Friedrich NIETZSCHE


L'ETERNO RITORNO DELL'UGUALE
Da Così parlò Zarathustra
da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p. 461 sgg.

Introduzione

Quella che segue è una delle pagine capitali di tutta l'opera nietzscheana. tratta del secondo discorso della terza parte dello Zarathustra intitolato La visione e l'enigma.
Zararathustra narra di una ascesa su un impervio sentiero di montagna, nIla quale è accompagnato dallo spirito di gravità, metà nano, metà talpa, attraverso le cui parole noi aprendiamo la prima versione della dottrina dell'eterno ritorno dell'uguale (per la comprensione del testo si veda la GUIDA ALLA LETTURA che segue).
Molti dei significati del brano rimangono oscuri o comunque di difficile e non univoca interpretazine. Il tema del ritorno risulta accennato nella forma enigmatica e simbolica della parabola, più che sviluppato in forma concettuale. L'autore sembra volerlo presentare come un "sapere segreto", cui si addice il silenzio più che la parola. Lo stesso contesto narrativo rafforza il carattere allegorico con cui viene presentato il pensiero che Nietzsche stesso intendeva come "la formula più alta della sua filosofia.



TESTO

LA VISIONE E L'ENIGMA
1.Quando tra i marinai si diffuse la voce che Zarathustra era sulla nave(1) - con lui infatti era salito a bordo un uomo che veniva dalle isole Bea-te (2) - nacque grande curiosità e attesa. Ma Zarathustra tacque per due giorni, freddo e sordo di melanconia, sì da non rispondere né agli sguardi né alle domande. Alla sera del secondo giorno, però, egli riaprì le sue orecchie, sebbene tacesse ancora: si potevano infatti udire molte cose in- solite e pericolose su questa nave, che veniva da lontano e andava ancor più lontano. Zarathustra, a sua volta, era un amico di tutti quelli che fan-no lunghi viaggi e a cui non piace vivere senza pericolo. Ed ecco che, a forza di ascoltare, gli si sciolse la lingua e si ruppe il ghiaccio intorno al suo cuore - allora cominciò a parlare così:
A voi, temerari della ricerca e del tentativo (3), e a chiunque si sia mai imbarcato con ingegnose vele somari terribili, -
a voi, ebbri di enigmi e lieti alla luce del crepuscolo, a voi, le cui anime suoni di flauto inducono a perdersi in baratri labirintici:
- giacché voi non volete con mano codarda seguir tentoni un filo; e dove siete in grado di indovinare vi è in odio il dedurre (4) -
a voi soli racconterò l'enigma che io vidi, - la visione del più solitario tra gli uomini.
Cupamente andavo, or non è molto, nel crepuscolo livido di morte, - cupo. duro, le labbra serrate. Non soltanto un sole mi era tramontato.
Un sentiero, in salita dispettosa tra sfasciume di pietre, maligno, solitario, cui non si addicevano più né erbe né cespugli: un sentiero di montagna digrignava sotto il dispetto del mio piede.
Muto, incedendo sul ghignante crepitio della ghiaia, calpestando il pietrisco, che lo faceva sdrucciolare: così il mio piede si faceva strada verso l'alto .
Verso l'alto: - a dispetto dello spirito che lo traeva in basso, in basso verso abissi, lo spirito di gravità (5 ), il mio demonio e nemico capitale. Verso l'alto: - sebbene fosse seduto su di me, metà nano; metà talpa (6 ); storpio; storpiante; gocciante piombo nel cavo del mio orecchio, pensieri-gocce-di-piombo nel mio cervello.
(rr.1-32)
"O Zarathustra, sussurrava beffardamente sillabando le parole, tu, pietra filosofale! Hai scagliato te stesso in alto, ma qualsiasi pietra scagliata deve - cadere (7 )!
O Zarathustra, pietra filosofale, pietra lanciata da fionda, tu che frantumi le stelle! Hai scagliato te stesso così in alto, - ma ogni pietra scagliata deve cadere!
Condannato a te stesso, alla lapidazione di te stesso: o Zarathustra, è vero: tu scagliasti la pietra lontano, - ma essa ricadrà su di te!". Qui il nano tacque; e ciò durò a lungo. Il suo tacere però mi opprimeva; e l'essere in due in questo modo è, in verità, più solitudine che l'essere solo!
Salivo, - salivo, - sognavo, - pensavo: ma tutto mi opprimeva. Ero come un malato: stremato dal suo tormento atroce, sta per dormire, ma un sogno, più atroce ancora, lo ridesta. -
Ma c'è qualcosa che io chiamo coraggio: questo finora ha sempre ammazzato per me ogni scoramento. Questo coraggio mi impose alfine di fermarmi e dire: "Nano! O tu! O io!". -
Coraggio è infatti la mazza più micidiale, - coraggio che assalti: in ogni su assalto infatti è squilla di fanfare.
Ma l'uomo è l'animale più coraggioso: perciò egli ha superato tutti gli altri animali. Allo squillar di fanfare egli ha superato anche tutte le sofferenze; la sofferenza dell'uomo è, però, la più profonda di tutte le sofferenze.
Il coraggio ammazza anche la vertigine in prossimità degli abissi: e dove mai l'uomo non si trova vicino ad abissi! Non è la vista già di per sé un -vedere abissi?
Coraggio è la mazza più micidiale: il coraggio ammazza anche la com-passione. Ma la compassione è l'abisso più fondo: quanto l'uomo affonda la sua vista nella vita, altrettanto l'affonda nel dolore.
Coraggio è però la mazza più micidiale, coraggio che assalti: esso ammazza anche la morte, perché dice: "Questo fu la vita? Orsù! Da capo!" (8) .
Ma in queste parole sono molte squillanti fanfare. Chi ha orecchi, intenda.

2."Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte sono io -: tu non conosci il mio pensiero abissale!
Questo - tu non potresti sopportarlo!". -
Qui avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia (9 ).
"Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti - è un'altra eternità.
un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti -è un'altra eternità.
Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'un contro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo".
Ma, chi ne percorresse uno dei due - sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?". -"Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo".
"Tu, spirito di gravità! dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera (10 )! 0 ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato - e sono io che ti ho portato in alto!
(rr.33-86)
Guarda, continuai, questo attimo (11 )! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all'indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un'eternità.
Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta?
E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia - esserci già stata?
E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l'una all'altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque - anche se stesso?
Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori - deve camminare ancora una volta! E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglanti - non dobbiamo tutti esserci stati un'altra volta?
- e ritornare a camminare in quell'altra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via - non dobbiamo ritornare in eterno?". -
- Così parlavo, sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii un cane ululare.
Non avevo già udito una volta un cane ululare così? Il mio pensiero corse all'indietro. Sì! Quand'ero bambino, in infanzia remota:
- allora udii un cane ululare così. E lo vidi anche, il pelo irto, la testa all'insù, tremebondo, nel più fondo silenzio di mezzanotte, quando anche i cani credono agli spettri:
- tanto che ne ebbi pietà. Proprio allora la luna piena, in un silenzio di morte, saliva sulla casa, proprio allora sì era fermata, una sfera incandescente, - tacita, sul tetto piatto, come su roba altrui: -
- ciò aveva inorridito il cane: perché i cani credono ai ladri e agli spettri. E ora, sentendo di nuovo ululare a quel modo, fui ancora una volta preso da pietà.
Ma dov'era il nano? E la porta? E il ragno? E tutto quel bisbigliare'? Stavo sognando? Mi ero svegliato? D'un tratto mi trovai in mezzo a orridi 120 macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna.
Ma qui giaceva un uomo! E - proprio qui! - il cane, che saltava, col pelo irto. guaiolante. - adesso mi vide accorrere - e allora ululò di nuovo. urlò: - avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo?
E, davvero, ciò che vidi, non l'avevo mai visto. Vidi un giovane pastore (12 ) rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero (13 ) penzolava dalla bocca.
Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e lì si era abbarbicato mordendo.
La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava - invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: "Mordi! Mordi!
Staccagli il capo! Mordi!", così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me -buono o cattivo - gridava da dentro di me, fuso in un sol grido. -
Voi, uomini arditi che mi circondate! Voi, dediti alla ricerca e al tentativo, e chiunque tra di voi si sia mai imbarcato con vele ingegnose per mari inesplorati! Voi che amate gli enigmi!
Sciogliete dunque l'enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione del più solitario tra gli uomini!
Giacché era una visione e una previsione: - che cosa vidi allora per si-militudine? E chi è colui che un giorno non potrà non venire?
Chi è il pastore, cui il serpente strisciò in tal modo entro le fauci? Chi è l'uomo, cui le più grevi e le più nere fra le cose strisceranno nelle fauci?
- Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene (14 )! Lontano da sé sputò la testa del serpente -; e balzò in piedi.- Non più pastore, non più uomo, - un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva (15 )! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise! Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo (16 ), - e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai si placa.
La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora! -
Così parlò Zarathustra.
da F. Nietzsche. Così parlò Zarathustra. in Opere, vol. VI, tomo 1, cit.


NOTE

1 - La nave: mezzo per conoscere, sulle orme di Colombo, nuovi e meravigliosi mondi. "Via sulle navi, filosofi!" - scrive altrove Nietzsche

2 - Sono una tappa privilegiata del viaggio di Zarathustra. Qui egli insegna agli uomini le dottrine del superuomo e dell'eterno ritorno; di qui egli muove ora verso gli abissi infernali, ora verso la montagna più alta, al richiamo della propria solitudine.

3 - Gli spiriti liberi, che vivono la vita come rischio ed esperimento.

4 - Per i "temerari della ricerca e del tentativo" la vita è come un labirinto, per attraversare il quale essi, amanti degli enigmi e dell'ignoto, rifiutano di affidarsi al "filo di Arianna" della pura ragione (il "dedurre") che non farebbe altro che ricondurli al punto di partenza.

5 - Espressione di non facile e univoca interpretazione. Con essa Nietzsche rappresenta la forza ostile e maligna che vieta all'uomo il suo cammino di liberazione (il farsi strada "verso l'alto"): lo "spirito di gravità" è il fardello di un'esistenza avvertita come dolorosa, la quale opprime e uccide; è il peso del passato che limita il presente e condiziona il futuro; forse è anche il nichilismo stesso, ossia la decadenza dei valori dell'epoca moderna, che come una malattia mortale paralizza l'uomo e lo risospinge verso il "basso", verso il nulla.

6 - È lo spirito di gravità, che pesa sull'esistenza dell'uomo (il "nano") rendendolo cieco (la "talpa").

7 - Primo accenno all'eterno ritorno.

8 -La comprensione dell'eterno ritorno (che ha qui il carattere di una decisione: "Orsù Da capo!") implica l'accettazione tragica dell'esistenza, nel suo essere insieme gioia e dolore, vita e morte (per l'interpretazione di questo punto decisivo vedi la GUIDA ALLA LETTURA).

9 - Non è possibile qui non rilevare le analogie tra la scena dello Zarathustra (l'ascesa la porta, i due sentieri) e quella del viaggio che Parmenide racconta nel suo Poema

10 L'interpretazione dell'eterno ritorno da parte del nano è semplicistica; per questo Zarathustra lo accusa di prendere "la cose troppo alla leggera".

11 - Di qui in poi ha luogo la seconda e più appropriata formulazione dell'eterno ritorno, per la quale rimandiamo alla GUIDA ALLA LETTURA

12 - Il pastore e il simbolo di colui che guida e afferma valori nuovi, contrapposto al "gregge" degli uomini comuni, credenti nei valori dominanti, che vogliono tutti le stesse cose e si riconoscono come tutti uguali (su questo tema, si veda anche il testo successivo).

13 - Il serpente, inanellato su se stesso, che si morde la coda, è il simbolo dell'eterno ritorno, della fatale circolarità del tempo. Serpente e aquila sono i fedeli animali che accompagnano la solitudine di Zarathustra (v. testo 3), l'uno simbolo del tempo, l'altro - nemico del gregge - sta per il coraggio e la risolutezza, opposti alla passività e all'inerzia fatalistica.

14 - Come suggerisce Gianni Vattimo, il "morso" è la decisione che libera dal pericolo: simboleggia dunque l'andare dell'uomo oltre la schiavitù del tempo e il nascere del superuomo.

15 - Ridere, danzare: sono i tratti dionisiaci del fanciullo (v. testo 4), del superuomo che si libera dello "spirito di gravità". Di contro ai moralisti, detrattori della vita, che oppongono la serietà alla felicità, Zarathustra dice altrove: "Tutte le cose buone rido no... Uomini superiori, imparate a ridere".

16 - Ma di un uomo nuovo che è già oltre l'uomo.


GUIDA ALLA LETTURA
(da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p.464 sg.)

Il prologo: Zarathustra tra i marinai (rr. 1-32)
Dopo giorni di silenzio e di malinco-nia, ai marinai -amanti dei misteri, coraggiosi ricercatori dell'ignoto - Zarathustra racconta una visione che ha la forma dell'enigma.
Secondo un motivo tipicamente romantico, e già leopardiano, Zarathustra si detinisce "il più solitario tra gli uomini": l'uomo che vive in solitudine è il più vicino alla vastità del cosmo, di cui intuisce la legge fondamentale, l'eterno ritorno. Com'è tipico dell'opera, Zarathustra racconta la sua esperienza nella forma di una parabola: una volta egli salì lungo un aspro sentiero di montagna sulla sua spalla sedeva, pesante come il piombo, lo spirito di gravità, mezzo nano e mezzo talpa.
L'ascesa di Zarathustra rappresenta il cammino dell'uomo verso l'umanità più alta, verso il superuomo; la fatica della salita esprime la difficoltosa conquista di sé. L'ascesa è tuttavia contrastata dal nano che tende incessantemente a risospingere Zarathustra verso il basso. Con questa figura, Nietzsche sembra voler rappresentsre il peso dell'esistenza passata ("Questo fu la vita"), avvertito come un vincolo opprimente che con-diziona il presente e il futuro.

Il colloquio tra Zarathustra e il nano (rr. 33-86)
il nano dice a Zarathustra: "Hai scagliato te stesso in alto, ma ogni pietra deve cadere". Che cosa significano le sue parole?
Come propone Eugen Fink, il nano sembra qui dire a Zarathustra che un'ascesa eterna non è possibile: tutto ciò che l'uomo progetta e intraprende non può crescere in eterno; lo impone il tempo, che esaurisce ogni forza e si impadronisce anche della volontà più ostinata.
Il tempo impone all'uomo la caduta: la volontà di potenza di cui è animato il superuomo non può vincere la legge del tempo. Di fronte all'infinito ripetersi dei suoi cicli, la volontà di potenza si scopre limitata. Come la forza di gravità impone che un corpo lanciato in aria alla fine cada, così il tempo ciclicamente infinito riduce e alla fine spegne l'azione umana.
Non potendo decidere del tempo, l'uomo può tuttavia disporre di sé, oppure deve rassegnarsi fatalisticamente a portare il peso del destino? Appellandosi al coraggio, come alla qualità più propria dell'uomo, ora Zarathustra dice di no al nano: il fatto che la vita sia dolore, che sia alla fine annullata dal tempo, non giustifica che si viva prigionieri della compassione; quest'ultima infatti prende a pretesto la sofferenza per condannare la vita. Il coraggio invece è amore per la vita e per l'uomo e consente di trasformare il passato in un nuovo inizio ("Questo fu la vita? Orsù? Da capo!")
Zarathustra si libera così dallo spirito di gravità: il nano gli scende dalla spalla e tra i due inizia un dialogo sul tem-po.
La scena presenta ora una porta carraia sotto la quale si incontrano due sentieri: l'uno conduce in avanti, l'altro indietro; sono ambedue infiniti. Sono le due dimensioni del tempo, passato e futuro, entrambe estese nell'eternità, le quali si uniscono sotto la porta dell'attimo.
Il passato e il futuro sono completamente differenti l'uno dall'altro, anzi si "contraddicono a vicenda". Tuttavia, nell'attimo, nel presente, essi si toccano.
Il tempo risulta così concepito come una serie di attimi: a partire da un attimo presente, dietro a esso sta una serie infinita di animi passati e davanti un'altrettanto infinita successione di attimi futuri.
Giunge ora la domanda decisiva. Zarathustra chiede al nano: i due sentieri si contraddicono in eterno? Il che significa: divergono veramente all'infinito? Dietro a ogni passato sorge sempre un passato ancora più lontano e così via per l'eternità? E altrettanto accade per il futuro?
Il nano risponde: "Il tempo è un circolo": passato e presente sono intrecciati, come un cerchio di attimi, come un serpente che si morde la coda. Nell'immagine del ciclico ripetersi di ciò che è già stato troviamo la prima formulazione dell'eterno ritorno: tutto muore, tutto torna a fiorire; eternamente va la ruota dell'essere.
Si tratta tuttavia di una formulazione semplicistica, che lascia Zarathustra insoddisfatto. Si badi: quest'ultimo non dice che l'interpretazione del nano è errata; lamenta invece la sua parzialità.
Il nano si è accontentato di una generica professione di fede nella circolarità del tempo, utile contro l'errata concezione lineare del tempo (per questa concezione rimandiamo a quanto detto nel PROFILO STORICO Friedrich Nietzsche), e tuttavia troppo superficiale.
Nietzsche stesso in altri luoghi dello Zarathustra e in altre opere si attiene a questa concezione generica del ritorno.
Si tratta qui, tuttavia, di andare più a fondo.

Il pastore e il serpente (rr. 87-153)
Che cosa significa eternità del tempo passato e del tempo futuro?
Se esiste un passato infinito, allora ciò che in futuro può accadere deve essere già accaduto: nulla può essere semplicemente futuro. L'eternità del passato richiede che tutto l'accadibile sia già accaduto, che la totalità del tempo sia già trascorsa. Similmente, il futuro infinito esige il futuro trascorrere di tutti gli avvenimenti passati: nulla può essere semplicemente passato.
Tutto ciò clic si svolge nel tempo deve sempre esse re già stato e sempre di nuovo ripetersi.
Il ritorno dell'uguale, dunque, si fonda sull'eternità del corso del tempo, in cui tutto è stato e tutto ritorna.
Ma allora anche l'attimo presente - singolo, rispetto all'eternità del passato e del futuro ("questo ragno", "questo chiaro di luna", "io e tu") - deve essere già stato. Anch'esso, lungi dal venir privilegiato, è compreso e trascinato nella circolarità del tempo.
La visione iniziale si sviluppa ora in una specie di sogno dai contorni ancora più incerti ed enigmatici: l'ululare di un cane, il ricordo dell'infanzia, una landa desolata, in cui - orribile! - un pastore (vedi nota 12) giace quasi soffocato da un serpente penzolante dalla sua bocca (vedi nota 13).
Siamo alla scena finale del brano.
Zarathustra grida al pastore di staccare con un morso (vedi nota 14) la testa al serpente.
Liberatosi dal serpente, il pastore si rialza trasformato e ride di un riso (vedi nota 15) che l'umanità non ha mai conosciuto prima di lui: "Non più pastore, non più uomo, - un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva".

Diamo ora un'interpretazione di questa complessa allegoria.
Quale pericolo rappresenta il serpente che sta per soffocare il pastore? Che cosa significa il "morso"?
- Il serpente è il simbolo del pensiero dell'eterno ritorno che asfissia l'uomo fino a soffocarlo.
Fuori di metafora: se l'attimo è totalmente consumato nella circolarità del divenire eterno - come dicevamo sopra - allora nulla accade di nuovo sotto il sole e la vita diventa il ricorrere fatale e doloroso degli stessi eventi, in cui l'uomo è destinato a perdersi. L'esistenza smarrisce il suo senso e vani e inutili diventano gli atti di volontà degli uomini. Tutto è stato già deciso e l'agire, l'osare, il rischiare sono solo illusioni. Lo stesso avvento del superuomo è una follia priva di senso, in quanto anche l' "uomo piccolo", come tutto, è destinato a tornare.
Questa concezione dell'eterno ritorno, che si contrappone alla volontà di potenza e vieta la possibilità stessa dell'evoluzione verso un'umanità superiore, è dunque per l'uomo un pensiero dispe-rante e fatalistico.
- Il "morso" del serpente significa allora il rifiuto di questa concezione (che è quella del nano) e l'accettazione di un più vero e profondo significato dell'eterno ritorno.
Vediamone, in conclusione, i tratti principali.
L'accettazione della circolarità del tempo non comporta necessariamente rassegnazione e impotenza. Il ritorno può essere pensato anche in un modo che non privilegi il mero ripetersi del tutto. Ciò accade se l'esperienza del tempo avviene a partire dall'attimo, pensato come il presente che raccoglie in sé l'eternità del passato e del futuro (si ricordi l'immagine della porta su cui convergono i due sentieri).
Nietzsche pensa che l'attimo presente (e dunque ogni istante del nostro tempo) può e merita di essere vissuto per se stesso. Come hanno scritto sia Fink sia Vattimo, contro la sua dissoluzione nella circolanità del tempo, la volontà di potenza si afferma come quella decisione (il "morso") che dà all'uomo il coraggio per accettare la legge dell'eterno ritorno, riscattando al contempo la propria esistenza dal nichilismo: così come noi decidiamo ora, dovremo sempre decidere nel futuro e la decisione di adesso deciderà di tutto il futuro.
Mordendo il serpente, il pastore riconosce e assume l'eterno ritorno, diventando libero come non era mai stato prima (il "riso"). Non si tratta tuttavia di una semplice accettazione come quella di uno spettatore esterno che contempla un ordine oggettivo della realtà. L'eterno ritorno deve essere "sopportato", con coraggio e tenacia, in quanto esso smaschera l'esistenza nella sua irriducibile dualità tragica di vita e di morte, di gioia e dolore. L'eterno ritorno deve essere "voluto", ossia scelto come la possibilità più propria per l'uomo, l'unica che consente di non vivere il tempo in modo angoscioso. Non tuttavia come un imperativo morale di tipo kantiano: l'uomo che vuole l'eterno ritorno è l'uomo seguace di Dioniso, cui la vita dà attimi immensi, senza alcun bisogno di riferimenti normativi trascendenti.




Introduzione e Periodizzazione degli scritti
La concezione tragica del mondo
L' "illuminismo di Nietzsche"
Le grandi parole-chiave
La "morte di Dio" e il "superuomo" da Così parlò Zarathustra
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