NICHILISMO
(da Cioffi, cit, p.468)

Il termine "nichilismo" (o "nihilismo") deriva dal latino nihil, nulla, e designa, in un senso generico, l'atteggiamento o la dottrina volti a negare in modo radicale un determinato sistema di valori

Nichilismo e decadenza
In filosofia, il termine viene coniato tra il Settecento e l'Ottocento: è presente, per esempio, in Jacobi e Jean Paul.
Il primo a usare in un senso positivo la parola è Max Stirner per il quale nichilista è la negazione di tutte le astrazioni (il progresso, la storia, l'umanità) che opprimono e schiacciano l'indivi-duo concreto nell'epoca moderna. E tuttavia in Nietzsche che la parola conosce l'uso filosoficamente più significativo, venendo a designare l'essenza della crisi mortale che, a parere del filosofo tedesco, ha investito la civiltà europea. Nichilismo è, in questa accezione, la svalutazione universale dei valori, la quale - come scrive Jean Granier - "fa sprofondare l'umanità nell'angoscia dell'assurdo, imponendole la certezza disperata che nulla ha più senso".
Per Nietzsche il nichilismo è la generalizzazione del fenomeno morboso della decadenza. Quest'ultima è la malattia da cui è affetto il mondo moderno, è il flagello devastante esteso a tutte le classi, le istituzioni, i popoli.
La decadenza provoca il disgregarsi delle personalità, la perdita delle capacità, la debilitazione delle volontà: invece di agire, di vivere, il décadent rimugina in perpetuo i ricordi dolorosi e accumula risentimento verso di sé, verso gli altri, verso la vita. La sua volontà è volontà di vendetta.
Fondamento onto-logico del nichilismo è la "morte di Dio", la quale rivela il nulla che domi-na il mondo, di cui annienta i valori e gli ideali. L'angoscia moderna è dunque l'angoscia di fronte a una vita privata dei suoi fini. "Nichilismo: manca il fine - scrive Nietzsche -; manca la risposta al "perché"; che cosa significa nichilismo? - che i valori supremi si svalorizzano".

Nichilismo passivo e nichilismo attivo
Il nichilismo si manifesta all'inizio come pessimismo, miscuglio di nostalgia, nervosismo, disgusto, il quale trova la sua espressione nello spleen romantico e la sua giustificazione razionale nella filosofia di Schopenhauer.
Si tratta di un nichilismo imperfetto, passivo, che si limita a prendere atto della decadenza dei valori, abdicando completamente alla volontà. Esso si manifesta con la rinuncia e la fuga, oppure con la sostituzione di Dio con idoli falsi e illusori, sfociando così nel fanatismo, nel settarismo, nel totalitarismo. Il nichilismo passivo è tuttavia, per Nietzsche, solo un momento di transizione.
Egli auspica infatti una "trasvalutazione di tutti i valori" che sia in grado di mettere al posto dell'umanità decadente un nuovo protagonista: il superuomo.
Il nichilismo attivo - che viene così vagheggiato - non è segnato dalla capitolazione di fronte al nulla che caratterizza quello passivo, ma esprime la speranza del superamento della decadenza. Esso non si accontenta più di assistere alla rovina dei falsi ideali, ma se ne fa in prima persona promotore. Smascherando i valori della tradizione, il nichilismo attivo annuncia il tramonto dell'uomo e l'avvento di nuovi valori.
Nel Novecento, Martin Heidegger vedrà nella sovversione dei valori operata dal nichilismo attivo nietzscheano l'espressione conclusiva e culminante della metafisica occidentale.


HYBRIS (gr. ubris)

HYBRIS (gr. ubris) Con questo termine, intraducibile nelle lingue moderne, i Greci intesero una qualsiasi violazione della norma della misura cioè dei limiti che l'uomo deve incontrare nei suoi rapporti con gli altri uomini, con la divinità o con l'ordine delle cose. L'ingiustizia non è che una forma di H. perché è la trasgressione dei giusti limiti nei confronti degli altri uomini.
In questo senso Esiodo diceva: " La giustizia, quando ha raggiunto il suo termine, trionfa della H.: lo sciocco comprende soltanto quando ha sofferto " (Op., 216-17).
E Platone ritiene che ci sia H. ogni qualvolta si superi " la misura del giusto " e che pertanto la H. abbia molte facce e molte parti come molti nomi (Fedro, 238 a).
Un significato più ristretto dette al termine Aristotele, che intese per esso l'offesa gratuita fatta agli altri per il solo piacere di sentirsi superiore: che è l'insolenza (Ret., II.2, 1378b 23)


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