In questo brano, tratto dalla Prefazione di Così parlò Zarathustra, vengono messi a tema i grandi motivi della filosofia nietzscheana: la morte di Dio, la fedeltà alla terra, il superuomo.
Nel prosieguo del nostro percorso antologico, e segnatamente nei due testi successivi, questi motivi verranno ripresi e approfonditi alla luce degli altri due concetti fondamentali del pensiero nietzscheano: la volontà di potenza e l'eterno ritorno.
Con lo Zarathustra Nietzsche acquista definitivamente la convinzione che la propria attività filosofica possieda il carattere della missione: "A questo libro - scrive - si deve augurare la diffusione della Bibbia."
La condizione di eccitazione e di turbamento cui Nietzsche è sottoposto durante i giorni agostani del 1881, in cui annota il primo abbozzo dell'opera futura, è testimoniata dalla lettera che da Sils-Maria, in Engadina, scrive all'amico musicista Heinrich Koeselitz, più noto con lo pseudonimo coniato da Nietzsche stesso di Peter Gast: 'Sul mio orizzonte sono sorte idee quali non ho mai visto prima - non voglio farne parola, voglio mantenere un silenzio incrollabile (...) L'intensità dei miei sentimenti mi fa rabbrividire e ridere".
La fase di gestazione delloZarathustra durerà fino al febbraio del 1883, mese in cui esce la parte dell'opera, annunciata solo da alcuni aforismi della quarta parte della Gaia scienza, dove si fa menzione per la prima volta di eterno ritorno.
1. Giunto a trent'anni, Zarathustra lasciò il suo paese e il lago del suo paese, e andò sui monti. Qui godette del suo spirito e della sua solitudine, né per dieci anni se ne stancò. Alla fine si trasformò il suo cuore, - e un mattino egli si alzò insieme all'aurora, si fece al cospetto del sole e così gli parlò: "Astro possente! Che sarebbe la tua felicità, se non avessi coloro ai qualità risplendi! Per dieci anni sei venuto quassù, alla mia caverna; sazio della tua luce e di questo cammino saresti divenuto, senza di me, la mia aquila, il mio serpente. Noi però ti abbiamo atteso ogni mattino e liberato del tuo superfluo, di ciò ti abbiamo benedetto. Ecco! La mia saggezza mi ha saturato fino al disgusto; come l'ape che troppo miele ha raccolto, ho bisogno di mani che si protendano.
Vorrei spartire i miei doni, finché i saggi tra gli uomini tornassero a rallegrarsi della loro follia e i poveri della loro ricchezza.
Perciò devo scendere giù in basso; come tu fai la sera, quando vai dietro al mare e porti la luce al mondo intero, o ricchissimo fra gli astri! Anch'io devo, al pari di te, tramontare, come dicono gli uomini, ai quali voglio discendere. Benedicimi, occhio pacato, scevro d'invidia anche alla vista di una felicità troppo grande! Benedici il calice, traboccante a far scorrere acqua d'oro, che ovunque porti il riflesso splendente della tua dolcezza!
Ecco! Il calice vuol tornare vuoto, Zarathustra vuol tornare uomo".
- Così cominciò il tramonto di Zarathustra.
2. Zarathustra prese a discendere da solo la montagna, senza incontrare alcuno. Ma giunto alle foreste, ecco si trovò dinanzi un vegliardo, che, in cerca di radici per la foresta, aveva lasciato la sua pia capanna. E così parlò a Zarathustra il vegliardo:
"Questo viandante non mi è sconosciuto: alcuni anni fa è passato di qui. Zarathustra era il suo nome; ma egli si è trasformato. Portavi allora la tua cenere sul monte: oggi vuoi portare nelle valli il tuo fuoco? Non temi i castighi contro gli incendiari? Sì, riconosco Zarathustra. Puro è il suo occhio, né disgusto si cela sulle sue labbra. Non incede egli a passo di danza? Trasformato è Zarathustra, un bambino è diventato Zarathustra, Zarathustra è un risvegliato: che cerchi mai presso coloro che dormono? Hai vissuto nella solitudi-ne come in un mare, e il mare ti ha portato. Guai! vuoi scendere a terra? Guai! vuoi tornare a trascinare da solo il tuo corpo?".
Zarathustra rispose: "Io amo gli uomini".
"E perché mai, disse il sant'uomo, io sono andato nella foresta e nel deserto? Non fu forse perché amavo troppo gli uomini?
Adesso io amo Iddio: gli uomini, io non li amo. L'uomo è per me una cosa troppo imperfetta. L'amore per gli uomini mi ammazzerebbe".
Zarathustra rispose: "Non di amore dovevo parlare! Io reco agli uomini un dono".
"Non dar loro nulla, disse il santo. Levagli piuttosto qualcosa e portalo insieme a loro - questo sarà per essi il massimo beneficio: purché lo sia anche per te! E se proprio vuoi dargli qualcosa, non dare più di un'elemosina, e falli mendicare per questo! ".
"No, rispose Zarathustra, io non faccio elemosine. Non sono abbastanza po-vero per farlo".
Il santo rise di Zarathustra e disse: "Bada che essi vogliano accettare i tuoi tesori! Sono diffidenti verso gli eremiti e non credono che noi veniamo a portare doni. I nostri passi risuonano troppo solitari per i loro vicoli. E quando di notte, a letto, sentono un uomo camminare assai prima che il sole sorga, si chiedono: dove andrà quel ladro? Non andare dagli uomini, resta nella foresta! Va' piuttosto dagli animali! Perché non vuoi, come me, essere un orso tra gli orsi, un uccello tra gli uccelli? ".
"E che fa il santo nella foresta?", chiese Zarathustra.
Il santo rispose: "Io faccio canzoni e le canto, e nel far canzoni, rido, piango e mugolo: così lodo Iddio. Cantando, piangendo, ridendo, mugolando, io lodo il dio che è il mio dio. Ma tu che ci porti in dono? ".
Udite queste parole, Zarathustra salutò il santo e disse: "Che mai posso avere da darvi! Lasciatemi andare, presto - che non vi porti via nulla!". E cosi si separano, il vegliardo e l'uomo, ridendo come ridono due fanciulli.
Ma quando fu solo, così parlò Zarathustra al suo cuore: "E mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta, che Dio è morto!"
3. Giunto nella città vicina, sita presso le foreste, Zarathustra vi trovò radunata sul mercato una gran massa di popolo: era stata promessa infatti l'esibizione di un funambolo. E Zarathustra parlò così alla folla:
Io vi insegno il superuomo. L'uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sé: e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l'uomo? Che cos'è per l'uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l'uomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna. Avete percorso il cammino dal verme all'uomo, e molto in voi ha ancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi l'uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia.
E il più saggio tra voi non è altro che un'ibrida disarmonia di pianta e spettro. Voglio forse che diventiate uno spettro o una pianta?
Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra!
Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire!
Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto. e così son morti anche tutti questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la terra, questa è oggi la cosa più orribile, e apprezzare le viscere dell'imperscrutabile più del senso della terra!
In passato l'anima guardava al corpo con disprezzo: e questo disprezzo era allora la cosa più alta: - essa voleva il corpo macilento, orrido, affamato. Pensava, in tal modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra. Ma questa anima era anch'essa macilenta. orrida e affamata: e crudeltà era la voluttà di questa anima! Ma anche voi. fratelli, ditemi: che cosa manifesta il vostro corpo dell'anima vostra? Non è forse la vostra anima indigenza e feccia e miserabile be-nessere? Davvero, un fiume immondo è l'uomo. Bisogna essere un mare per accogliere un fiume immondo, senza diventare impuri.
Ecco, io vi insegno il superuomo: egli è il mare, nel quale si può inabissare il vostro grande disprezzo. Qual è la massima esperienza che possiate vivere? L'ora del grande disprezzo. L'ora in cui vi prenda lo schifo anche per la vostra felicità e così pure per la vostra ragione e la vostra virtù.
L'ora in cui diciate: "Che importa la mia felicità! Essa è indigenza e feccia e un miserabile benessere. Ma la mia felicità dovrebbe giustificare persino l'esistenza!
L'ora in cui diciate: "Che importa la mia ragione! Forse che essa anela al sapere come il leone al suo cibo? Essa è indigenza e feccia e un miserabile benessere! ".
L'ora in cui diciate: "Che importa la mia virtù! Finora non mi ha mai reso furioso. Come sono stanco del mio bene e del mio male! Tutto ciò è indigenza e feccia e benessere miserabile!".
L'ora in cui diciate: "Che importa la mia giustizia! Non mi vedo trasformato in brace ardente! Ma il giusto è brace ardente!".
L'ora in cui diciate: "Che importa la mia compassione! Non è forse la compassione la croce cui viene inchiodato chi ama gli uomini? Ma la mia compassione non è "crocefissione".
Avete già parlato Così? Avete mai gridato così? Ah, vi avessi già udito gridare così! Non il vostro peccato - la vostra accontentabilità grida al cielo, la vostra parsimonia nel vostro peccato grida al cielo! Ma dov'è il fulmine che vi lambisca con la sua lingua! Dov'è la demenza che dovrebbe esservi inoculata? Ecco, io vi insegno il superuomo: egli è quel fulmine e quella demenza! ".
Zarathustra aveva detto queste parole, quando uno della folla gridò: "Abbiamo sentito parlare anche troppo di questo funambolo; è ora che ce lo facciate vedere! ". E la folla rise di Zarathustra. Ma il funambolo, credendo che ciò fosse detto per lui, si mise all'opera.
4. Zarathustra invece guardò meravigliato la folla. Poi parlò così:
L'uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, - un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. La grandezza dell'uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell'uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto.
Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poiché essi sono una transizione.
lo amo gli uomini del grande disprezzo, perché essi sono anche gli uomini della grande venerazione e frecce che anelano all'altra riva.
lo amo coloro che non aspettano di trovare una ragione dietro le stelle per tramontare e offrirsi in sacrificio: bensì si sacrificano alla terra, perché un giorno la terra sia del superuomo.
lo amo colui che vive per la conoscenza e vuole conoscere, affinché un giorno viva il superuomo. E così egli vuole il proprio tramonto.
lo amo colui che lavora e inventa, per costruire la casa al superuomo, e gli prepara la terra, l'animale e la pianta: giacché così egli vuole il prorpio tramonto.
lo amo colui che ama la sua virtù: giacché virtù è volontà di tramontare e una freccia anelante.
lo amo colui che non serba per sé una goccia di spirito, bensì vuol essere in tutto e per tutto lo spirito della sua virtù: in questo modo egli passa, come spirito, al di là del ponte.
Io amo colui che della sua virtù fa un'inclinazione e un destino funesto: così egli vuole vivere, e insieme non più vivere, per amore della sua virtù. [...] Io amo colui che è di spirito libero e di libero cuore: il suo cervello, in tal modo, non è altro che le viscere del cuore, ma il suo cuore lo spinge a tramontare.
Io amo tutti coloro che sono come gocce grevi, cadenti una a una dall'oscura nube incombente sugli uomini: essi preannunciano il fulmine e come messaggeri periscono.
Ecco, io sono un messaggero del fulmine e una goccia greve cadente dalla nube: ma il fulmine si chiama superuomo.
da F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere, vol. VI. tomo I,
La Prefazione di Zarathustra fa da introduzione e da cornice narrativa ai Discorsi di Zarathustra di cui si compone la prima parte del libro.
Per la partizione di quest'ultimo, si veda APPROFONDIMENTI Le caratteristi - che della scrittura nietzscheana, per un esempio di "discorso" rimandiamo al testo successivo.
Il brano può essere diviso in due "quadri", che analizziamo qui di seguito.
Primo quadro: Zarathustra e il Santo ( parr. 1-2)
Dopo dieci anni di solitudine sui monti, Zarathustra discende verso il paese degli uomini e incontra nella foresta il Santo, l'eremita che si è allontanato dall'uomo per amare solo Dio.
Il Santo non ha nulla da dire agli uomini, la sua esistenza è pura trascendenza, il suo dialogo è solo un parlare a Dio. Egli non ha udito dunque - osserva stupito Zarathustra - l'annuncio che
Il discorso di Zarathustra è un discorso didattico ("Io reco agli uomini un dono"): la sua missione - come si apprenderà nel prosieguo - è quella di insegnare la dottrina del superuomo.
Nietzsche definisce l'insegnamento di Zarathustra attraverso la "parabola del sole" posta all'inizio del brano: come il sole deve la sua fortuna al fatto di portare luce al mondo, così Zarathustra, al pari del sole, deve ora farsi di nuovo uomo tra gli uomini per recare loro in dono la luce della sua saggezza.
Con la "morte di Dio", ossia con la fine di ogni idealità trascendente, con la scomparsa di ogni speranza in un aldilà, l'umanità precipita nella povertà e nell'empietà: solo l'annuncio di una nuova e più alta possibilità per l'uomo, il superuomo, potrà salvarla.
Il "tramonto" di Zarathustra
Questa prima parte del brano è costruita su una serie di dualismi classici, di origine presocratica, segnatamente eraclitea e parmenidea: mattina/sera, luce/buio, ascesa/discesa, dormiente/sveglio; sui quali Nietzsche innesta un lessico di conio mitico-religioso (i doni, la benedizione, il calice, l'aquila, il serpente - simboli questi ultimi forse del coraggio e del tempo), nonché vaghe reminiscenze platoniche (il sole, l'uscita dalla caverna).
Va sottolineato il tono di commozione e di entusiasmo - ancorché forse gravato da un pathos eccessivo - che è tipico del linguaggio dell'opera; tono attraverso il quale Nietzsche intende risvegliare nel lettore uno stato d'animo di meraviglia verso la narrazione e di apertura nei confronti delle proprie meditazioni più intime e sofferte. Tutto lo Zarathustra ha il carattere di un appello alla grandezza eroica dell'uomo davanti alla tragicità del tempo. Hòlderlin, nell'elegia Pane e vino, si era posto la domanda:
Come vedremo più avanti, a questa terra tuttavia Zarathustra esorta a rimanere "fedeli"; per questo il suo viaggio non è un cammino di ascesi, di allontanamento dalla condizione umana, ma al contrario è un "tramonto" esso stesso: "tornando uomo", Zarathustra annuncia la possibilità di una nuova e superiore umanità.
Secondo quadro: l'annuncio del superuomo ( parr. 3-4)
Come è tipico dell'intera opera, il linguaggio del brano imita il linguaggio religioso, in particolare qui quello delle preghiere collettive, di cui riprende l'uso della iterazione delle formule ("l'ora in cui...", "Io amo"). Come da più parti è stato rilevato, il discorso di Zarathustra ricalca l'evangelico Discorso della montagna, soprattutto nella parte finale, dove le "beatitudini" di Zarathustra sono accompagnate, secondo il costume biblico, da un com-mento esplicativo. La ripetizione ossessiva della formula "Io amo" - che sostituisce quella "Beati coloro che" mette in evidenza la figura nietzscheana dell'individuo che attraverso un esercizio di volontà, in questo caso di amore, istituisce la nuova realtà del superuomo.
Significativo è il mutamento di scena che interviene in questo secondo quadro; alla foresta, luogo silenzioso di incontro tra Zarathustra e il Santo, succede ora il mercato, dove la massa anonima degli uomini, secondo la profezia dell'eremita, schernisce Zarathustra e irride le sue parole. Profeta incompreso, Zarathustra non rinuncia tuttavia al suo ruolo di messaggero del superuomo presso coloro che, in un passo successivo non in antologia, verranno chiamati gli
La "fedeltà alla terra"
I temi fondamentali del secondo quadro sono due: il superuomo, la "fedeltà alla terra".
Il superuomo è il "senso della terra". Nietzsche presenta questa fedeltà nella forma di un compito imperativo ("Dica la vostra volontà: sia il superuomo..."). In ciò l'uomo va oltre l'uomo e porta a compimento la propria natura ("L'uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo") realizzandosi nel superuomo.
Approfondiamo meglio il concetto di "fedeltà alla terra":
durante tutta la sua storia, l'uomo, per Nietzsche, in quanto essere costitutivamente teso a superare se stesso, ha sempre trovato nella tensione verso Dio la forma apparentemente più nobi-le per la propria volontà di trascendenza. Trasformando Dio nella quintessenza luminosa dell'aldilà, egli disprezzava al contempo la vita e la terra.
Consapevole della morte di Dio e della perdita dell'aldilà che essa comporta, il superuomo restituisce ora alla terra ciò che le era stato rubato, volgendosi a essa con lo stesso fervore con il quale prima l'uomo religioso si volgeva a Dio.
L'esistenza trova in questo modo, per Nietzsche, il suo fondamento più appropriato: la libertà umana, non più orientata teleologicamente verso Dio, si sottrae tuttavia alla tentazione nichilistica del Nulla e trova nell'appartenenza alla terra, la Grande Madre, un bene cui rimanere fedeli.
Torniamo ora al superuomo.
All'inizio del paragrafo 3, la necessità del suo avvento viene espressa attraverso un'immagine ("il cammino dal verme all'uomo") che ha indotto qualche interprete ad accostare la dottrina nietzscheana all'evoluzionismo di Lamarck o di Darwin.
Ci siamo già soffermati nel PROFILO STORICO sui difetti di questa interpretazione. Ci limitiamo qui a sottolineare come _Nietzsche manifesti sempre una radicale ostilità nei confronti di ogni fede nel progresso, sia in campo biologico sia in quello storico: il superuomo non va dunque inteso né come il risultato dell'evoluzione delle specie, né come il prodotto di una presunta "logica progressiva" immanente alla storia.
Ciò che Nietzsche vuole esprimere è invece il carattere costitutivamente trascendente dell'uomo: "freccia che anela all'altra riva". Egli è "passaggio", "transizione", "tramonto"; e la sua natura transeunte va accettata e vissuta con coraggio, pur nella sua caducità, perché proprio essa è la condizione per il passaggio a una natura umana superiore.
Finché l'umanità non era consapevole della morte di Dio, questa tensione alla trascendenza era rivolta all'aldilà e produceva infedeltà alla terra, ascesi, disprezzo per il corpo, malattia dell'anima; così l'uomo diventava infelice e lacerato.
La possibilità del superuomo, al contrario, apre alla salute riconquistata, alla piena guarigione dell'anima, al risanamento della frattura tra essa e il corpo. Precursori del superuomo sono i grandi dispregiatori, gli spiriti liberi e ardimentosi, che disprezzano la felicità, la ragione, la virtù, la giustizia, la compassione, quando esse servono a imprigionare l'uomo nei valori e a dividerlo dalla vita.
La concezione tragica del mondo
L' "illuminismo di Nietzsche"
Le grandi parole-chiave
L' "eterno ritorno dell'eguale" da Così parlò Zarathustra
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