LA CHIESA ED I TESTI ORIGINALI











VERSIONI ANTICHE E FAMIGLIE TESTUALI



 

 

 

 

VERSIONI ANTICHE

 

 

 

 

 

Testo ebraico

 

 

 

 

Targum aramaico

Pentateuco samaritano

(V-II secolo a. C.)

 

 

Versione dei Settanta

(III-II secolo a. C.)

 

Manoscritti Qumran

(III sec a. C.– I sec d. C.)

 

 

 

 

 

 

Versioni greche Aquila, Teodozione  Simmaco

(II secolo d. C.)

 

 

Vetus Sira

(II-III secolo d.C.)

 

Papiri

Bodmer

(II-III sec)

 

 

 

Vetus latina

(II sec)

 

Papiri

Chester Betty

(II-III sec)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Testo masoretico

(VIII-X secolo d. C.)

 

Codice del Cairo (X sec)

Codice di Aleppo (X sec)

Codice di Leningrado (XI sec)

 

 

 

Copta (III sec.)

Etiopica (IV sec)

Gotica (IV sec)

 

Peshitta (V sec.)

Armena (V sec)

Georgiana (V sec)

Philoxeniana (VI sec)

Siro-palestinese (VI sec)

Slava antica (IX sec)

 

 

 

 

 

Araba (IX-XII sec)

 

 

 

 

 

Alessandrino (A)

Efrem (C)

Beza (D)

(V sec)

 

 

 

 

 Vulgata

(IV secolo d.C.)

 

 

 

Vaticano (B)

Sinaitico (א)

(IV sec)

 

Douay Reims

(1610)

 

Bibbia del Martini

(1781)

 

 

Textus receptus

di Erasmo da Rotterdam-e Robert Estienne)

 

The Greek New Testament

 According to the Majority Text

di Hodge-Farastad

 

 

Testo critico

di Wescott e Hort

 

The Greek New Testament UBS

di Nestle-Aland/ Martini-Metzger

 

Diodati

 

King James

Riveduta

ASV

 

Biblia Hebraica

(1937)

Nuova Diodati

 

Reina Valera

Nuova Riveduta

RSV/NRSV

 

 

Lutero

CEI

NAB

 

 

Biblia Hebraica Stuttgartensia

(1977)

 

 

Young Literal e Darby

Nova Vulgata

NIV

 

 

New King James

NVB Paoline

NASB

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    



 

 

 

 

Tutte le Bibbie (cattoliche e protestanti) tradotte dai testi originali utilizzano oggi lo stesso testo ebraico (Biblia Hebraica Stuttgartensia) e lo stesso testo greco (The Greek New Testament UBS).

 

Per l’Antico Testamento le differenze sono minime e, quasi sempre, derivano dal fatto che i protestanti fanno costante riferimento al testo masoretico (considerato praticamente infallibile), mentre i cattolici, in limitati casi e soprattutto dove il testo ebraico sembra oscuro o corrotto, ricorrono anche ad altre antiche ed autorevoli fonti testuali (Bibbia dei Settanta, Vulgata, Manoscritti del Mar Morto, Pentateuco Samaritano, Vetus Sira, Teodozione, ...). La Settanta è poi molto stimata dalle chiese ortodosse, che spesso la utilizzano per uso liturgico e per traduzioni ufficiali, sottolineandone l'antichità e l'uso preferenziale fattone dalla chiesa primitiva.

 

Per il Nuovo Testamento le discordanze sono praticamente inesistenti, essendo stato raggiunto un consenso quasi unanime sul testo critico comune da utilizzare (grazie ai contributi di Wescott ed Hort, Nestle ed Aland, Martini e Metzger), testo che oggi ha praticamente soppiantato la "Vulgata Clementina" (non sempre esente dall'influenza della Vetus Latina) ed il "Textus Receptus" di Erasmo da Rotterdam (fortemente condizionato dal Codice Alessandrino). Dopo la scoperta e la pubblicazione del Codice Sinaitico da parte di Tishendorf (1862) molti studiosi cattolici e protestanti hanno tentato di ricostruire il testo greco originale, abbandonando pregiudizi, sospetti e superstizioni. Il Codice Sinaitico (oggi conservato al British Museum di Londra) ed il Codice Vaticano (ospitato dalla grande biblioteca vaticana a Roma) risultano infatti molto antichi (IV secolo) e sostanzialmente concordi. I due codici sopraddetti si accordano anche con papiri antichissimi come P45 o Chester Beatty I (inizi del III secolo), P46 o Chester Beatty II (II secolo) e P75 o Bodmer XIV-XV (II secolo).

 

Di fatto, il testo originale ebraico è oggi praticamente scomparso. Rimangono tuttavia alcuni frammenti del Pentateuco Samaritano, numerosi papiri antichi (come quello di Nash e quelli trovati nelle grotte di Qumran) e svariati Targum in lingua aramaica (che combinano traduzioni letterali, commenti biblici e aggiunte edificanti per la sinagoga). L’attuale testo ebraico si è comunque stabilizzato solo intorno al X-XI secolo dopo Cristo grazie all’opera dei masoreti, con l’inserimento delle vocali e l’eliminazione di tutte le copie non conformi alla tradizione rabbinica.

 

In lingua greca autorevole fu ed è la versione dei Settanta (III-II secolo a. C.), molto diffusa tra i giudei residenti in Egitto, piuttosto libera ed in alcuni punti decisamente discorde dal testo masoretico. Nei primi secoli i cristiani fecero prevalente ricorso alla Bibbia dei Settanta per l’evangelizzazione e per lo studio delle profezie. Per tutto il I secolo la Settanta godette di grande autorità presso i giudei ed i cristiani. Discepoli, apostoli e padri della chiesa la citarono spesso e la diffusero soprattutto tra i gentili ed i pagani. In alcuni casi però la Settanta traduceva in modo estremamente libero il testo originale. Data la quasi totale ignoranza della lingua ebraica, numerosi furono pertanto gli abbagli presi, peraltro in buona fede, dai primi cristiani. Secondo Agostino la Settanta era comunque a pieno titolo ispirata e perfino le divergenze dal testo ebraico avevano valore provvidenziale, permettendo nuove e più profonde letture del testo originale [La Città di Dio, XVIII, 43; La Dottrina Cristiana, II, 15]. Secondo Gerolamo, invece, valore poteva essere attribuito solo all’hebraica veritas, essendo necessario distinguere tra la sicura ispirazione dell’autore ebraico e le inaffidabili competenze del traduttore greco. Di fatto, sui rapporti tra la Settanta ed il testo ebraico esistono dati e pareri tuttora discordi. Molti studiosi (soprattutto cattolici ed ortodossi) nutrono il fondato sospetto che la Settanta abbia attinto da uno stadio redazionale molto antico ed autorevole, utilizzando un testo pre-masoretico ormai definitivamente scomparso. Secondo altri studiosi, è invece possibile che, nel periodo ellenistico, circolassero varie versioni ebraiche del testo biblico, ugualmente accreditate ed originali: la Settanta differirebbe in molti punti dall’attuale testo ebraico in quanto ricavata da un testo "parallelo" a quello vocalizzato dai masoreti ben mille anni più tardi. Non mancano poi autorevoli esegeti (soprattutto ebrei e protestanti) profondamente convinti del fatto che solo il testo masoretico custodisca l’hebraica veritas, mentre la Settanta altro non sarebbe che una Bibbia mal tradotta, una specie di Targum, un’interpretazione libera, una versione dinamica, una parafrasi del testo biblico. Solo un numero limitato di esperti ipotizza infine che la Settanta rappresenti la fonte testuale più attendibile: secondo questo filone di pensiero il testo masoretico non godrebbe di maggior autorità della Vetus Latina e della Siriaca Peshitta, risentendo profondamente di revisioni giudaizzanti, portate avanti con zelo anticristiano soprattutto nei primi secoli dopo Cristo.

 

Versioni successive (II secolo d. C.) in lingua greca si devono agli ebrei Aquila, Teodozione e Simmaco che produssero traduzioni estremamente letterali ed accurate, partendo dal testo ebraico e tentando di correggere alcuni errori, divenuti evidenti soprattutto dopo l'interpretazione cristiana di alcune profezie contenute nella Settanta. Girolamo espresse concisamente le caratteristiche delle tre versioni affermando che: "Aquila cercò di rendere parola per parola, Simmaco andò alla ricerca del senso e Teodozione non si scostò molto dai Settanta".

 

Nei primi secoli (II-III secolo d.C.) in Oriente particolare importanza ebbe la Vetus Syra, mentre godono tuttora di indiscussa autorità i papiri di Bodmer e di Chester Betty. In seguito molto stimati furono i codici Vaticano (IV sec), Sinaitico (IV sec) ed Alessandrino (V sec).

 

Sempre nei primi secoli (II-III secolo d.C.) in Occidente enorme diffusione ebbe la Vetus Latina, molto popolare ma diffusa in un gran numero di copie, spesso discordi, corrotte e inaffidabili (già nel corso del III secolo, oltre ad alcuni manoscritti molto antichi ed autorevoli - come i Codici Veronensis Palatinus, Vercelliensis e Bobiensis -, circolavano nel Nord Africa, in Gallia, in Italia, in Spagna e in Irlanda numerosissimi codici, spesso caratterizzati da limiti, imperfezioni, aggiunte, mutilazioni ed errori.).  In seguito la Vulgata Latina (IV secolo) diventò il testo ufficiale della chiesa cattolica: si trattò di una vera e propria versione riveduta sui testi originali (greco ed ebraico), intrapresa da San Gerolamo su incarico di Papa Damaso, partendo dal testo corrente della Vetus Latina. La Chiesa Cattolica per lungo tempo riconobbe come versione ufficiale solo la Vulgata per il terrore di manipolazioni del testo sacro da parte degli ebrei, degli eretici, degli ortodossi e dei musulmani (ormai padroni incontrastati dei patriarcati di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria e Costantinopoli). Di fatto, il testo latino della Vulgata, pur datato e con i suoi limiti, non era per nulla disprezzabile, trattandosi di una versione ottenuta da Girolamo nel IV secolo (cioè ai tempi dei Codici Sinaitico e Vaticano) utilizzando i testi originali greci ed ebraici. Dopo un iniziale diffidenza verso le traduzioni nelle varie lingue nazionali (innescata soprattutto dal timore del protestantesimo), la Bibbia venne integralmente tradotta in lingua inglese nel 1610 (celebre è la versione Douay-Rheims) ed in lingua italiana verso il 1780 (famosissima è la traduzione in lingua italiana della Vulgata curata dall'arcivescovo di Firenze Antonio Martini che peraltro ebbe grande diffusione fino al XX secolo).

 

Tutto il protestantesimo continuò però ad accusare la Chiesa cattolica di attaccamento superstizioso e bigotto alla Vulgata e di immotivato rifiuto delle traduzioni dai testi originali. Dalla seconda metà del 1500 le chiese riformate, in chiara polemica con la chiesa cattolica, fecero infatti costante riferimento al cosiddetto Textus Receptus, ricostruito da Erasmo e da Robert Estienne. Le famose versioni italiana del Diodati, tedesca di Lutero ed inglese di King James sono state ottenute proprio partendo da tale testo. Il Textus Receptus era però tutt'altro che perfetto e, secondo la critica testuale moderna, risultava pesantemente condizionato da aggiunte, arricchimenti ed abbellimenti del testo originale. Di qui nascevano i timori e le chiusure della chiesa cattolica: il testo greco che rappresentava, almeno in parte, la tradizione testuale della chiesa bizantina era stato ricostruito da Erasmo da Rotterdam utilizzando alcuni manoscritti poco affidabili (due provenienti da una biblioteca monastica di Basilea ed uno risalente al XII secolo) e, in non pochi punti (soprattutto per il libro dell'Apocalisse), lo stesso Erasmo si era addirittura affidato alla Vulgata, ritraducendo in greco il testo latino.

 

Pio XII, nell’enciclica Divino Affilante Spiritu (1943) chiarì come l’autenticità della Vulgata proclamata dal Concilio di Trento avesse valore giuridico e non testuale: la Vulgata non era infatti priva di problemi e di errori testuali ma risultava totalmente esente da eresie e da errori dottrinali “Questa preminente autorità, ovvero, come suol dirsi, autenticità della Volgata fu dal Concilio decretata non già principalmente per motivi di critica, ma piuttosto per l'uso legittimo che se ne fece nelle Chiese lungo il corso di tanti secoli: il quale uso dimostra che essa, nel senso in cui la intese e intende la Chiesa, va affatto immune da errore in tutto ciò che tocca la fede ed i costumi. Da questa immunità, di cui la Chiesa fa testimonianza e dà conferma, proviene che nelle dispute, lezioni e prediche si possa citare la Volgata in tutta sicurezza e senza pericolo di sbagliare. Perciò quell'autenticità va detta non critica, in prima linea, ma piuttosto giuridica. Quindi l'autorità che la Volgata ha in materia di dottrina non impedisce punto anzi ai nostri giorni quasi esige che quella medesima dottrina venga provata e confermata per mezzo dei testi originali, e che inoltre ai medesimi testi si ricorra per dischiudere e dichiarare ogni dì meglio il vero senso delle Divine Scritture. Anzi neppur vieta il decreto del Tridentino che, per uso e profitto dei fedeli e per facilitare l'intelligenza della divina parola, si facciano traduzioni nelle lingue volgari, e precisamente anche dai testi originali, come sappiamo che in molti Paesi lodevolmente si è fatto con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica. Fornito così della conoscenza delle lingue antiche e del corredo della critica, l'esegeta cattolico si applichi a quello che fra tutti i suoi compiti è il più alto: trovare ed esporre il genuino pensiero dei Sacri Libri”.

 

Antiche ed autorevoli, anche se sempre tradotte dal testo greco della Settanta, sono poi le versioni copta (III sec), etiopica (IV sec), gotica (IV sec), siriaca peshitta (V sec), armena (V sec), georgiana (V sec), philoxeniana e/o harclensis (VI secolo) e siro-palestinese (VI sec). Verso il IX secolo i Santi Cirillo e Metodio inventarono il cosiddetto alfabeto “cirillico” e tradussero la Bibbia in lingua slava. Versioni arabe furono realizzate solo molto più tardi (IX-XII sec), quando già larga parte dell’Oriente e del Nord Africa era passata alla fede islamica.

 

 

 


FAMIGLIE TESTUALI SECONDO WESCOTT E HORT

 

 

Secondo Wescott e Hort sarebbe possibile identificare ben quattro grandi famiglie testuali: a) il testo bizantino-koiné; b) il testo occidentale ; c) il testo cesariense d) il testo neutrale

 

Il testo bizantino-koiné avrebbe forma linguistica molto elegante e maggior chiarezza, ottenute però mediante cambiamenti di vocaboli, armonizzazione di passi paralleli e fusioni di più varianti di un medesimo versetto. Sarebbe stato usato da Giovanni Crisostomo, da Teodoreto di Ciro e da Cirillo Alessandrino. Le differenze tra il testo bizantino-koiné ed il testo neutrale sono minime: su circa 300.000 varianti esistono infatti solo 6.500 differenze e la percentuale di punti concordi è pari al 98% (cioè a 293.500 punti). Tra le differenze più famose è forse il caso di ricordare  il comma giovanneo (1 Giovanni 5,7-8),  la professione di fede dell'eunuco etiope (Atti 8,37),  la divinità di Cristo nella carne (1 Timoteo 3,16),  la dossologia alla fine del Padre Nostro (Matteo 6,13),  la non paternità di Giuseppe (Luca 2,33), la finale lunga di Marco (Marco 16,9-20) e la remissione dei peccati attraverso il sangue di Cristo (Colossesi 1,14).  Il testo bizantino-koinè, usato dalle chiese orientali ed stato accolto dalla riforma protestante nel Textus Receptus (XVI secolo), trarrebbe origine dalla recensione di Luciano di Antiochia (III secolo) e sarebbe rappresentato dal:

 

·             codice Alessandrino o A (V secolo),

·             dal codice Basilensis o E (VII secolo),

·             dal codice Boreelianus o F (IX secolo),

·             dai codici Wolfi o G-H (IX secolo),

·             dal codice Cyprus o K (IX secolo),

·             dai codici S ed Sap (IX secolo),

·             dal codice Mosquensis o V (IX secolo),

·             dal codice Athous Dionysiou o Ω (VIII secolo)

·             e, in parte, dai codici Washington o W (V secolo) e Athous Laurae o Ψ (IX secolo).

 

Strettamente legate a tale testo risulterebbero quindi le versioni

·             gotica (IV secolo),

·             siriaca-peshitta (V secolo),

·             etiopica (VI secolo) e

·             slava antica di Cirillo e Metodio (IX secolo).

 

Il testo occidentale sarebbe molto antico e diffuso soprattutto in occidente. È citato da Marcione, Giustino, Taziano, Cipriano, Tertulliano ed Ireneo. Avrebbe una certa tendenza all'armonizzazione ed alla parafrasi e conterrebbe aggiunte ed omissioni significative. È rappresentato:

 

·             dal codice Beza o D (V secolo),

·             dal codice Claromontanus o Dp,

·             dalla Vetus Latina (III secolo),

·             dalla Vetus Syra (III secolo) e

·             dalle versioni Philoxeniana e/o Harclensis (VI secolo).

 

Il testo alessandrino-cesariense risulterebbe molto accurato nelle forme linguistiche ma risentirebbe di infiltrazioni del testo occidentale. Sarebbe citato da Origene, Eusebio di Cesarea, Clemente, Dionigi, Didimo e Cirillo. Sarebbe conservato nel:

 

·             codice di Efrem o C (V secolo),

·             codice Regius o L (VIII secolo),

·             codice Washington o W (V secolo)

·             e, in parte, nel codice Koridethi o Θ (IX secolo).

 

Strettamente legate a tale testo risulterebbero quindi le versioni:

·             copte sahidica (III secolo) e boharitica (IV secolo) e

·             le versioni armena (V secolo) e georgiana (VI secolo?). 

 

Il testo neutrale-alessandrino dovrebbe essere il testo più vicino al testo originale perché più antico e meno segnato da rielaborazioni, armonizzazioni, ampliamenti ed arricchimenti. Risulterebbe spesso citato da Clemente Alessandrino e, in parte, anche da Origene e Gerolamo. Sarebbe rappresentato dal:

 

·             codice Vaticano o B (IV secolo) e

·             dal codice Sinaitico o א (IV secolo).

 

Inoltre presenterebbe forti analogie con papiri molto antichi come

 

·             P45 o Chester Beatty I (inizi III secolo),

·             P46  o Chester Beatty II (II secolo) e

·             P75 o Bodmer XIV-XV (II secolo).

 

Il papiro P66 o Bodmer II (II secolo) presenterebbe invece elementi caratteristici sia del testo neutrale sia del testo occidentale.