SIGNOR MIO E DIO MIO











GIOVANNI 20,28





 

GIOVANNI 20,28

 

o kurioς  mou kai o qeoς  mou

Il Signore di me e il Dio di me

 

 

Per chi crede nella trinità, la confessione di Tommaso è forse la più evidente affermazione della divinità di Cristo. Inoltre qui troviamo o qeoς, cioè Dio con l'articolo applicato al Figlio (come pure in Romani 9,5;  Tito 2,13;  Ebrei 1,8;  1 Giovanni 5,20 e Matteo 1,23).  Dal punto di vista strettamente grammaticale, l’affermazione di Tommaso potrebbe avere sia valenza nominativa enfatica “Il mio Signore e il mio Dio” sia valore vocativo esclamativo solenne “O Signore mio e Dio mio”.  In caso di sfumature vocative la forma “o kurioς  mou kai o qeoς  mou" sembrerebbe più solenne del vocativo classico  kurie (Matteo 7,21) e qee (Matteo 27,46).  Si noti comunque come il grido di Gesù sulla croce “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” sia reso da Matteo (Matteo 27,46) con “qee mou qee mou” e da Marco (Marco 15,34) con “o qeoς mou o qeoς mou”.

 

Di fatto, la frase -Rispose Tommaso e gli (autω) disse: "Signor mio e Dio mio" (o kurioς  mou kai o qeoς  mou)-  sembra chiaramente diretta al Figlio, considerato anche il fatto che il termine autω (gli ) è presente in tutti i manoscritti. Il versetto è poi inserito nel mezzo di una conversazione tra Gesù e Tommaso e l’ipotesi che Tommaso si stesse rivolgendo inopinatamente al Padre o stesse gridando di sorpresa  sembra difficilmente sostenibile.

 

Unitari, ariani e sociniani videro in queste parole di Tommaso solo un’esclamazione, ma i Padri della Chiesa citarono le parole di Tommaso come una prova evidente della divinità di Cristo (vedansi, ad esempio, Tertulliano, Una risposta ai Giudei, VII; Novaziano, Trinità, XXX; Atanasio, Trattato contro gli ariani, II, 23; Agostino, La Trinità, IV, 3, 6).  È opinione diffusa che i Giudei avessero un timore ed un rispetto molto profondo verso Dio così che non avrebbero mai usato kurioς e qeoς per esprimere semplice meraviglia (Esodo 20:7).  

 

Di fatto, la formula “o kurioς o qeoς” si trova sia nella Settanta che nel Nuovo Testamento ed è applicata solo a Dio Padre in descrizioni, atti di fede, preghiere ed invocazioni. Ogni giudeo (come Tommaso) sapeva pertanto che l’espressione greca “o kurioς  o qeoς” corrispondeva all’ebraico אדני  אלחים (Adonay-Elohim), titolo che poteva essere riferito solo a יהךה (Yahweh) e non ad angeli, dei minori, giudici, esseri potenti, profeti o falsi dei.

 

A tal proposito vedasi ad esempio:

·        Destati, svegliati per il mio giudizio, per la mia causa, Signore mio Dio (אדני  אכחים = o qeoς kai o kurioς). (Salmo 35,23 Heb = Salmo 34,23 LXX)

·        Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, (o kurioς  kai o qeoς  hmwn) di ricevere la gloria, l’onore e la potenza, perché tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono. (Apocalisse 4,11);

·        Queste parole sono certe e veraci. Il Signore Dio (o kurioς  o qeoς ) che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra breve. (Apocalisse 22,6).

 

Gesù, da parte sua, accettò le parole di Tommaso, poiché non le corresse, come non aveva corretto i Giudei che lo accusavano di farsi "uguale a Dio" (Giovanni 5:18). Egli mostrò dunque di approvare e di gradire la confessione di fede di Tommaso (Atanasio, Trattato contro gli ariani, II, 23).