Questa relazione prende in esame modelli, problemi e prospettive dell'occupazione femminile nei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, dove si assiste ad un cambiamento delle politiche economiche regionali sotto la pressione della globalizzazione.
I risultati si basano su una ricerca che ho condotto in Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto, Turchia, Siria, Giordania e Iran sin dal 1990, servendomi di dati statistici, documenti ufficiali, fonti secondarie e interviste che ho effettuato personalmente in queste regioni.
I risultati, indicano da una parte la tendenza all'aumento del numero di donne in cerca di lavoro - contemporaneamente agli alti tassi di disoccupazione - e dall'altra la progressiva "femminilizzazione" del lavoro nella pubblica amministrazione, dal momento che i salari diventano sempre più bassi e gli uomini preferiscono orientarsi verso lavori più redditizi in settori privati in crescita.
Malgrado le statistiche ufficiali non colgano incrementi nella partecipazione femminile alla forza lavoro, l'esame di casi concreti evidenzia una crescita di attività tra i poveri e le donne lavoratrici nel settore cosiddetto urbano informale.
Nello stesso tempo, le politiche sociali restano inadeguate o limitate alle donne impiegate nel settore pubblico.
È probabile che l'allargamento dell'economia sovverta alcuni aspetti patriarcali della distribuzione del lavoro, incrementando nel lungo periodo la partecipazione femminile in tutti i suoi campi, ma nel breve periodo i termini sociali in cui ciò è messo in pratica sono altamente problematici.
Per questa ragione, ricercatrici e associazioni femministe hanno sentito il bisogno di esaminare accuratamente condizioni di lavoro, politiche sociali e legislazione sul lavoro.
Uno schema di analisi: economia politica, genere ed occupazione femminile
Tra le caratteristiche durature del mercato del lavoro in Medio Oriente e Nord Africa, vi è il basso tasso di partecipazione delle donne, sia in confronto ad altre regioni del mondo, sia rispetto alla percentuale maschile.
Una seconda caratteristica, collegata alla prima, e sempre in relazione ad altre nazioni e al lavoro maschile, è l'accesso limitato delle donne al lavoro salariato.
Le donne, infatti, costituiscono generalmente in questi paesi una piccola percentuale dell'intera forza lavoro salariata.
Un terzo aspetto è che il lavoro femminile non-agricolo si è concentrato nel settore pubblico e che le donne sono ampiamente assenti da alcuni settori quali le vendite e i servizi privati, stando a quanto risulta dalle statistiche sul lavoro salariato.
Questo aspetto è stato largamente discusso, col ricorso anche a cause culturali.
Invece del comune approccio che ha teso ad indicare cultura e religione come fattori di spiegazione del basso livello di partecipazione delle donne al mondo del lavoro e di altre caratteristiche che connotano l'occupazione femminile nel Medio Oriente, è più efficace delineare un quadro della cause prendendo in esame la politica economica, e l'ideo logia sessista, utilizzando uno schema più pratico in una ricerca comparativa esterna ed interna ai paesi studiati, che prenda come punto di partenza sia la natura economica della regione e il suo posto nel sistema mondiale, procedendo con l'esame delle strategie di sviluppo e le politiche di determinati stati, sia le specifiche strutture di classe e l'ideologia dei generi.
Questo approccio costringe a riconoscere che, a parte il numero generalmente non alto di persone appartenenti al settore impiegatizio, nelle economie in via di sviluppo dei vari paesi, le tecnologie capital-intensive con i relativi alti salari destinati agli uomini durante il periodo del boom del petrolio impedivano un profondo coinvolgimento delle donne nel lavoro (vedi Moghadam, 1993).
All'interno dell'area considerata, la comparazione tra paesi ad economia petrolifera e paesi ad economia non petrolifera, paesi in cui era chiesta forza-lavoro e paesi in cui ve n'era un'eccedenza, paesi ricchi e poveri, rivelava comunque che nelle zone ad economia aperta e in quelle dove non si dipendeva dalla vendita del petrolio, c'era una componente maggiore di donne nella forza-lavoro - e ciò spiega le differenze tra Tunisia e Marocco da una parte e tra Algeria ed Iran dall'altra.
Le politiche statali sono sempre state importanti per spiegare le differenze di trattamento riservate alle donne per quanto riguarda il lavoro salariato.
Generalmente, i governi socialisti o liberali probabilmente sono stati più propensi ad incoraggiare il lavoro femminile.
Nel mio libro "Donne moderne: genere e cambiamento sociale nel Medio Oriente", ho descritto tutti gli stati più potenti del Medio Oriente e del Nord Africa come neo-patriarcali (un concetto preso da Hisham Sharabi), e le relazioni di genere che generalmente caratterizzano i paesi di quest'area come patriarcali (in contrasto con le relazioni di genere più eque od egualitarie che possiamo trovare in altre società, dove le donne hanno una più ampia gamma di scelte possibili e un più diretto accesso alle risorse economiche).
Una dimensione del sistema neo-patriarcale, che introduco ora, è ciò che io chiamo il "contratto di genere patriarcale".
Seguendo la tradizione del "contratto sessuale" di Carole Pateman, e del "contratto di genere" di Liisa Rantalaiho, ma limitandone il senso alla definizione dei ruoli dell'uomo e della donna nel contesto urbano, definisco il contratto di genere patriarcale nel Medio Oriente come l'ambiente di relazioni tra uomini e donne fondato sulle figure maschio/approvvigionatore - femmina/casalinga, in cui il maschio ha l'accesso diretto al lavoro salariato e al controllo della produzione mentre la donna è fortemente dipendente dai membri maschi della sua famiglia.
Durante il boom del petrolio, caratterizzato da una forte urbanizzazione e da grossi flussi di capitale attraverso i vari paesi, il contratto di genere patriarcale fu attuato e certamente contribuì all'arricchimento degli Stati produttori di petrolio e agli alti stipendi che si giunse ad ottenere in quel periodo.
Esso fu inoltre codificato in leggi, specialmente in quei paesi dove vigeva la legge patriarcale.
Spesso, le leggi patriarcali vogliono che la donna debba ottenere il permesso dal padre e dal marito per lavorare, chiedere un prestito, avviare un'attività imprenditoriale o intraprendere un viaggio d'affari.
Inoltre, esse concedono alla donna una quota più bassa di eredità.
In "Donne Moderne" suggerisco che il conseguimento di un alto grado di scolarizzazione e occupazione corrispondente alla crescita del movimento femminista potrebbe portare quello che io chiamo il contratto patriarcale di genere a un punto interrogativo in paesi come Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto, Turchia e Siria (anche perché, i movimenti islamici, mi sembra, sono arrivati a un punto tale da accrescere la visibilità delle donne e accelerare la caduta del sistema patriarcale).
Lo schema che utilizzo tiene conto del cambiamento di status delle donne e del loro accesso al lavoro salariato come il risultato di un cambiamento economico strutturale.
Nel mio nuovo libro,
"Donne, lavoro, e riforma economica in Medio Oriente e Nord Africa", ho applicato lo schema genere-ed-economia-politica per capire i probabili effetti del cambiamento delle politiche economiche di otto paesi dell'area Nord-Africana e Mediorientale sul lavoro femminile.
Qui, come in altre regioni, si sta passando dalla precedente strategia di sviluppo di industrializzazione basata sull'import ad una crescita dell'export, per equilibrare i bilanci e incrementare la competitività, e numerosi paesi hanno adottato apposite politiche governative, spesso con l'assistenza della Banca Mondiale e dell'IMF.
Da notare che, dopo l'era del boom petrolifero, i salari sono scesi, specialmente nel settore pubblico, e gli uomini hanno dovuto prendere un secondo e anche un terzo lavoro nel settore privato o in quello dell'economia informale.
Bassa produttività ed inefficienze dilagano nei mercati del lavoro (vedi Karshenas, 1995).
La disoccupazione è in crescita in tutta l'area, dovuta anche alla crescita della popolazione combinata allo scarso sviluppo economico.
Questi nuovi sviluppi fanno sorgere nuove domande: la liberalizzazione economica accrescerà la domanda di donne lavoratrici e nuove opportunità di lavoro nei differenti settori?
O avverrà al contrario a breve termine la marginalizzazione delle donne dal lavoro?
Che genere di lavori saranno riservati alle donne: regolari, oppure precari nell'economia sommersa, come il lavoro a domicilio?
La scolarizzazione e la formazione delle donne riceveranno più attenzione?
Nel lungo periodo, in che modo questa liberalizzazione colpirà le donne, la loro posizione nel mercato del lavoro, il loro status sociale e legale e il sistema delle relazioni di genere? Infine, come stanno rispondendo le donne alle sfide e alle opportunità dei cambiamenti politico-economici e alla globalizzazione?
Il contesto globale
Prima di esaminare l'area che ci interessa, bisogna considerare il contesto globale.
Nell'attuale situazione mondiale di economie aperte, di nuovi regimi di scambio e di industria competitiva ed esportatrice, i processi si ripercuotono duramente sul lavoro femminile, sia quello salariato che quello non pagato, nei settori formali o in casa, nel manifatturiero così come nei servizi pubblici e privati.
In tutto il mondo c'è stato un'enorme crescita di donne professioniste, imprenditrici e operaie, e un grande numero di occupazioni e professioni si sono "femminilizzate".
Il fenomeno della femminilizzazione del lavoro è il risultato di fattori demografici, per cui è cresciuto il numero di donne alla ricerca di un lavoro, son cresciute sia la domanda che l'offerta di lavoro femminile (relativamente economico) da parte delle industrie e della pubblica amministrazione.
Certo la crescita di partecipazione economica delle donne è una buona notizia, ma meno incoraggiante è il fatto che la femminilizzazione del lavoro sia avvenuta nel contesto della globalizzazione e con la diffusione del lavoro flessibile, e che il lavoro femminile non è stato accompagnato da una ridistribuzione delle responsabilità riguardo alla cura della casa e dei figli.
Inoltre, le donne continuano ad essere svantaggiate nel nuovo mercato del lavoro, in termini di salari, formazione e segregazione occupazionale; e sono anche impiegate in misura sproporzionata nelle sempre crescenti forme di lavoro precario, part-time, occasionale, o a domicilio.
Queste forme di lavoro instabile e precario sono caratterizzate dai bassi salari e dall'assenza di assicurazione sociale.
In generale, le condizioni delle donne dipendono dallo stato dell'economia di cui fanno parte.
Le condizioni lavorative delle donne del Nord Europa sono le migliori; segue l'America, mentre nell'Europa dell'est e nella ex Unione Sovietica lo status delle lavoratrici è cambiato drammaticamente in peggio dopo il crollo del comunismo.
Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo è certamente emersa una fascia di donne in carriera nel settore pubblico e in quello privato, ma gran parte delle donne in cerca di lavoro non ha una formazione professionale, lavora nel sommerso, senza assistenza, e in condizioni di progressivo impoverimento.
Contemporaneamente alla crescita del lavoro femminile, c'è stata una crescita della disoccupazione.
Recessione, ristrutturazione economica e bassi tassi di sviluppo ne sono state le cause; essa raggiunge livelli molto alti rispetto agli standard internazionali, come confermato da Banca Mondiale e ILO, in Algeria, Giamaica, Giordania, Egitto, Marocco, Nicaragua, Polonia, Slovacchia e Turchia.
In molti paesi le donne disoccupate sono Le donne sono quelle entrate per ultime in ordine di tempo nella forza lavoro urbana, in cerca di occupazione (ad esempio in Egitto, Iran, Turchia e Cile, dove i tassi di disoccupazione femminile arrivano al 30% contro il 10% maschile.
In altri paesi, però, dove è avvenuta una ristrutturazione delle imprese con largo impiego di donne, o nei settori di esportazione che hanno perduto mercato, il dato riguarda anche donne precedentemente occupate e che hanno perso il posto (come in Malaysia nella metà degli anni '80, in Marocco, Vietnam alla fine degli anni '80, Tunisia e Turchia più recentemente).
In generale le lavoratrici possono essere di città, donne rurali di recente inurbamento, immigrate, o lavoratrici straniere a contratto; possono essere single, sposate, o capo-famiglia.
Nonostante ciò, né le politiche sociali, né la legislazione del lavoro e nemmeno le infrastrutture urbane si sono adeguate all'entrata in larga scala delle donne nel mercato del lavoro urbano o ai problemi causati dalle vicissitudini dalla forza lavoro femminile.
I programmi di formazione per le donne sono scarsi, rendendole vulnerabili alla recessione e incoraggiando la competizione nel mercato del lavoro e i licenziamenti.
La legislazione esistente in materia di previdenza sociale tende a limitare il campo d'azione, e i suoi benefici raggiungono una fetta molto piccola della forza lavoro femminile urbana.
Inoltre tale legislazione, compresa quella sull'assistenza alle donne in maternità e per la cura dei figli, e sulle azioni positive per facilitare l'accesso delle donne al mondo del lavoro, è stata sottoposta a severo vaglio dall'espandersi delle politiche economiche neoliberiste.
La conseguenza è stata che molti paesi hanno ridotto diritti e programmi a favore delle donne.
Oltre al danno prodotto ai bambini e alle famiglie, questi tagli limitano la piena partecipazione e la possibilità di competere con gli uomini nel mercato del lavoro.
Nello stesso tempo, la disoccupazione e la diminuzione del reddito hanno costretto le donne di alcuni paesi ad entrare nel mondo della prostituzione.
Gli effetti della globalizzazione non sono passati inosservati agli occhi delle organizzazioni femministe di tutto il mondo.
La loro rete trasversale ha posto l'attenzione sui problemi economici, la ristrutturazione, la povertà, la crescita economica, e la pressione crescente che tutto questo comporta sulle donne, nel mentre si cerca una migliore rappresentanza femminile all'interno dei sindacati.
Ostacoli strutturali, politici e familiari all'occupazione femminile
Dal Nord Africa al Medio Oriente, l'accesso al lavoro salariato è per le donne una strada piena di ostacoli: dall'ancora alto tasso di crescita demografica, all'analfabetismo (specialmente rurale), alla minore scolarizzazione femminile; e poi, l'alta disoccupazione dei giovani maschi, la stagnazione e i pochi investimenti, la considerazione del lavoro delle donne come di importanza secondaria rispetto a quello degli uomini; la proibizione del lavoro notturno alle donne perché considerato disdicevole o per le difficoltà che esso obiettivamente comporta; la disuguaglianza per quanto riguarda la sicurezza e i servizi sociali; leggi sulla famiglia che limitano il diritto delle donne a godere delle eredità, a viaggiare, a lavorare; l'influenza scarsa o nulla delle associazioni femminili, incluse quelle che si occupano del lavoro delle donne; la scarsa sensibilità dei governi verso la questione femminile, col risultato di un'assenza pressoché totale della dimensione di genere nella pianificazione politico-economica; i costi del lavoro per le donne, incluse le deficienze infrastrutturali (trasporti) e le politiche sociali inadeguate ad aiutarle ad affrontare i problemi di un doppio lavoro (in casa e fuori).
Ma la tendenziale globalizzazione dell'economia porterà infine ad uno sviluppo nella situazione occupazionale e nei livelli di formazione delle donne?
Considerati diversi fattori, e cioé l'aumento della domanda di manodopera femminile nei settori tradizionalmente intensivi; la necessità di alzare il livello di formazione professionale per essere più competitivi; l'interesse ad innalzare i redditi per riscuotere più tasse; l'aumento della presenza femminile in settori come quello bancario, assicurativo, informatico ed altri importanti ruoli professionali; la crescita del turismo con possibile conseguente richiesta di lavoro femminile in un settore finora precluso alle donne; la necessità di espandere il settore del lavoro nei servizi sociali; l'espansione della piccola impresa privata, si potrebbe rispondere di si.
Comunque, la realizzazione di queste possibilità dipenderà non solo dai fattori economici, ma anche dalla capacità di pressione dei movimenti sociali e dell'associazionismo femminile.
L'occupazione femminile nell'era del neo-liberismo: tendenze, problemi, prospettive
Consideriamo alcuni effetti dei cambiamenti politico-economici nel Medio Oriente e Nord Africa sulla condizione femminile nel breve periodo.
In paesi come Marocco e Tunisia, e in misura minore in Egitto, Syria e Giordania, il settore tessile manifatturiero che privilegia l'esportazione ha visto una crescita del lavoro femminile, attingendo in pratica esclusivamente da esso.
Anche il settore pubblico ha visto una stabilizzazione e un incremento del lavoro femminile.
La disponibilità di manodopera femminile a basso costo ha senz'altro contribuito a rendere competitiva l'industria marocchina e tunisina.
Ma ciò che va indagato è se la crescita dell'occupazione femminile riguarda prevalente mente il lavoro regolare o il sommerso, e quale ruolo ha il lavoro a domicilio o a cottimo.
In Tunisia si è registrato un calo della presenza femminile nel manifatturiero.
Nello stesso settore, tradizionalmente femminilizzato, già tra l'84 e l'89 si verificò un calo; lo stesso avvenne in Siria, tra l'81 ed il '91, oltre che nel manifatturiero, anche nei settori dell'elettronica, costruzioni, commercio, finanziario e dei servizi.
A che cosa va attribuito?
Un fenomeno di femminilizzazione dell'occupazione si è registrato nel settore pubblico statale - per esempio in Siria dove la presenza femminile è passata dal 18,7% del 1980 al 26?9% del 1992.
In Iran le donne hanno raggiunto la percentuale del 31% nel 1991.
Nonostante l'esiguità dei salari, le donne continuano a preferire il pubblico perché più garantito.
In Egitto cresce l'imprenditoria femminile, ma molte potenziali imprenditrici vengono bloccate dalla riluttanza delle banche a far credito alle donne.
Inoltre permangono limitazioni ed impedimenti legati ad un diritto familiare arcaico che non consente alle donne di godere dell'eredità, di viaggiare o intraprendere un'attività senza il consenso del maschio della famiglia.
Bisognerebbe fornire alle donne programmi di formazione e crediti non limitati ai tradizionali tipi di attività (abbigliamento, tappeti), ma allargati a settori socialmente utili e culturalmente appropriati come quello dei servizi (centri di assistenza, asili nido), col sostegno statale per venire incontro alle esigenze delle donne meno abbienti.
A fronte della crescita, nell'area considerata, del numero di donne in cerca di occupazione, queste continuano ad incontrare barriere che determinano l'altissimo tasso di disoccupazione femminile (14%-30%) in tutta la regione.
La tendenza negativa riguarda soprattutto le giovani in attesa di prima occupazione (con scolarizzazione media), ma comprende anche donne che hanno perso il proprio posto di lavoro a causa della ristrutturazione e della privatizzazione (come in Tunisia).
È chiaro che le più vulnerabili appaiono le donne meno scolarizzate - anche se in paesi come la Giordania ci sono molte disoccupate anche tra coloro che hanno un alto grado di preparazione.
Un'altra caratteristica che contraddistingue Nord Africa e Medio Oriente è l'assenza di occupazione femminile nel commercio e nei servizi.
A lungo termine, la globalizzazione cambierà questo stato di cose ed è quindi necessario che i governi tengano conto di questo stato di cose e adottino politiche che incoraggino il lavoro delle donne - fino ad ora ostacolato da convenzioni culturali - in questo campo.
Specialmente il turismo può fornire posti di lavoro alle donne - anche se, perché questo accada, bisognerà rimuovere tutti gli ostacoli di cui si è detto sopra, in termini di legislazione familiare e di politiche che favoriscano le pari opportunità.
In proporzione, il numero di donne occupate nell'intera regione rimane basso (15% della forza lavoro contro il 35% di America Latina, Asia e paesi sviluppati) e riguarda per lo più il settore pubblico.
Ma, con la liberalizzazione economica e la privatizzazione, si renderà necessario indagare l'espansione del privato dal un punto di vista di genere: aumenterà l'occupazione femminile o no? E se no, perché? Cosa fare per favorire l'ingresso delle donne nei settori privatizzati?
La necessità di politiche sociali per le lavoratrici
In tutta l'area del Medio Oriente, come altrove, è in atto un dibattito sulle politiche sociali per le lavoratrici.
Sebbene la grande maggioranza delle donne che sono nella produzione non beneficiano dei contributi sociali né delle leggi di tutela del lavoro, il piccolo numero di lavoratrici regolarmente retribuite e che godono di congedi di maternità devono comunque misurarsi con la concezione diffusa che il loro lavoro dia meno affidamento di quello maschile, e che sia più caro.
Questo è in particolare il caso dell'Egitto, dove le impiegate nel settore pubblico hanno beneficiato pienamente delle leggi a favore della maternità (tre mesi pagati e due anni circa di aspettativa non pagata, utilizzabili per tre volte senza perdita di anzianità).
Ma le interviste sul campo effettuate nel gennaio '95 hanno confermato che i lavoratori erano fortemente contrari a questo tipo di assistenza.
Uno studio condotto dal governo affermava esserci una implicita discriminazione nei confronti del lavoro femminile, espressamente dovuta alla discontinuità del lavoro femminile per le gravidanze e lo svezzamento.
Inoltre, il settore privato ha aggirato l'obbligo di legge richiedendo asili nido e pause per l'allattamento nelle imprese con più di cento lavoratrici, con l'intenzione deliberata di assumerne poi un numero più basso.
Così, malgrado l'esistenza di leggi sulle pari opportunità, la loro attuazione è disattesa, senza che si indaghi su questa mancanza.
La visione diffusa tra le professioniste egiziane è che la percezione dell'attaccamento familiare delle donne e la loro presunta inaffidabilità sia un pretesto per riservare il lavoro agli uomini, e che invece in conseguenza della recente crisi economica esse non abbiano usufruito del lungo congedo non pagato di maternità perché non potevano permetterselo.
Può darsi benissimo che le donne siano ingiustamente considerate forza lavoro "troppo cara"; che le indennità siano prelevate dai redditi di tutti i lavoratori (uomini, e sempre con un lavoro fisso e lo stipendio pieno), e che i diritti ad una lunga aspettativa con la garanzia di riottenere il lavoro siano raramente considerati come un problema in termini di mercato del lavoro o di capitale umano.
Al momento, la legislazione sul lavoro è in sede di revisione e si prevede di allineare il settore pubblico e quello privato.
Per le donne questo comporterà la riduzione dell'aspettativa per maternità ad un anno invece di due, goduta due volte invece di tre, e valida solo per le donne con almeno dieci mesi di servizio.
Malgrado le critiche di alcune attiviste egiziane, è possibile che la riduzione del periodo di aspettativa per le donne aiuti a creare più equità tra il settore pubblico e quello privato, e al contempo elimini la percezione delle madri lavoratrici come partecipanti alla forza-lavoro, mentre conservano i diritti di madre.
In Iran, le donne rappresentano davvero una parte piccolissima della forza lavoro - e sono presenti soprattutto nel settore pubblico.
La legislazione sul lavoro e sulla maternità segue le raccomandazioni dell'ILO.
Di solito, sono protette solo le donne che lavorano nelle aree urbane e nella pubblica amministrazione, il che vuol dire che la maggioranza delle donne lavoratrici non lo è.
Un altro problema, è che la durata dell'aspettativa per maternità - tre mesi - non è sufficiente, né per la madre, né per il bambino; la miglior soluzione sarebbe di estenderla a sei mesi, a stipendio completo e con la possibilità di usufruire di questo diritto due volte per tutto il periodo di lavoro.
Questo, incoraggerebbe sicuramente le donne ad entrare nel mondo del lavoro.
Ci sono ottime ragioni per estendere i benefici della legislazione sociale, comprese le leggi sul lavoro e di tutela delle donne, al settore privato e al sommerso, attraverso nuove forme di finanziamento: se la maternità fosse riconosciuta alle donne lavoratrici come un diritto, il loro rendimento migliorerebbe, come la loro salute.
Inoltre, l'estensione di programmi di sicurezza sociale anche al sommerso stabilizzerebbe la crescita della popolazione e della forza lavoro - e quindi anche il problema delle pensioni femminili.
In più, promuovere la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro urbano richiederà il miglioramento del loro curriculum scolastico, programmi di formazione, crediti e corsi per donne imprenditrici, e altre iniziative per facilitare le assunzioni femminili specialmente nel privato, con conseguenze positive non solo sulla parità di genere e sull'empowerment, ma anche sullo sviluppo sociale.
Le donne si organizzano
Malgrado l'impostazione capitalista - il ritiro dello stato dalla sfera economica, la creazione e l'espansione di un settore economico privato, l'allargamento della dasse capitalista - la globalizzazione crea nuovi spazi e nuovi attori.
In più, esso annuncia l'emergenza di una nuova entità politica e di un nuovo soggetto storico: le donne.
Le organizzazioni di donne e i gruppi femministi di tutto il mondo criticano gli aspetti negativi della globalizzazione, spingendo per una maggiore spesa sociale, una più grande partecipazione, e per la democratizzazione.
Incoraggiate dalla mondializzazione del confronto democratico e femminista, e dai contatti con le reti femministe transnazionali e le organizzazioni internazionali, le donne del MENA discutono sugli aggiustamenti strutturali, sul fondamentalismo, i diritti umani e quelli delle donne, con grandi implicazioni nelle relazioni di genere, la cittadinanza delle donne, e per l'intera società civile.
Quali sono i segni principali di questo attivismo politico delle donne?
Ai primi di novembre 1994 vi fu ad Amman la conferenza regionale delle ONG delle donne Arabe, conclusasi con la stesura di un documento programmatico che indicava le priorità da affrontare, politiche, legali ed economiche.
A questo documento ne fece seguito un altro, stilato alla conferenza preparatoria di New York del 1995, che sanciva la volontà di allargare le basi del processo democratico sia nella politica che nel sociale; di assicurare la sacralità dei diritti umani e l'abolizione di ogni legge che autorizzi discriminazione e violenza nei confronti delle donne, in particolare quelle contenute nel diritto di famiglia.
Inoltre, in esso si condannava il fondamentalismo e gli estremismi culturali, che inducono al terrorismo e alla violenza contro le donne, e si sollecitava lo sviluppo sociale per contrastare l'impatto negativo degli aggiustamenti strutturali e assicurare alle donne il soddisfacimento dei loro bisogni.
L'emergere dell'associazionismo femminile e l'articolazione di tali richieste nel MENA si spiega con fattori demografici, economici e politici.
Da una parte la crescita del numero di donne scolarizzate, impiegate, mobili e politicamente consapevoli, e dall'altra l'aumento della povertà, della disoccupazione, della disuguaglianza; la minaccia del fondamentalismo islamico; un movimento diffuso a livello regionale per i diritti umani e la democratizzazione; una struttura globale di opportunità creata dalle conferenze delle Nazioni Unite sin dal 1985.
Infine, possiamo identificare sette tipi di organizzazioni femminili nella regione mediorientale e nord africana:
- organizzazioni di servizio: sono le più antiche, comprendono le organizzazioni "benefiche" e hanno un'approccio assistenzialistico;
-
associazioni professionali: promuovono l'uguaglianza delle proprie associate nella professione e nella società; alcune aiutano anche le donne a "mettersi in proprio" o a formarsi per lavorare nelle imprese private;
- centri di ricerca sullo sviluppo e gli istituti di women's studies: di solito sono nazionali, ma sempre più portano avanti attività di ricerca in collegamento con analoghe organizzazioni di altri paesi, specie in Nord Africa, e possono essere impegnate o meno nell'attivismo femminista; organizzazioni per i diritti umani delle donne: hanno il più alto potenziale di trasformazione e la maggior esperienza nei casi di molestie sessuali;
- organizzazioni non governative (Ong) di donne e sviluppo: offrono assistenza tecnica ed esperti sui problemi relativi allo sviluppo sostenibile e promuovono progetti e micro-imprese di donne per alleviare la povertà, combattere l'analfabetismo e introdurre la scolarizzazione, la sanità, la pianificazione familiare e lo sviluppo comunitario;
- organizzazioni femminili affiliate ai partiti politici: sono collegate ai partiti di governo e non;
- gruppi di base delle lavoratrici: combattono per il benessere sociale e la parità delle lavoratrici.
Per quanto queste ultime siano le più piccole tra le organizzazioni elencate, si stanno espandendo man mano che la liberalizzazione economica e lo sviluppo capitalistico introducono sempre più donne nel mondo del lavoro (vedi Moghadam 1998).
Ci sono segni di cooperazione e solidarietà tra le lavoratrici e le femministe della media borghesia? In Marocco e Tunisia, le lavoratrici organizzate hanno protestato contro le molestie sessuali e altri problemi, ricevendo il supporto dalle organizzazioni femministe e per i diritti civili.
In Marocco, una tavola rotonda sui Diritti delle Donne fu organizzata nel 1995 dalla Lega Democratica per i Diritti delle Donne, con la costituzione di un comitato permanente che comprendeva tutte le 12 organizzazioni partecipanti.
Questo comitato espresse il bisogno di rivedere il codice del lavoro per introdurvi la condizione femminile, includendo la categoria di lavoratrici domestiche nella definizione di "donne salariate" e delineandone diritti e benefici, per elevare il minimo dell'età lavorativa a 15 anni e per garantire alle donne il permesso di maternità a pieno reddito e la garanzia di non perdere il lavoro.
Quando le lavoratrici scioperarono per protestare nel 1995 a Rabat contro le molestie sessuali, i gruppi marocchini femministi collaborarono attivamente con loro (vedi Moghadam, 1998).
Attualmente, le organizzazioni femminili, nei paesi del MENA, non sono molto influenti.
Ma questa situazione potrebbe cambiare.
La creazione di nuovi spazi dovuta alla liberalizzazione e il decentramento di quello che una volta era un potere economico centralizzato potrebbero portare all'articolazione di ulteriori richieste femministe e delle prospettive femminili in politica economica e nella pianificazione delle risorse umane.
Certamente i cambiamenti nelle politiche economiche sfideranno le organizzazioni delle donne a forgiare alleanze e articolare interessi e bisogni delle lavoratrici nel nuovo ordine economico che si sta evolvendo.
In questo modo, le organizzazioni femminili e le donne lavoratrici potranno scardinare il contratto di genere patriarcale dalle fondamenta.
Bibliografia
- Ahmad Alachkar, Economic Reform and Women in Syria.
Relazione al Seminario sulla liberalizzazione economica e l'occupazione femminile in Medio Oriente, Nicosia (10 novembre 1995)
- Massoud Karshenas Structural adkustment and employment in Medio Oriente e Nord Africa..
Scuola di Studi Orientali e Africani, Dipartimento di Economia, Quaderno di lavoro n.50, 1995
- --- Women, work and economic reform on the Middle East and North Africa, Boulder, CO.Lynne Rienner Publishers, 1998
- Radwan Shaban, Ragui Assaad e Sulayman Al-Qudsi, La sfida della disoccupazione nella Regione Araba, International Labour Review, vol.135,n.1:65-81,1995