llo
strapotere austroungarico sul continente, s'è aggiunta da poco (1815) una nuova
identità politica, la Confederazione Germanica, sorta dalla federazione
di tanti piccoli regni e ducati e ora sotto la guida ferma della
Grande Prussia del
cancelliere Bismarck (salito alla guida del governo nel 1862 e prima potente ministro degli
esteri) e del Re poi imperatore (1871) Gugliemo I.
Nel 1842 la Zollverein, una unione
doganale che eliminava le frontiere interne fra gli stati tedeschi, ne
regolava le monete, includendo la maggior parte degli Stati. Il marco
come moneta ufficiale nasce nel 1871 ma si attesa solo nel XX secolo per
crollare e cambiare pelle col Reichsmark dopo la svalutazione
postbellica della I guerra Mondiale. Nei venti anni successivi alla
Zollverein la produzione delle fonderie tedesche quadruplicò. La
produzione di carbone crebbe anch'essa in proporzione. Come
risultato, gli industriali tedeschi (Krupp in primisi) vrebbero
introdotto l'acciaio nella moderna metallurgia e nelle lavorazioni
meccaniche (armamenti). La sicurezza della Germania venne notevolmente
aumentata, lasciando lo stato prussiano e l'aristocrazia terriera al
sicuro dalle minacce esterne. I produttori tedeschi lavorarono anche in
settori diversi da quello della difesa. Spariva per la Gran Bretagna il
suo primo cliente.
Nel 1848 i
piccoli danesi, sconfiggendo però inaspettatamente i Prussiani, s'erano annessi due ducati confinanti (Schleswig,..). La rivincita non tardò ad
arrivare facendo fare marcia indietro ai Danesi presi
sottogamba. La
Confederazione e l'Austria stringono anche un accordo doganale su
frontiere comuni (mercato comune) per ridurre possibili attriti commerciali e politici. L'Austria,
presa fra la Russia, la Prussia e l'Italia filo francese, si sente
comunque isolata.
Alfonso La Marmora,
attuale Primo Ministro, sobbalza sicuramente sulla poltrona quando, l'ambasciatore
prussiano (luglio 1865), seduto di fronte a lui, inizia a parlare di una
possibile guerra all'Austria. Anche la piccola e modesta partecipazione militare italiana
sul fronte meridionale sarebbe stata ben compensata. L'indecisione, la paura della guerra, si
trascina per diversi mesi durante i quali cerchiamo di giocare anche su due
tavoli contemporaneamente. Gli Asburgo offrono il Veneto all'Italia a
buone condizioni (pagamento cash) in cambio della neutralità. L'8 aprile 1866 l'alleanza
con la Prussia
viene suggellata: nessun accordo separato di pace o tregua fino alla reciproca soddisfazione
territoriale (per noi Mantova (quadrilatero) e Veneto sicuri) e tutti i territori
militarmente occupati al momento dell'armistizio. L'esercito prussiano, da tempo
preparato, è comandato da Von Moltke. I Prussiani si dicono disponibili
anche a una consulenza sulla preparazione militare italiana, che
rifiutiamo perentoriamente, perché a noi non ci insegna niente nessuno
!!!.
Il 17 giugno 1866 la Prussia apre le ostilità. Il 20 il nuovo presidente del consiglio Ricasoli
annuncia lo stato di guerra contro
l'Austria. Il
nuovo esercito Italiano con a capo il Re Vittorio Emanuele
II e C.S.M.
La Marmora (ma non sul terreno),
mette in campo oltre 240.000 uomini !!!, 36.000 cavalli e 456 cannoni. Gli
Austriaci non possono sul momento che opporne la metà, dovendo presidiare
l'Istria, la Dalmazia, la costa veneta, le Fortezze ed ogni angolo dei
bollenti balcani.
I
piani militari, che poi è uno solo quello del Cialdini (Passaggio del Po
a Occhiobello dopo aver attirato gli austriaci nel Po
mantovano al di la del Mincio, quindi più a Ovest), prevede che con azione concertata si
attacchi su due
fronti, Mincio (3 corpi 12 divisioni) e Occhiobello (Cialdini: IV corpo
ma solo 8 divisioni), lo
schieramento in difficoltà riceverà soccorso dall'altro. Il 17
giugno effettivamente Alfonso La Marmora e Cialdini si erano incontrati
a Bologna, ma una grande analisi della strategia non era stata fatta. Nel ritornare ai propri alloggiamenti ognuno è convinto che
la sua sia l'azione principale, quella vincente.
Dirà Cialdini
qualche anno dopo Custoza: « Non s’inizia
una grave campagna come quella del 1866, resa più difficile e complicata
dalla separazione dell’esercito in due grandi corpi, l’uno sul Mincio,
l’altro sul Po, senza dare ordini scritti ed istruzioni positive,
precise e chiarissime. Non si regge il comando di un’Armata né si
dirigono le sorti di una campagna col mezzo di concerti verbali ... ».
!!!!
La Marmora con 3 corpi d'armata non avrebbe avuto bisogno di aiuto se fosse risultato vincente e poco
gli sarebbe servito in caso di difficoltà l'intervento di un solo
seppur nutrito
corpo veloce. La sera del 22 giungono al campo del Re notizie che danno gli austriaci presenti in minima parte fra l'Adige e il
Mincio. Ritenendo che il grosso dell'esercito imperiale sia già in
ritirata i tre corpi passano il Mincio in più punti impegnando le forze
nell'assedio di Peschiera e Mantova (fortezze del Quadrilatero), che
sono tutt'ora in mano austriaca. I prussiani avevano consigliato di non
dividere l'esercito e di saltare lo schieramento del Quadrilatero (Il
vagito della Blitz Krieg). I piemontesi transitano
su ponti intatti credendo che in caso di contrattacco gli austriaci
rifaranno la stessa strada. Con il posizionamento parallelo ai fiumi, e
senza fare esplorazione (o intelligence) oltre le colline veronesi i
piemontesi non si accorgono che dal Garda alla loro sinistra sta scendendo un grosso
corpo d'armata Austro-Ungarico. La nostra azione
dovrebbe solo limitarsi a una puntata oltre il Mincio per attirare
l'attenzione e lasciare che Cialdini due giorni dopo passi all'attacco
su Occhiobello e Padova. Invece di ritirarci la marcia prosegue verso Villafranca dove la 16a
divisione incappa in un attacco di Ulani della brigata Pulz.
Qui attorno al
Principe
ereditario Umberto
viene formato un quadrato descritto
da un famoso quadro
conservato a Vienna. Sono impegnati i bersaglieri del
4,9,11,19° battaglione. Gli scontri si infittiscono sempre di più. Da
posizioni occupate da giorni gli austriaci hanno buon gioco a
respingere gli italiani alla Mongabia, (sacrificio del
5° e poi del
18° bersaglieri) Oliosi, Fontana Fredda (2°,8° e
13°), M. Cricol, Monzambano (17°), M.Vento. Attaccati a M. Croce
(34° e 37°), M. Torre
(sacrificio del 27° e del suo comandante
Lavezzeri) e Custoza.
Le truppe italiane
inferiori di numero e di artiglieria debbono infine cedere il passo
nonostante li vicino il Principe ereditario Umberto e NinoBixio, dopo il primo
attacco, siano
quasi inoperosi. Cinquanta cannoni non erano nemmeno stati portati al
seguito. Alle 17,30 del 24 giugno tutte le formazioni italiane sono in
ritirata verso Valeggio per ripassare il ponte sul Mincio (tenere il
ponte Visconteo e il castello per
facilitare lo sganciamento nostri). Cialdini, che non si è ancora mosso, saputo della sconfitta
decide di non attaccare !!. Gli Austriaci hanno affrontato
con minori truppe, su fronti ristretti, con postazioni preparate per
tempo ora l'uno ora l'altro dei
comandanti. Il 2° corpo italiano non era neanche stato impegnato.
L'arciduca d'Austria Alberto
" Non si può negare al nemico il
riconoscimento d'essersi battuto con tenacia e valore. I suoi primi
attacchi furono vigorosi.." Gli
Austriaci avevano avuto più morti degli italiani (chi disse 2000 e
chi il doppio: dall'elenco risultarono quasi tutti italiani poichè
molti erano veneti di leva austriaca) e che avessero vinto
lo seppero solo più tardi. Scrive Pollio: "Non vi fu nessun piano
d'azione, ogni comandante agì come potè senza informazioni, senza
sapere dov'era il Quartier Generale. La Marmora vagava per il
campo di battaglia introvabile per lo stesso Re" "Passi
il Po, mio figlio Amedeo ferito, esito battaglia incerto" cosi il
Re telegrafava a Cialdini alle 16,45.
Alle 22,30 un altro
telegramma
"Combattimento
finito. Perdite immense. Molti generali feriti e morti. Riprenderemo
l'offensiva."
GARIBALDI E LA
GUERRA TRENTINA
http://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_del_Trentino_(Garibaldi_-_1866)
Sul fronte del lago
d'Idro, Garibaldi ebbe inizialmente a disposizione 4 battaglioni di
volontari (maggioranza lombardi e piemontesi), giunti appena il 23
giugno dalla loro precedente base a Salò. I rinforzi arriveranno poi. In
generale, infatti, nel 1866 le operazioni di mobilitazione si rivelarono
disastrose ed a soffrirne furono soprattutto le forze non direttamente
pertinenti all’Esercito Regio. Garibaldi, in ogni caso, giunse a
disporre di circa 35.000 uomini (in gran parte male armati o addirittura
senza vestiti e armi), contro i 15-16.000 (maggioranza tirolesi
addestrati alla guerra di montagna) del comandante austriaco del
Trentino, generale barone Kuhn. Il teatro bellico costringeva, inoltre,
l’attaccate italiano a procedere lungo percorsi limitati e prevedibili,
negandogli ogni vantaggio tattico di sorpresa. Sul lago di Garda, la
flotta italiana era in netta inferiorità rispetto a quella austriaca,
come poté verificare lo stesso generale a Salò il 18 giugno. Il 19
giugno si assicurò delle povere difese costiere visitando le batterie di
Maderno e spingendosi fino a Limone. La situazione era particolarmente
grave nell’alto lago (la fortificata Riva), come avrebbe dimostrato la
cattura, il 19 luglio a Gargnano, del piroscafo Benaco da parte di due
vapori austriaci, che effettuarono, per soprannumero, un bombardamento
del paesino.
Le prime azioni di Garibaldi
Il primo fatto
d’armi si ebbe il 21 giugno, quando un reparto di volontari italiani
assalì un posto di guardia al passo di Bruffione, sopra Cimego. Già il
21 giugno, due giorni dopo la dichiarazione di guerra, Garibaldi aveva
comandato al 2º Reggimento Volontari Italiani e al 2º Battaglione
bersaglieri di raggiungere le posizioni di confine, specie il monte
Suello, luogo forte che dominava il Piano d'Oneda e lo strategico
passaggio di confine al ponte sul Caffaro. Il passaggio appariva
obbligato in quanto, fra i due laghi, non esisteva altra strada
percorribile con artiglierie (il Garda era guardato dalla flotta
lacustre austriaca).
Ndr: se a Garibaldi
gli piacevano gli itinerari difficili questo non poteva essere migliore.
Prendete l'auto e fatevi un giro in zona per rendervene conto: Risalite
il lago d'Idro e salite a Bezzecca) La flottiglia navale garibaldina aveva il suo
quartier generale a Salò, ed il comandante era il T. Col. Augusto Elia
(vedi carneade) e CSM il capitano Alberto Mario. Comandante delle truppe
di fanteria della zona del Garda, con sede sempre a Salò, era il
generale Giuseppe Avezzana. La flottiglia era composta da due cannoniere
in legno varate dall' Ansaldo, il Solferino e il San Martino, una
cannoniera a vapore, la Torrione, donata da Napoleone III nel 1859, e il
piroscafo a ruote Verbano, ribattezzato poi Benaco (poi
catturato). L’esercito austriaco poteva contare dalle sue basi su ben 22
imbarcazioni tra cui: 2 grossi vapori a motore, il Generale Hess e il
Franz Joseph, 6 cannoniere a elica e una dozzina di lance con un
armamento complessivo di 62 cannoni e 10 spingarde.
.....
Cialdini a questo
punto si ritira su Modena. Quando finalmente La Marmora si fa vivo l'ordine del giorno è di indietreggiare ulteriormente
sull'Oglio. Garibaldi intanto con i suoi volontari (5 brigate) sulle Alpi Bresciane,
ha conquistato a duro prezzo Monte Suello sulla strada per Trento ma ne era
ridisceso alle avvisaglie della disfatta. Il 26 La Marmora se la prende con Cialdini, Cialdini con il
Re, Il Re con se stesso per essersi intromesso in questioni
strategiche dove era assolutamente ignorante. La sera del 29 giugno, a Parma,
La Marmora riprende il comando dopo le dimissioni e decide di
passare all'offensiva ai primi di luglio. Nella notte fra il 2 e
il 3 La Marmora ripassa l'Oglio, mentre Garibaldi riparte alla
conquista di Monte Suello. Il 3 luglio i
prussiani sconfiggono gli austriaci a Sadowa aprendosi la strada per
Vienna. Tutte le forze austriache disponibili debbono convergere verso il
Danubio, comprese quelle in Italia non impegnate in prima linea. Nella
notte del 7 Cialdini getta i ponti sul Po a Occhiobello e l'11 entra a
Rovigo. Il giorno dopo è a Padova. Già dal 5 luglio il 1° (Franchini) e 21° battaglione
bersaglieri, che erano
di base a Brescello (Re), sono
impegnati a Borgoforte di Mantova, piazzaforte che resisterà ancora 15 giorni
all'assedio. In un ultimo consiglio di
guerra tenuto a Ferrara si stabilirono finalmente gli obiettivi.
Cialdini proseguiva per il Veneto, mentre Garibaldi avrebbe dovuto
penetrare a fondo avvicinandosi a Trento.
Con una possibile pace mettere piede e confini in Trentino e Friuli poteva
ripagare la sconfitta. Treviso cade il 14; San Donà di Piave il 18,
Valdobbiadene ed Oderzo il 20, Vicenza il 21 luglio, Udine in Friuli !!! il 22
luglio. Dal 19 luglio, Cialdini aveva affidato una sua divisione
(4
reggimenti di fanteria, due battaglioni di bersaglieri, 2 squadroni di
lancieri, 3 batterie, una compagnie del genio), in
tutto circa 9.000 uomini, 180 cavalli e 18 pezzi al generale Medici con il compito di
risalire il Brenta da Padova e prendere per la Valsugana (la strada di Trento
da Bassano e Primolano).
Altre tre
divisioni puntano invece su Trieste col Gen. Raffaele Cadorna
direttamente al cuore adriatico degli Asburgo. Il 21 luglio,
all'indomani del nostro disastro navale di Lissa, Garibaldi
riporta a Bezzecca una chiara vittoria che gli apre la strada per Riva
del Garda. Il 22 i bersaglieri del Col. Negri (23° e 25°) superano le
Gole di Primolano e sbucano in Valsugana. Sulla strada per Trento ormai
non c'è più nessuno a difenderla. Medici e Garibaldi potrebbero di li a
poco incontrarsi a Trento !!!
La battaglia di Borgo Valsugana [da wikipedia]
Il Medici, lasciato alle h 8 di mattina, avanzò
lentamente lungo la strada mentre alcune compagnie di bersaglieri
procedevano, a copertura, lungo il pedio destro e sinistra della valle,
sino a Castelnuovo, sotto Strigno. Da qui dispose i suoi 5'000 uomini,
180 cavalli e 6 pezzi di artiglieria, in marcia su tre colonne. La prima
seguiva il fondovalle verso Borgo Valsugana. La seconda, forte di tre
compagnie, doveva salire da destra su Telve, conquistare Castel San
Pietro, sopra Borgo, e procedere lungo la strada di montagna che porta a
Roncegno, alle spalle di Borgo. La terza, forte di un battaglione,
doveva doveva salire da sinistra su Olle, sopra Borgo e da lì scendere
sulla cittadina. Il grosso doveva attendere a Castelnuovo, in colonna di
marcia. Il von Pichler, che aveva ricevuto una compagnia in rinforzo da
Trento, fece disporre una barricata all’ingresso dell’abitato, truppe al
ponte sul torrente Céggio, davanti a Borgo, truppe e batterie in
collina. In tutto 857 uomini e 8 pezzi di artiglieria. I primi scontri
si ebbero Castel San Pietro, sulla destra. Contemporaneamente la prima
colonna si mosse verso il ponte sul Céggio, che venne occupato. Seguì
una serie di fucilate reciproche, finché la minaccia della colonna
sinistra italiana indusse il von Pichler ad ordinare la ritirata. Le
retroguardie rimasero barricate nella cittadina, poi uscirono,
resistettero in quadrato ad alcune cariche dei lanceri e ripiegarono su
Roncegno. Alle 9’00h le truppe, spossate, raggiunsero Levico Terme
(lago), 12 Km. oltre Borgo Valsugana. Ad un mese dalla sconfitta di
Custoza l’esercito italiano marciava su Trento. L’arciduca Alberto
d'Austria ordinava al Kuhn: “le estreme punte dell'armata rimangano nelle loro
attuali posizioni. Poi tenere Trento fino all'ultimo” (se in difficoltà
ripiegare sul Sud Tirolo mantenendo il passo di San Lugano sgombro da
altre infiltrazioni italiane). Come un fulmine a ciel sereno giunse in
ritardo la notizia di una tregua di 8 giorni concessa dai Prussiani a
partire dalla mattina del 25 luglio.
(argento al
23° e 25°
bersaglieri, oro alla Brigata Pavia)
La testa d'attacco di Cadorna giunge
intanto alla stellata città fortezza di Palmanova dove sono asserragliati
25.000 austriaci. Per la prima volta la cavalleria viene usata in azioni
di avanscoperta e di profondità, in un servizio che sarebbe stato
oltremodo utile in questa e nelle guerre antecedenti.
Il 26 luglio sul ponte del torrente Versa
in una serie
di scontri che vedono impegnati il 10°,16°,22° e 35 °
battaglione bersaglieri ed
aliquote dei lancieri di Firenze del Col.
Francesco Brunetta
d'Usseaux
irrompe anche qui un portaordini che reca il
dispaccio dell'armistizio.
" 9 agosto 1866 - Padova
ore 6 a.m.- telegramma per il Gen. Garibaldi-
" Considerazioni politiche esigono....che tutte le forze (ns) si ritirino
dal Tirolo (Trentino). Ella disporrà che per le 4 a.m. del 11 agosto ...le truppe
da lei dipendenti abbiano lasciato le frontiere del Tirolo". Firmato
Alfonso La Marmora
Risposta " Da Gen. Garibaldi a Gen. Alfonso La Marmora - Bezzecca 9
agosto 1866-
"Ho ricevuto il dispaccio 1073.
Obbedisco"
dossier
completo Garibaldi
http://digilander.libero.it/trombealvento/indicecuriosi/garibaldi.htm
Alle trattative
di pace l'Italia rivendicava in base all'
"Uti Possidetis" anche il
controllo del Trentino già occupato (oltre a Udine). In Valsugana Medici era a Cirè a metà strada fra
Trento e Pergine. Nelle Giudicarie Garibaldi era a Condino, Ledro e
Riva.
IL MINISTRO D’ITALIA A PARIGI AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DI
FRANCIA - Parigi
NOTA VERBALE - 30/7/1866
Consentendo
all’armistizio il Governo italiano si è riservato di trattare nei
negoziati di pace la questione dei confini. Sotto questo titolo il
Governo italiano farà, valere i suoi reclami relativamente al Trentino
Il Governo del Re spera che l’imperatore (di Francia) e il suo Governo
vorranno appoggiare questa domanda. La riunione del Trentino al Regno è
essenziale per l’Italia. Quel territorio appartiene alla penisola
etnograficamente, geograficamente, storicamente e (ora Uti
possidetis) militarmente.
L’Italia non domanda tutta quella parte del Tirolo italiano che era
annessa all’antico Regno d’Italia sotto la denominazione (francese) di Dipartimento
dell’Alto Adige. Le sue domande si limitano esclusivamente alle
popolazioni italiane. Già nel 1848 Lord Palmerston in una lettera al
sig. Hummelhauer, proponeva di fissare il confine tra l’Italia e
l’Austria in una linea da tracciare tra Bolzano e Trento. Quelle
popolazioni hanno le stesse aspirazioni nazionali delle altre
popolazioni del Veneto. Esse parlano la medesima lingua. E’ dall’Italia
che esse traggono le loro risorse. Se esse fossero separate da1 Regno
d’Italia, si troverebbero poste, come già la Savoia (ns), tra una barriera di
dogane al sud ed una barriera di montagne al nord, e non troverebbero
nelle loro gole rinchiuse e poco fertili le stesse risorse che le
popolazioni della Savoia trovavano in un territorio più esteso e più
fecondo.
Malgrado la cessione del Trentino l’Austria avrebbe ancora in sua mano
le migliori posizioni del versante meridionale delle Alpi, mentre quel
territorio permetterebbe tutt’al più all’Italia di fortificare Verona
dal lato della Germania a scopo di difesa. Infine, l’Austria padrona del
Trentino, minaccia contemporaneamente il Veneto, Brescia e Milano, e si
mantiene sul lago di Garda. Questa questione è dunque estremamente importante.
Dal modo nel quale essa sarà
risolta dipenderà in gran parte lo stabilirsi di rapporti
definitivamente amichevoli tra l’Italia e l’Austria.
(i rapporti
oltremodo amichevoli verranno ripristinati senza che la riserva
precedente sia rispettata. Il buffonismo era un carattere che non
mancava certo nella diplomazia nostrana)
Con la firma della
pace il Veneto poi passa alla Francia !!! che lo cede all'Italia
!!!!. Ciò non ci
esimeva dallo sborsare 97 milioni di vecchie lire per ripianare proquota
il debito
pubblico Asburgico in capo alla regione (vicereame) italiana (risparmiammo forse sulla vecchia
proposta austriaca !? ma non sulla figuraccia, ma era prassi
internazionale
http://www.prassi.cnr.it/prassi/content.html?id=3051 ).
Con il Veneto termina una
serie di annessioni cominciate nel 1859 (partite dalla Lombardia per
arrivare fino al Regno delle Due Sicilie). In ognuna di queste regioni viene svolto
nel 1860
un plebiscito con i risultati sotto
esposti. Un maggior approfondimento su queste consultazioni al link
Farini
I PLEBISCITI RISORGIMENTALI IN DETTAGLIO
14 agosto 1859 - Il governo provvisorio di
Parma indice un
plebiscito per l'annessione al Regno di Sardegna che darà una
maggioranza di 63.167 voti contro 504. Tale plebiscito, che si svolgerà
in due tornate, il 14 e 21 agosto, non avrà tuttavia valore ufficiale e
il governatore straordinario piemontese Luigi Carlo Farini decreterà
l'istituzione di un'assemblea eletta da tutti i cittadini al di sopra
dei 21 anni capaci di leggere e scrivere, con il compito di votare una
mozione di decadenza della dinastia borbonica e di annessione al Regno
di Sardegna.
20 agosto 1859 - L'Assemblea
Toscana approva all'unanimità l'unione al Piemonte e raccomanda
il proprio voto alla protezione di Napoleone III ed dell'Inghilterra. Il
16, all'inizio dei lavori, aveva dichiarato decaduta per sempre la
dinastia lorenese. Fra i membri dell'Assemblea si assentano per il voto
soltanto l'unico repubblicano dichiarato, Giuseppe Mazzoni, e Giuseppe
Montanelli, che nel frattempo è passato su posizioni bonapartiste ed è
fautore di un regno dell'Italia centrale sotto il principe Giuseppe
Napoleone.
Il 21 agosto 1859 - L'assemblea
Modenese, eletta sulla base di una legge elettorale (locale) che
concede il diritto di voto a tutti i cittadini maggiori di 21 anni che
sappiano leggere e scrivere, aveva deliberato all'unanimità l'unione
delle province modenesi al Regno di Sardegna.
11-12 settembre 1859 - L'Assemblea parmense eletta secondo la modalità
dettate dal governatore piemontese, approva all'unanimità la decadenza
della dinastia dei Borboni di Parma e l'annessione delle province
parmensi al Regno di Sardegna.
11-12 marzo 1860 - Sono indetti in
Emilia e in Toscana i
plebisciti per scegliere fra l'annessione alla monarchia costituzionale
del re Vittorio Emanuele II e un regno separato. Hanno diritto di voto
tutti i cittadini maschi che abbiano compiuto ventun anni e godano dei
diritti civili.
In Emilia su 526.218 iscritti votano 427.512 (81,1%), dei quali 426.006
a favore dell'annessione, 756 per il regno separato e 750 nulli. In
Toscana su 534.000 iscritti, votano 386.445 (73,3%), dei quali 366.571 a
favore dell'annessione, 14.925 per il regno separato e 4.949 nulli. I
risultati dei plebisciti saranno solennemente presentati a Vittorio
Emanuele II rispettivamente il 18 e il 22 marzo e le due regioni saranno
dichiarate parti integranti del Regno di Sardegna.
21 ottobre 1860 - Un plebiscito sull'annessione al Piemonte si svolge
nel Regno delle Due Sicilie.
Nel continente su circa 1.650.000 iscritti nelle liste elettorali (su
una popolazione di 6.500.000 abitanti) i votanti sono 1.312.366 (79,5%)
di cui 1.302.064 favorevoli e 10.302 contrari. In Sicilia su circa
575.000 iscritti (su 2.232.000 abitanti) i votanti sono 432.720 (75,2%),
di cui 432.053 favorevoli e 667 contrari.
4 novembre 1860 - Si svolgono nelle
Marche e nell'Umbria i
plebisciti per l'annessione. Nelle Marche su circa 212.000 iscritti i
votanti sono 134.977 (63,7%), i voti favorevoli 133.765 e i contrari
1.212. Nell'Umbria su 123.000 iscritti i votanti sono 97.708 (79,4%), i
voti favorevoli 97.040, quelli contrari 308.
Regione
|
voti a favore
|
voti contro |
%O
dei no |
|
Lombardia |
561.000 |
681 |
1,21 |
Parma, Modena (Re), Bologna |
427.512 |
756 |
1,77 |
Toscana, |
386.445
|
14.925 |
38,62 |
Umbria |
97.040 |
308 |
3,17 |
Marche |
133.765 |
1.212 |
9,06 |
ex Regno Due Sicilie |
1.302.067 |
10.302 |
7,91 |
Sicilia
solo Isola |
432.053 |
667 |
1,54 |
dati rielaborati da
http://www.econlib.org/LIBRARY/YPDBooks/Lalor/llCy598.html
|
Una certa opposizione
(legittimismo) doveva pur sopravvivere nei territori conquistati e,
se escludiamo la Lombardia da lunga data antiaustriaca, risaltano i
pochi no dell'Emilia ottenuti con imbrogli (i si gonfiati in
particolare per Modena). Nel 1848 si erano già tenute altre
consultazioni, ma erano tempi diversi. Subito nell'estate del 1859,
a ferro caldo, s'erano tenute consultazioni informali: Parma il 14
agosto aveva votato si con espressione del voto, la Toscana lo aveva
fatto a mezzo di una assemblea (eletta da chi ?), a Modena
altrettanto (vedi sopra Farini), ma
tutte queste deliberazioni erano state ritenute nulle e inutili.
Arriviamo quindi al 1860 dove i dati della Sicilia sono comparabili
con l'Emilia (Modena). La percentuale dei votanti sugli aventi
diritto si attesta sull'80% ma gli aventi diritto in questo caso sul totale della
popolazione non è mai più di 1/5 e non andrebbe e andrà più a votare
non essendo previsto allora un voto popolare, bensì per censo
(Nella pratica il plebiscito è stato usato storicamente più volte
(fra cui l'elezione a imperatore di Napoleone III) per avere una
convalida popolare a situazioni di fatto, con votazioni spesso
dall'esito scontato, da cui il termine plebiscitario è entrato
nell'uso comune per indicare un voto a larghissima maggioranza, la
maggior parte delle volte ottenuto con mezzi non democratici, con
violenze o brogli. Vi ricorse anche Benito Mussolini nel 1928 per
far approvare la lista unica bloccata di candidati alla Camera dei
fasci e delle corporazioni. Deriva dal latino plebs-plebis ("plebe")
e scitum ("deliberazione", "ordine").
LA GUERA SUL MARE - LISSA
Nell'immagine sopra il
comandante del reparto di fanteria di Marina (Marines) S. Marco allora imbarcato sulle navi
in divisa simile a quella dei Bersaglieri tanto da farli chiamare dagli
austriaci Bersaglieri.
“…… Non è possibile non riconoscere
negli Italiani un coraggio straordinario, che giungeva fino al
suicidio", allorquando la nave "RE D’ITALIA" affondava e i suoi
Bersaglieri si arrampicavano sulle alberature, tirando con le carabine
sull’ammiraglia austriaca.
Sulle
acque di Lissa il 20 luglio si era consumata invece
una incredibile sconfitta
navale, quella che venne definita
"una flotta di
corazzate di ferro comandata da una testa di legno perse contro una
flotta di legno comandata da una testa di ferro".
12 erano le nostre navi corazzate
contro le 7 austriache. Persano fu processato dal Senato nel gennaio
1867 e radiato dalla marina dopo essere stato riconosciuto colpevole di
imperizia, negligenza e inadempimento della missione affidatagli.
http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Lissa
Upon the squadron coming into sight the firing both on sea and land
became appalling. Four Italian armoured vessels, two frigates, and two
corvettes bore down under full steam upon the Austrian three-decker. The
action became furious, the three-decker, enveloped in smoke, appeared
like some monstrous animal standing at bay against a pack of hounds. Her
gunners, nearly all Dalmatians, and who were not under fire for the
first time, replied to the broadsides of their antagonists by a fire
less rapid, but better aimed. The admiral, seeing the danger in which
that ship was placed, went to its aid and directed his own vessel at
full speed upon one of the large Italian frigates. This frigate, already
damaged at the water line, was stove in a little above the deck. A great
cry was heard, a loud clamour, an immense gulf seemed to open amid the
waves, and then wide spreading circles were seen upon the surface of the
water which had again become smooth. The frigate had been swallowed up.
Its engulfment was, however, marked by a glorious episode. A half
battalion of Bersaglieri, who were on board, climbed up on to the tops,
and, while holding on by the ropes, shouldered their rifles as on a
parade ground and sent a final volley upon the deck of the Archduke
Maximillian. The parting farewell produced terrible effects - 20 killed
and 60 wounded falling around the Admiral, who seemed to be invulnerable.
La storia di questo reparto al link
di questo sito
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/eramoderna/altri2.htm
A Palermo intanto si consumava una sanguinosa
rivolta (detta delle 7 giornate:16-22 settembre). Le scintille, innescanti il fuoco della sommossa, furono come al solito occasionali. Furono le limitazioni imposte alle
feste di S. Rosalia, patrona cara al cuore di ogni palermitano, e l'introduzione del monopolio statale del tabacco con la fine dell'esenzione goduta fino allora in Sicilia. Rapidamente divampò la protesta degli strati più popolari e si ebbero i primi disordini. Era ciò, che aspettava da tempo il Comitato rivoluzionario con le sue squadre clandestine già allertate.
Toccò per prima a Monreale, dove un'intera compagnia di granatieri, che
spalleggiava il Delegato di P.S. Rampolla, fu letteralmente fatta a
pezzi insieme a quest'ultimo. La scena si ripeté a Boccadifalco con lo
sterminio di un reparto di "carabinieri piemontesi". A Misilmeri al
termine della giornata si contarono ben 27 morti fra i soldati. Tutti i
centomila contadini della Conca d'Oro insorsero. I più decisi, armati di
vecchi schioppetti da caccia, si unirono alle squadre e
marciarono su Palermo, al loro seguito centinaia di carri carichi di
vettovaglie. L'adesione ai moti da parte della cittadinanza fu unanime
con innumerevoli vittime d'ambo le parti. I circa 30- 40.000 insorti in
armi tennero in scacco i migliori reparti del regio esercito, battendoli
ripetutamente, per sette giorni e mezzo in città e per dodici giorni
nel circondario. L'esercito arrivò ad impegnare più di 40.000 uomini
agli ordini del generale Cadorna, inteso poi come "il
macellaio", oltre ad ingenti forze di polizia e gran parte della
marina da guerra, che bombardò a più riprese la città. Cadde quel
Salvatore Miceli, capobanda di picciotti che andò in aiuto a Garibaldi
nel '60. La numerosa Guardia Nazionale, che aveva rifiutato in massa di
sparare sui concittadini, si disciolse come neve al sole e molti
elementi passarono con i ribelli. Per ironia della sorte i più
irriducibili combattenti delle squadre furono le centinaia di giovani
renitenti alla mal sopportata coscrizione obbligatoria, istituita di
recente dal governo.
Se la rivolta di Palermo era ancora una
rivolta "borbonica" quella del 1868 in Emilia (e pure altrove) era già
una rivolta sociale con risvolti "risorgimentali". In Sicilia avevano
tolto privilegi qui avevano aumentato le tasse. Queste rivolte contadine
legate anche all'andamento delle stagioni, del clima e dei raccolti si
ripeteranno a scadenza regolare fino alla fine del secolo. Cosi rilevo
da un giornalino con un grosso mio punto di domanda finale.
L’ALMANACCO, n. 55-56 2010 -
Fabrizio Montanari - Angelo Manini e i moti del macinato nel reggiano -
1ª parte
La crisi economica del nuovo Regno d’Italia
Il 1868 fu un anno di grande miseria, di pesanti sacrifici e di profondo
malcontento per il popolo italiano. L’unità del Paese stava per
completarsi con la liberazione di Roma, ma il sud e il nord d’Italia
erano profondamente divisi su tutto. La crisi economica del nuovo Regno
unitario era gravissima, il bilancio dello Stato, infatti, versava in
pessime condizioni e non s’intravvedeva una realistica via d’uscita. Dal
punto di vista economico, infatti, l’Italia era uscita con le ossa rotte
dalla Terza Guerra d’Indipendenza del 1866. Dopo il 1861 la costruzione
delle strade ferrate, la lotta contro il brigantaggio al Sud, il
trasferimento della capitale a Firenze nel 1865, furono altrettante
cause di spese notevoli per le casse del Regno. La banca Anglo-italiana
di cui era presidente Ricasoli, fallì e i prestiti per la ricostruzione
del paese divennero sempre più costosi. L’unificazione doganale e
l’applicazione della legislazione piemontese all’intero territorio
nazionale accentuarono ancora di più il divario fra l’economia del Nord
e quella dell’Italia meridionale. .. Se l’industria e l’agricoltura
erano in crisi, la svalutazione della moneta portò al rallentamento del
commercio e all’aumento del costo dei generi alimentari, con il
risultato di mettere definitivamente in ginocchio le classi più povere….
“L’imposta sul macinato (la legge fu pubblicata il 7 luglio con
decorrenza dal 1º gennaio 1869) – scrisse il giornale di orientamento
mazziniano “L’Avvenire dell’Operaio” di Torino il 23 febbraio 1868 –
rovinerà l’Italia, e potrebbe far nascere gravi disordini”. Crispi (capo
della sinistra): “Quando il governo è uscito dalla legge, io riconosco
nel popolo il diritto di resistenza”. La stessa posizione fu sostenuta
da tutti i giornali democratici, dalle Società di Mutuo Soccorso e dalle
Associazioni Operaie che erano sorte nel frattempo in molte regioni ad
opera dei repubblicani e dei democratici. Mazzini, invece, sorprese
tutti. Egli, pur non sottovalutando le conseguenze economiche della
nuova tassa sulla povera gente, mantenne ancora come priorità assoluta
della sua azione l’unione all’Italia di Roma, senza farsi coinvolgere in
situazioni che avrebbero potuto compromettere il raggiungimento di
quell’obbiettivo. All’amico Andrea Giannelli il 31 marzo scrisse: “La
miseria crescente, il macinato se approvato, ecc., aumenteranno il
malumore; ma le ragioni materiali hanno fatto sommosse, non mai
rivoluzioni” Nelle provincie di Bologna, Parma e Reggio Emilia le
proteste furono così estese e violente da indurre il governo ad affidare
il 5 gennaio 1869 i poteri al generale Raffaele Cadorna.
Non è un caso che siano state le
città dei vecchi ducati (quello di Parma con Maria Luigia e quello
Estense di Modena e Reggio) e le terre soggette al potere temporale dei
Papi ad assumersi il ruolo di capofila della rivolta. In quelle terre,
infatti, i contadini erano stati da sempre in qualche modo tutelati
dallo stato e vigilati dal clero locale. Ora, invece, essi diventavano i
più danneggiati dall’introduzione della nuova tassa.
Anche per queste ragioni non era
raro udire i contadini invocare il ritorno degli antichi regimi e urlare
sotto le finestre dei sindaci “Viva il Papa” o “Viva il Duca”.
L’11 e 12 marzo 1860, a riprova del desiderio di cambiamento andarono a
votare per l’annessione nei ducati estensi 50012 voti a favore contro
77 contrari.
Ma chi era andato a votare se
erano filo ducali e filo papali ?
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/carneade/farini.htm la
truffa dei plebisciti
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