Martin Heidegger La tecnica come imposizione e destino
4 - La tecnica, l’arte, il linguaggio
Da Cioffi…, I libri di diàlogos, cit., vol. F, pp. 95-96
La tecnica rappresenta il compimento della metafisica, in quanto realizza la più perfetta forma di organizzazione e di dominio sul mondo, sugli uomini, sulla natura che la storia abbia conosciuto. L’uomo contemporaneo, dimentico dell’essere, èl’uomo della tecnica; dominato dal pensiero della tecnica, ridotto esso stesso a cosa fra cose, egli smarrisce la domanda sul senso. Qui tecnica non significa solo creazione di macchine, ma designa qualcosa di più ampio, ossia una certa maniera in cui l’uomo e l’essere risultano vicendevolmente coinvolti: nella tecnica tutto (enti e uomini) è ridotto a risorsa disponibile, sfruttabile, manipolabile, calcolabile. Il carattere della tecnica e la modalità in cui l’uomo al suo interno si pone in relazione agli enti - è dunque quello dell’ imposizione.
Quella di Heidegger non è tuttavia una polemica romantica contro la tecnica e la modernità. Egli tenta di cogliere la radice filosofica che sta alla base della tecnica come fenomeno della nostra epoca. Vi è certamente una differenza tra la tecnica moderna, che forza la natura riducendola a energia da accumulare e da sfruttare, e la techne degli antichi, che assecondava la "produzione" della natura e le possibilità in essa inscritte. C’è una differenza tra l’antico ponte di legno che congiunge da secoli le sponde del Reno e la centrale idroelettrica che imbriglia le acque del fiume, incorporando il fiume nella costruzione stessa della centrale.
Per quanto diversa da quella antica, anche la tecnica moderna tuttavia è un modo del disvelamento della verità. Occorre pertanto guardarsi da quelle facili alternative che consistono nella sua cieca esaltazione o nella sua condanna, nella volontà di dominarla o nella scoperta di esserne travolti. L’essenza della tecnica sta nel fatto che essa si dà nella storia degli uomini come un "destino", vale a dire un evento dell’essere che accade nell’uomo e con l’uomo. Nell’epoca della tecnica secondo Heidegger è possibile un nuovo inizio: se infatti con essa la metafisica giunge al proprio compimento, allora si apre anche la possibilità per l’uomo di porsi all’ascolto dell’essere e di corrispondervi.
L’essenza dell’opera d’arte
Heidegger ora è indotto a privilegiare l’arte come esperienza di verità: a essa egli attribuisce un valore ontologico, nel senso che essa produce un’apertura della verità dell’essere. Rivolgersi all’arte non è tuttavia, per il filosofo tedesco, un rimedio ai mali della tecnica, ma un modo per collocarsi in una dimensione che non è più quella della metafisica.
Il tentativo di pensare l’essere al di là del linguaggio della metafisica diventa così occasione di riflessione sull’essenza dell’ "opera d’arte". Nel saggio sull’Origine dell’opera d’arte, Heidegger osserva che l’opera d’arte non può essere interpretata semplicemente come un ente intramondano, ossia un ente che si situa all’interno del mondo allo stesso modo delle cose. Piuttosto, essa stessa fonda un mondo, quello che comunemente diciamo il "mondo dell’opera", alla luce del quale le cose acquistano un significato. L’opera d’arte sì rivela dunque come "apertura d’un mondo storico".
Un tempio greco, una statua, un quadro, una poesia non rispecchiano una realtà oggettiva, ma costruiscono un ordine di valori e di significati (religiosi, etici, civili, estetici) che sono alla base della cultura di un’epoca. Non è dunque attraverso una epoca storica che comprendiamo il senso di un’opera d’arte, ma al contrario è attraverso l’opera che cogliamo il senso di un’epoca. Proprio perché l’opera d’arte è "messa in opera della verità", essa ha, per Heidegger, una permanente riserva di significati, mai completamente esplicitabili, e dunque continua a rivolgersi a noi, anche se appartiene a un orizzonte storico diverso dal nostro.
II linguaggio poetico e il disvelamento dell’essere
Heidegger afferma che l’arte è nella sua essenza poesia, nel senso di "creazione" (in greco: poiesis) di ciò che è nuovo. Sebbene questo non significhi la risoluzione di tutte le arti nella "poesia" in senso letterario, quest’ultima assume di fatto una centralità peculiare nella meditazione heideggeriana. La poesia infatti si fonda sulla parola e vive della vita del linguaggio, il quale è un "dire originario", in quanto, nominando l’essere, lo porta ad accadere. Come l’arte non è semplice imitazione della realtà, ma è apertura di un mondo, così il linguaggio poetico non consiste in un complesso di segni che rimandano a un mondo già dato, ma è il luogo dove l’essere si disvela. Per il tramite del linguaggio, la verità si dà come un dono dell’essere. Per questo, Heidegger afferma che il "linguaggio è la casa dell’essere". Questa affermazione significa, in primo luogo, che non c’è apertura di un mondo, e dunque possibilità d’incontro tra l’uomo e le cose, che non sia un evento linguistico, al punto che "là dove non ha luogo linguaggio di sorta, come nell’essere della pietra, della pianta e dell’animale, non ha neppur luogo alcun aprimento dell’ente". Ogni ente, secondo Heidegger, per apparire deve inserirsi in un mondo, cioè in una totalità di significati che presuppone appunto il linguaggio. Ma Heidegger intende anche affermare che "è la parola che procura l’essere alla cosa": ciò è plausibile se si pensa il linguaggio come a un evento che sottrae l’ente al nascondimento, portandolo alla parola, sicché "nessuna cosa è dove la parola manca". Nel linguaggio, dunque, risiede il nostro accesso all’essere.
La circolarità tra uomo e linguaggio
Tra uomo e linguaggio corre una relazione di circolarità: l’uomo, parlando, dispone in una certa misura del linguaggio, ma è vero anche che è il linguaggio a disporre di lui. Per un verso il linguaggio sembra opera dell’uomo: c’è infatti linguaggio solo dove l’uomo Io parla; ma, per un altro verso, l’uomo è rimesso a] linguaggio e può pensare e dire solo ciò che rientra in un certo orizzonte linguistico che trova predefinito. Sotto questo profilo, "èil linguaggio che parla" e l’uomo parla solo in quanto vi corrisponde. Qui Heidegger non intende segnalare banalmente un generico condizionamento del linguaggio sull’uomo, quanto indicare come, nella circolarità di linguaggio e uomo, l’essere reclami a sé l’uomo e l’uomo gli corrisponda.
Quale linguaggio tuttavia? Non certo il linguaggio decaduto a mero strumento di comunicazione, quanto piuttosto il linguaggio poetico, il vero linguaggio autentico. Proprio perché accentua il carattere evocativo del linguaggio poetico, per Heidegger l’atto originario del parlare non sta nella pura connessione proposizionale (oggetto della logica e della linguistica), ma nel nominare attraverso la parola l’essere della cosa. Se la cosa e anzitutto nella parola che la nomina, allora la "realtà" autentica della cosa si rivelerà attraverso un esercizio ermeneutico (interpretativo) condotto sulla parola stessa. Da qui nasce l’attenzione per le etimologie. L’etimologia non è mai per, Heidegger, l’evocazione di una realtà lontana, morta, di un residuo arcaico, bensì un modo per riconquistare il senso autentico delle parole e per attingere le originarie dimensioni d’essere delle cose.
I punti chiave
~ Quale funzione assume, per il secondo Heidegger, l’arte e in particolare la poesia?
~ Come concepisce Heidegger il nesso fra uomo e linguaggio?