Martin Heidegger

3 - La svolta verso l’essere
Da Cioffi…, I libri di diàlogos, cit., vol. F, pp. 92-94


L’interpretazione esistenzialistica di Essere e tempo

Essere e tempo non fu mai portato a termine: la parte che doveva recare il titolo "Tempo ed essere" non fu scritta. Dirà successivamente Heidegger, nella celebre Lettera sull ‘umanismo del 1947, che l’opera dcl 1927 era stata lasciata in sospeso perché il "linguaggio della metafisica", l’unico disponibile, non riusciva a esprimere in modo adeguato la "verità dell’essere".
Proprio il mancato completamento dell’opera del 1927 fu all’origine di una serie di letture della filosofia heideggeriana che la interpretavano come una variante dell’ "esistenzialismo", indirizzo di pensiero che era nato in Germania fra le due guerre in relazione alla cosiddetta "rinascita kierkegaardiana", trovando poi particolare diffusione in Francia. Destò dunque sorpresa il fatto che Heidegger, nella Lettera sull’umanismo, distingucsse nettamente il suo pensiero da quello esistenzialistico, criticando in particolare alcune tesi sviluppate da Jean-Paul Sartre nel saggio del 1946 L’esistenzialismo è un umanismo. In questo testo il filosofo francese accomunava alla propria riflessione l’opera heideggenana del 1927. Alla celebre affermazione sartriana che "siamo su un piano dove c’è solamente l’uomo" che valeva come una presa di posizione urnanistico-atea, Heidegger replicava che, per lui, l’essenziale non è l’uomo, ma l’essere.
Nella Lettera sull ‘umanismo, Heidegger accenna alla necessità di un "rovesciamento" della questione dell’essere, così come era stata impostata in Essere e tempo. Questa nuova posizione, che ha fatto parlare di una "svolta" nel pensiero heideggeriano, non va intesa come un abbandono dell’interesse ontologico originario, quanto come un rovesciamento di prospettiva nel porre la questione dell’essere: il tentativo di pensare "l’uomo nel suo rapporto all’essere" si ribalta nel compito di pensare "l‘essere e la sua verità in rapporto all’uomo". Per far ciò, occorre rimettere in discussione radicalmente il linguaggio della metafisica, la quale, in tutta la sua storia, ha sempre concepito l’essere in base all’ente: come ente in quanto ente ("onto-logia") o come ente supremo, Dio ("teo-logia"). Essa, secondo Heidegger, non ha mai pensato l’essere come essere. Oltrepassare la metafisica significa dunque pensare all’essere nella verità che gli è propria, ossia come quella dimensione di apertura entro cui solo l’uomo esiste e incontra gli enti.
L’essere non può venire pensato sul modello degli enti, in quanto ne costituisce piuttosto l’orizzonte al cui interno gli enti stessi si manifestano. Solo in quanto l’uomo si rapporta a questo orizzonte - e dunque oltrepassa l’ente in direzione dell’essere - gli enti vengono per lui alla luce. Dirà Heidegger, per descrivere questo processo, che la verità ontologica, la comprensione dell’essere, precede e fonda la verità ontica, cioè la conoscenza degli enti.

La verità come disvelamento

La parola "verità" va intesa qui in un’accezione diversa da quella tradizionale, che la definisce come conformità del pensiero al suo oggetto (adaequatio rei et intellectus, secondo la formula di Tommaso). Heidegger si richiama piuttosto alla concezione greca, che intende la verità come non-nascondimento, dis-velamento (a-lètheia) In questo modo Heidegger può sostenere che, se la conformità tra pensiero e oggetto deve aver luogo, occorre che si dia già un orizzonte di manifestatività, un ambito aperto entro cui l’esserci può incontrare l’ente e l’ente può manifestarsi all’uomo.
Nella conferenza L’essenza della verità (1930), Heidegger osserva che concepire la verità come non-nascondimento, come manifestazione dell’ente, comporta anche che qualcosa, sotteso alla manifestazione, rimanga nascosto. Questo qualcosa è l’essere stesso. Infatti, il manifestarsi degli enti comporta che l’essere non venga in primo piano, ma resti nascosto. E solo per via di questo nascondimento dell’essere che i singoli enti possono venire in primo piano. Il nascondimento si rivela dunque come un tratto peculiare e costitutivo della verità dell’essere, il quale, proprio in quanto consente l’apparizione degli enti, non appare lui stesso.
Al nascondimento dell’essere si collega l’erranza dell’uomo storico, il suo indaffararsj in modo esclusivo con le cose (lo "scadimento"); dimenticando l’orizzonte nascosto, l’uomo si rapporta solo agli enti, e si espone all’errore, alla non-verità. L’ "oblio dell’essere" penetra e accompagna tutta la storia dell’uomo e della tradizione filosofica.
Alla luce di queste considerazioni, la verità dell’essere ha la caratteristica di un apparire, di un rilucere in chiaroscuro: la verità viene da Heidegger metaforicamente definita come chiarìta dell’essere, parola che letteralmente significa "radura boschiva". Come in una radura, essa alterna luce e oscurità.

La coappartenenza originaria di uomo ed essere

Secondo la prospettiva del "secondo Heidegger", l’uomo accede agli enti, li scopre e li conosce solo in quanto si trova già da sempre inserito in un’originaria apertura storica di significati - il "mondo" - che non risale a lui, ma che ha i contorni di un evento disvelante l’essere stesso.
Ci si può chiedere se questa concezione non risulti radicalmente anti-umanistica, tale cioè da non lasciare alcun margine di libertà all’uomo, ponendolo in balìa dell’essere concepito come ciò che all’uomo (al soggetto) si contrappone. Certamente per Heidegger si tratta di pensare l’essere come essere, e dunque di interpretare la stessa essenza dell’uomo a partire dalla sua appartenenza alla verità dell’essere. Tuttavia, occorre guardarsi dal pensare l’essere come qualcosa di dato che entra solo in un secondo momento in relazione con l’uomo.
Heidegger sottolinea che "l’essere "ha bisogno" dell’uomo", senza il quale la manifestazione degli enti non avrebbe alcun senso; ma, al medesimo tempo, egli afferma che "l’uomo stesso è in quanto appartiene all’essere". Dovremo dunque dire che essere e uomo si appartengono l’uno all’altro: l’uomo non è mai senza l’essere, e l’essere non si dà mai senza l’uomo, sicché non ha senso pensare a una loro contrapposizione. Per designare questa originaria "coappartenenza", Heidegger usa la parola evento. L’essere, infatti, va inteso come "evento in quanto ha il carattere dell’accadere, dell’avvenire storico; esso è però evento anche perché, in tale accadere, si consegna all’uomo, il quale diventa così il custode della rivelazione dell’essere.
In Essere e tempo la storicità era la storicità dell’esserci. Nel secondo Heidegger, la storia dell’uomo acquista senso solo se si inscrive nella storia dell’essere. Quest’ultima, in quanto non fa capo all’uomo come "soggetto" sovrano della storia, va pensata come destino, termine che in Heidegger non significa fato inevitabile, ma "destinazione". L’uomo è destinato a vivere in un mondo storico caratterizzato da un certo progetto in base a cui egli si riferisce agli enti e agli altri uomini. Tale "progetto" tuttavia non è istituito da lui o dalle generazioni a lui precedenti. L’accadere dei diversi mondi storici costituisce la "storia dell’essere", che è la storia del suo donarsi nell’ente e al contempo del suo celarsi. Ogni epoca della storia dell’essere appare così segnata da una "sospensione" (in greco: epoché) della rivelazione dell’essere, sicché il "destino" dell’essere fa tutt’uno con il suo assentarsi e con l’oblio dell’essere a favore dell’ente.

La metafisica come oblio dell’essere

La storia di questo oblio coincide con la storia della metafisica. Il concetto di "metafisica" non è pensato da Heidegger in contrapposizione a quello di "scienza" (come fanno invece il positivismo e l’empirismo), in quanto la stessa scienza, che pensa e considera l’ente come semplice oggetto, deriva dal tronco della metafisica, ossia dalla rinuncia a pensare la verità dell’essere.
Dal punto di vista della storia dell’essere, la metafisica va pensata come il "progetto" complessivo che domina un’intera fase ditale storia (la sola che finora ci sia dato di conoscere). È alla luce di una determinata metafisica che, in ogni epoca, l’umanità è posta in rapporto con gli enti e con se stessa. La metafisica si configura così come l’evento complessivo che segna la civiltà occidentale, la cui storia rivela una vocazione nichilistica, se per nichilismo si intende l’oblio dell’essere, ovvero "la storia in cui dell’essere non ne è più nulla". L’oblio dell’essere è alle origini di quella "mancanza di patria", che per Heidegger è la radice dell’alienazione propria dell’uomo moderno. Si tratta di quello sradicamento profondo dell’uomo dalla sua essenza (essenza che consiste nella sua "vicinanza" all’essere), per il quale egli si affaccenda in modo esclusivo con gli oggetti, le cose, chiuso in un’esistenza inautentica. Ma i concetti di inautenticità e di alienazione o quello di "reificazione", ricorrente in pensatori come Lukàcs, Adorno, Marcuse, non vanno riferiti - secondo Heidegger - a una presunta perdita di sé da parte del soggetto: essi segnano il destino dell’uomo nell’epoca della metafisica. In modo paragonabile alla categoria di nichilismo elaborata precedentemente da Nietzsche, la metafisica assume in Heidegger un carattere "epocale".

La fine della metafisica

Parlando della metafisica come oblio- dell’essere, Heidegger non intende negare che il pensiero metafisico si sia riferito, in vari modi, all’essere. Esso ha sempre tentato di pensare l’ente nel suo essere, pervenendo tuttavia soltanto a concepire l’essere dell’ente come un ente ulteriore, senza pensare l’essere come tale, nella sua differenza dall’ente:
l’oblio dell’essere è, dunque, l’oblio della differenza di essere ed ente ("differenza ontologica").
Se oggi diventa possibile riconoscere l’oblio dell’essere è perché la metafisica è giunta a compimento. La sentenza nietzscheana sulla "morte di Dio", come annuncio della dissoluzione del mondo sovrasensibile, conclude ogni ricerca possibile di un mondo metafisico al di là di questo mondo e prefigura I ‘oltrepassamento della metafisica, ossia il passaggio a un pensiero che pensi la verità dell’essere. Ciò che cominciò con Platone giunge alla fine con Nietzsche, sebbene questa fine non significhi che la metafisica rimanga alle nostre spalle e non condizioni più il nostro modo di pensare. L’epoca contemporanea, secondo Heidegger, è infatti caratterizzata dalla metafisica della volontà di potenza, che trova i] suo annuncio con Nietzsche e la sua manifestazione compiuta nella tecnica moderna. Nella filosofia di Nietzsche la metafisica diventa metafisica della volontà di potenza o, come dice Heideggcr, della volontà di volontà: questa vuole infatti se stessa, in quanto non ha più alcun termine da raggiungere che non sia la pura espansione e l’ ultrapotenziamento di se medesima, in un perenne ritorno su di se stessa.


I punti chiave

~ Quali opposte interpretazioni dell’analitica esistenziale di Essere e tempo furono offerte da Sartre e dallo stesso Heidegger?

~ Come definisce Heidegger il concetto di verità?

~ Con quali argomenti Heidegger condanna come "inautentica" l’intera tradizione metafisica occidentale?





Vita e opere
1-La fenomenologia esistenziale
2-I modi dell'esserci
4-La tecnica, l'arte, il linguaggio
L'esistenza e l'essere
Link del 1° Nucleo
Link generali
Link interdisciplinari
INDICE GENERALE
HOME