IL TETRAGRAMMA








IL TETRAGRAMMA NELLA BIBBIA DEI SETTANTA



 

 

 

 

La Bibbia dei Settanta è la prima versione in greco dell’Antico Testamento. Fu redatta tra il III sec. a.C. e il II  secolo a.C. per venire incontro alle esigenze di culto e di proselitismo dei giudei residenti in Egitto e, più in generale, fuori della terra d'Israele. Fu fortemente voluta soprattutto dagli ebrei della diaspora che non comprendevano più l’ebraico. Secondo la lettera di Aristeia, è detta "dei Settanta" perché sarebbe stata eseguita da settanta saggi nell’isola di Faro (Alessandria d'Egitto), su richiesta di Tolomeo II Filadelfo.

 

Nei primi secoli i cristiani fecero prevalente ricorso alla Bibbia dei Settanta per l’evangelizzazione e per lo studio delle profezie. Per tutto il I secolo la Settanta godette di grande autorità presso i giudei ed i cristiani. Discepoli, apostoli e padri della chiesa la citarono spesso e la diffusero soprattutto tra i gentili ed i pagani. In alcuni casi però la Settanta traduceva in modo estremamente libero il testo originale. Data la quasi totale ignoranza della lingua ebraica, numerosi furono pertanto gli abbagli presi, peraltro in buona fede, dai primi cristiani. Secondo Agostino la Settanta era comunque a pieno titolo ispirata e perfino le divergenze dal testo ebraico avevano valore provvidenziale, permettendo nuove e più profonde letture del testo originale [La Città di Dio, XVIII, 43; La Dottrina Cristiana, II, 15]. Secondo Gerolamo, invece, valore poteva essere attribuito solo all’hebraica veritas, essendo necessario distinguere tra la sicura ispirazione dell’autore ebraico e le inaffidabili competenze del traduttore greco.

 

Di fatto, sui rapporti tra la Settanta ed il testo ebraico esistono dati e pareri tuttora discordi. Molti studiosi (soprattutto cattolici ed ortodossi) nutrono il fondato sospetto che la Settanta abbia attinto da uno stadio redazionale molto antico ed autorevole, utilizzando un testo pre-masoretico ormai definitivamente scomparso. Secondo altri studiosi, è invece possibile che, nel periodo ellenistico, circolassero varie versioni ebraiche del testo biblico, ugualmente accreditate ed originali: la Settanta differirebbe in molti punti dall’attuale testo ebraico in quanto ricavata da un testo "parallelo" a quello vocalizzato dai masoreti ben mille anni più tardi. Non mancano poi autorevoli esegeti (soprattutto ebrei e protestanti) profondamente convinti del fatto che solo il testo masoretico custodisca l’hebraica veritas, mentre la Settanta altro non sarebbe che una Bibbia mal tradotta, una specie di Targum, un’interpretazione libera, una versione dinamica, una parafrasi del testo biblico. Dopo alcuni ritrovamenti di Qumran, un certo numero di esperti ha comunque ragionevolmente ipotizzato che la Settanta sia una traduzione abbastanza letterale di uno stadio più antico del testo ebraico o comunque di un testo ebraico non ancora fissato. Secondo questo filone di pensiero il testo masoretico non godrebbe pertanto di maggior autorità della Vetus Latina e della Siriaca Peshitta, risentendo profondamente di revisioni giudaizzanti, portate avanti con zelo anticristiano soprattutto dopo l’opera anticipatrice di Aquila, Teodozione e Simmaco.

 

Anche sulla storia del testo della LXX esistono non poche teorie. Tra esse è forse il caso di ricordare:

 

Secondo la teoria della proto-Settanta esisterebbe un'unica versione greca antica dalla quale si sarebbero diversificate tutte le varie recensioni locali.  Secondo la teoria della pluralità delle traduzioni sarebbero esistite varie traduzioni della Bibbia in lingua greca, delle quali i cristiani avrebbero conservato solo un testo standard. Secondo la teoria delle correzioni ebraiche, oltre ad un testo iniziale intatto, esisterebbero versioni successive in cui gli ebrei avrebbero introdotto correzioni stilistiche e giudaizzanti [1] [2] Secondo la teoria delle due fonti testuali esisterebbero due lezioni greche dell'Antico Testamento: una cristiana di Antiochia (abbastanza integra) e l'altra ebraico-palestinese (soggetta a parecchie revisioni giudaizzanti). Secondo la teoria dei testi locali esisterebbero ben tre famiglie testuali: da una prima famiglia testuale localizzata ad Alessandria d'Egitto si sarebbero differenziate due altre famiglie localizzate ad Antiochia e a Babilonia.

 

Di fatto, De Lagarde ipotizzò che esistesse un antico ed unico testo ebraico premasoretico ("l'Archetipo") riprodotto con estrema esattezza dalla cosiddetta " Proto Settanta". Secondo Kahle, invece, un unico testo originale greco non sarebbe mai esistito ma, nelle varie sinagoghe, sarebbero sorte diverse traduzioni greche per le diverse esigenze liturgiche nel mondo ellenistico. Ad un certo punto si sarebbe, però, avvertita, la necessità di approvare un testo unico ufficiale. A questa versione autorizzata e riconosciuta si riferirebbe, sempre secondo Kahle, la lettera di Aristea, scritta probabilmente per consacrare l'ultima revisione della Settanta. Il Bickerman insistette, infine, sul ruolo della Legge (e dei Profeti) nella codificazione del diritto pubblico giudaico presso la corte tolemaica che, come testimonierebbe la lettera di Aristeia, ebbe così accesso ad una versione autorizzata, riveduta e corretta delle precedenti traduzioni in lingua greca.

 

La Bibbia dei Settanta tradusse il tetragramma con Κύριός (Kyrios) (Signore) in oltre 2000 manoscritti e papiri. Esistono però testimonianze di limitati casi di copie della versione dei Settanta (I° secolo a.C. – III° secolo d.C.) che hanno reso il nome di Dio in altro modo (caratteri greci, lettere greche maiuscole IAO, caratteri aramaici, caratteri paleoebraici, due jod ebraiche ed un trattino in mezzo, caratteri ebraici, caratteri ebraici quadrati). Al momento, fatta eccezione per le versioni greche di Aquila, Teodozione e Simmaco (che reintrodussero il tetragramma in chiara polemica con la cristianità), non è però possibile dire se si tratti di manoscritti fedeli ad un testo originale scomparso, di versioni greche parallele, di traduzioni manipolate, di sporadiche correzioni ebraiche sul testo greco o di autorevoli revisioni della Settanta su un testo pre-masoretico, ormai irrimediabilmente perduto.

 

 

La sostituzione del Santo Nome con Κύριός (Kyrios) da parte dei traduttori originali ed il mantenimento  di Kyrios da parte dei successivi copisti non sembra pertanto rispondere ad un'unica logica. Si potrebbe infatti pensare:

 

·       ad una ragionevole prudenza dovuta al fatto che la versione dei Settanta era rivolta agli ebrei residenti fuori della terra di Israele (soprattutto nella colonia di Alessandria d'Egitto) ed essendo scritta in greco poteva essere letta anche dai pagani, spesso increduli, politeisti e nemici dell'ebraismo (come ben testimoniano le feroci persecuzioni elleniste subite nel periodo dei Maccabei);

·       al discutibile tentativo dei giudei dispersi in Egitto ed in Mesopotamia di proporre ai gentili una religione monoteista, cosmopolita ed universale, totalmente svincolata dal Dio nazionale degli ebrei, dagli aspetti più sacri e segreti dello jahvismo e dai caratteri più radicali, politici e fondamentalisti della tradizione sacerdotale (Isaia 19,16-25);

·       al fatto che molti copisti dell’Antico Testamento spesso non comprendevano il senso del  tetragramma;

·       al fatto che la pronuncia del tetragramma era spesso ignota e pertanto intraducibile in greco, dato che  i rabbini tendevano a leggere אדני (Adonay) tutte le volte che trovavano il tetragramma (YHWH);

·       al fatto che il nome di Dio diventava incomprensibile, illeggibile ed oscuro se si manteneva il tetragramma ebraico nelle versioni greche;

·       al fatto che, traslitterando in greco il tetragramma con πιπι (come fece Teodozione), il nome di Dio perdeva ogni significato logico;

·       ad un atteggiamento reverenziale verso il  Santo Nome;

·       alla non remota possibilità di equivocare la pronuncia del nome di Dio (Jahvé) con quello del padre degli dei pagani (Giove);

·       al ragionevole timore di evocare, utilizzando una pronuncia errata, qualche angelo decaduto;

·       all'uso magico  del nome di Dio fatto dai maghi ebrei (Origene, Contro Celso, I, 24);

·       ad un timore superstizioso, derivante dal divieto di nominare il Nome di Dio invano (Esodo 20,7);

·       al fatto che spesso la Settanta tradusse il verbo ebraico נקב (naqab) che vuol dire bestemmiare con il verbo greco ονομαζω (onomazo) che vuol dire nominare (Levitico 24,16);

·       al sorprendente fatto che alcune scritture del Vecchio Testamento riguardanti YHWH vengono applicate, nel Nuovo Testamento, a Gesù Cristo (si confronti Salmo 102,25-27 con Ebrei 1,10-12; Isaia 8,12-13 con 1 Pietro 3,14-15; Isaia 40,13 con 1 Corinzi 2,16; Gioele 3,5 con Romani 10,13) [3].

 

 



[1] È probabile che verso il I secolo a.C. si sia attuato nel giudaismo palestinese un processo arcaizzante di correzione del tetragramma: il Nome Sacro, già tradotto con Kurios, venne così riscritto in ebraico in scrittura quadrata o paleoebraica oppure traslitterato in greco. Vedasi, a tal proposito, A. Pietersma, Kurios or Tetragram , A Renewed Quest for the Original Septuagint, in Pietersma, De Septuaginta, 1984, pp. 85-101. L'ipotesi della presenza del tetragramma della Bibbia dei LXX non è assurda ma presenta poche prove attendibili. Molti papiri sono troppo recenti (cioè probabilmente risalenti ai primi secoli dell'Era Volgare) per avere qualche valore, mentre la probabilità che i reperti di Qumran siano stati oggetto di revisioni giudaizzanti è sicuramente elevata. Le revisioni di Aquila, Teodozione e Simmaco sono poi sicuramente viziate dall'intento polemico nei confronti dei cristiani (colpevoli di politeismo per aver accettato l'ipotesi dell'esistenza di un secondo Dio). Di fatto, se ci fosse il tetragramma, oltre che nel Papiro Fouad 266 (I secolo a. C.), anche nel vecchissimo Papiro Rylands 458 (II secolo a. C.) avremmo due testimoni antichi e concordi. Nel Papiro Rylands 458, l'unico punto che faccia però riferimento al Sacro Nome è Deuteronomio 26,18, dove è però presente un vero e proprio buco. Secondo alcuni lo spazio vuoto potrebbe contenere Kurios, mentre secondo altri il papiro potrebbe portare il tetragramma (Kahle e Roberts). Per qualsiasi persona ragionevole è comunque innegabile che le argomentazioni portate da alcuni studiosi sono solo ipotesi costruite su fragili indizi e non hanno pertanto alcun valore probatorio. I cristiani testimoni di Geova partono poi da una presunzione (la presenza del Tetragramma nella Settanta antica) e su questa presunzione costruiscono un'altra presunzione (la cancellazione del tetragramma dal Nuovo Testamento). Dal punto di vista teorico si può ipotizzare di tutto e di più, ma dal punto di vista logico non è possibile trarre deduzioni attendibili da presunzioni costruite su altre presunzioni. Sulla questione vedasi, comunque, G. Howard, The Tetragram and the New Testament, in Journal of Biblical Literature, Vol. 96, marzo 1977, pp. 63-83. Notizie interessanti sui problemi legati al testo della Settanta sono comunque contenute in alcune opere monumentali come: N. M. Marcos, La Bibbia dei Settanta, Brescia, 2000 e AAVV, La Bible Greque des Septante, Edition du Cerf, 2000.

 

[2] Se il tetragramma sia stato presente nella LXX, nel Vangelo ebraico di Matteo e nelle prime copie del Nuovo Testamento nessuno lo sa e, alla luce dei dati oggi disponibili, nessuno lo può affermare con certezza, pur trattandosi di un'ipotesi non trascurabile. Quando però da tale ipotesi si passa a formulare accuse reali e personali, la cautela dovrebbe esser d'obbligo. Anche ammettendo per un attimo che i copisti cristiani abbiano davvero eliminato il tetragramma dalle ultime copie della LXX e dalle prime copie dei Vangeli, non sembra né onesto né ragionevole accusare tali copisti di aver voluto coscientemente alterare gli insegnamenti delle Sacre Scritture. La necessità di diffondere presso i pagani la buona notizia del Regno di Dio può aver spinto i primi cristiani a presentare un Dio universale, cosmopolita e plametario, poco compromesso con i nomi, le tradizioni, i riti, le credenze, il fanatismo ed il nazionalismo ebraico. Non sembra pertanto corretto ipotizzare che una scelta missionaria di questo tipo (sicuramente criticabile dal punto di vista testuale e letterario) sia stata sicuramente segnata da intenzioni apostate e da obietiivi truffaldini. A meno di non voler immaginare manovre di portata secolare, non si può onestamente presumere che almeno due secoli prima di Nicea, la cristianità volesse già consciamente prevenire il pensiero ariano o sbarazzarsi di possibili critiche alla divinità di Cristo. A riprova di ciò sta il fatto che, almeno fino a Nicea, moltissimi cristiani (e padri della Chiesa) accettavano la subordinazione di Cristo al Padre senza essere per questo considerati eretici. A ciò va aggiunto che il Santo Nome non crea problema ai trinitari che lo considerano quasi sempre una specie di nome patronimico, quasi un cognome, applicabile legittimamente sia al Padre che al Figlio. La condanna della cristianità primitiva richiede pertanto: 1) prove certe o almeno indizi schiaccianti (cioè presunzioni gravi, precise e concordanti) di fatti avvenuti incontestabilmente; 2) moventi evidenti orientati a manipolazioni teologiche; 3) piena consapevolezza delle conseguenze storiche di alcune eventuali scelte evangelizzatrici.

 

[3] L’applicazione del Salmo 102 (contenente il tetragramma) a Gesù Cristo risulta sorprendente soprattutto nella lettera agli Ebrei. E' vero che molto spesso le citazioni venivano fatte liberamente interpretando con larghezza di vedute sia i fatti sia i protagonisti....ma il tetragramma era cosa così sacra che applicare il Sacro Nome e soprattutto l'opera di Dio ad un altro (anche se fosse l’unico collaboratore alla creazione) sarebbe stato considerato sicuramente bestemmia da qualsiasi giudeo ortodosso e devoto …..(ai tempi degli apostoli il tetragramma era pronunciato dal Sommo Sacerdote solo nel giorno dell’espiazione ed Adonaj sostituiva Jahvé perfino nella recita dello Shema) ….a meno di supporre: i) che la teologia di Pietro e Paolo fosse già tanto evoluta da poter applicare il “cognome” o il “nome patronimico” di Jahvé sia al Padre che al Figlio;  ii) che i manoscritti letti e citati dagli apostoli non contenessero più il tetragramma (ma Kurios): qualche citazione risultò così un po' pasticciata, salvo poi rivelarsi sensata e profetica (come la “vergine” di Isaia 7,14 contenuta nella LXX) …..alla luce dei successivi sviluppi della fede trinitaria; iii) che in Gesù Cristo fosse stato ravvisato l’Angelo di Jahvé, misterioso personaggio dell’Antico Testamento spesso identificato con Jahvé stesso e comunque legittimamente designato a portare il Santo Nome (Esodo 23,20-22). A favore della prima ipotesi stanno evidentemente profondi convincimenti teologici e filosofici in larga parte condivisi da chi aderisce all’ipotesi trinitaria. A favore della seconda ipotesi può essere, ad esempio, portata la testimonianza dei Padri Apostolici del I-II secolo dopo Cristo. Alcuni scritti cristiani, come la Didaché, a Diogeneto, la lettera di Clemente Romano ai Corinzi, l’epistola di Barnaba, il pastore d’Erma, i frammenti di Papia di Gerapoli, le lettere di Ignazio di Antiochia, gli scritti di Policarpo di Smirne non contengono infatti il tetragramma né per le citazioni tratte dalle Scritture Greche-Cristiane né per i versetti richiamati dell’Antico Testamento. A favore della terza ipotesi stanno non poche scritture in cui Jahvé e l’Angelo di Jahvé sembrano identificarsi (vedansi ad esempio Atti 7,38 e Deuteronomio 34,10). Non sembrano invece ragionevolmente proponibili le ipotesi di un errore madornale dei copisti o di un emendamento congetturale, come nei casi di 2 Samuele 24,1 (dove l’idea di un censimento viene suggerita a Davide da Jahvé) e di 1 Cronache 21,1 (dove invece è Satana a spingere Davide al censimento).