L'
empowerment rappresenta un concetto chiave della psicologia di Comunità.
Nella letteratura di questa disciplina esso infatti è considerato il suo obiettivo di fondo.
Ma, come C.Picardo (1995) annota, il termine è già presente sin dagli anni '60 nella letteratura politica, all'interno della moderna teoria della democrazia e del movimento dei diritti civili, nello sviluppo del terzo mondo, nei movimenti che fanno capo a minoranze e, last but not least, nei movimenti femminili.
L'area dei significati del termine sembra così allargarsi e per alcuni versi andare oltre quello che il costrutto suggerisce in Psicologia di Comunità.
Sin qui, infatti, al concetto di
empowerment sono stati attribuiti significati quali : rendere potenti, attivare risorse, passare da uno stato di passività ad uno di attività, acquisire autorevolezza.
Meno sottolineato è il fatto che l'acquisizione di potere comporta responsabilità e genera emancipazione, termini questi con una forte connotazione politica.
Non dimentichiamo che è proprio l'assunzione di responsabilità che può portare nei luoghi del potere.
L'entrata delle donne nella sfera politica degli anni passati aveva come presupposto questa assunzione di responsabilità, non solo ed esclusivamente il desiderio di dominio.
Le donne hanno così fantasticato un ritorno di autorità.
Nei luoghi di potere di fatto si trovano alcuni degli strumenti che abilitano a dare simbolicamente vita, voce, ricchezza o, al contrario, a far tacere, a cancellare, a ridurre le opportunità di esistenza.
È per la donna un ritrovare l'antica potenza, quella materna, che è poi quella di dare vita, del prendersi cura (cfr. Althea Horner riportata da Buttarelli).
Ma le donne non hanno nei fatti avuto la capacità di far sì che l'aspirazione alla autorità non si trasformasse in potere).
Sicuramente nel passaggio dalla dimensione squisitamente disciplinare a quella dichiaratamente politica il termine
epowerment subisce uno spostamento in avanti:
da "rendere potenti", che implica l'azione di un terzo che ti pone in condizioni di esserlo, a "divenire potenti", avere forza, incisività, autorevolezza, capacità di emanciparsi, di chiedere e ottenere parità di diritti.
Aumenta, senza alcun dubbio l'implicanza della dimensione soggettiva, fermo restando il fatto che il suo attivarsi è conseguente ad una idea, una forza, un sostegno esterni al soggetto.
È merito della ricerca delle donne aver introdotto e recuperato la categoria della soggettività, prima stigmatizzata come relativistica e pre-scientifica: nella ricerca delle donne, per la prima volta, tra ricercatore e oggetto della ricerca si stabilisce una relazione significativa.
Empowerment e
mainstreaming sono state le parole chiave della Conferenza di Pechino tese a promuovere reali parità di diritti per le donne attraverso:
- l'attivazione di risorse individuali e di gruppo per raggiungere l'uguaglianza di diritti e di condizione delle donne;
- l'incremento della partecipazione delle donne alla vita pubblica, con l'obiettivo di migliorare il Paese da un punto di vista sia sociale che occupazionale, della salute, nonché attraverso l'insegnamento e lo sviluppo delle nuove generazioni;
- l'acquisizione di potere e di promozione delle donne nei centri
decisionali della società, della politica e dell'economia;
- la valorizzazione dell'esperienza, della cultura, valori di cui le donne sono portatrici;
- una maggiore visibilità anche istituzionale, per la creazione di reti di reti.
Con Pechino quindi si va oltre il concetto di pari opportunità, per asserire la capacità di cambiamento che l'azione e i saperi delle donne, la loro stessa presenza nei luoghi pubblici, e soprattutto nei centri decisionali, dell'economia e della politica, possono e debbono innescare.
Ed ancora l'importanza che l'azione educante e di trasmissione non acritica della cultura può svolgere sulle nuove generazioni di uomini e di donne.
Così come si va oltre il significato che comunemente la parola empowerment ha: alle donne, rese empowered, si chiede di introdurre cambiamento nei modelli di vita per migliorarla.
Di fatto, un'azione di cambiamento si è già andata determinando, là dove le donne hanno avuto spazio di espressione e di azione politica; di fatto il femminismo ha reso empowered le donne non solo negli spazi e nei luoghi dove esso si è andato affermando, ma anche attraverso la produzione di un "corpo di categorie teoriche e di azione" che è penetrato nel tessuto sociale e culturale dell'occidente producendo un'azione diffusa, un femminismo diffuso (Calabrò 1983, Balbo 1997) che di fatto ha:
- delegittimato il patriarcato;
- alterato la rappresentazione sociale e discorsiva delle relazioni tra i sessi, e specialmente delle loro differenze;
- rilevato e denunciato la complicità maschile e il falso universalismo del soggetto;
- soprattutto fatto uscire le donne dalla sfera del privato, non consegnandole al solo lavoro di cura, rendendole visibili ( torna qui, con accezione più profonda il vecchio slogan: il privato è politico), con questo innescando nuova cultura;
- promosso una legislazione di parità, notevolmente avanzata;
- posta in maniera critica nei riguardi del sapere e della scienza, denunciandone la loro proclamata neutralità; l'impatto teorico del femminismo sulle altre discipline è stato infatti profondo e determinante, tanto che, anticipando un discorso che meglio tenteremo di esplicitare dopo, è possibile affermare che il femminismo, come pensiero della differenza, è parte determinante del pensiero moderno ( è dentro la crisi delle discipline).
È peraltro da dire come tutto questo, se ha modificato il piano degli atteggiamenti, ha inciso molto poco su quello dei comportamenti.
Di fatto, della cultura maschile è rimasto tutto intero lo zoccolo duro (quello che Freud definisce "lo strato roccioso profondo" che impedisce di accedere al regno delle madri).
Mentre il femminismo, superando il concetto di uguaglianza, approda al pensiero della differenza e della reciprocità, il pensiero maschile comincia solo ora a riflettere sulla propria crisi.
Questa riflessione porta alcuni studiosi, in particolare dell'area anglosassone a riconoscere come "gli uomini sarebbero stati resi invisibili a se stessi a causa degli ideali di autonomia e di autocontrollo presenti nel modello cartesiano di razionalità" (cfr. Seidler: Riscoprire la mascolinità.)
Potere o Autorità?
Un'ulteriore riflessione che qui è opportuno fare è se il termine potere esaurisce il senso dell'azione di empowerment così come ora definito, o se quello di autorità, autorevolezza, meglio lo interpreta.
Autorità e potere vengono quasi sempre identificati.
In realtà la distinzione tra questi due termini tende a ridisegnare il confine tra interno/esterno, se "si accetta la premesssa che sia l'autorità, tra i due, ad avere maggiormente da fare con la mappa dell'interiorità".
Di fatto il termine potere, comunemente associato all'area del maschile, è qualcosa che muove dall'esterno, che può prescindere in quanto tale dal consenso.
Dando origine a strutture riproducibili e rigide e, oggi, per lo più impersonali, il potere gode di una relativa indipendenza rispetto agli individui concreti che in tali relazioni sono implicati.
L'autorità implica un rapporto di fiducia, essendo poco probabile che essa trascuri le relazioni personali, perché è proprio su questo che essa si fonda ; se ciò accade, l'autorità degenera in vuoto autoritarismo.
Mantenere un rapporto d'autorità comporta una continua riproposta di sé nei riguardi di chi ti riconosce come autorevole, il quale a sua volta deve di continuo operare una sorta di patteggiamento interiore per poterti continuare a riconoscere come tale.
È questo un gioco continuo tra dipendenza e indipendenza che rinvia alla dialettica hegeliana servo/padrone (Fenomenologia).
Poiché è proprio delle donne lavorare sulle relazioni, il termine autorità, nel senso di autorevolezza, ci sembra essere più consona ad esprimere l'azione di empowerment diretta alle donne.
Quest'azione tende a ridisegnare la storia e la cultura dei rapporti maschio/femmina senza con questo pensare di ribaltare i termini della questione né quanto meno consegnare alle donne un potere fatto di dominio prevaricante l'altro.
Esistono, è indubbio, dei differenziali di poteri tra uomini e donne: lavorare sul polo dell'autorità significa comprendere, interpretare tali differenziali per modificare i rapporti di forza vigenti, mettendo in luce anche il gioco sottile di complicità messo in atto dalle donne per il passato che, è inutile negare, permane anche adesso e che fa sì che nonostante tutto ( la rivoluzione sessuale, una legislazione paritaria, un cambiamento diffuso degli atteggiamenti ) il quotidiano continui a scriversi in termini di potere maschile.
È necessario, anche se doloroso, gettare uno sguardo retrospettivo a "quanto ci legava dentro rispetto a figure maschili del potere, a cui il nostro riconoscimento interiore conferiva un prestigio che le rendeva in apparenza invincibili" (W.Tommasi, 1998).
Al contrario, la relazione delle donne con il potere è ancora "giovane" e "acerba", contraddittoria e un po' ambivalente, tanto da far pensare ad una vera e propria forma di "resistenza femminile all'accesso ai luoghi e agli strumenti del potere" (M.L.Boccia,1998), una resistenza che ha bisogno di essere adeguatamente interrogata e non soltanto istituzionalmente combattuta.
Preferiamo parlare di autorità, più che di potere, perché l'autorità non è come il potere una cosa della quale ci si può impossessare, è un processo, il processo di interpretazione e di spostamento dei differenziali di potere.
Il luogo di costruzione dell'autorità è innanzitutto nella persona che l'attribuisce ad altri: più precisamente, vi è autorità nella relazione tra chi la riconosce e chi se la vede attribuire.
L'autorità è qualcosa che sicuramente è legata ad alcuni requisiti - una certa solidità, una capacità di giudizio, a qualità e talenti personali, talvolta una carisma - ma essa è soprattutto legata al riconoscimento da parte degli altri, a una attribuzione di fiducia, a una credibilità e alla relazione che si instaura conseguentemente.
L'autorità appartiene alla relazione più che alla persona.
Etimologicamente, poi,
auctoritas si lega a
augere, ovvero a far crescere, a far uscire allo scoperto ciò che è dentro, "nel mondo ciò che abita dentro di noi" (cfr. Hannah Arendt: Che cos'è l'autorità ) L'autorità costruisce ponti, mostra mediazioni, mentre il potere le nasconde.
Una persona diviene autorevole soprattutto in forza della sua capacità di offrire mediazioni.
L'autorità deve sempre rinnovare il lavoro di mediazione
Femminismo e Psicologia di Comunità
Quando la psicologia di comunità incrocia la riflessione critica del femminismo, filtrata dall'esperienza personale di studiose e ricercatrici di diverse discipline, il termine empowerment si carica di un significato più ampio, imponendo uno spostamento in avanti degli obiettivi e del tipo di intervento.
L'infiltrarsi di donne con mente politica nel chiuso delle discipline intellettuali, territorio notoriamente maschile, comporta, infatti, nuove forme di riflessione teorica.
L'intersezione del tema del femminile con discipline come la filosofia, la psicoanalisi, la storia, la sociologia, il pensiero politico economico, la biomedicina è, per alcuni aspetti, "favorita", resa possibile dal determinarsi di una serie di coincidenze:
- la crisi del soggetto razionale e della sua logica basata sul principio di non contraddizione (Foucault, 1972,1978; Lacan, Derrida e i post-strutturalisti);
- la morte del Padre (Ibsen, Nietzche 1884; lo stesso Freud, 1925,1932) e la comparsa sulla scena della Madre preedipica (Klein, Mahler, Chodorow),
- l'attenzione agli spazi della quotidianità,
- la fine dell'illusione dell'idea di sviluppo lineare senza limiti né controlli,
- l'irrompere delle biotecnologie,
- la rivolta dei Sud del mondo,
- le grandi emergenze migratorie.
Tutto questo ha favorito e reso vincente una modalità di pensiero, quello femminile, basato sulla compresenza di contrari, sull'attenzione all'altro, sulla flessibilità, sulla relazione, sulla capacità di tessere reti e di tenere insieme cose, sentimenti, situazioni, anche assai diverse tra loro.
Il fatto che questo modello di pensiero sia quello vincente si concretizza nelle relazioni sociali, nella crescita, a volte anche eccessiva, di interi settori di lavoro o di cura fortemente femminilizzati, sia sul versante della forza lavoro, sia su quello dell'utenza, sia su quello delle logiche che li governano ( terzo settore), una crescente attenzione alla qualità della vita, nei suoi aspetti relazioni, lo spostarsi dell'attenzione dalla produzione di beni materiali (maschile) a quella di beni immateriali (femminile), sino all'attuale "aristocratico" elogio della marginalità.
La maggiore presenza femminile nei luoghi del sociale, del culturale e politico, e comunque una loro maggiore visibilità, pur avendo messo in una certa difficoltà il mondo maschile, non ne ha intaccato il sistema concreto della gestione del potere, che per alcuni versi oggi si muove operando il recupero di spazi già occupati dalle donne : l'uscita dal mercato del lavoro, la diminuzione delle presenze femminili nelle rappresentanze politiche, segnata, negativamente a nostro avviso, dal loro recupero
in extremis attraverso la cooptazione nei governi locali.
Tutto questo non accade peraltro in assenza di sottili "complicità" femminili, frutto in parte di assenza o perdita di memoria delle giovani generazioni, ma anche di interpretazioni differenti, quando non fraintendimenti, di concetti quali: potere, autorità, responsabilità, libertà, democrazia; in particolare quando essi ne intersecano altri quali: uguaglianza/differenza, parità/pari opportunità, rottura/mediazione, dominio/sottomissione/reciprocità.
In una fase quanto mai difficile di ridefinizione dei ruoli, di cui le donne sono momento portante, ma che inevitabilmente coinvolge l'universo maschile, mirata non al ribaltamento degli equilibri di genere ma al riconoscimento della soggettività dell'altro/a, l'azione di
empowerment non può che essere rivolta al femminile inteso come totalità di un universo, ovvero alla nuova generazione di donne e ragazze, e non riferirsi soltanto ad alcune marginalità e/o patologie, anche se numericamente rilevanti; assumendo con questo una valenza preventiva e non solo riparativa.
Questo richiama l'attenzione sulla necessità di procedere sulla base di un'etica della reciprocità e dello scambio e di una capacità di mediazione, non nel senso svilito del termine che una politica come lotta per il potere ci rimanda, ma come mediazione creativa, capace di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla convivenza umana, capace di riconoscere ed affrontare i conflitti compresi quelli dentro di sé.
Se l'azione di empowerment si configura in questa ottica allora la sua realizzazione non può che passare attraverso il processo formativo dentro cui è possibile la creazione di una tradizione da trasmettere nei luoghi del sapere ( scuola, università, mondo del lavoro), come fonte di autorevolezza, forza, soggettività; non nella separatezza o nella solitudine ma nel reciproco coinvolgimento rispettoso delle differenze.