superstiti passarono il Tagliamento a Piniano; il VII CdA fu sciolto a fine novembre e il B. fu destinato al comando della 69a divisione, che tenne fino al febbraio seguente. L’inchiesta su Caporetto non censurò l'operato del B. a Caporetto, ritenendolo vittima della sorpresa alla stessa stregua di Badoglio. Per salvare Badoglio salveranno tante altre teste di legno. Nell'estate del 1919 fu preposto al comando del Corpo di spedizione italiano in Anatolia. Da quell'anno fu nominato governatore della Cirenaica, mantenendo tale carica fino al 1924. Nel 1929 fu nominato senatore del Regno d'Italia. Morirà a Roma nel 1941. "Badoglio non lo stimava e lo definiva -un addormentato-. Quando seppe di averlo vicino col VII°, andò su tutte le furie: -Quel brav'uomo è stato due anni addetto all'esercito tedesco, ha visto gente, non ha capito niente e non val niente-" di Badoglio dalla lunga e fulgida carriera si era anche detto "...era l'espressione di una società militare tipica dell'epoca, erede della testardaggine delle scuole piemontesi, cresciuta in un ambiente di chiuso provincialismo, senza contatti e confronti internazionali, di cultura umanistica scarsissima e limitata, priva di immaginazione e di estro."

3a parte - L'ALTRA CAPORETTO LA BATTAGLIA DI PLEZZO, CANALE DEL FERRO, CARNIA

Il 17 settembre Cadorna emana l'ordine di tenersi sulla difensiva sull'intero fronte orientale, che equivaleva a spostare indietro le artiglierie pesanti. Le notizie che arrivano ai servizi segreti sono sempre più preoccupanti. Nelle nostre retrovie immediate, sia di armata che di settore, non esistevano riserve operative (c'erano molti reparti  con reclute, o in trasferimento o in turno di riposo dopo la battaglia della Bainsizza) se comunque a 40 km di distanza e tutte sulla direttrice Judrio-Tolmino. L'artiglieria di solito non era presente nelle divisioni di riserva perché non disponibile.  Persa quella in linea non restava che accendere una candela a S. Francesco il santo protettore d'Italia. Il carattere "offensivista" o elastico di Capello, ma non solo, lo portò a mantenere le artiglierie su posizioni avanzate pronte per una eventuale controffensiva di cui però non aveva un piano condiviso col superiore e recepito dai sottoposti. Di 110 batterie solo 22 !!! arretrarono. Gli Italiani stavano sulla sinistra dell'Isonzo fino a Tolmino, dove a loro volta erano gli austriaci a stare sulla destra per un tratto a Volzana. Le trincee poi risalivano oltre l'Isonzo sulla Bainsizza. Le linee di difesa predisposte o programmate erano tre. La prima era quella di massima penetrazione raggiunta: poteva essere più o meno attrezzata per la difesa (a volte presidiata) ad oltranza o momentanea (dipendeva dalle opere di fortificazione possibili e dal tempo a disposizione per costruirle. Altre volte non era altro che quella nemica che doveva però essere tatticamente rovesciata). La seconda linea era quella di difesa ad oltranza assoluta, già attrezzata ma spesso non presidiata da riserve o territoriali. La terza linea, quella d'armata, sui punti orografici meglio difendibili per un'eventuale ritirata o arresto (ma qui l'esercito doveva essere mobile e manovrabile e il tutto doveva essere programmato da tempo). La terza linea era priva di trinceee o apprestamenti idonei. Alla vigilia di Caporetto le ultime due erano completamente deserte come se un attacco fosse di là da venire. Molti Forti arretrati sul Tagliamento in corrispondenza dei ponti per carenza d'artiglieria erano già stati spogliati. Il Gen. Pietro BadoglioLe notizie provenienti dall'ufficio "I" "Informazioni" davano quindi in crescendo un concentramento di truppe austriache dietro il fronte del Monte Nero. Il 14 settembre i controlli al confine fra l'Austria e la Svizzera si erano intensificati, ed il passaggio delle "nostre" spie s'era interrotto. Il 2 Ottobre un Ufficiale Polacco disertore raccontò di un imminente attacco proprio a Tolmino alla testa di Ponte. Il 6 lo stesso Badoglio ebbe modo di osservare l'arrivo e la ripartenza nelle retrovie di 500 camion di materiale. Capello senza aver ancora preso alcun provvedimento si accorse il 20 ottobre della sua valutazione sbagliata.

!!!! CADORNA aveva confermato i suoi intendimenti con una lettera a Capello, in cui era detto: "Il disegno di V. E. di contrapporre all'attacco nemico una controffensiva di grandissimo stile è reso inattuabile dalla presente situazione della forza presso le unità di fanteria e dalla gravissima penuria di complementi (sono le perdite di Maggio e Agosto). V. E. conosce l'una e l'altra e sa che per questo appunto ho dovuto, con grande rammarico, rinunciare alla seconda fase della nostra offensiva (quella fermata alla Bainsizza), fase che si delineava promettente di fecondi risultati. Ciò posto è necessario di ricondurre lo sviluppo del principio controffensivo, base di ogni difesa efficace, entro i reali confini che le forze disponibili ci consentono. Il progetto della grande offensiva di armata ad obiettivi lontani deve essere abbandonato; esso ci condurrebbe in sostanza a sviluppare una grande offensiva di riflesso non meno costosa di quella seconda fase alla quale già abbiamo rinunciato. Troveranno posto, invece, nel quadro d'una tenace difesa attiva, risoluti contrattacchi, condotti da truppe appositamente preparate ed ispirati a quel concetto dell'attanagliamento ben delineato dell'E. V., ma con carattere locale, contenuti, cioè, entro il raggio tattico, per mantenere la difesa nei limiti dell'indispensabile economia".

Il giorno dopo (forse per la lettera citata sopra) CAPELLO, colto da un eccesso uricemico, chiese e ottenne una brevissima licenza, sulla quale molto si malignò, lasciando il comando al generale MONTUORI. Si darà malato anche durante l’offensiva dopo essere ritornato per alcuni giorni. Per i tempi di logistica e comando (catena) dei reparti sottoposti non c'era più tempo per disporre in difesa la II armata. Il giorno 20 si disse anche che alle linee italiane si presentasse un ufficiale disertore (cecoslovacco o romeno) con in tasca il piano completo e particolareggiato dell'imminente attacco tra Plezzo e Tolmino !!!.  Quando alle 2 del mattino del 24 l'artiglieria avversaria scatenò l'inferno prodromo dell'assalto molti reparti erano in marcia in un caotico incrociarsi dalle retrovie al fronte e da fronte a fronte in esecuzione di ordini sempre più confusi e inattendibili. Nella relazione d'indagine del dopoguerra si continueranno a prendere per buone le mosse sullo scacchiere anziché gli effettivi dislocamenti e spostamenti come dire muovo questo qua, questo lo sposto là.... Il risultato non poteva che essere assolutivo nei processi ai responsabili. Si arrivò a conteggiare in linea una brigata di cavalleria che era ancora a Torino in servizio d'ordine pubblico dopo la protesta bolscevica di Agosto. Badoglio era a letto, Capello malato, gli artiglieri non sparavano se non dietro ordine di badoglio e quando si alzò non riuscì più a comunicare perché le prime ad essere colpite erano state proprio le comunicazioni (fili stesi allo scoperto) lasciando nella sordità completa il fronte. Se si voleva una sconfitta l'occasione di meglio non si poteva fare.

http://www.kaiserjaeger.com/it/TKJ/Interventi_militari/Grande%20guerra/prima_it_autunno_1917.htm  Da Kaiserjaeger  Il colpo mortale, secondo Conrad, non doveva essere inflitto contro le postazioni del basso Isonzo, (Bainsizza e III armata) fortificate e protette da riserve dell'esercito, ma verso la zona di Caporetto e Tolmino e verso Udine (Q.G di Cadorna); questo attacco avrebbe provocato il cedimento del fronte fino al mare. Nella cosiddetta 12a battaglia dell'Isonzo intervennero sei divisioni di fanteria, alcuni battaglioni d'assalto e di Jäger (che successivamente vennero unificati in un’unica divisione di fanteria), artiglieria pesante, lanciamine e aerei. Per questa violenta operazione furono necessarie straordinarie misure per lo stanziamento delle forze entro un mese (da metà settembre a metà ottobre). Per il trasporto delle truppe e del materiale vennero impiegati 2.480 treni (ma i treni arrivavano solo nel fronte meridionale o a Tarvisio)). Vennero messi a disposizione circa 10.000 cavalli per il trasporto in montagna nella zona nord (camion da Tarvisio  poi la galleria mineraria di Bretto Predil per far giungere a Bovec/Plezzo molto del materiale o da Kranjska Gora sulla ferrovia Rodolfiana per il passo di Vrsic (in italiano Maistrocca1.611 m) , difficile arteria appena inaugurata col lavoro di migliaia di prigionieri russi e retrovia di Soca/Sonzia in Val Trenta). In conclusione, tra il Rombon, colonna del fronte settentrionale dell'Isonzo ed il mare, erano pronti per l’uso 3.540 cannoni (di cui la metà era nuova) e 78 batterie di lanciamine e lancia gas. Relativamente ad un milione di colpi disponibili all'artiglieria pesante, di questi, come minimo, il 10 % era infatti costituito da proiettili a gas (queste informazioni si riferiscono solo alle armi Austro-Ungariche). Dapprima, venne sistemata l’artiglieria, mentre la fanteria veniva ulteriormente addestrata nelle zone di Villach, Tarvisio, Klagenfurt, Lalbach e veniva costruita la rete stradale. Le avverse condizioni atmosferiche, durante queste settimane, si rivelarono favorevoli poiché impedivano (in parte) la perlustrazione aerea nemica; d'altra parte i nostri movimenti vennero rallentati dalle cattive condizioni del terreno. Non solo il ritardo nel trasporto delle truppe d'assalto, ma altre manovre fuorvianti e pubblicizzate confusero il nemico: come il passaggio e la rivista di truppe in trentino (Heinz von Lichem-La Guerra in Montagna)

Ndr. Fra Valparola e il passo Montecroce Comelico tutti gli sforzi degli italiani miravano nel 1915 ad un unico importante obiettivo: raggiungere la sottostante Val Pusteria, l’arteria principale dei rifornimenti al fronte delle Dolomiti, la fondamentale via di comunicazione fra l'ovest (Val d’Adige, Val d’Isarco) e l’est (Tirolo Orientale, valle della Drava). Tutti i rinforzi, le munizioni, i materiali giungevano al fronte ampezzano e di Sesto dalla ferrovia (e dalle ferrovie secondarie feldbahn nelle valli di Fiemme, Gardena e Valsugana). Da oltralpe, attraverso il Brennero e la Pusteria in senso contrario passavano molti altri trasporti destinati alla Carinzia Via Villach ed all’Isonzo (Nord Tarvisio, galleria Predil, Plezzo); i treni arrivavano di giorno e di notte ripartivano (tanto che avrebbe potuto essere sempre lo stesso).
 

Cadorna, pur informato, dubitava che si sarebbe attaccato anche nella zona del basso Isonzo e che quanto si vedeva e si sentiva era solo fumo negli occhi agli italiani per distoglierli dai veri obiettivi. Non si decise, quindi, ad inviare le riserve della 3a armata alle spalle della 2a, che veniva attaccata direttamente. Si affidava troppo alla forza numerica delle sue armate e, soprattutto, all'imbattibilità delle postazioni difensive in particolare di quelle situate sui rilievi (ma Tolmino era nel piano). Lo stesso S.M. austriaco le definì a suo tempo un'immensa rete di posizioni, di più linee poste l’una dietro l’altra, che fiancheggiavano le pareti della montagna, del Kolovrat, costruite da veri e propri artisti con il talento da "muratori", dotate d'artiglieria e postazioni da mitraglia, che, insieme alla particolarità del territorio, rendevano impossibile il passaggio. I tratti del fronte, situati a valle (Seebachtal in Carnia, la conca di Caporetto la valle dell'Isonzo presso Tolmino) erano fortificati particolarmente bene (ma andavano presidiati cosa che non facemmo).

Mai una delle due parti era stata informata preventivamente in modo tanto esatto e capillare sulle intenzioni e sui programmi dell'altra. Stava per iniziare quella che impropriamente viene definita la 12a battaglia dell'Isonzo che anziché offensiva come le altre divenne difensiva e rotta definitiva. Nella Slovenia interna intanto si radunavano gli uomini destinati all'offensiva e una cosa che avrebbe dovuto far sospettare gli italiani era che i nostri ricognitori non riuscivano a monitorare un'intera zona dietro il Monte Nero per l'interdizione di tanti caccia austriaci in volo che saturavano l'area. I materiali e le artiglierie raggiunsero i punti di raccolta avanzati per tempo mentre i soldati si sarebbero avvicinati all'ultimo momento con una marcia notturna. Forzando con un tiro concentrato di artiglieria, anche a gas, i punti deboli (la sutura fra i nostri corpi d'armata), i primi assalitori (sturmtruppen) si spingevano dietro le linee per poi prenderci alle spalle. Nell'avanzare la loro artiglieria leggera (someggiata o bombarde) copriva la fronte (2-300 metri avanti) con tiri continui sia a proietto che nebbiogeni. Ciò facendo si esponeva micidialmente ad un nostro contrattacco che non ci fu e al controtiro che Badoglio escluse comunque andando a dormire (anche a Roma alla vigilia dell'armistizio del 8/9/43 dormiva). Era escluso l'attacco frontale e a ondate successive già sperimentato inutilmente da entrambe le parti. Le mitragliatrici leggere tedesche MG 8/15 venivano spallate e piazzate di volta in volta dove opportuno (non avevamo per ora nulla di simile). La tattica era già stata utilizzata a Riga (Russia) ma sul nostro fronte non era giunta notizia. La 19a divisione italiana si apprestava a essere attaccata da 4 divisioni e la 50a da 3. La sorpresa e la manovra riuscirono in pieno, anche perché gli italiani dalle cime (che tenevano) non vedevano i fondo valle dove si svolgeva il grosso della penetrazione. La polemica se è meglio stare sulla cima o sul fondovalle, forse continua ancora oggi. Una parte grossa della responsabilità venne quindi addossata alla nostra artiglieria (Badoglio ne pretese  il controllo e sul mancato impiego non venne mai chiamato a rispondere ). Il controtiro di sbarramento era usuale invece presso la III armata. A parziale scarico il fatto che fosse notte e che sulla zona gravasse la nebbia, ma questa era un Handicap anche per l'avversario; poi in quella stagione non era una novità e non distolse gli austriaci dal colpire. Poi chi sarebbe così cretino da attaccare di giorno. Ma alle 9,30 del 24, ad attacco in corso da ore, Cadorna, emanava quest'ordine "Prego perciò di limitare il tiro allo stretto indispensabile e raccomando la più oculata parsimonia in munizioni... (in previsione) operazioni ventura primavera" !!!!.  L'attacco iniziato alle due del mattino del 24 porta in due giorni gli Austro-tedeschi alla testa delle vallate dei fiumi Torre, Natisone e Judrio che scorrono verso la pianura. Si salvi chi può.

Da: Comando Supremo
A: S.E. il Ministro della Guerra, Gen. Gaetano Giardino
Udine, 25 ottobre 1917, ore 19.47 (a 40 ore dall'attacco)
L'offensiva nemica ha ripreso sulla fronte Saga-Stol-Luico e sull'altopiano di Lom. L'attacco nemico è riuscito a Luico e ad Auzza. Le perdite in dispersi e cannoni sono gravissime. Circa dieci reggimenti si sono arresi in massa senza combattere. Vedo delinearsi un disastro, contro il quale lotterò fino all'ultimo. Ho disposto per la resistenza fino al limite del possibile, nei monti e sul Carso; ed ho predisposto, senza emanarlo, l'ordine di ripiegamento sul Tagliamento. Prego informare Governo, avvertendo che non viene trasmesso complemento bollettino. Generale Cadorna

 

E’ la miccia che fa scattare le dimissioni di Boselli: Montanelli dirà "sentendo odor di naufragio", i colleghi del governo abbandonano Boselli e "sia Nitti che Orlando, con l'aria di difenderlo, auspicarono un Ministero di coalizione nazionale a cui entrambi ponevano implicitamente la candidatura". Secondo Longo, anche in questa epoca "la lotta per il potere si ammantava di patriottismo" e ".. fu Orlando ad affossare Boselli e a succedergli assumendo la fiaccola della riscossa contro i propri errori". Al QG di Udine, il Re porta a Cadorna la notizia che il Governo Boselli è stato rovesciato. Cadorna dice a voce alta: "I sistemi di Orlando han portato a questo disastro. Ed ora lo faranno padrone d'Italia, magari !". Qualcuno osserva: "Cadorna aveva idee più lucide in politica che sul campo di battaglia" Cadorna non potendo porre rimedio ordina a quel che resta della 2a e alla 3a armata (intatta e non sotto pressione) di ripiegare sul Tagliamento. Lo stesso vale per la IV del Cadore di Robilant che deve scendere lungo il Piave e per i Carnici del XII C.d.A. che debbono resistere sull'alto Tagliamento.

DA COMANDO SUPREMO
27 ottobre 1917, ore 5,45
5015 G.M. In vista situazione creatasi ala sinistra 2^ armata ho deciso graduale ripiegamento del XII corpo (Carnia) sulla linea delle prealpi Carniche, colla sinistra a Casera Razzo, e delle armate 2^ e 3^ sulla destra del Tagliamento. Movimento si inizia oggi stesso. In conseguenza codesta armata (IV) inizi oggi stesso ripiegamento dall'attuale fronte alla linea gialla, collegandosi a sinistra con la 1^ armata a Cima della Caldiera. Per quanto riguarda tratto di fronte Cima della Caldiera - M. Civetta lascio a V.E. di determinare linea di arretramento più conveniente. V.E. si terrà in misura di proseguire non appena ne darò ordine ulteriore ripiegamento su pianura veneta. In vista di ciò V.E. prenda in consegna da 1^ armata lavori del Grappa, cui occupazione affidata a 4^ armata. Organizzi perciò immediatamente difesa Grappa per caso ritirata sul medesimo e vi collochi artiglierie da sgombrarsi secondo prescrizioni mio 4998 di ieri. Completi lavori M. Asolone - Presolana - cima dell'Orso per assicurare profondità sistema difensivo. Per sgombro materiali e stabilimenti prenda accordi con Intendenza Generale. Esiga nel ripiegamento calma, fermezza, lentezza e misure immediate del più estremo rigore contro tutte debolezze e contro chiunque. Interrompa e sbarri strade e ponti, incendi magazzini e baraccamenti. Generale Cadorna

 

SVILUPPO DELLE LINEE DIFENSIVE
In generale quelle che noi oggi chiamiamo trincee erano un ordine di linee organizzate per contenere le offensive. Le tre linee presentavano le seguenti caratteristiche generali: - linea avanzata: coincideva con le posizioni conquistate (spesso dopo le prime operazioni del 1915). Non era la migliore, ma semplicemente quella più avanti. Anche i piccoli lavori fatti non la rendevano migliore: spesso era la linea persa dagli altri e quindi aveva un orientamento rovesciato. C’erano trincee che venivano blindate, cioè coperte tanto erano esposte ai cecchini. In alcuni punti erano anche attaccabili alle spalle. Ma qui si stava e in quella di resistenza o di difesa ad oltranza dietro non ci stava nessuno. La seconda linea si attivava con l’arretramento della prima (fatto in tranquillità e con calma hai visto mai) e l’afflusso e mobilitazione delle riserve stazionanti più indietro. Non era previsto che il nemico agisse in fretta e bene. Questa linea poteva contare anche sull’appoggio dell’artiglieria d'armata. Che le due linee coincidessero o si intersecassero era nelle possibilità.

TERZA LINEA  o linea d’Armata: come la precedente si appoggiava ad elementi forti del terreno, come cime o ostacoli naturali come gole e fiumi che potevano ostacolare i movimenti dell’avversario favorendo, nel contempo, la difesa attiva. Era integrata da ulteriori opere fisse come nidi di mitragliatrici che ne rafforzavano il disegno complessivo. Il territorio friulano era poi sparso di postazioni, forti ed altro predisposto negli anni ma tutto da armare e presidiare dopo che era stato spogliato (era anche conosciuto dal nemico che negli anni aveva provveduto un sistema di spie). La linea avanzata italiana, coincidente con le posizioni raggiunte dopo le prime operazioni del 1915, rimontava dal vallone dello Slatenik alle trincee blindate della sella di quota 1270 e da là raggiungeva il Kal (Cocuzzolo Camperi, m 1698) posto all’estrema propaggine della dorsale del Vršič (m 1897), proseguendo poi lungo l’affilata cresta del Vrata – Krn fino a raggiungere l’acrocoro del Monte Rosso (Batognica, m 2164). Riprendeva poi più in basso attestandosi alle pendici occidentali dell’allineamento Sleme – Mrzli Vrh – Vodil, raggiungendo la sinistra Isonzo nel fondo valle davanti all’abitato di Gabrje. Riprendeva inerpicandosi poi sulle ridotte dello Ješenjak e dello Ježa a fronteggiare le munite posizioni austro – ungariche di Santa Maria - Mengore e di Santa Lucia di Tolmino (Selski vrh). La linea d’armata (terza linea) doveva comunque proteggere i passi della valle Uccea (Tanamea) Caporetto, Luico (Livek), Kuk e Kolovrat.

Ora è una corsa contro il tempo a presidiare e minare i ponti sul Tagliamento. Nel momento del bisogno ci si accorse di quanto erano precari i nostri collegamenti telefonici una volta saltato il sistema e coi comandi ballerini da una località a un'altra (da Udine a Treviso). Si ricorreva a segnalazioni ottiche (specchietti), bandierine o ai soliti colombi, con ordini che erano già superati quando arrivavano per catena gerarchica alle sottostanti unità. Fra le persone che seminarono il panico molto probabilmente c'erano tedeschi in divisa italiana e di lingua italiana che spesso avevano più credito nel riferire i fatti del comando scritto o della situazione oggettivamente non disperata. Gli austriaci stessi non sono preparati a un simile repentino sfondamento e ribaltamento di fronte e titubano nella loro avanzata. Ne hanno buon gioco i tedeschi che godono di una certa autonomia di comando e che in spregio al piano (fermarsi sul Tagliamento) sfruttano il successo (il concetto della Blitzkrieg), a rischio di corte marziale, lanciando i loro uomini verso la Carnia e la valle del Piave. I reparti però si intralciano e spesso i comandi sono più avanti dei soldati. Il Gen. Austriaco Berrer, del c.d.a. omonimo, arriva a Udine il 28 ottobre quando ancora la città è presidiata da Arditi e Bersaglieri. Giuseppe Morini bersagliere di Civitavecchia (IV ciclisti-Turrini) che se lo trova dinnanzi non ha esitazioni nell'inquadrarlo nel suo mirino.

Anche al XII C. d'Armata di Carnia arriva l'ordine di ritirata sul TAGLIAMENTO superiore. Qui a Monte Jof, il 2 novembre, il sergente Scirè Sebastiano del 16° ferito più volte, tiene la posizione di retroguardia fino al giorno 4. Una nuova grave ferita lo allontana morente dal reparto. Col 16° c'è anche il 15° che dopo una sfibrante ritirata dalla Val Dogna, con la via della pianura preclusa, finisce accerchiato in Carnia, il19° (che si ritira sul Grappa) e i battaglioni autonomi XLVII e LVI. La II brigata Coralli (7-11°), l'8° e il XLVIII btg autonomo scendono dal Cadore con la IV armata aprendosi la strada a forza. Il bers. Morini che uccise Berrer

Per la ritirata sul Piave che si concluderà il 9 novembre seguiremo le unità speciali costituite da soli bersaglieri e/o includenti bersaglieri che operarono in retroguardia a protezione della ritirata e per ultime attraversavano e facevano saltare i ponti. I 12 battaglioni bersaglieri ciclisti in previsione di un attacco dal Trentino (volevamo credere che quello del Carso era un diversivo) erano stati tutti posizionati nelle retrovie della I e IVa armata, dal Brenta all'Oglio. A tappe forzate dovettero raggiungere la pianura Friulana. L'organico di questi reparti aveva subito una grossa emorragia poiché in caso di ferita o malattia il convalescente rientrava al Reggimento "padre" o "madre) e difficilmente tornava ai ciclisti. Ai richiamati o alle nuove leve che non sapevano usare la bicicletta era preclusa la possibilità di entrare in un reparto di pronto impiego in tempi così stretti. Queste forze costituiranno il nerbo della retroguardia dei resti della II e della IIIa armata.

"…le cause dello sfondamento furono principalmente di carattere tecnico. Durante il ripiegamento le conseguenze degli errori militari commessi furono ingigantite dalle condizioni organiche e morali in cui era ridotto l'esercito specialmente in corrispondenza di quell'ala dalla quale era avvenuto lo sfondamento, e contro della quale più s'accaniva la pressione nemica. La responsabilità della rotta di Caporetto non si limita ai soli capi militari ed a uomini di governo: essa coinvolge tutti coloro che col disfattismo attivo o passivo esercitarono influenza deprimente sullo spirito del soldato: essa coinvolge coloro che, riusciti ad imboscarsi, dell'imboscamento si valsero per trarre dalla guerra il maggior profitto possibile, poco curando se con ciò venivano a danneggiare coloro che nella trincea soffrivano e morivano; essa coinvolge coloro che non avevano rossore d'offrire al soldato che per licenza o per servizio, rientrava temporaneamente dal fronte, un nauseante spettacolo di vita fatta di godimento e di spreco, guardando i reduci dal fronte con un sorriso di compassione, quando non era sorriso di scherno". (gen. Segato).

      

                     

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