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Un po' di storia
Lamboglia
Giovanni LAMBOGLIA
"Nino"
Archeologo,
fondatore e direttore dell'Istituto di Studi Liguri
Aurigo (IM), 7/8/1912 - Genova, 10/1/1977
“ Un fisico asciutto, esile, nervoso, animato da un'energia indomabile e da un entusiasmo ardente per tutto quello che entrava nel suo campo di interesse, che era esteso in quanto coinvolgeva ogni aspetto dell'antichità ligure: storia, architettura, arte, paletnologia, linguistica. Non per niente Teofilo Ossian De Negri aveva scritto che Nino Lamboglia "aveva inventato l'interdisciplinarietà". Il rigore che caratterizzava i suoi studi e le sue ricerche era tale da indurlo a considerare con sprezzo “le vecchie accademie e il dilettantismo locale”, come ebbe a scrivere. Da ciò la scontrosità e la diffidenza verso chiunque facesse mostra di voler interferire con il suo lavoro. La superficialità dei giornalisti gli incuteva orrore. Il mio primo incontro con “il professore” non è stato incoraggiante. Un gruppo di “sub” genovesi aveva scoperto nei pressi della Priapula, solitario scoglio al largo di Pegli ormai scomparso, oggetti romani residuati di una nave naufragata. Particolarmente interessante una serie di piatti incastrati in bell’ordine, costa a costa, addossati l’uno all’altro. Evidentemente erano stretti in un contenitore di legno macerato dai secoli e casualmente incastonato in un anfratto di roccia. Ero in rapporto con questi sportivi e un mattino mi ero immerso d’accordo con loro. Una volta affiorato mi sono trovato al cospetto di un signore, completamente e dignitosamente abbigliato, assiso a bordo di un gozzo, con in capo un cappelluccio antisole, confezionato in carta di giornale e modellato a feluca. Quando mi sono aggrappato alla barca, mi ha guardato con sospetto e si è informato bruscamente: “Ma quello è un giornalista?”. La risposta non poteva che essere affermativa. Irritatissimo, ha ordinato ai vogatori di riportarlo a terra e il recupero delle ceramiche rinviato a data da destinarsi. Con il trascorrere del tempo si è però instaurato un modus vivendi non solo tollerabile, ma addirittura gradevole. Ero stato accettato e potevo permettermi anche di interpellarlo per telefono.
L’oggetto principe dello studio, lo scopo primario dell’esistenza stessa di Nino Lamboglia era l’antica storia del popolo dei liguri, intesi come aborigeni mediterranei, abitanti una fascia di costa, che spaziava tra l’Ebro e l’Arno, con annesso retroterra e relativo santuario rupestre di monte Bego. “Parlare di liguri antichi significa parlare di noi stessi e spiegarci perchè siamo ancora tali e perchè tante caratteristiche abbiamo in comune con i Liguri della protostoria”. Ancora nel 1941, in occasione della fondazione dell’Istituto di Studi Liguri: “intendiamo ricercare tutti quegli elementi –paleontologici, archeologici, storici, artistici, linguistici, etnografici– che hanno contribuito nei secoli a plasmare l’anima e la stirpe ligure nel dinamismo storico dei suoi confini e nell’apporto da essa dato alla formazione della razza e allo sviluppo della storia italiana e mediterranea”. Si intuisce, tenuto conto dei tempi, che ce n’era abbastanza, per attirare. Dopo il 1945, sul capo dello studioso l’accusa di simpatia per il fascismo. Aveva parlato di “civiltà superiore del mare nostrum”, di “coscienza nazionale ligure”. In realtà Lamboglia, sempre assillato dalla necessità di finanziamenti per le sue innumerevoli iniziative, era stato ricevuto da Mussolini una volta, nel luglio 1943, e aveva ottenuto, personalmente dal capo del governo, 20.000 lire, che anche a quei tempi non era una somma cospicua, ma neppure irrilevante. Rientrato soddisfatto a Bordighera, aveva indossato per la prima volta la divisa fascista in nero orbace e aveva annunciato solennemente ai suoi collaboratori: “Dobbiamo a Mussolini la salvezza dell’Istituto”. Pochi giorni dopo, 25 luglio, crollo del regime.
Bisogna dire che nella sua integrità totale, nell’assoluta indifferenza verso tutti quelli che non capivano, nella purità dei suoi fini, il professore è passato indenne attraverso le barriere dell’incomprensione ignorante, della malignità invidiosa, della tendenziosità subdola, seguendo, dritto e impavido, la sua rotta, che aveva un unico e sempre affascinante traguardo: lo studio del Liguri antichi tra storia e mito, quando “ben pochi –è sempre De Negri che parla– avevano individuato quell’antichissima realtà”.
Un altro merito che spetta a Lamboglia, consiste nell’essere stato un attivo ed entusiasta pioniere dell’archeologia sottomarina, oltrechè un pioniere delle tecniche stratigrafiche. Già nel 1925 due anfore romane erano rimaste prese nella rete di un pescatore e altri ritrovamenti dello steso genere, avevano lasciato capire che sotto il mare di Albenga giaceva il relitto di una nave romana, solo nel 1950, però, è stato possibile identificarne la posizione. Il ritrovamento segna la data di nascita dell’archeologia subacquea e il relitto di Albenga è tuttora il “giacimento principe”. Lunga 60 metri, con un carico di 9.000-10.000 anfore olearie e vinarie, era una nave di dimensioni eccezionali per i suoi tempi, sospinta a terra dalla burrasca, era naufragata attorno all’anno 75 a.C. e successivamente ricoperta da un banco di sabbia alluvionale che ne aveva protetto struttura e carico, condizione più unica che rara. La profondità di 42 metri era, negli anni Cinquanta, al limite delle possibilità dei sommozzatori dotati di autorespiratore. Per esplorarla ed eventualmente tentarne il recupero, Nino Lamboglia, al quale erano stati rifiutati finanziamenti governativi, si era rivolto all’avvocato Quaglia, titolare della Sorima di Genova, la più famosa compagnia di recuperi sottomarini dell’epoca, che aveva prontamente aderito e posto a disposizione la nave Artiglio II, il meglio in fatto di recuperi. I palombari confermarono la presenza del relitto, riferirono posizione e carico, dopo di che venne calata una benna che agguantò nella massa, portò alla luce anfore e brani della struttura, fracassando il tutto definitivamente. Il mondo dell’archeologia inorridì e Lamboglia, che non aveva alcuna colpa dello sfacelo, si disperò, ma allestì con il materiale recuperato il museo di Albenga e continuò imperterrito per la sua strada. Dal 1959 al 1963 ebbe a disposizione il dragamine “Daino” della Marina Militare per le ricerche; fondò nel 1958 il Centro sperimentale di archeologia sottomarina; organizzò congressi internazionali e seminari; lavorò alla carta archeologica dei fondali; seguì tutti i ritrovamenti subacquei lungo l’intero sviluppo costiero italiano. Però la sua ossessione era il non poter “vedere” quel che c’era sott’acqua da studiare e recuperare. Da ciò l’irritazione perenne, lo scontento nel doversi servire di sommozzatori con i quali non riusciva a intendersi e non lo soddisfacevano mai. Scriveva: “Si deve rompere il diaframma fra archeologi e sub”. Avrebbe voluto impiegare archeologi con le pinne, che però non c’erano. Pensò di fabbricarseli e nel 1961 organizzò un corso sperimentale di archeologia sub che fu un fallimento. Solo due completarono il corso: l’americano Peter Bass e la spagnola Francisca Pallarés, che era l’assistente di Lamboglia e lavorò con lui vent’anni. Lo studioso gracile, che non sapeva nuotare, fece costruire dalla Galeazzi di La Spezia una “Campana batiscopica” nel cui interno, il 12 luglio 1960, si fece calare sul fondo e, quando riemerse, a chi gli chiedeva se avesse avuto paura rispondeva: “Forse al momento di risalire, ma avevo ormai visto la nave e ora so cosa si deve fare”. Nessun archeologo era mai sceso sotto il mare e anche questo è un primato conseguito da Lamboglia. Nacque ad Aurigo, nell’entroterra di Imperia, il 7 agosto 1912 e si laureò in lettere all’Università di Genova nel 1933, con una tesi che gli avrebbe sigillato l’esistenza: “La topografia dell’Ingaunia nell’antichità”. Dopo la fondazione della Società storico-archeologica Ingauna nel 1932, inziò una febbrile attività editoriale, di ricerca e di studio. Diresse il restauro delle splendide cattedrali di Albenga e Ventimiglia, gestì gli scavi in tutta la regione: Ventimiglia, Vado, Loano, Albenga, Finale, Perti, Chiavari. Era il terrore di sindaci e imprenditori poichè quando, nel corso degli scavi per l’edilizia, compariva una pietra significativa, la mano di Lamboglia piombava all’istante per bloccare i lavori. Dopo aver gestito, dal 1937, il vecchio museo Bicknell, ha fondato l’Istituto di Studi Liguri, sempre con sede a Bordighera, che nel corso degli anni si è allargato al punto di istituire ben 32 sezioni in Italia, Francia e Spagna. Ha fondato nel 1958 il Centro sperimentale di archeologia sottomarina; per conto della Soprintendenza regionale alle antichità ha diretto gli scavi nell’intera regione; ha avuto la cattedra di archeologia medievale all’Università. Ha firmato 738 lavori, non pochi dei quali pietre miliari per la ricerca.
Non era un carattere facile: “L’Istituto per lui era tutto, viveva per l’Istituto –ricorda Graziana Grosso Paglieri– e pretendeva che così fosse per tutti. Io mi adattavo, ma non tutti i giovani erano d’accordo nel nutrirsi di corsa e lavorare poi tutto il giorno e ancora alla sera, festivi inclusi”. E Francisca Pallarés, che all’Istituto ha lavorato trentacinque anni: “Era instancabile, la giornata di lavoro non finiva mai, non avevamo un momento libero, ma ispirava entusiasmo, era un trascinatore”.
Erano le ore 19 del 10 gennaio 1977, a bordo della Fiat 128 guidata da Giacomo Martini, Lamboglia doveva imbarcarsi sul traghetto per la Sardegna in partenza dal porto di Genova. Pioveva forte, l’auto avanzava piuttosto veloce, perchè era in ritardo. Infatti in quell’istante la nave scioglieva gli ormeggi. La visibilità pessima, soprattutto al ponte Colombo, male illuminato, dove già erano avvenuti due incidenti. La 128 è finita in mare. Martini, recuperato ancora in vita, è morto prima di raggiungere l’ospedale. I sommozzatori dei Vigili del Fuoco hanno estratto il corpo di Lamboglia dall’auto posata sul fondo capovolta. Nell’ottobre del 2004 è stata allestita in Palazzo Ducale a Genova una mostra dedicata ai liguri, ma Lamboglia, che alla storia e al mito di questo antico popolo aveva dedicato la vita, non è stato trattato bene –dice la signora Pallarés. Anche questa una ragione per rimpiangere a trent’anni dalla sua scomparsa sul fondo del mare, colui che per cercare il passato, sul fondo del mare, aveva profuso senza risparmio un patrimonio di entusiasmo e di energia. ”
Massimo Zamorani
(da IL SECOLO XIX Spettacoli&Cultura, 31/01/2007)
IMMAGINI E RICORDI DI NINO LAMBOGLIA
Targa commemorativa del 50 anniversario (1950-2000) in Piazza S.Michele 2 (androne Museo) - Albenga, SV
Targa posta il 14 settembre 2002 sulla casa natale in via Croce di Malta - Imperia (Porto Maurizio), IM
Targa posta il 4 dicembre 1982 nel 70° anniversario della nascita in via Grotte - Toirano, SV
Nino Lamboglia durante una navigazione in barca a vela
I giardini
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