LA CHIESA ED I TESTI ORIGINALI











VULGATA, TEXTUS RECEPTUS O TESTO CRITICO?



LA BIBBIA E LA CHIESA CATTOLICA

 

 

 

 

 

VULGATA CONTRO TEXTUS RECEPTUS

 

 

La Chiesa Cattolica per lungo tempo riconobbe come versione ufficiale solo la Vulgata per il terrore di manipolazioni del testo sacro da parte degli ebrei, degli eretici, degli ortodossi e dei musulmani (ormai padroni incontrastati dei patriarcati di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria e Costantinopoli). Di fatto, la Vulgata, pur con qualche inevitabile limite,  non fu per nulla disprezzabile, trattandosi di una versione antica (almeno quasi come i prestigiosi codici Sinaitico e Vaticano), accurata e letterale. Fu prodotta da Girolamo utilizzando i testi originali greci ed ebraici, con l'intento di correggere ed emendare una precedente traduzione latina (la cosiddetta Vetus Latina), molto popolare ma diffusa in un gran numero di copie, spesso discordi, corrotte e inaffidabili. Di fatto, della Vetus Latina, esistevano alcuni manoscritti antichi ed autorevoli, come il Codice Veronensis adottato Girolamo come base della Vulgata, il Palatinus citato e lodato da Agostino [La Dottrina Cristiana, II, 15], il Vercelliensis copiato da Eusebio e il Bobiensis usato da Cipriano. Nel III secolo circolavano però nel Nord Africa, in Gallia, in Italia, in Spagna e in Irlanda anche numerosissimi codici, caratterizzati da limiti, imperfezioni, aggiunte, mutilazioni ed errori. Il papa Damaso (intorno al 380) commissionò una nuova traduzione della Bibbia a San Gerolamo proprio per i dubbi legati all'attendibilità dei vari manoscritti della Vetus Latina. Girolamo, nella prefazione alla sua traduzione dei quattro vangeli, osservò quindi come fossero in circolazione quasi tante versioni quanti manoscritti (tot enim sunt exemplaria paene quot codices). Lo stesso Girolamo affermò poi di aver "reso fedele il Nuovo Testamento all’originale greco e aver tradotto l’Antico Testamento dall’ebraico [Gli uomini illustri, CXXXV].

Prima della riforma protestante la Bibbia venne integralmente tradotta in lingua italiana nel 1471 dal monaco camaldolese Nicolò Malermi. In seguito, dopo un iniziale diffidenza verso le traduzioni nelle varie lingue nazionali (innescata soprattutto dal timore del protestantesimo), la Bibbia fu tradotta in inglese verso il 1610 (con la celebre versione Douay-Rheims) ed in lingua italiana verso il 1780 (con la famosissima traduzione curata dall'arcivescovo di Firenze Antonio Martini).
 Per quattro secoli, tutte le versioni cattoliche nelle varie lingue nazionali furono tratte dalla Vulgata (considerata più attendibile dei molti codici e papiri greci in circolazione), inclusero i libri deuterocanonici (definitivamente accettati come ispirati dopo il Concilio di Trento[1]) e vennero liberamente lette dal popolo cristiano[2]. Le autorità ecclesiastiche proibirono, invece, la lettura delle versioni protestanti in quanto spesso ricavate da manoscritti poco affidabili, talora segnate da stili polemici ed anticattolici e sempre prive di note esplicative (indispensabili in presenza di bassissimi livelli di cultura). La prima Bibbia tradotta dai testi originali, prima della riforma protestante, fu cattolica: la cosiddetta Poliglotta Complutense fu infatti il primo Nuovo Testamento greco,  progettato e fatto stampare nel 1514 dal Cardinale Primate di Spagna Francisco Ximenes de Cisneros. Nel 1517 lo stesso Cardinale fece stampare, con approvazione ecclesiastica, i quattro volumi dell'Antico Testamento in latino, greco, aramaico ed ebraico e nel 1520 tutta l'opera ottenne la solenne ed entusiasta approvazione di papa Leone X.

 

 

Tutto il protestantesimo continuò però ad accusare la Chiesa cattolica di attaccamento superstizioso e bigotto alla Vulgata e di immotivato rifiuto delle traduzioni dai testi originali. Dalla seconda metà del 1500 le chiese riformate, in chiara polemica con la chiesa cattolica, fecero infatti costante riferimento al cosiddetto Textus Receptus, ricostruito da Erasmo e da Robert Estienne. Le famose versioni italiana del Diodati, tedesca di Lutero ed inglese di King James sono state ottenute proprio partendo da tale testo. Il Textus Receptus era però tutt'altro che perfetto e, secondo la critica testuale moderna, risultava pesantemente condizionato da aggiunte, arricchimenti ed abbellimenti del testo originale[3]. Di qui nascevano i timori e le chiusure della chiesa cattolica: il testo greco che rappresentava, almeno in parte, la tradizione testuale della chiesa bizantina [4] era stato ricostruito da Erasmo da Rotterdam utilizzando alcuni manoscritti poco affidabili (due provenienti da una biblioteca monastica di Basilea ed uno risalente al XII secolo) [5] e, in non pochi punti (soprattutto per il libro dell'Apocalisse), lo stesso Erasmo si era addirittura affidato alla Vulgata, ritraducendo in greco il testo latino [6].  

 

 

 

 

VALORE DOTTRINALE E LIMITI TESTUALI DELLA VULGATA

 

 

Pio XII, nell’enciclica Divino Affilante Spiritu (1943) chiarì come l’autenticità della Vulgata proclamata dal Concilio di Trento avesse valore giuridico e non testuale: la Vulgata non era infatti priva di problemi e di errori testuali ma risultava totalmente esente da eresie e da errori dottrinali  Questa preminente autorità, ovvero, come suol dirsi, autenticità della Volgata fu dal Concilio decretata non già principalmente per motivi di critica, ma piuttosto per l'uso legittimo che se ne fece nelle Chiese lungo il corso di tanti secoli: il quale uso dimostra che essa, nel senso in cui la intese e intende la Chiesa, va affatto immune da errore in tutto ciò che tocca la fede ed i costumi. Da questa immunità, di cui la Chiesa fa testimonianza e dà conferma, proviene che nelle dispute, lezioni e prediche si possa citare la Volgata in tutta sicurezza e senza pericolo di sbagliare. Perciò quell'autenticità va detta non critica, in prima linea, ma piuttosto giuridica. Quindi l'autorità che la Volgata ha in materia di dottrina non impedisce punto anzi ai nostri giorni quasi esige che quella medesima dottrina venga provata e confermata per mezzo dei testi originali, e che inoltre ai medesimi testi si ricorra per dischiudere e dichiarare ogni dì meglio il vero senso delle Divine Scritture. Anzi neppur vieta il decreto del Tridentino che, per uso e profitto dei fedeli e per facilitare l'intelligenza della divina parola, si facciano traduzioni nelle lingue volgari, e precisamente anche dai testi originali, come sappiamo che in molti Paesi lodevolmente si è fatto con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica. Fornito così della conoscenza delle lingue antiche e del corredo della critica, l'esegeta cattolico si applichi a quello che fra tutti i suoi compiti è il più alto: trovare ed esporre il genuino pensiero dei Sacri Libri”

 

 

Oggi le versioni bibliche più accreditate hanno definitivamente abbandonato la Vecchia Vulgata ed il Textus Receptus per fare costante riferimento ai testi originali, anche se tra gli ortodossi ed in molte chiese evangeliche esiste tuttora un elevato numero di convinti difensori del Textus Receptus [7] [8]. La Chiesa cattolica ha quindi recentemente curato una splendida revisione della Vulgata sui testi originali, oggi disponibile in lingua latina: la Nova Vulgata. Lo stile di San Gerolamo è stato preservato ma la revisione è stata condotta in modo prudente ed onesto sul testo masoretico, sulla settanta e sui codici e papiri più attendibili. La Nova Vulgata dovrà essere utilizzata soprattutto per usi liturgici ed andrà comunque tenuta in considerazione per le nuove versioni dai testi originali tutte le volte che esistano dubbi, contraddizioni o incongruenze.

 

 

 

 

IL TESTO CRITICO DI WESCOTT E HORT

 

 

Solo dopo la scoperta e la pubblicazione del Codice Sinaitico da parte di Tishendorf (1862) molti studiosi cattolici e protestanti hanno tentato di  ricostruire il testo greco originale, abbandonando pregiudizi, sospetti e superstizioni. Il Codice Sinaitico (oggi conservato al British Museum di Londra) ed il Codice Vaticano (ospitato dalla grande biblioteca vaticana a Roma) risultano infatti molto antichi (IV secolo), sostanzialmente concordi e, molto probabilmente, liberi da corruzione.   Con i due codici sopraddetti concordano anche papiri molto antichi come P45 o Chester Beatty I (inizi del III secolo), P46 o Chester Beatty II (II secolo) e P75 o Bodmer XIV-XV (II secolo).  Per il Nuovo Testamento la ricostruzione critica  del testo greco originale è stata quindi portata avanti da Westcott e Hort verso la fine del XIX secolo, mentre nel XX secolo si sono distinte le varie versioni  curate da Nestle e Aland e recentemente rivedute da Martini e Metzger. Il testo critico di Wescott ed Hort ha, comunque, origini più antiche. Lo studioso che per primo pubblicò un'edizione del Nuovo Testamento greco, totalmente svincolata dal Textus Receptus e fondata integralmente sull'applicazione della critica testuale, fu il celebre filologo classico tedesco Karl Lachman (1793-1851). Lachman è famoso per le sue edizioni di antichi autori classici come Properzio, Catullo, Tibullo e Lucrezio. Dimostrò come, mediante il confronto di manoscritti, sia possibile ricostruire "per inferenza" gli archetipi (antenati perduti), il loro stato e la loro impaginazione. A conclusioni simili a quelle raggiunte da Wescott e Hort giunsero poi, per vie diverse, anche molti altri antichi ed autorevoli scrittori, critici ed esegeti come Bentley (1662-1742), Bengel (1687-1752), Wettstein (1693-1754), Semler (1725-1791), Bowyer (1699-1777), Harwood (1729-1794), Griesbach (1745-1812), Tischendorf (1815-1874), Tregelles (1813-1875), Alford (1810-1871) e Weiss (1827-1918). [9]  

 

 

La Chiesa Cattolica ha incoraggiato il lavoro di revisione e ricerca, soprattutto con Leone XIII che nel 1893 con l’enciclica Providentissimus Deus incoraggiò lo studio delle lingue orientali e l’impiego della critica testuale, con Pio X che, nel 1907, commissionò ai monaci benedettini l'incarico di fare ricerche e preparativi per una edizione riveduta della Volgata e con Pio XII che, nel 1943, con l’enciclica Divino Affilante Spiritu caldeggiò vivamente lo studio delle lingue antiche e la preparazione di nuove traduzioni dai testi originali.  

 

 

Secondo Leone XIII “Il primo mezzo (per comprender le Sacre Scritture) è lo studio delle antiche lingue orientali e della cosiddetta arte critica. Essendo oggi tenuta in grande conto e onore la conoscenza di entrambe le discipline, ne consegue che il clero che ne sia fornito, con una scienza più o meno profonda secondo i luoghi e gli uomini con cui abbia a che fare, meglio potrà sostenere il suo prestigio e il suo ufficio, dovendo egli farsi tutto a tutti (1Cor 9,22), sempre pronto a dar soddisfazione a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui (1Pt 3,15). E' dunque necessario per i docenti di sacra Scrittura e conviene ai teologi la conoscenza profonda delle lingue nelle quali i libri canonici furono originariamente composti dagli agiografi. Sarà pure ottima cosa se i discepoli della chiesa coltiveranno tali lingue, specialmente coloro che aspirano ai gradi accademici in teologia. Occorre anche curare che nelle accademie, cosa che lodevolmente si fa già in molte di esse, si impartiscano lezioni anche di altre lingue antiche, specialmente semitiche, e di quelle materie che con esse hanno relazione, soprattutto per coloro che vengono designati per l'insegnamento delle sacre Lettere”.

 

 

Pio XII sottolineò infatti come “all'interprete cattolico che si accinge all'opera di intendere e spiegare le divine Scritture, già i Padri della Chiesa, e in prima linea Sant'Agostino, grandemente raccomandavano lo studio delle lingue antiche e il ricorso ai testi originali. Tuttavia tali erano a quei tempi le condizioni degli studi, che non molti, e quei medesimi soltanto in grado imperfetto, possedevano la lingua ebraica. Nel medio evo poi, mentre era in sommo fiore la Teologia Scolastica, anche la conoscenza del greco era da grande tempo scemata in Occidente, sicché anche i più grandi Dottori di quel tempo nello spiegare i Sacri Libri non si potevano basare che sulla versione latina della Volgata. Ai giorni nostri al contrario non soltanto la lingua greca, che col Rinascimento risorse, per così dire, a novella vita, è pressoché familiare a tutti i letterati e studiosi della antichità, ma anche dell'ebraico e di altre lingue orientali è diffusa la conoscenza fra le persone colte. Si ha poi adesso tanta abbondanza di mezzi per imparare quelle lingue, che un interprete della Bibbia, il quale trascurandole si precluda da sé la via di giungere ai testi originali, non può sfuggire alla taccia di leggerezza e di ignavia”.

 

 

 

 

 BIBBIE CATTOLICHE, ORTODOSSE E PROTESTANTI

 

 

Quasi tutte le Bibbie tradotte dai testi originali utilizzano oggi lo stesso testo ebraico (Biblia Hebraica Stuttgartensia) ed il medesimo testo greco (The Greek New Testament UBS). Le differenze sono pertanto minime e, quasi sempre, derivano dal fatto che (per l'Antico Testamento) i protestanti preferiscono fare riferimento quasi esclusivo al testo masoretico, mentre i cattolici, soprattutto dove il testo ebraico sembra oscuro o corrotto, ricorrono senza troppi pregiudizi anche ad altre autorevoli fonti testuali (Bibbia dei Settanta, Vulgata, Manoscritti del Mar Morto, Pentateuco Samaritano, Vetus Sira, Teodozione, ...). La Settanta è comunque ancora molto stimata dalle chiese ortodosse, che spesso la utilizzano per uso liturgico e per traduzioni ufficiali, sottolineandone l'antichità e l'uso preferenziale fattone dalla chiesa primitiva. Per il Nuovo Testamento le differenze sono invece praticamente inesistenti, essendo stato raggiunto un consenso unanime sul testo critico comune da utilizzare (grazie ai contributi di Wescott ed Hort, Nestle ed Aland, Martini e Metzger), testo che oggi ha praticamente soppiantato la "Vulgata Clementina" ed il "Textus Receptus" di Erasmo da Rotterdam.

 

Nelle Bibbie protestanti mancano poi quasi sempre utili note esplicative ed i libri deuterocanonici sono regolarmente omessi o inseriti in appendice. Fino all'inizio degli anni ’60 le Bibbie cattoliche furono ricavate dalla Volgata latina e vennero corredate da edificanti note esplicative, tratte dalle riflessioni di autorevoli Padri della Chiesa o di altri dotti studiosi cattolici. Per almeno tre secoli il timore del protestantesimo portò le autorità religiose a bollare con parole veementi tutte le società bibliche, a vietare il possesso di bibbie protestanti e a mettere all'indice anche le bibbie cattoliche ristampate, senza note e libri deuterocanonici, da editori non cattolici. Dopo il Concilio Vaticano II la situazione cambiò radicalmente: la Volgata non fu più il testo ufficiale e liturgico della chiesa cattolica e largo spazio venne dato ad accurate traduzioni dai testi originali in lingua volgare. Sotto l’influsso della ricerca archeologica e della critica testuale molte Bibbie furono arricchite da note storiche e linguistiche di indubbio valore culturale e di notevole spessore esegetico: in alcuni casi non mancarono però venature scettiche e scarsamente pastorali con effetti poco edificanti sugli spiriti più deboli e meno eruditi.

 

 

 

 

 

 

Bibbie cristiane: testi di riferimento

 

 

 

 

 

 

Cattolici fino

al XIX secolo

Cattolici dopo

il XIX secolo

Ortodossi

Protestanti fino

al XIX secolo

Protestanti dopo

il XIX secolo

 

Antico Testamento

 

Vulgata

Testo critico di Nestle - Aland

Textus Receptus

(o Testo Bizantino)

Textus Receptus

Testo critico di Nestle - Aland

 

Nuovo Testamento

 

Vulgata

Testo Masoretico

 

(Settanta e Vulgata nei casi dubbi)

Settanta

Testo Masoretico

Testo Masoretico

Libri deuterocanonici

si

si

si

no

no

 

 

 

 

 

 



[1] Riportiamo qui i due decreti sui libri sacri del Concilio di Trento, Sessione IV (8 Aprile 1546)

 

Primo decreto: Si ricevono i libri sacri e le tradizioni apostoliche.

 

   Il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito Santo, sotto la presidenza dei medesimi tre legati della sede apostolica, ha sempre presente che, tolti di mezzo gli errori, si conservi nella chiesa la stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo attraverso i profeti nelle scritture sante, il signore nostro Gesù Cristo, figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato ad ogni creatura per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi.

   E poiché il sinodo sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte - che raccolte dagli apostoli dalla bocca dello stesso Cristo e dagli stessi apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, tramandate quasi di mano in mano, sono giunte fino a noi, — seguendo l’esempio dei padri ortodossi, con uguale pietà e pari riverenza accoglie e venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento, - Dio, infatti, è autore dell’uno e dell’altro ed anche le tradizioni stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito santo, e conservate con successione continua nella chiesa cattolica.

   E perché nessuno possa dubitare quali siano i libri accettati dallo stesso sinodo come sacri, esso ha creduto opportuno aggiungere a questo decreto l’elenco.

   Dell’antico Testamento: i cinque di Mosè, e cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth; i quattro dei Re; i due dei Paralipomeni; il primo e il secondo di Esdra (che è detto di Neemia); Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe; i Salmi di David; i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia con Baruch, Ezechiele, Daniele; i dodici Profeti minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due dei Maccabei, primo e secondo.

   Del nuovo Testamento: i quattro Evangeli: secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, scritti dall’evangelista Luca; le quattordici Lettere dell’Apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; due dell’apostolo Pietro, tre dell’apostolo Giovanni, una dell’apostolo Giacomo, una dell’apostolo Giuda, e l’Apocalisse dell’apostolo Giovanni.

   Se qualcuno, poi, non accetterà come sacri e canonici questi libri, interi con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella chiesa cattolica e come si trovano nell’edizione antica della volgata latina e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni, sia anatema.

   Sappiano quindi tutti, con quali argomenti lo stesso sinodo, posto il fondamento della confessione della fede, procederà, e soprattutto di quali testimonianze e difese si servirà nel confermare gli insegnamenti e nel riformare i costumi nella chiesa.

 

Secondo decreto: Si accetta l’edizione volgata della Bibbia, si prescrive il modo ai interpretare la sacra Scrittura e si pongono limiti  alla diffusione di edizioni anonime.

 

   Lo stesso sacrosanto sinodo, considerando, inoltre, che la chiesa di Dio potrebbe ricavare non piccola utilità, se si sapesse quale, fra tutte le edizioni latine dei libri sacri, che sono in uso, debba essere ritenuta autentica, stabilisce e dichiara che questa stessa antica edizione volgata, approvata nella chiesa dall’uso di tanti secoli, si debba ritenere come autentica nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione e che nessuno osi o presuma respingerla con qualsiasi pretesto.

   Inoltre, per reprimere gli ingegni troppo saccenti, dichiara che nessuno, basandosi sulla propria saggezza, negli argomenti di fede e di costumi, che riguardano la dottrina cristiana, piegando la sacra Scrittura secondo i propri modi di vedere, osi interpretarla contro il senso che ha (sempre) ritenuto e ritiene la santa madre chiesa, alla quale spetta di giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle sacre scritture o anche contro l’unanime consenso dei padri, anche se queste interpretazioni non dovessero esser mai pubblicate. Chi contravvenisse sia denunciato dagli ordinari e punito secondo il diritto.

   Ma, volendo anche com’è giusto, imporre un limite in questo campo agli editori, i quali, ormai, senza alcun criterio - credendo che sia loro lecito tutto quello che loro piace — stampano, senza il permesso dei superiori ecclesiastici, i libri della sacra scrittura con note e commenti di chiunque indifferentemente, spesso tacendo il nome dell’editore, spesso nascondendolo con uno pseudonimo, e - cosa ancor più grave, - senza il nome dell’autore, e pongono in vendita altrove, temerariamente, questi libri stampati, il concilio prescrive e stabilisce che, d’ora in poi la sacra scrittura - specialmente questa antica volgata edizione, sia stampata nel modo più corretto, e che nessuno possa stampare o far stampare libri di soggetto sacro senza il nome dell’autore né venderli in futuro o anche tenerli presso di sé, se prima non sono stati esaminati ed approvati dall’ordinario, sotto minaccia di scomunica e della multa stabilita dal canone dell’ultimo concilio Lateranense.

   Se si trattasse di religiosi, oltre a questo esame e a questa approvazione, siano obbligati ad ottenere anche la licenza dei loro superiori, dopo che questi avranno esaminato i libri secondo le prescrizioni delle loro regole.

   Chi comunica o diffonde per iscritto tali libri, senza che siano stati prima esaminati ed approvati, sia sottoposto alle stesse pene riservate agli stampatori. Quelli che li posseggono o li leggono, se non diranno il nome dell’autore, siano considerati come autori. L’approvazione di questi libri venga data per iscritto, e quindi sia posta sul frontespizio del libro, sia esso scritto a mano o stampato. L’approvazione e l’esame siano gratuiti, così che le cose da approvarsi siano approvate e siano riprovate quelle da riprovarsi.

   Volendo infine reprimere il temerario uso, per cui parole e espressioni della sacra scrittura vengono adattate e contorte a significare cose profane, volgari, favolose, vane, adulazioni, detrazioni, superstizioni, incantesimi empi e diabolici, divinazioni, sortilegi, libelli diffamatori, il concilio comanda ed ordina per togliere di mezzo questo irriverente disprezzo, ed anche perché in avvenire nessuno osi servirsi, in qualsiasi modo, delle parole della sacra scrittura per indicare simili cose, che tutti i corruttori e violatori della parola di Dio, siano puniti dai vescovi secondo il diritto o la discrezione dei vescovi stessi.

 

[2] La Chiesa Cattolica ha sempre incoraggiato le anime pie e devote alla lettura e alla meditazione del Vangelo e della Bibbia ma ha sempre pensato che la lettura delle Sacre Scritture fosse poco utile per gli spiriti increduli, infedeli, superstiziosi, diffamatori, diabolici, impuri, malvagi, settari, eretici, ignoranti ed instabili (Matteo 7,6 ; Tito 3,10-11; 2 Pietro 3,16). Nessuna madre amorevole vieterebbe un cibo salutare ai propri figli, a meno che i figli non ne abusassero e ne facessero scempio. È pertanto comprensibile come in tempi di ignoranza, di eresie e di scismi la Chiesa possa aver limitato, controllato e vietato la lettura di bibbie sospette, senza note, senza approvazione ufficiale, in lingua volgare o in dialetto. In tempi di grave apostasia può essere stato anche salutare ridurre al minimo la lettura delle Sacre Scritture, visto l'uso perverso che ne veniva fatto dagli eretici e dai nemici della Chiesa.

 

[3] Sulla assoluta superiorità del Codice Sinaitico e del Codice Vaticano sul Codice Alessandrino, sul Textus Receptus  e sugli altri codici vedasi, comunque, B.F. Westcott e F.J.A. Hort, The New Testament in the Original Greek, Introduction and Appendix, II, Cambridge, 1881,  pag. 225.

 

[4] Il textus receptus non va confuso con il testo bizantino, di cui rappresenta solo una delle tante varianti. Vedasi Z.C. Hodges e A.L. Farstad, The Greek New Testament According to the Majority Text, Nashville, 1982. Il testo presentato dai due studiosi (che hanno peraltro attivamente contribuito alla realizzazione dell'ottima New King James Bible) differisce infatti in oltre 1.800 punti dal textus receptus ed in circa 6.600 punti dal testo critico delle United Bibles Societies (Nestle-Aland). L'assunzione di una superiorità assoluta dei Codici Sinaitico e del Vaticano sul Codice Alessandrino, sul Codice Beza, sulla Vulgata e sul Textus Receptus sembra comunque fortemente condizionata dalle ipotesi testuali dominanti. Secondo alcune critiche e non poche riflessioni successive al lavoro di Hodges e Farstad (che hanno ricostruito un testo bizantino alternativo al Textus Receptus di Erasmo da Rotterdam e al testo critico di Nestle Aland), il testo bizantino potrebbe non essere né il testo originale né un testo completamente secondario. Potrebbe trattarsi, come per la Settanta, di un testo molto antico e indipendente, degno comunque di tutto rispetto. Come hanno ammesso a denti stretti, soprattutto negli ultimi anni di vita, Martini e Metzger, occorrerebbe pertanto lasciare aperta la possibilità che, in alcuni casi, altre famiglie testuali (rispetto a quelle ufficialmente riconosciute come le più autorevoli) possano aver conservato alcune lezioni molto antiche. Un'esposizione abbastanza equilibrata delle varie posizioni è contenuta in H. A. Sturz, The Byzantine Text-Type and New Testament Textual Criticism, 1984, anche se l'autore mostra chiaramente di prediligere l'ipotesi testuale bizantina..

 

[5] Si trattava, più precisamente, dei seguenti manoscritti: 1eap (XII secolo), 1r (XII secolo), 2e (XII-XIIIsecolo), 2ap (XII secolo), 4ap (XV secolo) e 7p (XIV-XV secolo).

 

[6] Per una analisi critica del Textus Receptus vedasi, ad esempio, B.M. Metzger, Il testo del Nuovo Testamento, Brescia, 1996,  pp. 99-144.

 

[7]   Si noti che le differenze tra il testo bizantino ed il testo neutrale sono minime: su circa 300.000 varianti esistono infatti solo 6.500 differenze e la percentuale di punti concordi è pari al 98% (cioè a 293.500 punti). Tra le differenze più famose è forse il caso di ricordare il comma giovanneo (1 Giovanni 5,7-8), la professione di fede dell'eunuco etiope (Atti 8,37), la divinità di Cristo nella carne (1 Timoteo 3,16), la dossologia alla fine del Padre Nostro (Matteo 6,13), la non paternità di Giuseppe (Luca 2,33), la finale lunga di Marco (Marco 16,9-20) e la remissione dei peccati attraverso il sangue di Cristo (Colossesi 1,14).

   

[8] Di qualche interesse potrebbe essere  la consultazione di alcuni siti protestanti molto favorevoli al Textus Receptus ed alla King James Version, (grazie anche alle testimonianze patristiche prodotte), nonché di altri siti evangelici decisamente critici verso il Textus Receptus, il testo usato dalla King James Version  e la traduzione offerta dalla cosiddetta Authorized Version. Non mancano poi siti sostenitori della King James che, molto onestamente, ne riconoscono anche i difetti.

 

[9] Esistono interessanti siti specializzati nella critica testuale neo-testamentaria e nell'analisi dei principali manoscritti, dei papiri e delle principali versioni del Nuovo Testamento.