Riflessione a più voci sui risultati della conferenza delle donne del Mediterraneo tenutasi a Gallipoli lo scorso mese di luglio e sulle prospettive che essa ha aperto
(da Pietre - Speciale donne, marzo 1999)
"Non erano contenti là dove stavano?" "Non si è mai contenti dove si sta" - disse il controllore. (da Il piccolo Principe, di Saint Exupery)
Lo scorso luglio abbiamo tenuto a Gallipoli la settima conferenza internazionale dell'Associazione delle donne della regione mediterranea. Il tema era "Donne e lavoro" e, come risulta dalle registrazioni, vi hanno partecipato oltre cento donne: una quarantina provenienti da 14 paesi dell'area, le altre da ogni parte d'Italia.
Realizzarla non è stata impresa facile, ma sono convinta che il beneficio di quella fatica ci seguirà ovunque, me e le donne che l'hanno condivisa, nelle relazioni con le altre donne, con il territorio, con le istituzioni. Abbiamo condiviso l'entusiasmo, ma anche alcuni momenti di sconforto. Nessuna di noi aveva grandi abilità organizzative e ogni momento, fino all'ultimo, sorgeva una nuova difficoltà imprevista.
Nella fretta e l'ansia delle cento cose da fare ho spesso dimenticato di dire loro grazie. Lo faccio ora.
Non è stato facile. Smaltita la fatica del lavoro organizzativo, che ci ha coinvolte talvolta fino all'abbrutimento, abbiamo conosciuto lo scoramento che prende di fronte a quella che ci pare l'insensibilità o l'indifferenza altrui; a quello che ci pareva l'inaridimento del pensiero creativo, travolto dalle cose organizzative;; l'avvilimento di sottoporsi a quello che ci pareva l'ignobile atto di cercare soldi (salvo sentire poi capire la nobiltà dell'atto di avere spostato risorse pubbliche verso la politica delle donne).
Qualunque sforzo vale la pena, se si può dire che si è realizzato un progetto che ci appassiona. Credo che non si possa dire di "fare politica" finché non si è portato sulle spalle il peso, anche organizzativo, di un'impresa, mettendosi in gioco totalmente.
Ora che stiamo curando la pubblicazione degli atti, rileggendo gli interventi e le relazioni, possiamo meglio renderci conto della portata del confronto avviato: la risoluzione finale e gli atti potranno essere base sulla quale costruire elaborazione e azione politica futura, riguardo alle politiche del lavoro, ma non solo.
Si tratta ora di ragionare sui risultati e trovare il modo di dare
continuità al progetto.
Quel meeting non nasceva dall'oggi al domani, naturalmente. Era parte importante di un'idea a cui con le donne dell'Awmr personalmente lavoro da quasi dieci anni e che ha costituito un percorso con passaggi e approdi precedenti.
Gallipoli è stato, da una parte, lo scalo indispensabile di un itinerario di navigazione tracciato dalle donne dell'Awmr: dall'altra era anche punto di approdo di quello che abbiamo chiamato "progetto mediterraneo", frutto di relazioni consolidatesi qui nel Salento, senza le quali esso non si sarebbe potuto fare.
Progetto Mediterraneo nasceva con l'intento di collegare quante considerano prioritario che le donne del Mediterraneo unite dicano la propria parola sui piani di sviluppo previsti nell'ambito delle politiche economiche che regolano i rapporti nord-sud e che si creino le condizioni perché, nel rispetto delle differenti identità, siano ridotte le disuguaglianze fra i soggetti diversi.
Solo per limitarci alla questione che abbiamo fatto oggetto del nostro confronto l'estate scorsa, il lavoro, è perfino superfluo ripetere che per le donne lo stato di generale difficoltà è aggravato da una serie di fattori che, limitando il loro accesso alle risorse economiche ed alla partecipazione politica, impongono una divisione del lavoro in cui ai settori femminili della popolazione vengono riservati i compiti più gravosi e meno remunerati.
Ma fino a che punto le ragioni dell'Awmr (di cui sono stata tramite) e quelle delle altre qui si sono incontrate?
Sarebbe un errore sottovalutare che da parte di buona parte delle donne salentine che "storicamente" appartengono ai luoghi della produzione intellettuale e politica, che ho anche praticato, non c'è stata una partecipazione molto significativa.
Non sono scattati quei meccanismi ampi di sostegno che per iniziative come queste è indispensabile attivare.
Ci siamo spesso dette della necessità che ad iniziative di donne che muovono i passi su un terreno poco favorevole, quale quello del confronto con le istituzioni, le altre assicurino la cosiddetta "area di protezione".
Vogliamo capire perché ciò non è avvenuto nel nostro caso, visto che non possono essere intervenuti meccanismi di concorrenzialità, dal momento che il nostro progetto mediterraneo non si sovrapponeva ad altre iniziative simili.
Ci sono state chiusure nostre?
Conviene pensarci e indagare perché proprio dalle più lontane c'è stata maggiore rispondenza.
Capire le dinamiche che siamo riuscite o non siamo riuscite ad attivare serve comunque a trovare la strada della continuità.
Per riannodare i fili del discorso, sento la necessità di fare riferimento a due momenti: (numero uno) alle assolate giornate di fine agosto 1991 in cui ci riunimmo in un seminario leccese sulla "mediterraneità come luogo politico di donne" e (numero due) a quanto scrissi in occasione del convegno "Saperi di donne e trasmissione", sempre a Lecce, nel febbraio '96. Là dove, nell'accingerci a ripartire per una nuova impresa di donne, ciascuna esaminava il proprio bagaglio, dicevo di portare con me, fra le altre cose, il "desiderio di restare dentro le reti di relazioni forti, già tessute con pazienza, attraverso la Federazione democratica internazionale delle donne e la Women's international league for peace and freedom, nell'area mediterranea (e qui il riferimento è all'Association of women of the mediterranean region che ho contribuito a far nascere e crescere), in Europa e in altri continenti, in molti anni di vita".
Non a caso, in tutti e due i momenti era presente Nadia Gambilongo che nel discorso mediterraneo è stata e continua ad essere mio riferimento solido. Con lei ho condiviso la consapevolezza della necessità e, qualche volta, i sentimenti della solitudine di abitare, stando in una città del sud d'Italia, luoghi organizzati internazionalmente. Fino alla conferenza del luglio scorso e, spero, oltre.
La nostra ipotesi di partenza, un viaggio attraverso il genere tra sviluppo e sottosviluppo, tra contraddizioni strutturali e specificità culturali, ci appassiona ancora. Ci appassiona più che mai l'idea di costruire una rete, che agisca inserita nelle dinamiche internazionali che sempre più investono la nostra vita quotidiana.
Coinvolgere le donne salentine in collegamenti internazionali, sì che possano partecipare al tavolo delle trattative sulle grandi questioni in gioco; uscire dal limite angusto della propria microrealtà di strettezze e di privilegio; non è più possibile predisporre piani per le pari opportunità nel campo del lavoro senza tener conto della dimensione globale che l'appartenenza al genere femminile determina a seconda se si abita a sud o a nord, ad est o ad ovest.
Né, come dice Nadia, possiamo più far finta di non avere gli strumenti per affrontare il problema.
Mentre rifletto su quest'esperienza straordinaria vissuta con le donne dell'Awmr e con un certo numero di donne salentine, sento infine pressante anche il bisogno di tornare sulle ragioni che mi hanno motivata a volere che essa si facesse a Gallipoli, darmi questo luogo nella mia città.
Non parlo qui del rapporto (mancato) con le donne e le istituzioni di Gallipoli. È un altro discorso che va fatto, ma in un altro momento. Non è questione di ricercare radici. Sono d'accordo con Nadia quando dice che in un discorso di nomadismo intellettuale qual è il nostro, è preferibile il termine "posizionamento" a quello di "radicamento". La scelta di Gallipoli è stata di posizionamento e, nel percorso dell'Awmr è stata solo una "porto di scalo". Naturalmente appartiene ai miei desideri che possa diventare qualcosa di più e d'altro, ma le politiche delle donne hanno tempi lunghi e, come dice la presidente delle pari opportunità Silvia Costa, per altre vie conquistata alla causa euro-mediterranea, le donne mediterranee hanno nel sangue la pazienza di Penelope ed il coraggio di Antigone.
Sento infine il bisogno di ri-dichiarare la prospettiva nella quale intendo continuare a muovermi, e cioè un confronto tra donne mediterranee, in un luogo politico, il Mediterraneo appunto, che immagino alternativo al progetto della "fortezza Europa" che altrove si sta realizzando con gran rumore. Ma distinto anche dal progetto Euro-mediterraneo che dalla conferenza di Barcellona in poi sta muovendo notevoli risorse a livelli istituzionali e di Ong. Non voglio mettere in dubbio che chi ci lavora abbia le migliori intenzioni. Voglio solo dire che l'ambizione dell'Awmr è di agire un luogo interamente mediterraneo, non un Mediterraneo proiezione delle buone intenzioni dell'Europa. Anche a costo di qualche ritardo.
Considero illusorio e semplicistico pensare ad un processo di graduale inarrestabile estensione dei diritti civili alle donne dell'area mediterranea, nel quale all'Europa culla di civiltà spetti la funzione di guida (in questo senso ho sentito stonato l'intervento della Commissaria Bonino al convegno delle Mediterranee a Napoli, qualche giorno fa). Troppe cose intorno a noi ci dicono che il processo non è così pacifico. Tutt'altro.
Considero perciò ineludibile per noi il problema, da una parte, della inadeguatezza dell'azione politica delle donne nei confronti di dinamiche internazionali che ci coinvolgono e ci collocano, ci piaccia o no, in un sistema di privilegio e di dominio nei confronti di paesi e popoli di là dal mare; dall'altra, della necessità di definire un'azione politica di donne che non sia di un unico segno.
Mi sono sempre interrogata sulle resistenze che molte donne mostrano ad occuparsi di quelle questioni della cosiddetta macropolitica economica e la loro preferenza verso le piccole dimensioni del quotidiano, dove il "partire da sé" sembra più immediatamente praticabile, insieme al desiderio di agire la realtà con metodi diversi dagli uomini; resistenze che si accompagnano al rifiuto da parte di molte di darsi, in nome della pratica diretta delle donne, forme organizzative ampie.
E mi sono detta che partire da noi stesse ha senso se poi arriviamo a misurarci col contesto di queste enormi contraddizioni.
8.2. Per arrivare a condividere passioni
di Marina Visciòla
Come in un film, inizio dall'ultima scena. Il mattino del 13 luglio'98, l'aeroporto Casale di Brindisi, mentre dico addio alle ultime donne che partono per i loro paesi di destinazione.
Si è conclusa la settima conferenza internazionale dell'Associazione delle donne della Regione Mediterranea che si è svolta a Gallipoli, nell'Italia del sud.
Una conferenza internazionale non è un impegno da poco. Con pochi mezzi, umani ed economici, diventa una voragine che ti risucchia, ti impedisce di pensare ad altro se non agli aspetti organizzativi.
Il tema della conferenza - donne e lavoro nel Mediterraneo - era particolarmente interessante. Oltretutto sembrava capitare in un momento opportuno. Non sono una studiosa del settore, ma l'argomento era già al centro di letture e confronti con altre donne della mia città. Inoltre, da qualche tempo, attraverso Ada Donno, avevo iniziato ad accostarmi alle forme di associazionismo femminile internazionale.
Mi affascinava l'idea di incontrare altre donne a cui l'appartenenza ad un'area geografica mi accomunava, il sud del mondo, ma che vivono realtà politiche, economiche e sociali molto diverse dalle mie. donne che si confrontano con un quotidiano difficile, spesso duro, con bisogni e necessità di parola differenti da quelli con cui si pone l'attivismo femminile in Italia. Uscire dall'autoreferenzialità di un confronto tutto racchiuso in codici linguistici spesso elitari, per trovare un denominatore comune, forse anche in radici storiche, per arrivare a condividere passioni.
Tuttavia, quando Ada ci propose di organizzare la conferenza a Gallipoli, non esitai a dire che trovavo l'idea estremamente impegnativa.
Potevo comprendere la sua scelta, determinata in parte da ragioni esterne alla sua volontà, ma anche dettata dal desiderio di rispondere al legame e responsabilità verso le donne della rete internazionale.
Il punto era proprio questo. L'assunzione di un impegno così grosso poteva esistere a condizione di condividere la stessa passione. Il mio interesse era esclusivamente intellettuale, rispondere alla richiesta di Ada significava pensare e mettere in gioco i miei desideri, le energie, il mio tempo. La mia reticenza era determinata anche da altri timori, legati alla capacità di coinvolgimento umano ed economico del mio territorio.
L'organizzazione di una conferenza, per di più internazionale, svolta con forme di volontariato, richiedeva di affidarsi, dar fiducia, ai desideri ed energie di altre donne. La storia delle donne del mio territorio ha un percorso lungo e difficile, come tutte le storie fatte di passioni forti.
Era un banco di prova impegnativo.
E ancora.
Per ragioni legate a precedenti esperienze, da tempo avevo scelto di non voler più entrare in contatto con i luoghi di gestione politica ed economica, sia pubblici che privati.
La circostanza dell'organizzazione della conferenza mi poneva nuovamente di fronte a questo confronto. Sentivo pesante l'impegno di espormi per chiedere che fosse fatto proprio un progetto di donne, che venisse patrocinato e sponsorizzato. Non ero sicuramente attirata dall'idea di dovermi confrontare con interlocutori - quasi sempre uomini - le cui logiche di scelta rispondono ad esigenze di mercato e ritorni utilitaristici.
Dover trattare, io per prima, un desiderio come merce di vendita o scambio.
Non c'è mediazione in questi contatti, spesso ti senti più debole perché hai la netta percezione di non poter o voler mettere sulla bilancia della contrattazione l'equivalente, in termini di peso politico e contrattuale.
Alla fine, l'ostinazione di Ada mi ha costretta ad abbandonare ogni remora.
Ho fatto appello a quel senso di corresponsabilità e condivisione dei desideri, che ritengo fondante l'agire fra donne, per entrare nel suo mondo politico e di relazioni e portare l'esperienza a compimento.
Non è stata una scelta facile ed inizialmente ero forse un pò irritata, ma il significato è emerso lentamente, nel corso dei lavori di organizzazione e fino alla fine della conferenza.
Confrontarsi con i limiti imposti dalle procedure burocratiche, dai condizionamenti politici, se da un lato suscita un senso di profondo fastidio e noia, dall'altro ti dà conferme sulle scelte finora compiute. La richiesta dei VISA per le donne non europee.
Quanta burocrazia, e discriminazione ed emarginazione.
Senti sulla pelle l'umiliazione di chi, vivendo in stata cui non è riconosciuta lo statuto di paesi economicamente evoluti, non ha riconosciuto il diritto di essere libero cittadino del mondo e deve aspettare l'occasione di inviti ufficiali per poter uscire dai propri confini. Ma che sia ben chiaro lo scopo e la durata!
La conferenza internazionale era il luogo politico che ci esponeva per scelte ideologiche e culturali.
Esporsi vuol dire anche fare esporre gli altri, metterli nella condizione di essere giudicati per le proprie modalità e scelte.
Lavorare per la conferenza stava capovolgendo la mia ottica di partenza.
Confrontarmi con le logiche politiche ed economiche mi ha dato più potere,
perché ho potuto misurare i luoghi istituzionali e le persone con cui mi relazionavo, e ho espresso giudizio politico.
Agire nei luoghi politici, creare momenti di confronto vuol dire acquisire visibilità, mette nella condizione di esprimere giudizio politico, modalità che dà potere rispetto ai luoghi misti ed istituzionali.
I lavori di organizzazione erano ormai diventati un ingranaggio inarrestabile, impedendo qualsiasi possibilità di produrre una riflessione teorica o politica sull'argomento.
Il mio agire pratico, i contatti e le relazioni che i lavori producevano stavano diventando la mia riflessione politica.
L'impossibilità di seguire da vicino i lavori del convegno, fagocitata dagli aspetti organizzativi, non mi ha impedito tuttavia di sentire la bellezza ed il valore di aver dato un luogo d'incontro per tante voci, di aver creato la possibilità di nuovi scambi e successivi momenti di incontro. Sono state giornate ricche di movimento, di generose presenze. Ma anche di assenze.
E queste ultime hanno agito come vuoti, buchi nella rete di donne che, con fatica, si cerca di tessere per tenere assieme le molteplici e belle presenze, le energie, i pensieri che coesistono in questo angolo di meridione.
Per qualche giorno abbiamo racchiuso, nel pezzetto di territorio dove vivo, un piccolo mondo di realtà così diverse, spesso dolorose, ma tutte esprimevano la gioia di esserci, di essere lì donne che potevano dichiarare, ad altre donne pronte ad ascoltarle, il senso della propria vita, delle proprie scelte.
Entrare a far parte di un'associazione internazionale di donne impone alle riflessioni teoriche e all'agire politico uno spostamento verso questioni meno speculative, maggiormente legate a problematiche che investono diritti basilari della vita sociale e politica.
È una scelta che rischia di imprimere dei cambiamenti nelle relazioni fra donne dello stesso luogo, ma consente anche di trovare nuove e più salde forme di relazione.
La conferenza di luglio e la sua fase preparatoria mi hanno dato modo di avvicinarmi ad una realtà politica femminile di cui non mi erano chiari né i contenuti né la presenza. Ragionare di sud, di presenza femminile al sud ed intendere, per sud, l'intera area mediterranea, è stata un'esperienza che mi ha dato la possibilità di ascoltare il confronto fra voci di chi, dal Mediterraneo, ha portato nostalgie, progetti di cooperazione, intenti, denunce. Mi è stato difficile seguire l'intero svolgersi dei lavori in quanto, all'interno delle quattro giornate, ho contribuito a seguire organizzativamente il lavoro di accoglienza-registrazione delle donne.
Dunque, sono stati due i piani della mia partecipazione alla conferenza.
Durante il lavoro di organizzazione della conferenza ho vissuto momenti di difficoltà legati alle contraddizioni interne che si generano allorché occorre tenere insieme lavoro organizzativo e lavoro di discussione teorica. La sfida è stata quella di poter tenere in piedi entrambe le dimensioni a partire da una inesperienza, sul piano organizzativo. Apprendere l'importanza del lavoro organizzativo, questa è stata la mia personalissima esperienza. Nello scrivere questo, dico quanto, come, proponendosi come soggetti con una propria visibilità pubblica possa apparire scontato occuparsi ed essere nella parola, nel dibattito, tralasciando "quanto" la gestione economica, i rapporti con le istituzioni, abbiano un peso determinante allorché si intende far circolare parola politica femminile.
Un altro punto è, per me, da sottolineare. La socializzazione delle donne, in questi ultimi anni, a Lecce, ha visto l'alternarsi di momenti di discussione legati ai mutamenti delle forme politiche del produrre.
Durante lo scorso anno, all'interno del Centro delle donne di Lecce, Ada ha illustrato il progetto sotteso all'organizzazione della conferenza di luglio. Sia in quella occasione che in seguito alla partecipazione al convegno di Rende, ho colto l'importanza della tematica di lavoro proposta da Ada e le relazioni politiche, i contenuti politici che questo tipo di impegno implica. La difficoltà da me vissuta durante le fasi organizzative della conferenza e all'interno dei momenti gestionali della conferenza stessa, mi è stata difficile da comprendere, inizialmente.
Il punto è stato, per Ada, iniziare a proporre questo aspetto della politica alle donne della città interessate. Socializzare un piano della politica che, a Lecce, è stato sino ad ora agito solo attraverso la sua personale passione ed impegno e, dall'altro, consentire ad altre donne di poter condividere relazioni e senso d'intenti con donne distanti per storia, cultura, contesti sociali d'appartenenza.
La conferenza avrebbe potuto restare un avvenimento tra altri della politica delle donne o divenire punto concreto d'inizio di una condivisione di tematiche legate al lavoro, alla cultura di pace ed alle progettualità femminili nel Mediterraneo. Al termine della conferenza, questo è stato il punto di confusione che mi sono portata via. Un punto di confusione che riguarda le prospettive di questo lavoro politico e le forme di accesso ad esso a partire dal fatto che il conoscere e l'agire queste tematiche passa attraverso la vita politica di Ada e le forme della sua pratica politica. I passaggi da gestire mi sembrano dunque orientati verso una doppia direzione: da un lato ciò che Ada agirà per mettere in contatto queste donne del Mediterraneo con la realtà politica leccese a partire dal fatto che lo sfondo (Awmr) è altro dalla dimensione politica delle donne nella città; dall'altro le pratiche che le donne leccesi interessate agiranno per lavorare politicamente con questa realtà di cui Ada è portatrice.
In gioco, dunque, sono le pratiche politiche capaci di produrre progettualità, atti di partecipazione, scambio, a partire dalla tematica del lavoro femminile e dalle situazioni culturali e sociali riguardanti la presenza femminile nel Mediterraneo.
Credo sia possibile aprire su questi spazi e in questo contesto allargato (il Mediterraneo). Non sono, forse, un terreno tutto da conoscere, per noi, le ripercussioni sulla vita delle donne, oggi, di tutti i mutamenti legati a cambiamenti di ruolo nella famiglia, nel lavoro, nelle istituzioni qui, nel Salento? Il Mediterraneo non è un altrove storico, culturale, sociale, è uno stare qui e, da qui, allargare le possibilità di comprensione.
8.4. Organizzare significa pensare
di Marilena Cataldini
Non mi sono sembrati così distanti fra di loro questi due concetti, organizzare e pensare, quando nello scorso luglio si è tenuta a Gallipoli la conferenza internazionale dell'AWMR su "Donne e Lavoro nel Mediterraneo".
Qualche tempo prima Ada Donno, rappresentante nel meridione d'Italia dell'AWMR, mi aveva inviato una lettera circolare sul progetto di massima di questa conferenza. L'argomento mi sembrò fondamentale, perché nell'epoca della globalizzazione dei mercati si sarebbe dibattuto su altre questioni speculari al mercato globale dei prodotti: chi erano i soggetti femminili della produzione, in quali differenti territori di povertà e/o benessere si muovevano e poi, o soprattutto, se meridione del mondo dovesse necessariamente significare emarginazione e povertà del territorio.
Soprattutto importante mi sembrò che sede di questo meeting dovesse essere Gallipoli, ridente cittadina del basso Salento. Dove quel "ridente", in cui ambiguamente si nasconde un carattere spiccatamente occidentale, si sovrappone alle problematiche occupazionali ed economiche della nostra provincia, mediterranea e appartenente alla geografia più vasta dei meridioni del mondo.
Apparve subito chiaro che le energie per l'organizzazione non sarebbero state mai sufficienti.
Nell'organizzare ciascuna mette di suo quello che sa fare. Si parte da questo dato. Poi, in realtà ci si accorge che non è così. Si arriva a un punto in cui ciò che si va organizzando richiede qualcosa di più di ciò che si sa fare o si può dare o si vuole dare. Questo perché si agisce per attivare e collegare contesti e situazioni che diversamente se ne starebbero ciascuno per i fatti suoi.
Si spostano interessi di vario tipo per convogliarli tutti in un unico luogo, dentro ad un progetto.
Il lavoro è grande e mette a dura prova la capacità di rapportarsi con realtà a volte confliggenti e persone con aspettative varie.
Ancora più
faticoso se si devono far convergere energie per problematiche che riguardano la realtà femminile.
Non è raro che per progetti di ampio respiro anche il rapporto interno fra chi organizza, viene provato.
Poi le domande vengono in modo quasi naturale: quanto l'organizzare è una capacità, un abito mentale non estraneo alla realtà delle donne? Quanto e in che modo le problematiche dell'organizzazione sono entrate a far parte della pratica politica delle donne? Perché in questo spostare energie di varia natura, economiche, politiche, umane, culturali, c'è senz'altro un oltrepassare un guado, il compimento di un lavoro non certo indifferenziato, si parte da alcune scelte che strada facendo si è chiamate a confermare. Una divagazione, poiché mi si affaccia alla mente questo pensiero: anche Penelope organizzava quando disfaceva la tela?
Organizzare significa pensare, non solo perché ha consentito a donne di vari paesi, con diversa lingua e cultura, di ritrovarsi e confrontarsi sulle tematiche del lavoro, ma la tessitura stessa di tutta l'organizzazione non è possibile se non ci sono "pensieri" di base che facciano da motore trainante della macchina dell'incontro. Infine, anche dopo la conclusione del Convegno vengono spese energie di organizzazione, tese alla soluzione di problemi amministrativi, alla raccolta dei materiali prodotti che produrranno altri pensieri che potranno radicarsi sul territorio, spostando altre energie.
Lida Peppe, Awmr, Atene
Olga Valmpouru, Awmr, Atene
Dina Vardaramatou, Awmr, Atene
Israele
Shadia Amal, Movement of Democratic Women in Israel, Nazareth
Roni Ben Efrat, Organization of Democratic Action, Jerbalon
Nava Elyashar, Bat Shalom, Jerusalem
Yael Fferman, Bat Shalom, Kfar Meishar
Hanna Zand, Movement of Democratic Women in Israel, Tel Aviv
Italia
Cesarina Asioli, Spazio Pubblico di donne, Bologna
Mariangela Barbieri, Cooperazione internazionale Sud-Sud (CISS), Gaza-Palermo
Stella Bertuglia, CISS, Palermo
Charito Basa, Filipino Women’s Council, Roma
Katia Bellillo, Vice-Presidente della Provincia di Perugia
Karina Belzer, Urupia, Francavilla Fontana (Brindisi)
Patrizia Calasso, Lecce
Anna Calignano, Lecce
Franca Cammarota, Donne del Sud e nel Sud, Cisternino (Brindisi)
Annalaura Casadei, Federazione Sindacale Mondiale c/o FAO, Roma
Marilena Cataldini, Awmr, Gallipoli (Lecce)
Stefania Ciocchetti, Comitato Pari Opportunità del Consiglio Ordine Avvocati, Bari
Cesarina Clemente, Comitato Pari opportunità Regione Puglia, Bari
Isabella Colonna, Associazione per la pace, Mola di Bari
Nella Condorelli, Rete giornaliste del Mediterraneo, Catania
Tiziana Conte, Lecce
Mirella Converso, Donne in transito/Paese delle donne, Roma
Carmen Cordaro, Associazione Dina e Clarenza, Messina
Bettina Corke, International Forum for the Advancement of Women c/o FAO, Roma
Maria Luisa De Cristofaro, Università di Bari
Ada Donno, Awmr Board, Lecce
Maria Grazia Donno, Aracne, Bari
Silvana Donno, Aracne, Bari
Gabriela Fabiani, International Documentation and Communication Center, Roma
Maria Rosaria Fasano, Awmr, Lecce
Gabriella Ferilli, Salve (Lecce)
Angela Firulli, Gioia del Colle, Bari
Marisa Forcina, Università di Lecce
Sonia Fortunato, Comitato PO Consiglio Ordine Avvocati, Bari
Sancia Gaetani, Wilpf-Italia/ Forum Donne Prc, Roma
Nadia Gambilongo, MEDiterranean Media, Rende (Cosenza)
Angela Genchi, Comitato PO Regione Puglia, Bari
Caterina Gerardi, Awmr, Lecce
Ana Alejandra Germani, Ministero del Lavoro, Direzione provinciale di Roma
Tommaso Germano, Università di Bari
Loretta Guario, Associazione per la pace, Noicattaro (Bari)
Luisella Guerrieri, Lecce
Adriana Ippoliti, Peveragno (Cuneo)
Maria Mancarella, Università di Lecce
Elena Mancusi Materi, Society for Internationale Development, Roma
Cristina Mangia, Lecce
Serena Marcenò, CISS, Palermo
Giovanna Martelloni, Lecce
Maria Anna Martina, Lecce
Paola Martino, Centro Studi Oservatorio Donna, Lecce
Annamaria Mastantuono, Donne del Sud & nel Sud, Ceglie Messapica (Brindisi)
Ida Mastromarino, Progetto “Occhi di donna”, TELENORBA, Bari
Virginia Meo, Unicef, Lecce
Anelide Michelsanti, Ufficio PO Provincia di Perugia
Maria Celeste Nardini, Deputata del Prc, Bari
Ileana orlando, Università di Messina
Anna Maria Passaseo, Università di Messina
Donatella Pedace, Wilpf Italia, Roma
Valentina Pellizzer, Centro Regionale d’Intervento per la Cooperazione, Reggio Calabria
Maria Cristina Pino, Associazione Dina e Clarenza, Messina
Alexandra Poeder, GVC, Villa Aldini (Bologna)
Carla Ravaioli, Awmr, Roma
Daniela Rollo, Lecce
Claudia Romanelli, Comitato PO Consiglio Ordine Avvocati di Bari
Alba Russo, Associazione per la pace/ICS, Bari
Marilena Rybcenko, MEDiterranean MEDIA, Napoli
Milena Sabato, Gallipoli (Lecce)
Antonia Sani, Wilpf Italia, Roma
Anna Santoliquido, Sindacato Nazionale Scrittori, Bari
Gabriella Sanvito, Comitato PO Consiglio Ordine Avvocati, Bari
Anna Schiavoni, COCIS, Roma
Giovanna Serra, Lecce
Marialuisa Serrano, Università di Lecce
Renate Siebert, Università della Calabria, Arcavacata/Rende (Cosenza)
Valentina Signore, Lecce
Paola Spagnolo, Awmr, Lecce
Patrizia Sterpetti, Wilpf Italia, Roma
Angela Tortorella, Lecce
Jugoslavia
Nadezda Cetkovic, Beogradski Zenski Lobj, Belgrado
Maya Kandido-Jaksic, Awmr, Belgrado
Vera Litricin, SOS Hotline/Center for Girls, Belgrado
Vesna Stanojevic, Counceling Center for Women Victims of Violence, Belgrado
Kurdistan
Rojin Tanrikulu, YAJK & ERNK, Roma
Malta
Yana Mintoff Bland, Awmr, Malta/Usa
Palestina
Victoria Katan, Eco Peace/Middle East Envoronmental WGO Forum, East Jerusalem
Sudan
Fatima A. Ibrahim, Sudanese Committee against Violation of Women’s & Youth’s Human Rights, London
Tunisia
Emna Soula Atallah, Rete giornaliste del Mediterraneo, Tunisi
Turchia
Yildiz Ecevit, Middle East Technical University, Ankara
Usa
Valentine Moghadam, Illinois State University, Usa/Iran
Genevieve Vaughan, Center for the Study of the Gift Economy, Kyle (Texas)