ARTHUR SCHOPENHAUER


Schopenhauer e Leopardi in De Sanctis
(da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p.368)

3. Nel Dialogo Schopenhauer e Leopardi, apparso sulla "Rivista contemporanea" nel 1858, Francesco De Sanctis richia-ma per primo l'attenzione sulle analogie tra la filosofia di Schopenhauer e la poesia di Leopardi. Egli rimarca la diversa serietà e l'opposto significato ideale del loro comune pessimismo:
- retorico e declamatorio in Schopenhauer, drammaticamente sincero in Leopardi;
- spiritualistico il primo, materialistico il secondo; - quietistico quello schopnhaueriano, tragicamente attivistico quello leopardiano;
- conservatore il tedesco, rivoluzionario e implicitamente liberale l'italiano.
Nel brano seguente viene introdotto il confronto tra le due posizioni, mediante un'analisi del concetto schopenhaueriano di Wide (volontà). Con l'aiuto dell'insegnante sviluppate una ricerca di tipo interdisciplinare sulle molteplici analogie e differenze fra i due autori.
IL WiIle" come infinito non può appagare se stesso sotto questa o quella forma, dove trova sempre un limite. Prendere dunque una forma è la sua infelicità; il suo peccato, la sua miseria è nel dire: -- Io voglio vivere.
A. Farebbe dunque meglio dire: - io voglio morire.
D. Certamente. La morte è la fine del male e del dolore, è il ' Wille" che ritorna se stesso, eternamente libero e felice. Vivere per soffrire è la più grande delle asinità.

Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?


La vita è un fenomeno, un'apparenza, "pulvis et umbra", vanità delle vanità, dove non ci è altro di reale che il dolore; e se ne togli il dolore, rimane la noia.
A. Mi pare che ti sii distratto; e che da Schopenhauer sii caduto in Leopardi.
D. Leopardi e Schopenhauer sono una cosa. Quasi nello stesso tempo l'uno creava la metafisica e l'altro la poesia del dolore. Leopardi vedeva il mondo così, e non sapeva il perché.

Arcano è tutto
Fuorché il nostro dolor.


Il perché l'ha trovato Schopenhauer con la scoperta del "Wille".
A. Forseché Leopardi non ti parla di un "brutto poter, che ascoso a comun danno impera", e forse non gli appicca subito dopo "l'infinita vanità del tutto"? Mi par che questo sia propriamente il WiIIe", giacente sotto tutta quella serie di vane apparenze che dicesi mondo.
D. Con questa differenza, che "il poter" del Leopardi è la materia eterna dotata di una o più forze misteriose; laddove il potere di Schopenhauer è una forza unica, il "Wille", e la materia è il velo di Maia, una sua apparenza. L'uno è ma-terialista, l'altro è spiritualista.

Vedi Ottimismo/Pessimismo
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F. De Sanctis: Schopenhauer e Leopardi





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