SECONDO CAPITOLOI Bersaglieri Marò della Fanteria di MarinaNel secolo 18° la necessità di sbarcare truppe per
acquisire teste di ponte utili a future operazioni militari non era molto
sentita. I tempi d'intervento e decisionali erano talmente lunghi che si poteva
andare incontro sia ad irrimediabili sconfitte sia ad inusitate temporanee
vittorie.
L'unica
vera necessità con i grandi trasporti era l'occupazione d'aree portuali cui far
accedere velieri da carico e navi da sbarco. Le uniche vie di comunicazione
attive andavano, infatti, dai porti alle città dell'interno o di frontiera.
Sulle navi da battaglia era quindi imbarcata una piccola aliquota di marinai
armata ed addestrata per occupare e difendere da leggeri attacchi il porto e le
vicinanze. Si trattava, in effetti, di porti privi d'alcuna difesa da terra che
non fossero altri velieri armati. Non si potevano imbarcare troppi uomini, dati
gli spazi, e neanche se ne potevano perdere, poiché gli stessi sovrintendevano
anche alle operazioni di navigazione di bordo. Una volta occupato il punto di
sbarco si potevano far arrivare supporti a difesa e quant'altro serviva. La nave
armata fungeva poi da difesa con l'artiglieria di bordo, salvo levare le ancore
qual ora fosse attaccata pesantemente sia da mare sia da terra. Le compagnie e i
plotoni da sbarco erano chiamati "Equipaggi Real Navi". La
costituzione di forze da sbarco regolari e specifiche era già in uso presso le
Repubbliche Marinare e lo stesso Piemonte già dal 1690 aveva avviato a Nizza la
costituzione di un reggimento denominato La Marina e composto di marinai della
Squadra Navale. Quando nel 1713 Vittorio Amedeo II° ottiene il titolo di Re ed
il possesso della Sicilia l’esigenza di disporre di soldati mobili,
prontamente utilizzabili si rende più pressante. Nel 1714 viene costituito il
"Corpo della Marina", di cui fa parte un "Battaglione delle
Galere" su quattro compagnie divise tra le diverse navi, più un certo
numero di compagnie per la difesa costiera. Gli effettivi erano arruolati presso
il centro di reclutamento del reggimento "La Marina", ricostituito dal
1701. Il precedente reggimento era stato impiegato in operazioni terrestri
in Francia e nei Paesi Bassi, dove si era dissolto. Ricordiamo che allora l'unico sbocco del Piemonte sul mare era
Nizza, dove nacque anche Garibaldi. La Brigata mista fu mantenuta per circa 30
anni poi sostituita dal Battaglione Real Navi che si coprì di glorie prendendo
parte alla 1^ Guerra d’Indipendenza, combattendo sia a bordo delle navi sia a
terra e distinguendosi a Novara, Goito, Pastrengo, Peschiera. Nel 1851 il Real
Navi fu sciolto. L’intervallo fu breve e nel 1861, per i buoni auspici di
Cavour, unificando tutte le marinerie dei disciolti stati, si ricostituisce una
brigata a reggimenti ridotti di Fanteria Real
Marina. I compiti assegnati
furono molteplici e delicati, si videro così i fanti di Marina impegnati sia a
terra, per la difesa e sorveglianza degli arsenali e di tutte le installazioni
marittime, sia a bordo come compagnie da sbarco.
L’addestramento derivava
prevalentemente da quello dei bersaglieri e di questi vestivano l’uniforme con
la sola differenza delle mostrine, del fregio sul cappello (ancora) e del
cordone che aveva un colore diverso. Durante la III
Guerra d’Indipendenza parteciparono, con valore, alla Battaglia di Lissa. Il
17 luglio 1866 vide la squadra navale dell’ammiraglio Persano muovere da
Ancona, con a bordo circa 3,000 fanti di mare, per effettuare
l’operazione di sbarco sull’isola di Lissa. L’azione anfibia non fu
portata a compimento a causa di fatali rinvii, nonché per la tenace difesa del
presidio austriaco sull’isola difesa da navi cannoniere. Nella sfortunata giornata del 20 luglio, ai
fanti di Marina non rimase che riscattare con il proprio valore l’infausto
epilogo della prima azione della giovane Marina d'Italia. Il coraggio di questi
uomini colpì lo stesso ammiraglio austriaco, il quale nella relazione
presentata al proprio governo: “…… Non è possibile non riconoscere negli
Italiani un coraggio straordinario, che giungeva fino al suicidio",
allorquando la nave RE D’ITALIA affondava e i suoi Bersaglieri di Marina si arrampicavano sulle alberature, tirando con le carabine
sull’ammiraglia austriaca. Upon
the squadron coming into sight the firing both on sea and land became appalling.
Four Italian armoured vessels, two frigates, and two corvettes bore down under
full steam upon the Austrian three-decker. The action became furious, the
three-decker, enveloped in smoke, appeared like some monstrous animal standing
at bay against a pack of hounds. Her gunners, nearly all Dalmatians, and who
were not under fire for the first time, replied to the broadsides of their
antagonists by a fire less rapid, but better aimed. The admiral, seeing the
danger in which that ship was placed, went to its aid and directed his own
vessel at full speed upon one of the large Italian frigates. This frigate,
already damaged at the water line, was stove in a little above the deck. A great
cry was heard, a loud clamour, an immense gulf seemed to open amid the waves,
and then wide spreading circles were seen upon the surface of the water which
had again become smooth. The frigate had been swallowed up. Its engulfment was,
however, marked by a glorious episode. A half battalion of Bersaglieri, who were
on board, climbed up on to the tops, and, while holding on by the ropes,
shouldered their rifles as on a parade ground and sent a final volley upon the
deck of the Archduke Maximillian. The parting farewell produced terrible effects
- 20 killed and 60 wounded falling around the Admiral, who seemed to be
invulnerable. Andrea BAFILE nasce a Bagno (L'Aquila) il 7 ottobre 1878. Entrato all'Accademia Navale di Livorno nel 1899 ne esce col grado di Guardiamarina per prestare servizio sulla corazzata Lepanto. Promosso Sottotenente di Vascello nel 1902 prende imbarco su varie navi della Squadra, applicandosi nello studio dei problemi del tiro navale. Promosso Tenente di Vascello si imbarca prima sull'Ariete torpediniera Elba e quindi sulla nave da battaglia Vittorio Emanuele. Il 23 aprile 1913, durante un pericoloso incendio sviluppatosi nei depositi munizioni dell'esploratore Quarto, con fermezza d'animo e sprezzo del pericolo riesce a raggiungere i congegni di allagamento e a domare l'incendio. In quella occasione venne decorato di Med. d'Argento al V. Militare. Successivamente si imbarca su siluranti di superficie, prima con l'incarico di ufficiale in 2a sull'Audace, poi come comandante della torpediniera Ardea, a bordo della quale opera nel primo conflitto mondiale, fino al giugno 1917. Nell'ottobre dello stesso anno partecipa, in veste di osservatore, all'operazione aerea su Cattaro con D'Annunzio, subendo una grave lesione all'occhio, che lo costringe ad un lungo periodo di riposo (Bronzo al Valor Militare). Fu lui a dotare gli aerei di fanali Donati, di pistole da segnalazione Very, di razzi illuminanti, di fuochi indicatori Holmes, di salvagenti Kapok e a collare. In particolare, però, egli fece montare su numerosi aerei bussole "a liquido" di tipo navale molto simili a quelle regolamentari usate dalle torpediniere, che avrebbero consentito di compiere il volo cieco (di notte o in proibitive condizioni meteorologiche) a piloti di terra abituati al volo a vista. E dopo chiese di partecipare come osservatore visto che la marina allora non aveva aerei. Il carico utile di bombe non adeguato all’obiettivo e la quantità di mezzi presenti (l'ampiezza della base e la dispersione degli obiettivi rese impossibile concentrare il fuoco su ciascun bersaglio) non produssero risultati consistenti se non quello psicologico del “non c’è più posto sicuro in Adriatico”. "Degni di ammirazione per l'ardimento sereno e gioviale gli aviatori delle Squadriglie 1a bis e 15a bis, i quali attingono una ferrea forza d'animo ed una incrollabile fede nella vittoria, dai successi ottenuti, e dalla parola e dal magnifico esempio di Gabriele D'Annunzio." Diceva Bafile ai conterranei durante la licenza per la lesione subita alla cornea.
Passato
alle dipendenze del Comando Marittimo di Venezia chiede, ed ottiene, il
trasferimento presso la Brigata Marina operante a terra sul Basso Piave. Il 12
marzo 1918, al comando del Battaglione "Monfalcone", mentre si stava
preparando una operazione, volle osare di persona una rischiosa ricognizione tra
i canneti e i pantani della sponda sinistra. Sventato un possibile agguato,
trovava riparo nelle trincee, accorgendosi però della mancanza di uno dei suoi.
Rifà da solo il percorso ma viene scoperto dal nemico mentre ripassa il fiume.
Fatto segno di vivo fuoco viene mortalmente ferito pur guadagnando la sponda
destra in gravissime condizioni. Conscio della fine imminente, con mirabile
forza d'animo e completa lucidità di mente, riferiva anzitutto quanto aveva
osservato e dirigeva ai suoi le ultime infiammate parole. Spirava a Venezia la
sera stessa.
Anaclerio – “Fui chiamato da parte dal
Comandante della Brigata Ammiraglio Molé il quale volle conoscere ogni
particolare sulla ricognizione eseguita per la quale mi condusse subito in
motoscafo a Venezia a quel Comandante della Piazzaforte Ammiraglio Marzoli.
Questi, dopo avermi ascoltato, mi ordinò di recarmi immediatamente così come
ero, infangato ed intriso di sangue, a campo S. Maurizio dove il Poeta-Soldato
mi venne a rilevare a bordo unitamente a Costanzo Ciano e Luigi Rizzo. Anche qui
raccontai per filo e per segno l’andamento della missione; dopo di che
D’Annunzio mi affidò un plico per la madre dell’Eroe e baciandomi mi dette segno
di sé con un autografo così concepito: A Giovanni Anaclerio con molta
riconoscenza. Gabriele D’Annunzio."
LE RICOMPENSE
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