THE ADDICTION
di A.Ferrara, USA 1995
Continua
la saga dei vampiri, ma questa volta sono vampiri filosofi. Una
studentessa non riesce ad opporsi in modo convincente, viene morsa
e deve imparare a sopravvivere bevendo sangue. Forse sarebbe più
facile farsi qualche “trasfusione”, ma l’uomo
è malvagio per natura e si nutre della morte degli altri,
il male è contagioso e insaziabile e nemmeno una festa
con un’orgia di sangue (una cosa semplice, tanto per festeggiare
la laurea) può placare l’appetito… L’unico
modo è trovare una via per l’autocontrollo. Non se
ne può uscire, ma ci si può fare l’abitudine…
Con Fratelli, questo è senz’altro il miglior film
di Ferrara, ma è meglio seguire il film con un manuale
di filosofia davanti, se non si vuole fare brutta figura.
j.n.
L’ANGELO
STERMINATORE
di L.Bunuel, Mex 1962
Se
incontrate un gruppo di amici a teatro e decidete di invitarli
tutti a cena, pensateci due volte. Potrebbero non volerne sapere
più di andarsene a casa loro. Prima tu, no prima le signore.
Prima io, prima tu, sta di fatto che nessuno può più
lasciare la sala da pranzo.
Niente impedisce di lasciare la casa e niente impedisce alla polizia
di fare irruzione nella casa per liberare gli “ostaggi”.
Ma chi è che deve andare per primo? Io no! E allora rimaniamo
tutti qua, finchè non ce lo dice il regista che possiamo
andare a casa. Già perché tutto finisce dopo un
mesetto, senza un motivo particolare e non prima di un paio di
morti suicidi, un morto di vecchiaia e innumerevoli scaramucce
per i motivi più stupidi, oltre, naturalmente al tentativo
di linciaggio dell’incolpevole padrone di casa. Tutto è
bene quel che finisce bene, e invece no. Già perché
ci ricascano. Fanno pronunciare una messa per ringraziare Dio
di averla scampata, ma poi chi è che deve uscire per primo
dalla chiesa? E ci risiamo, ma stavolta il regista ci risparmia…
Bella l’idea, il resto così così. j.n.
ANYTHING
ELSE
di W.Allen, USA 2003
Con J.Bings, c.Ricci, W.Allen
Doubel
è un ebreo un po’ toccato. E’ stato in un
manicomio tempo fa. Ma non è che ora non ti ci puoi sedere
vicino. E’ acqua passata. Non è un essere violento
e irascibile, ma nemmeno è docile come un agnellino.
Lui al macello non ci va, che sia tedesco o meno il macellaio.
Soffre di manie di persecuzione e di questo ne puoi stare certo.
Vede nazisti dappertutto. Gli ebrei sono i primi a cominciare
le guerre. Frasi del genere non possono passare inosservate,
anche se sei all’uscita da un ristorante o se ti trovi
in fila al cinema. Mai fidarsi delle cose più sicure
come che ne so, farsi una doccia. Perché è quello
che i tedeschi avevano detto agli ebrei e poi, sappiamo tutti
come è andata a finire. Bisogna stare in campana. L’autodifesa
è il primo comandamento. Non puoi fare a meno di un bel
fucile, di una bussola, di una torcia che galleggia, anche se
abiti nel centro di Manatthan. Nella vita bisogna sapersela
cavare da soli, giungla o non giungla. Se qualcuno alza il tiro
tu gioca sporco e rifagli la carrozzeria della macchina. Mai
tirarsi indietro. Il mondo è in guerra e lo siamo anche
noi. Essere atei non vuol dire esser fuori dai giochi. Dio non
lo trovi perché non c’è e non perché
è momentaneamente uscito. Niente Dio.
Il sesso solitario è meglio dell’analisi. Puoi
anche assicurarti delle partecipazioni straordinarie. Ti è
mai capitato di vedere assieme Marylin e Sofia Loren? Certo
resta comunque un surrogato del sesso vero, nella vita non si
può avere tutto. Nella vita come nella morte non puoi
mai avere tutte le risposte alle tue domande a meno che la domanda
“Dove sono finite le aragoste che avevo nel mio piatto”
sia la domanda più nobile che ti sei mai posto.
Se hai bisogno di soldi, racconta barzellette . Lascia stare
i libri. Se vuoi sfondare scrivi battute che funzionino. Non
parlare di Camus e di Dostoievsky. Vola basso. Le parole sono
inoffensive, se uno non ne comprende il significato. Neoretico?
Flotosi? Le vedrai tutte a bocca aperta, pronte a ingoiare la
loro mosca. In giro trovi solo attricette sensuali e collaborative
(e questo non è un male), mezze tacche e critici che
parlano di arte se un tizio vomita sul palco di un teatro (è
questo è da crampi allo stomaco). Tu hai talento. Quelli
sulla scena sono solo comici da quattro soldi e impresari macchiette
che si fanno venire un infarto se di punto in bianco non rinnovi
il tuo contratto con loro. E poi le donne. Quelle si che ti
fanno perdere la testa. Si eccitano se le porti in squallidi
alberghi e sono tutte un bollore se le ricordi la parte cattiva
di suo padre. E’ una gatta in calore che fa collezione
di uomini o è la donna della tua vita? Tienitela, con
i suoi ormoni potresti far partire una guerra chimica in caso
di pericolo. Lei ti seduce. Tu le vai dietro. Parlate di Billie
Hollyday, di Bogart, di rettili (che iniziano solamente ora
a piacerti perché piacciono anche a lei) e di uragani.
Lei fa gli occhietti da cerbiatta e tu le sbavi dietro. Sei
caduto nella rete. Sei un pesce piccolo, ma per ora gli vai
bene. Poi si stanca di te. Passano sei mesi dal suo ultimo orgasmo.
Ora il solo pensiero di fare sesso con te la manda in ansia
quasi fino al soffocamento. L’albergo squallido non funziona
più. Sei diventato troppo “ceto medio” e
ora le ricordi la parte buona di suo padre. E’ finita.
Devi prenderne atto. Tagli i ponti col passato. Tutti i falliti
di New York a Los Angeles hanno sfondato. Il mondo è
pazzo e senza regole. La via per il fallimento è una
via senza pedaggio e la imbocchi quando vuoi, basta chiamare
un taxi. p.n.
Anything
Else / del buon Woody: è chiaro che sulla media è
un film ottimo, da vedere; do la superiore qualità del
cinema di Woody come un fatto assodato; semmai la questione
potrebbe essere come si ponga all'interno della (fortunatamente
x noi) vasta produzione del nostro legnoso. E secondo me vi
si pone bene, anche sopra la media. Mi sembra esserci + equilibrio
tra profondità e levità che in passato; ma forse
non è questo, mi ha anche indispettito a tratti, il che
però potrebbe essere sintomo di profondità di
contenuti; ma insomma: sotto la classica pantomima alla Allen
(già in sè e per sè assolutamente piacevole,
arguta ed irresistibile) ho visto, sentito molto. A cominciare
dall'idea che anima la storia, qualcosa che io tradurrei grossolanamente
cosi: un Woody vecchio, disilluso, rassegnato e naturalmente
con la sua dose di inaridimento da cinismo, che ha pagato le
sue molte acquisizioni ed esperienza al pesante tributo di una
vita di errori, che vede ormai chiaramente nel suo passato,
ma ancora esita di fronte alle sfide e ai problemi presenti
ed è incapace di affrontare il futuro forte della sua
maturità ma senza lo slancio, la speranza, le possibilità
ed il coraggio della giovinezza, incontra appunto il se stesso
giovane, promettente, colmo di talento, ideali, bontà
d'animo, aperto al mondo ed alle sue promesse, sul punto di
spiccare il volo ma fatalmente zavorrato da inesperienze, paure,
da quella folle idealistica generosità illimitata che
in gioventù anteponiamo a un senso del limite, della
finitezza mortale che ancora così poco abbiamo assaggiato;
insieme sapranno compensarsi superando i reciproci problemi,
MA.... (e qui non posso svelarvi il significativo finale, nel
quale possiamo leggere un ultimo messaggio a sigillo del tutto...).
(ps. la Ricci mai così figa) lorenzo
BLOODY
SUNDAY
di P.Greengrass Gb 2002
Il
30 gennaio 1972 tutti in piazza a manifestare per i diritti civili
in Irlanda del Nord. È un periodo caldo, la polizia è
in fermento e ha voglia di menare le mani. Meglio chiamare i professionisti.
Arrivano i parà, per un’operazione a basso profilo
- dicono - una retata, qualche arresto… niente di più
facile. Allora che si fa: si arriva in città un giorno
prima, si studia la pianta della città e ci si piazza tutti
dietro un muro… “tanto - dicono - lo buttiamo giù
e li prendiamo di sorpresa”. Allora è deciso. Tutti
dietro il muro fino a che arrivano i manifestanti. “Scusi
signore, c’è un problema signore. Dietro il muro
c’è un fosso, signore. Se lo sfondiamo con i carri
poi rimaniamo bloccati, signore”. “Oh cazzo”.
“L’alternativa?” Bè, mi sembra scontato,
“spariamo sulla gente… prima con i proiettili di gomma,
poi se finiscono usiamo quelli veri… tanto che ci frega”…
Risultato: 14 morti a 0. Abbiamo vinto la guerra. “Ma non
c’era nessuna guerra, signore”. “Ah, no? Bè
devo essermi confuso… ora devo andare, occupatene tu dei
dettagli”. Meglio aprire un’inchiesta. Chi ha dato
l’ordine di sparare? Boh. Avete sparato solo a chi era armato?
Boh. Avete visto qualche arma tra i manifestanti? Boh. Ok, può
bastare… tutti prosciolti per insufficienza di prove. E
i morti? Beh, che vuoi che sia… almeno quelli non protestano!
j.n.
BLOW-UP
di M.Antonioni, Ita-Gb 1966
Londra
non fa niente per lui. Lui è un fotografo di alta moda
dall’aria sbarazzina e un po’ slavata, stanco del
suo lavoro. Siamo negli anni settanta e le masse giovanili dai
capelli cotonati sono più che mai in fermento. Pur di non
essere scontati si rinuncia tranquillamente al proprio cervello,
che diventa un organo non più indispensabile e a tratti
di impiccio alle altre parti del corpo. Le donne che circondano
il fotografo sono delle vere cerebrolese. Anche lui ha dei limiti,
ma non così evidenti quanto quelli delle sue modelle. Per
finire un discorso o togliersi di mezzo da una situazione scomoda
non resta che correre e buttarsi fuori dall’inquadratura.
Lo fanno un po’ tutti. Il dubbio è: si tratta di
un ordine del regista o è la moda di recitare del momento?
Da sopprimere una comparsa di un cameriere che cammina avendo
l’aria di non sapere che il protagonista lo fermerà
per un’ordinazione, ma che alla fine si volta verso il protagonista
ancora prima di essere stato chiamato. Preveggenza?
Un bel giorno il fotografo se ne va con la sua macchina fotografica
per i giardini di Londra casomai dovesse passargli qualche bel
soggetto davanti all’obbiettivo. Presto fatto. Una coppia
è li lì per appartarsi. Lui li segue e scatta delle
foto. Magistrale la sua abilità di nascondersi dietro alberi
con meno di un anno di vita. Alla fine però la donna se
ne accorge e lo rincorre. Ovviamente vuole il rullino. Tra un
tira e molla i due si ritrovano seminudi nell’appartamento
di lui. Dopo aver consumato, ognuno ritorna per la sua strada.
Lui naturalmente le da il rullino sbagliato e così può
tenersi le foto per sé. Dopo averle sviluppate e ingrandite
scopre qualcosa di grosso in quelle foto. Niente a che vedere
con gli zigomi alti della donna. In quel parco oltre a lui e la
coppia c’era un terzo uomo, nascosto tra gli alberi pronto
a sparare. Le sue foto ci vedono meglio dei suoi occhi. Si tratta
di omicidio. La conferma ce l’ha ritornando su luogo del
delitto dove trova il cadavere dell’uomo. A nessuno comunque
importa gran che del fatto. Sono tutti distratti da droghe più
o meno leggere. Memorabile la scena di un concerto rock in un
pub inglese dove il pubblico di uomini capelloni e donne smorte
restano marmificati fino a che uno del gruppo lancia nella folla
un pezzo della propria chitarra distrutta come prevede il rituale.
Il fotografo, che di musica non ne capisce nulla (senti adesso,
dice alla donna, qui arriva il più bello), è più
reattivo di quella massa di fan smidollati e se ne va via con
la chitarra per poi abbandonarla, dopo una fuga all’ultimo
respiro, in mezzo alla strada. Finale da dormitorio. Un gruppo
di mimi ha la bizzarra e a tratti letale pensata di simulare un
incontro di tennis senza racchette e palline al seguito. Non è
un gioco al risparmio. E’ qui che subentra l’idea
del regista. Il consiglio che il fotografo decide alla fine di
seguire, sparendo pure lui nella scena finale, è di non
credere a quello che gli occhi vedono perché a volte la
realtà è più oscura di come la si fotografa.
p.n.
BUTTERFLY SMILE
di He Janjun, 2001
E’
difficile ricordarselo il giorno dopo un film così. E’
della serie i peggiori film che abbiamo spontaneamente deciso
di vedere nella nostra sede dei cinemasochisti anonimi. Volavamo
seguire la scia cinese prima che si dissolvesse. E allora dopo
l’ermetico Tsai Ming-Liang abbiamo preso al volo questo
sottoprodotto indigeribile anche per i fan di Tsai Min-Liang.
Anche i cinesi sbagliano. I film spazzatura non li fanno solo
gli americani. La storia di Butterfly smile è imbarazzante.
Un uomo, fotografo nelle sfilate per indossatrici sull’orlo
di una crisi di nervi, è testimone di un omicidio. Una
delle modelle che fotografa, regia vuole che sia protagonista
di uno spiacevole episodio di cronaca nera. Investe con il suo
fuoristrada un uomo in bicicletta e si allontana dalla scena del
delitto senza sincerarsi delle condizioni della vittima. Il timore,
poi confermato, è che l’intero film si regga sul
“cosa ti succede nel momento in cui commetti un reato di
omissione di soccorso”. Roba da far star male anche quelli
dei telegiornali regionali. Inevitabile l’autoconfessione
finale, i sensi di colpa alla fine, nel cinema, vincono sempre.
Ma per fortuna saltano sporadicamente fuori delle perle rare.
Metà del film si perde in commenti e domande a proposito
di una coccarda rossa, l’unico indizio che porta alla modella.
Roba da non credere. La prima perla è che un imbecille
possa credere alla storia della modella che senza quella coccarda
non riesce a trovare la giusta ispirazione per realizzare i disegni
dei suoi vestiti. Ma a chi la racconta. La coccarda è l’unica
prova che la riconduce a lei. E questa è un dritta per
i poliziotti della città, che non sembrano molto all’occhio.
La seconda perla è una considerazione sulla miseria del
passato. “A quei tempi mia madre confezionava solo abiti
verdi”. Va bene la povertà, ma qui si sta esagerando.
Poi arriva anche quello sveglione del fotografo. Un tipo silenzioso,
che mangia solo porcherie in scatola. Ha la brillante idea di
scegliere come luogo per l’appuntamento per vendere la sua
macchina un grande raccordo stradale. E poi, pensate, se la deve
fare tutta a piedi per ritornare a casa. Da ricovero!
A parte la storia, a parte gli attori, a parte i dialoghi, il
regista non riesce nemmeno ad azzeccare un’inquadratura.
E’ senza dubbio il film peggio girato degli ultimi anni.
E poi la scelta degli abiti degli attori è orribile. Solo
colori primari. Film discount. Si consiglia vivamente di starne
lontani. Il titolo del film potrebbe ingannare. Non c’è
niente da ridere con quel titolo Butterfly smile. Può essere
utile nel caso si voglia vomitare. Più che di film si tratta
di un rifiuto solido urbano. Sapete dove metterlo. p.n.
CHE ORA
E’ LAGGIU’
di Tsai Ming-Liang, TAIWAN 2001
Lo
sappiamo già come andrà a finire. Abbiamo ormai
una certa confidenza con Tsai Ming-Liang. Con lui i secondi durano
minuti e i minuti durano ore. Ci siamo fatti gli anticorpi con
The Hole e Il Fiume. Sapevamo già tutto dei suoi capisaldi:
inquadrature fisse interminabili, pochezza dei dialoghi e stravaganze
sessuali. Siamo responsabili delle nostre azioni. Associazione
cinemasochisti anonimi. Prendete un film e lasciatevi insultare
dal regista. Anche questa volta non molliamo. Arriviamo all’ultima
scena contenti di aver capito poco o niente del film. E’
questo il bello, sentirsi inebetiti. Questa volta è andata
così. Dopo cinque minuti viene rotto il silenzio. E non
per dire molto, solo un nome. A pronunciare quel nome è
un uomo attempato. Chiama il figlio che sta nella stanza accanto.
Niente da fare. Il figlio non risponde e allora l’uomo torna
a godersi la solitudine della sua abitazione. Siamo sul punto
di crollare. Scene così non si vedono in tutti i film.
Ma poi gli anticorpi tornano in circolo e il nostro encefalogramma
si riassesta a valori normali.
L’uomo attempato esce di scena per un contrattempo. Gli
è toccato morire. Una brutta tegola per la famiglia. Ecco
come reagiscono i suoi familiari.
Il figlio venditore ambulante urina in bottiglie nel pieno della
notte. La moglie tenta rimedi magici, offre cene indigeribili
anche per uno spirito, poi perde la testa e fa il buio in casa
per attirare lo spirito del marito.
Poi c’è una ragazza che prima di partire per Parigi
compra un orologio dalla bancarella del giovane orinatore. Lui
si innamora di lei e vaga per la città spostando le lancette
di orologi di stazioni, aeroporti, alberghi. Sono sette ore di
fuso orario da Parigi. Si ritorna ai bassi istinti. Il corpo torna
protagonista. E’ il festival della carne. Bollori termodinamici.
Rapporti lesbo, rapporti a pagamento, autoerotismo senile…
poi il finale. L’uomo attempato, poi morto, riappare a Parigi
in un finale felliniano. p.n.
CHICAGO
di R.Marshall, USA 2002
Ci
avviciniamo sempre con un po’ di diffidenza ai musical,
l’ultima volta era stato per Dancer in the dark, e questa
volta c’era un motivo in più, Richard Gere non
si può dire che sia il nostro attore preferito, ma alla
fine abbiamo deciso… E non è andata poi così
male. Sarà per la musica jazz anni venti, sarà
per le atmosfere del film, sarà per la storia stessa,
ma alla fine siamo contenti della scelta (non tutti, naturalmente!).
Roxie e Velma sono due assassine, una ha ucciso l’amante
l’altra il marito traditore, sono entrambe colpevoli e
destinate alla pena di morte… ma sono gli anni venti,
e se sei una donna piacevole, se hai soldi, se hai una storia
lacrimevole e soprattutto un bravo avvocato è fatta.
Non c’è limite agli omicidi che puoi commettere,
l’importante è avere l’attenzione di stampa
e pubblico. Devi essere sempre in prima pagina sui giornali
se vuoi salvare la pelle. Sono ammessi anche colpi bassi, tradimenti
e notizie false, pur di raggiungere l’obbiettivo. E se
non sei capace di inventartene da solo, allora sarà il
tuo avvocato a parlare per te (vedi la scena della conferenza
stampa con l’avvocato/ventriloquo che parla attraverso
la sua assistita). Sembrano gli anni venti ma se ti guardi intorno
non è che le cose vadano poi molto diversamente…
certo l’avvocato Taormina non è proprio Richard
Gere, Previti non è simpatico e formoso come Catherine
Zeta-Jones, e Berlusconi non è biondo come Renèe
Zellweger, anche se probabilmente canta e balla meglio…
alla fine la realtà supera sempre la finzione! j.n.
COME
HARRY DIVENNE UN ALBERO
Di G.Paskaljevic, Jug/Gb 2001
Con C. Meaney,
Harry
è un tipo all’antica, un campagnolo d’Irlanda
con sani principi. Ha appena perso un figlio in guerra e sua moglie.
Gli rimangono solo l’altro figlio Gus e l’odio per
O'Flaherty, proprietario di un locale in centro, sempre in mezzo
a loschi traffici e procacciatore di donne per matrimoni combinati.
Non perde occasione per mettersi contro di lui ma il figlio non
puo’ fare a meno di innamorarsi dell’ultima ragazza
che O'Flaherty ha portato in città. Niente da fare, la
vuole sposare. Per pagare l’odiato nemico è costretto
a vendere metà del raccolto di cavoli, ma ha già
in mente la sua vendetta. Nel frattempo la giovane si è
trasferita in casa loro. Si è sposata col figlio, così
Harry ha ceduto loro la sua camera da letto, ma è difficile
per il giovane combinare qualcosa col padre che continua a parlare
al di là della porta. Poi viene fuori che la ragazza non
è poi così fedele. Il giovane chiuderebbe anche
un occhio, ma il padre ne fa una problema personale e quando le
malelingue lo informano su chi potrebbe essere l’amante…
Harry cerca di spingere il figlio alla vendetta, ma più
lo spinge più lui si allontana. E quando O'Flaherty viene
fatto fuori da una delle sue amanti, ecco che Harry si ritrova
ancora una volta completamente solo, senza un motivo per cui vivere.
Non gli resta che diventare un albero.
j.n.
CONFESSIONI DI UNA MENTE
PERICOLOSA
di G.Clooney, USA 2002
Con S.Rockwell, D.Barrymore, G.Clooney, J.Roberts…
Prova
a ricordare tutti quei programmi televisivi degli anni ’80
con cui sei cresciuto, tutta roba di bassa lega, roba da istigare
i più bassi i stinti. Tutti quei programmi sulle coppie,
quelle sposate e quelle che venivano formate artificialmente per
mandarle in vacanze in qualche isoletta esotica, e poi…chissà!
Quelli in cui ci si prende gioco di gente troppo imbecille per
provare vergogna a mostrare le proprie incapacità a milioni
di persone… Ricordate tutto questo? Be’, oggi conosciamo
il colpevole, si tratta di Chuck Barris. E’ lui l’autore
di tutta questa spazzatura in tv, ma non basta. E’anche
un killer, spietato e infallibile, al servizio della C.I.A (nel
film, non nella realtà!).
Ora divorato dal rimorso e dalla paura di fare anche lui una brutta
fine, se ne sta in una camera di un hotel, dove nessuno può
trovarlo, nudo, barba lunga, sguardo perso nel vuoto, a scrivere
la sua biografia. L’unico modo di uscire da questa situazione
è liberarsi del suo passato, sia come autore televisivo,
sia come assassino della C.I.A…anche se non sappiamo quale
sia stato il suo crimine peggiore, aver ucciso una trentina di
persone o aver inventato “Il gioco delle coppie”,
“Tra moglie e marito” e “La corrida”…
a voi la scelta. j.n.
LE DUE INGLESI
di F.Truffaut, FRA 1971
Un
uomo francese di piccola taglia e con le spalle strette, riesce
a far invaghire di sè due sorelle inglesi che si invaghiscono
facilmente di uomini di piccola taglia francesi. La storia quindi
non promette miracoli. Se ci fosse stato un inglese al suo posto,
con le sue caratteristiche, magari le cose sarebbero andate diversamente.
La risposta è ovviamente sì, perché questa
è la storia di come delle donne con delle scalmane si abbandonino
alla totale esterofilia sessuale rinunciando alla manovalanza
autoctona.
Il francese fa pure la parte di quello che non si concede alla
prima venuta, come se essere francesi basti per sentirsi al di
sopra della categoria dell' omino-sessuale. Girato in stile dell’epoca,
perde di credibilità storica a causa della ripetuta apparizione,
sul volto di una delle sorelle inglesi, di un paio di occhiali
da sole stile anni '90.
Intanto che il francese lascia dietro di sè file di donne
sterilmente interessanti, le due sorelle, in particolare quella
fuori dal tempo (visti gli occhiali), sono prese da isterismi,
manco quel piccoletto francese fosse l’ultimo uomo della
terra.
Secondo la scienza del tempo la presunta cecità della donna
inglese si spiega con i continui autopalpaggiamenti notturni di
cui la donna non riesce fare a meno.
Metà del traffico postale Francia – Regno Unito sembra
dipendere dall’esito della storia d’amore tra questi
due innamorati che si promettono vicendevolmente i loro organi
sessuali, senza poi mantenere le promesse. A farne le spese è
il postino, costretto giornalmente a recapitare la posta del francese
nella casa delle due inglesi, dispersa su un isola e per di più
a una buona altitudine.
Finale in cui i due si concedono per poi allontanarsi. Effetto
elastico.
Salvare questo film è troppo difficile. E’ inevitabile
spaccare uno zero per non far torto ad altri film per cui lo zero
è stato spaccato per molto meno. Ringraziamo Truffaut per
averci amareggiato in una serata in cui avremmo sicuramente potuto
fare di meglio. Terrorismo cinematografico... p.n.
DOGMA
di K.Smith, USA 2002
Dio
è uomo o donna? E’ nero o bianco? L’unica
certezza è che finisci nei guai se riesci a dimostrare
che Lui non è poi così infallibile come manda
a dire. Paradiso, inferno, purgatorio non li trovi sulla cartina
stradale. E allora come fai ad arrivarci?
Fai l’autostop, prima o poi qualche stronzo si dovrà
fermare. Se non sei una donna con tutti gli attrezzi al posto
giusto puoi startene delle ore impalato prima che un mentecatto
ti offra un passaggio. Il solito pervertito col repertorio di
battute oscene ti carica sul suo fuoristrada. Quello ha in mente
solo di scopare. Poi scendono giù gli angeli. Loro vorrebbero
scopare ma non hanno gli attributi. Dio è un tipo impegnato.
Sono gli angeli a fare il lavoro sporco mentre il Creatore Squinternato
se ne sta tranquillo nel suo ufficio. Metatron è un tizio
con le ali. Ti dice come vanno le cose. Sei il prescelto. Fai
parte della mitologia religiosa. Ti tocca un lavoretto. Due
angeli lavorano contro il sistema. Non si può fare. Gli
angeli restano angeli e non posso diventare umani. Che se poi
muoiono vanno dritti in paradiso.
Clerks è lontano mille anni luce dai successivi film
di Kevin Smith. L’ umorismo osceno di Jo e silent Bob
resta spesso l’unica cosa da salvare. In Dogma le idee
non mancano ma sono rese male. La scena finale è da eutanasia.
La Morrisette nella parte di Dio è meno credibile di
Dio nella parte della Morrisette. p.n.
DOLLS
Di T.Kitano, Giappone 2002
Se
riesci a resistere ai primi cinque minuti di teatro delle marionette
Bunraku è fatta dici tra te e te, ignaro di cosa ti aspetta.
Il silenzio in sala è di quelli che mettono paura, il silenzio
nel film è di quelli che preoccupano, coi personaggi che
entrano dalla destra dello schermo e camminano fino ad uscire
dallo schermo, a sinistra, in campo lungo, senza nemmeno una parola.
Sono Mastumoto e Sawako due promessi sposi che non hanno potuto
coronare il loro sogno d’amore e ora che lei si è
un po’rimbambita, se ne vanno in giro per il Giappone, legati
da una corda (e qui il simbolismo regna), per la gioia degli spettatori…
sempre più silenziosi. Nel frattempo c’è un
vecchio Yakuza che torna sulla panchina dove molti anni prima
avrebbe dovuto incontrare la sua amata, e lei è ancora
lì che lo aspetta, col suo pasto preferito. Poi c’è
la storia di una popstar giapponese, almeno questo è scritto
sulla recensione che sto leggendo, anche se pare più una
che canta canzoni per bambini (una Cristina D’Avena giapponese
per intenderci). E’sulla cresta dell’onda, circondata
dai fan, ma quando rimane sfigurata in un incidente d’auto
rimane sola e abbandonata, così uno dei suoi fan si acceca
per solidarietà e va ad incontrarla una ultima volta. Naturalmente
tutte le storie finiscono male, tanto per accrescere la gioia
del pubblico in sala che tutto insieme si alza di scatto appena
termina l’ultima inquadratura del film, pronto a scappare
fuori dal cinema prima che una qualche maledizione li raggiunga.
Noi rimaniamo fino alla fine dei titoli, fedeli alla linea…
commentando il film mentre il cinema rimane deserto.
j.n.
E…
ORA QUALCOSA DI COMPLETAMENTE DIVERSO
Di I.McMaugthon, Gb 1972
Con J.Cleese, E.Idle, G.Chapman, M.Palin, T.Jones, T.Gilliam…(i
Monty Python)
Come
si fa a commentare un film dei Monty Python? Questo non è
un film… è qualcosa di completamente diverso. C’è
il tizio che scrive un dizionario inglese/ungherese per trarre
in inganno gli stranieri, c’è il militare fissato
per la frutta, l’esploratore che ci vede doppio, le anziane
molestatrici di passanti, la rapitrice di lattai, quello che ha
inventato la barzelletta più comica del mondo, il tizio
che reclama per il suo pappagallo morto, la gara per il borghese
più stupido e tutti i cartoni di Gilliam a collegare i
vari episodi, in un crescendo di umorismo all’inglese, con
episodi tratti dal Flying Circus, il loro programma sulla BBC
nei lontani anni ’70. Allora cosa aspettate. I tempi sono
maturi. Vediamoci un film dei Monty Python, guardiamo qualcosa
di completamente diverso. j.n.
8 MILE
di C.Hanson, USA 2002
Yo,
yo. Hei fratello, sai bello… che questo film non è
per niente bello… è la storia, di un rapper bianco,
che fa di tutto per esser ganzo… ganzo, sbronzo.. a volte
stronzo… col suo sogno se ne va a zonzo… rapper
si, sarebbe bello.. ma se c’è gente è un
po’un bordello… che c’è di male, deve
solo vomitare… ma se s’impegna ce la puo’
fare… Fare, rifare… meglio scappare.. che il rapper
nero lo vuole inculare… ammazzare… spezzare…
in mezzo alla strada lo vuole lasciare… e se l’hai
offeso, lo sai fratello… che sul più bello, ti
trovi un buco nel cervello… e come canti, avanti dillo…
su fa uno squillo… un trillo… come un gallo….
bello…. che sei uno sballo… E adesso basta! Su,
falli fuori… i rapper neri saranno anche i migliori…
ma ci sei tu, e stai sicuro … che se vuoi puoi fargli
il culo… Yo, yo…. Vai fratello… lo sai che
il rap è un sacco bello… ma questo film, come ho
detto prima… è una gran cazzata… anche in
rima!!! j.n.
ESTATE ROMANA
di M.Garrone, Ita 2000
Parlare
la stessa lingua non vuol dire necessariamente capirsi. Sentirsi
vuoti e dimostrarlo a parole. Il caldo da alla testa, è
un dogma innegabile per i protagonisti di questa estate romana.
C’è un “pensatore” napoletano che se
ne è venuto a Roma. Un uomo, che di filosofico ha solo
la barba, il profilo greco e una corporatura da pensatore incallito.
Ha commesso l’errore di intraprendere la strada sbagliata,
quella dell’artista… non è che si ammazzi di
lavoro, nove volte su dieci si è appena svegliato dal suo
divano. Ci gira attorno al dovere e cede quasi sempre al piacere
delle belle passeggiate per le vie di Roma. A turbarlo è
la sua assistente che, secondo lui, fatica ad esprimersi sessualmente.
La verità è che l’assistente, con bambina
a carico, va con tutti tranne che con lui, ma lui non se la prende
e si limita ad essere la sua spina nel fianco. La segue anche
al lavoro da buon presenzialista. Essere fedele alle scadenze
di lavoro lo rende ansioso. Ci sarebbe un “mondo”
da finire. Il mondo non è proprio come lo volevano…
a dire il vero fa un po’ schifo, e poi, il mondo non se
ne esce di casa… non passa dalla porta, se non con le cattive.
Il mondo se la fa a piedi, dalle scale. Due milioni per un mondo
è troppo. Le sorti del mondo fanno litigare chi si mette
di mezzo, cinesi compresi. Alla fine l’idea: “Portiamolo
a uno che conosco. Se non ci da i soldi glielo regalo. I soldi
non sono tutto nella vita”.
Poi c’è la proprietaria della casa dove vive l’uomo
con barba da pensatore greco. Dire che è una figura di
rottura è dire poco. Una donna complessata sgradevolmente
“bella” e contorta. La voce le esce a fatica forse
perché poco convinta del timbro delle sue parole o forse
perché è poco convinta di quello che esce dalla
sua bocca. L’importante è non rinunciare a dire la
sua quando le capita l’occasione. Lei cerca di essere socievole,
ma i suoi “amici” tendono a snobbarla un po’…
perfino alle riunioni di condominio finisce per essere in minoranza.
Come cuoca fa un po’ schifo, ogni tanto dovrebbe ricordarsi
di cucinare quello che mette a tavola. Non le resta che tormentarsi
i capelli svampiti e unti che le stanno in testa con l’idea
di abbandonarla da un momento all’altro… Magari potrebbe
riuscire ad avere una parte in qualche opera teatrale “alternativa”se
il suo amico regista, dalla sua posizione “orizzontale”,
non facesse altro che mortificarla.
La vita è semplice quindi non resta che complicarsela.
Qualcuno poi, ha pure la brillante idea di infilarsi dentro trappole
di plastica, nel bel mezzo di un pomeriggio di sole…. La
claustrofobia non porta da nessuna parte, questo film nemmeno.
p.n.
THE EYE
di D.e O. Pang, Hong Kong 2002
Mun
torna a vedere dopo un trapianto di cornea, ma vede cose che gli
altri non vedono. Anime senza pace vagano per Hong Kong senza
sapere di essere morte. Come è possibile? Ecco come: le
cornee trapiantate appartenevano ad una ragazza veggente suicidatasi
per il peso del suo dono. Bisogna riparare, e allora via alla
ricerca della causa delle sue allucinazioni. Le nuove frontiere
dell’horror si saranno anche spostate ad oriente, come dice
certa critica, e il tocco orientale porta qualche novità,
ma le idee sono sempre le stesse.
E poi basta con i film in cui l’età massima dei protagonisti
è 20 anni… compreso il chirurgo che fa il trapianto!
j.n.
FEBBRE
A 90'
di D.Evans, Gb 1997
Il
calcio come metafora della vita. La vita come metafora del calcio.
Le metafore come il calcio e la vita. Non si capisce più
in che verso prenderle le cose. Lancio della monetina. La monetina
è solo una delle tante metafore o cos’altro? L’arbitro
mi prende per mezzo scemo. Esce croce. Non so per quale motivo
spetta alla mia squadra partire col calcio di inizio. Mi avvicino
all’arbitro. Lo scambio per una metafora della mancanza
nella vita del libero arbitrio. Lui lo prende come un complimento
e fa il gentile. Alla fine mi confessa di essere solo uno che
ama stare all’aria aperta. Poi si comincia a fare sul
serio quando l’amico dell’aria aperta fa un fischio
col suo fischietto. Il calcio come metafora dell’abnegazione
dell’uomo medio nel calvario esistenziale o semplicemente
la consapevolezza che ci si gioca tutto in novanta minuti? Per
i primi dieci minuti la prendo come metafora dell’abnegazione.
Mi do da fare, rincorro i miei avversari e faccio loro i migliori
auguri di fine partita. I miei compagni di squadra o forse colleghi
di lavoro mi mettono il bastone tra le ruote. Mi domando cos’
è che non va. Siamo sotto di due a zero e loro non l’hanno
inteso metaforicamente come la intendo io. Il guardalinee che
non è uno che si trova lì per caso mi pesca in
fuorigioco. Non vuole che oltrepassi il limite. Non ho le idee
chiare. E’ una giornata storta. Il mister, che è
una metafora della persona che dovresti sempre ringraziare perché
è una metafora del papà, chiede il mio cambio.
Devo uscire. La sostituzione come metafora del pensionamento
anticipato. Non mi va giù e così gliene dico quattro
a quel tizio che dalla panchina non ha fatto che sbraitare il
mio nome dal calcio di inizio. Se voleva che me la giocassi
semplicemente come partita di calcio bastava dirmelo. Per fortuna
che la vita dura più di novanta minuti. Esco tra i fischi
ma non me la prendo. Sono solo fischi. Le metafore mi avrebbero
dato molto più fastidio.
Letto il libro, il film ha l’aria di essere uno sfortunato
adattamento del romanzo di Hornby. Manca tutto. I buoni sentimenti
non si risparmiano e sono peggio dei lacrimogeni da curva sud.
Love story tra due insegnanti piacioni che intendono la vita
l’uno il contrario dell’altro. Si sa già
come andrà a finire tra i due. Il finale happy end contagia
anche l’ultima di campionato dell’Arsenal. Ma non
finisce qui. L’happy end nell’happy end nell’happy
end è la nostra scoperta che il film finisce veramente
come dice la videocassetta al centoduesimo minuto… senza
minuti di recupero. p.n.
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