Martin Heidegger

I modi dell’esserci
Da Cioffi…, I libri di diàlogos, cit., vol. F, pp. 90-92


La situazione affettiva, il comprendere e il parlare

Quali sono i modi fondamentali in cui l’esserci (Dasein) è nel mondo? Essi sono tre: la situazione, il comprendere, il parlare.
La situazione affettiva indica il nostro sentirsi e trovarsi emotivamente nel mondo: nei diversi stati d’animo (gioia, noia, paura, angoscia) l’uomo si "apre" emotivamente al mondo, avendone una prima esperienza. Nella situazione affettiva l’uomo, tuttavia, si ritrova a esistere senza sapere "donde" viene e "dove" va: il suo essere si rivela come un essere-gettato, come un puro fatto; si rivela la fatticità dell’esserci. Fra gli stati d’animo, assume per questo particolare rilevanza l’angoscia: a differenza della paura (che è sempre paura di qualcosa), l’angoscia ha un carattere di totale indeterminatezza; davanti all’angoscia non c’è che il "nulla", perché il mondo ha perso ogni significato.
Ma l’esserci è nel mondo soprattutto nella forma del comprendere, che è un volgersi dell’uomo al proprio essere come poter-essere. Se nella situazione affettiva predomina l’essere-gettato dell’esserci, che si scopre rinviato al mondo senza potersene dare ragione, nel comprendere prevale l’aspetto di iniziativa dell’esserci, vale a dire il suo protendersi "avanti a sé", verso le possibilità che contrassegnano l’orizzonte della sua esistenza. Il comprendere assume pertanto un carattere di progetto delle possibilità di esistenza. Il progetto dà senso all’essere-nel-mondo dell’esserci e rende possibile l’interpretazione dei significati del mondo, del quale, appunto per questo, ne è possibile la comprensione.
Il parlare - il terzo modo dell’esserci - esprime e rende manifesto quanto compreso e interpretato. Si stabilisce così un rapporto di circolarità: comprensione e situazione affettiva sono infatti cooriginarie, così come cooriginario a esse è il parlare, che costituisce il fondamento esistenziale del linguaggio. Si capisce così come il conoscere non sia un lineare rispecchiamento dell’oggetto nel pensiero, quanto un’interpretazione che si muove all’interno di una pre-comprensione della totalità dei significati, in cui da sempre l’uomo è. Secondo Heidegger, non si dà mai un soggetto puro della conoscenza, un osservatore neutrale e distaccato delle cose: comprensione e interpretazione sono sempre influenzate dalle nostre "tonalità emotive".

Autenticità e inautenticità: la cura

Grazie al linguaggio, l’uomo è sempre collegato a un certo modo di giudicare, di valutare le cose. Si tratta di un evento inevitabile: nel mondo comune dell’esistenza quotidiana l’esserci tende a uniformarsi a quel che pubblicamente, anonimamente, si dice, si pensa, si fa. Ognuno è gli altri e nessuno è se stesso, prevale, quindi, l’ anonimia. E in questa dimensione che per Heidegger risiede l’inautenticità dell’esserci, ossia la tendenza a deresponsabilizzarsi e ad affidarsi al mondo del Si impersonale, dove dominano la chiacchiera, la curiosità e l’equivoco.
Heidegger definisce questa situazione lo scadimento dell’esserci. Con questo termine egli intende sottolineare lo stato di smarrimento di se Stesso che caratterizza l’ "esserci-nel-mondo" prigioniero dell’opinione pubblica anonima. Tuttavia, proprio a partire da questa condizione quotidiana, l’uomo può progettare la propria esistenza autentica. Può, secondo Heidegger, trasformare il proprio essere-nel-mondo in un vivere consapevole e responsabile, senza limitarsi ad amministrare un patrimonio di pregiudizi già dato e precostituito.
Sia che ci volgiamo all’esistenza autentica o a quella inautentica, l’essere dell’uomo appare sempre come cura. L’uomo vive "prendendosi cura" delle cose e "avendo cura" degli altri uomini. Con il termine cura Heidegger indica la totalità delle strutture esistenziali fin qui esaminate: il progetto, l’essere-gettato, lo scadimento. Il progetto anticipa e prepara il futuro; l’essere-gettato si riferisce al passato in quanto trasforma l’uomo in un fatto; lo scadimento definisce, quindi, la condizione presente: le forme della cura mostrano dunque come le modalità temporali (futuro, passato, presente) costituiscano il senso dell’esistenza dell’esserci.

L’esserci e l’essere per la morte

Fin qui sono state messe in luce le strutture dell’esistenza a partire dalla quotidianità, per lo più inautentica, dell’esserci; ora si tratta di descrivere le possibilità per l’esserci di "essere autentico". L’esistenza, secondo Heidegger, consiste infatti anzitutto nel protendersi verso delle possibilità: all’uomo, finché esiste, appartiene una costante incompiutezza. Finché c’è, l’esserci umano è incompleto in quanto ha sempre delle possibilità ulteriori da dover attuare; solamente quando questo ente "finisce", quando muore, semplicemente non c’è più.
Ma la morte, per Heidegger, non è solo il venire meno di una presenza: essa va compresa come quella possibilità ultima che l’esserci assume quando nasce, come quella "imminenza" che "sovrasta" la sua vita e che coinvolge da cima a fondo il suo essere. La concezione epicurea per cui l’individuo non può esperire la propria morte - poiché quando ci sono io, la morte non c’è; quando essa sopravviene, io non ci sono più - riguarda solo la morte come fatto fisiologico, che non mi concerne se non in quanto lo posso esperire nel morire degli altri. Ma l’uomo osserva Heidegger - si rapporta sempre alla sua fine non come a un mero fatto, ma come a una propria possibilità, come alla "possibilità dell’impossibilità dell’ esserci". Per questo, nella morte, ne va sempre del mio essere e "ogni esserci deve assumersi in proprio la morte". L’esserci esiste sempre come un essere in vista della sua fine, vale a dire come essere-per-la-morte.
Per quanto l’esserci tenda a eludere la sua possibilità estrema, rifugiandosi nella calma abitudine delle occupazioni quotidiane e nella mentalità del Si che si limita alla constatazione impersonale che si deve morire, la morte resta per lui la possibilità più propria, incondizionata, insuperabile e certa, e tuttavia indeterminata quanto al suo "quando".
Scopo di Heidegger, è bene chiarirlo, non è quello di offrire una visione pessimistica della vita; e neppure è quello di proporre un ideale di vita basato sul solo "pensare alla morte". Per il filosofo tedesco, precorrendo la morte come la possibilità più propria, l’uomo, anziché chiudersi in una situazione data come definitiva, assume se stesso in modo autentico come un perenne poter essere e si rende responsabile dinanzi alle possibilità finite della sua esistenza. Cerchiamo di chiarire meglio questo punto. La morte, se compresa autenticamente come possibilità "non offre nulla da realizzare all’uomo", nel senso che non gli pone dinanzi uno scopo che deve tradursi in realtà. Se posta in atto (per esempio nel suicidio), la morte si annullerebbe infatti come possibilità. Precorrere la morte non significa dunque anticiparla come realtà,. oppure attendere il momento del decesso e prepararsi a tale evento. Significa piuttosto mantenersi costantemente nell’imminenza della m9rte come "possibilità" in senso radicale. In tale situazione di vicinanza alla morte, l’esserci si apre alla comprensione delle concrete possibilità offerte dalla vita, per sceglierle responsabilmente senza irrigidirsi in nessuna di esse o subirle in modo passivo e banale.

La risolutezza precorritrice e la temporalità dell’esserci

Occorre tuttavia che tale preconimento della morte divenga risolutezza, decisione, cioè orientamento autentico e acquisito dell’anima. Ciò è possibile perché l’uomo ha una coscienza morale. La "voce della coscienza" risveglia l’uomo dalla dispersione quotidiana e lo pone di fronte alla finitezza costitutiva della sua esistenza. La risolutezza precorritrice, come accettazione della propria singolarità finita, costituisce l’esistere autentico dell’esserci, e comporta che quest’ultimo, comprendendosi a partire dalla sua possibilità ultima, sia aperto al futuro. Ma, secondo Heidegger, la risolutezza precorritrice è anche sempre un ritornare sul proprio esser-gettato, vale a dire sul proprio esser-stato, sul passato.
In questo modo l’esserci è in grado di vivere autenticamente nella situazione di volta in volta effettiva, ossia di abitare il mondo presente a lui circostante in modo responsabile e risoluto. Nelle modalità fondamentali del futuro, del passato e del presente si dispiega la temporalità come senso autentico della cura. Va osservato che, fra le modalità temporali, il futuro ha un primato caratteristico: solo in quanto si progetta sul proprio futuro autentico, l’esserci comprende il passato ed è in grado di vivere la propria situazione presente.
Si comprende ora come la temporalità sia il fondamento della "cura", vale a dire della totalità delle strutture dell’esistenza. L’uomo calcola, fa piani, agisce; e per far questo ha bisogno di situare gli eventi all’interno di una successione ininterrotta di istanti. Egli tuttavia, per Heidegger, non si trova semplicemente "calato" nel tempo, nella stona intesa come successione di eventi: al contrario, egli esiste storicamente solo in quanto il suo essere è costitutivamente temporale. La storia stessa non è altro che lo storicizzarsi dell’esserci. Originariamente storico è l’esserci, mentre le cose hanno una storia solo in quanto appartengono a un certo mondo storico, vale a dire a una certa apertura storica dischiusa dall’esserci stesso. Ma l’esserci esiste sempre come esser-con-gli altri. Il suo storicizzarsi assume così il carattere del "destino comune" e con questo concetto Heidegger indica lo storicizzarsi della comunità, del popolo.


I punti chiave

~ In che senso Heidegger afferma che l’uomo è "gettato" nell’esistenza?

~ Quali sono i caratteri dell’inautenticità dell’esistenza indicati da Heidegger?

~ In quale modo, per Heidegger la "risolutezza anticipatrice" consente di superare la condizione di scadimento dell’uomo?




Vita e opere
1-La fenomenologia esistenziale
3-La svolta verso l'essere
4-La tecnica, l'arte. il linguaggio
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