AUTODIFESA- SELF DEFENSE
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  Cinque anni d'inferno e più,  in Italia
(originariamente il titolo era "Due anni d'inferno in Italia" ma poi se ne sono aggiunti altri..)
Questo documento è l'evolversi della prima lettera pubblica pubblicata in internet ancora nel 2005.
(Il simbolo * indica un link esterno, [n] indica il rimando a una nota nel riquadro a destra.  [AA] indica un rimando ai documenti ufficiali)
Inizio
Siamo una famiglia veneta, e, teniamo a precisare, cristiana.  Il Sacro Cuore di Gesù ci ha portato a tagliare con il paese d’origine, perché ben radicato in giri di occultismo, spiritismo e messe nere[1].  La nostra fu una scelta ben valutata e motivata, iniziò a maturare dieci anni prima, all'inizio dell’università, quando vi è stato un progressivo distacco dalla realtà locale del paese. Dal di fuori abbiamo visto con altri occhi quello che accadeva e che non era del tutto normale. Tentammo in un primo momento di far aprire gli occhi anche alle nostre famiglie: questo però non fece altro che peggiorare la situazione, e fummo così costretti a tagliare radicalmente pure con loro, con un certo dolore. La nostra scelta non fu accettata, anche perchè noi eravamo testimoni, nostro malgrado di molti fatti e avvenimenti.
Spostammo la nostra azienda ed abitazione in altra provincia tenendo segreto il luogo. Purtroppo all'azienda risalirono poco tempo dopo, e all'incirca dopo un anno trovarono pure l'indirizzo dell'abitazione privata. Fummo costretti a cambiare residenza nuovamente, questa volta facendo attenzione ai minimi particolari sulla privacy.
Il nostro passato in qualche maniera ci rincorreva e ci impediva di svolgere una vita completamente normale. Ad esempio, evitavamo a tal proposito di fare conoscenza con i nostri vicini (i quali evidentemente si saranno chiesti perchè non avevamo mai visite di parenti). I nostri parenti si presentarono  anche alla sede dell'attività creando dei danni. Inspiegabilmente molti lavori cominciarono ad andare storti, uno dietro l'altro  tanto da non riuscire più a continuare l’attività che avevamo da più di 10 anni, e nemmeno a trovare un lavoro qualsiasi[2].
Il turbine vorticoso iniziò in Maggio 2004 quando ci recammo dai carabinieri per segnalare delle minacce ricevute da un nostro cliente/fornitore. Non facciamo querela, ma nell'occasione acceniamo  al maresciallo  la nostra situazione personale ed il desiderio di privacy. Lasciamo al maresciallo anche il nostro nuovo indirizzo, in modo che possa contattarci velocemente in caso di necessità
[2a].
Durante l'estate del 2004 la situazione non si placò, e cercammo così una soluzione anche nel lavoro a titolo personale. A Tal proposito ci fu un'azienda di Bologna che insistette con molto vigore perchè uno di noi diventasse un responsabile CED. Le trattative erano pressochè concluse, con esito favorevole, quando l'azienda non si fece più sentire e non riuscimmo più nemmeno a parlare con le persone interessate. Non fu nemmeno un caso isolato
[2b].
Dopo una serie infinita di vicissitudini,  non sapendo più cosa fare, e per nostra tutela, ci siamo decisi di scrivere un documento, con alcune nostre testimonianze, e di recarci presso un comando stazione dei carabinieri, ovviamente di un altro paese[3]. Era il 5 Ottobre 2004 ore 15.00. Ci presentammo al comando di Rovigo.
Riuscimmo a parlare con due carabinieri per circa un’ora. I due carabinieri riportarono soluzioni molto contrastanti tra di loro: uno ci disse di fuggire in Germania e l’altro ci disse che vi erano descritte alcune situazioni da mettere i brividi. Ci convinse di inviare il documento che avevamo preparato in Procura e ci spiegò come fare.
Per la difficile situazione economica ci rimandarono ai servizi sociali del comune di residenza. Prima di uscire, uno dei due carabinieri decise di tenersi il documento che avevamo scritto, e ce lo fece firmare su tutte le pagine, facendosi una fotocopia dei nostri documenti d’identità
[4]. Le nostre testimonianze riguardavano anche delle reti di conoscenze che stabilivano il bello e cattivo tempo. Avevamo nominato anche persone importanti legate al mondo del calcio, e come alcune di queste riuscivano ad ottenere informazioni coperte da segreto anche nel campo della magistratura[4b].
Dopo il colloquio con i carabinieri, per motivi che risulteranno chiari solamente con l’evolversi della faccenda, abbiamo deciso di evitare il comune di residenza
[5], e di tentare per altre strade.In questa difficile situazione, abbiamo evitato di fare qualsiasi spesa superflua, concentrando tutte le risorse per l’acquisto del pane e dei generi alimentari per vivere. Così anche l’invio della raccomandata in procura l’abbiamo posticipata : l'invio è avvenuto solo quando una suora laica (Angela Mussolesi di Mezzano -RA) ci ha donato 50 Euro[5b].
In quel periodo tentavamo di uscire da quella situazione in tutti i modi impegnandoci in tutti i campi possibili. Speravamo di poter intascare qualche euro dalla scoperta e ricerca che avevamo fatto sugli Estensi ( link: http://digilander.libero.it/memorie ). Le nostre scoperte infatti portavano gloria al comune di Baone e speravamo in un interessamento dello stesso comune per il nostro lavoro, ed una conseguente entrata di denaro: la regione Veneto aveva pure dei fondi destinati al recupero dell'identità veneta. Vi erano quindi tutti gli argomenti per ben sperare.  Dunque in più occasioni abbiamo informato il sindaco, il vicesindaco, il segretario e alcuni cittadini delle nostre scoperte. Fu una grossa delusione, perché il comune non se ne interessò minimamente, anzi un parroco ci sconsigliò  di proseguire[6].
Ad inizio di novembre '04 spediamo due raccomandate, una alla Procura della Repubblica* di Roma ed un’altra al Presidente della Repubblica*; il contenuto comprendeva un documento quasi identico a quello lasciato ai carabinieri il 5 ottobre '04 ed una richiesta di aiuto urgente.

In particolare l’invio al Presidente della Repubblica era sentito come l’invio al padre della nazione, una richiesta di intervento per la nostra difficile situazione. Speravamo in particolare che lo Stato, assente negli anni della nostra infanzia, potesse intervenire almeno ora, per garantirci una rinascita lontano dagli obbrobri visti e subiti. La lettera inviata alla Procura, sotto forma di esposto, mirava ad informare lo Stato di una situazione ben radicata nei luoghi in oggetto, onde evitare che le stesse cose si ripetessero su altri cittadini e minori.
Dopo la spedizione delle lettere speravamo in un intervento di qualcuno, indipendentemente dallo svolgersi delle indagini. Noi spedimmo i documenti direttamente a Roma saltando le procure locali. Il motivo era serio: avevamo visto come alcune persone implicate nei fatti  avevano delle reti all'interno della Procura locale per ottenere informazioni riservate alla magistratura, ed allora non immaginavamo che tali reti si estendessero anche a Roma.

In realtà, subito dopo l'invio degli esposti  a novembre la situazione peggiorò: in dicembre 2004  abbiamo subito una violazione di domicilio presso la sede della nostra attività e non è stato più possibile entrarvi. Vi è stato un evidente trafugamento di oggetti personali, probabilmente con lo scopo di intimidazione e di trovare il nostro luogo di abitazione[8]. Contemporaneamente sono incominciate varie situazioni inverosimili, come l’impossibilità di avere un bancomat personale, che veniva ripetutamente perso in capo alla banca[9]. Teniamo duro, sperando che arrivi presto un contributo che ci era dovuto dagli anni precedenti. A novembre '04 ci viene comunicato che i nostri soldi sarebbero arrivati per dicembre o al massimo a inizio di gennaio '05. Ma come vedremo più avanti questo contributo ha avuto diverse contrarietà, tanto da essere spostato prima a febbraio, poi a marzo, poi ad aprile e maggio[10].
Intanto la violazione di domicilio nella sede dell’attività ci impediva di continuarla, sebbene negli ultimi mesi ci recavamo solo di sera, per sviare le persone che ci avevano minacciato. Nel frattempo speravamo nell’intervento di qualcuno, per  l'esposto depositato in ottobre '04 e novembre '04.  Viste le lettere e esposti già inviati decidemmo di continuare su quella strada, chiedendo un intervento anche per verificare cosa era successo nella sede della società: non vi potevamo più accedere perché la serratura era stata cambiata[11]!

A fine dicembre '04 inviamo un altro corposo documento con nuovi fatti e testimonianze continuando nella strada già iniziata, ovvero una raccomandata al Presidente della Repubblica*, e una raccomandata alla Procura di Roma*. Nei documenti rinnoviamo la richiesta di intervento, indipendente dalle indagini.
A fine 2004 ci troviamo con la sede dell’attività impraticabile, con l’impossibilità di fare le operazioni contabili, amministrative, commerciali e produttive. In questa maniera si prospettava solamente un disastro  inevitabile per la società. E nessuno interviene in nostro aiuto.

Ad inizio gennaio 05 riusciamo ad avere un fido dalla banca, offrendo come garanzia il contributo che ci doveva arrivare. Con il fido riusciamo a pagare alcune bollette insolute (acqua, luce..).
Verso fine gennaio rispediamo la raccomandata* al Presidente perché non ci ritorna l’avviso di ricevimento.
Il 20 di febbraio '05 chiediamo nuovamente aiuto in Procura, specificando nuove testimonianze. Includiamo una denuncia* per violazione di domicilio.
Da Gennaio '05 a Marzo '05 aspettando, l'intervento dell'autorità, cerchiamo aiuto da altre parti e cerchiamo di trovare lavoro a titolo personale.

All’inizio di Marzo '05 ci rechiamo a Roma per vedere cosa era successo ai nostri documenti.
A Roma, in procura, scopriamo che le raccomandate inviate non risultavano registrate: sembravano smarrite. Risultava solo un documento, che non si capiva se era stato spedito da noi o direttamente dai carabinieri[12].
I documenti successivi al primo erano molto importanti, perché riportavano anche la denuncia per violazione di domicilio ed altri fatti gravi. Al Quirinale non ci è stato possibile verificare quali documenti fossero arrivati: ci dissero solamente che erano stati inviati al Ministero degli Interni e di lì inoltrati al Prefetto di competenza[12b] in Veneto.
Preoccupati per la mancanza della maggior parte di documenti inviati, appena tornati a casa, li rispedimmo in blocco.*
Nel frattempo il contributo, sul quale avevamo avuto il prestito, non arrivava: la nostra pratica era stata persa più volte. Chiedemmo aiuto, elencando il nostro stato di necessità all’ente erogatore; non ottenendo alcun risultato, chiedemmo aiuto anche ai carabinieri, senza ricevere anche qui nessun interesse. Addirittura un dipendente dell’ente veneto, si era rifiutato di eseguire un ordine del suo superiore, nonché responsabile dell’ente stesso, che ci dava la priorità sul pagamento[12c].

All'inizio di Marzo '05 non possiamo più utilizzare l'auto perchè scade l'assicurazione e vi sono rate insolute del leasing. Il paese non è servito da mezzi pubblici, è in collina. Abbiamo difficoltà a fare qualsiasi spostamento, non abbiamo nemmeno una bicicletta e nemmeno la possibilità di comprarne una. La situazione diventa ancora più tragica. Sempre in marzo un "conoscente" di persone che ci avevano minacciato riesce ad avere (probabilmente in maniera non lecita o in buona fede dai carabinieri) il nostro indirizzo di casa: si presenta sotto le finestre, raccontando varie bugie per indurci ad aprire e parlare; non ottenendo il risultato sperato, passa alle minacce di nuovo. In questi mesi ci ammalavamo spesso, e non ci si pensava ad aprire anche per questioni di salute. Questa persona era passata di casa in casa  urlando ai quattro venti il nostro cognome e chiedendo se abitavamo lì: evidentemente il personaggio conosceva la via ma non il numero civico, proprio le stesse indicazioni che avevamo lasciato ai Carabinieri in Maggio 2004. Dopo circa 15 minuti il tizio è ritornato con sicurezza alla porta del luogo ove abitavamo[12d].

Verso fine marzo, mentre per l'ennesima volta ci slitta il contributo pecuniario, e, a pochi giorni dall'incursione sotto casa, ci capita un incidente.
Intervengono i carabinieri locali[13]. Spieghiamo loro che l’incidente è dovuto al troppo stress accumulato ed ad un effetto scatenante indipendente, un effetto anomalo,  ne approfittiamo per chiedere un aiuto relativamente a tutta la nostra situazione, elencando e mostrando i documenti inviati, che non hanno avuto risposta.
Per loro è impossibile che i documenti siano stati persi in Procura, così ci trattano da "matti" prendendo alla leggera le nostre dichiarazioni. Inoltre omettono nel verbale elementi da noi giudicati importanti, ed ignorano le nostre richieste di inviarci un medico (il nostro telefono non funziona ed uno di noi ha dei profondi tagli sulle dita, ancora oggi sono rimaste tracce visibili) e siamo spaventati. Si presentano il giorno successivo per  farci firmare un verbale scritto al computer di senso completamente diverso (probabilmente scritto in base a loro interpretazioni), che naturalmente non reputiamo corretto e non firmiamo.
Scoprimmo in seguito, a detta dell'assistente sociale e dello stesso avvocato, che la pattuglia nell’occasione dell’incidente non aveva attivato la procedura prevista dal regolamento[14].
Vista l’oppressione nell’aria, decidemmo di andarcene di casa con la morte nel cuore per alcuni giorni, per avere una mente più lucida sul da farsi. I carabinieri erano molto arabbiati perchè non volevamo firmare il loro nuovo verbale, e perchè "non sta bene fare nomi e cognomi sugli esposti[14b]." Avevamo le difese immunitarie molto basse, non avevamo nemmeno più eseguito controlli medici per mancanza stessa di soldi, riuscivamo a fare a mala pena pochi gradini.
Abbiamo preso il primo treno per Brescia, ed alla sera abbiamo dormito dentro un capitello di San Francesco a Paratico..
Il giorno dopo era Pasqua: finalmente, dopo vari giorni è arrivato il sospirato contributo che aspettavamo, ma le cose ormai avevano preso una brutta piega.

Dopo Pasqua, ad aprile '05, ritorniamo e, non avendo il bancomat, per i problemi già descritti, ci siamo recati direttamente in banca. Notammo che l’incidente era stato riportato nei giornali della provincia, ma ci accorgemmo che la notizia riportata era sbagliata in vari punti, e non riportava minimamente la notizia dei nostri documenti spariti in Procura e la richiesta di giustizia (i giornali non vollero mai affrontare il problema, si applicò alla vicenda una vera e propria censura, facendo ricadere tutti i problemi su di noi).
Una volta a casa, fummo invitati da una pattuglia a presentarci in caserma urgentemente: ormai erano passate due settimane dall’incidente.
In caserma ci fu notificata la querela di alcuni vicini per danni avuti nell’incidente delle auto. Ma scoprimmo davanti al maresciallo P.P, comandante della stazione, che una di queste persone ci aveva pure querelato per minacce. Non riuscivamo a spiegarci la cosa, non avendo mai minacciato nessuno. L'unica cosa plausibile era che avendo gridato di non poterne più, perchè la giustizia non si faceva sentire ed eravamo gravemente minacciati: il vicino ha capito male ed interpretato come una minaccia nei suoi confronti. Noi non avevamo avuto mai nessun rapporto con tali vicini, non sapevamo nemmeno come si chiamassero.
Ci fu assegnato un avvocato d’ufficio, il maresciallo ci spiegò che siccome la minaccia coinvolgeva un discorso penale, avevamo appunto diritto ad un avvocato d'ufficio..[15]
Tentammo di spiegare al maresciallo la nostra versione dei fatti, ma non fummo ascoltati, perchè ormai ci avevano etichettati come matti.[16] (vedere nota generale[N2]).
Non ci fu concesso di rilasciare alcuna nostra dichiarazione o verbalizzare nel dettaglio la nostra versione dei fatti. Chiedemmo aiuto anche per i documenti inviati in Procura, che erano stati smarriti. Il maresciallo ci disse che la cosa non lo riguardava. Così decidemmo di rilasciare una denuncia scritta per lo smarrimento di tali documenti, ma non ci fu permesso.

Per questo motivo, successivamente decidemmo di fare denuncia direttamente noi alla procura di Milano*, spedendo in allegato tutti i documenti che avevamo inviato a Roma e che erano spariti. Ma nemmeno da Milano ci fu  mai una risposta[17]
Avevamo chiesto di poter parlare con qualcuno, per poter depositare altre testimonianze delicate, ma non ci ha risposto nessuno.

Presentiamo il nostro caso e la nostra richiesta d'aiuto anche presso l'organismo con sede a Strasburgo, dedito alla difesa dei diritti umani, per sollecitare un intervento: non abbiamo ricevuto alcuna notizia, e non sappiamo se siano intervenuti qui in Italia.

In aprile '05 andiamo nuovamente a Roma, e non vi è traccia delle nostre raccomandate, che avevamo rispedito dopo i primi di marzo 2005: l'addetto ci dice che in genere ci impiegano due settimane per registrare i documenti sul computer, perciò dovrebbero essere presenti. Lo stesso dipendente non sa cosa risponderci.
Così, avendo due copie identiche di documentazione, decidiamo di depositarle* personalmente, presso l'ufficio "primi atti", almeno da avere una data di registrazione,  un numero di riferimento e una copia identica a quella rilasciata. Era il 19 aprile 2005. (Era lo stesso giorno dell'elezione del nuovo Papa tedesco). Anche questi ultimi documenti furono sottratti e/o smarriti[18].

Il 26 di Aprile '05 i carabinieri, per lo stato d'indigenza, ci sollecitano di parlare con l'assistente sociale del comune. Lo incontriamo nello stesso giorno presso casa nostra. Il colloquio dura circa due ore. Scopriamo per fatalità [18b] che la pattuglia dei carabinieri in servizio la sera dell'incidente ci aveva preso proprio per matti, tanto da convincere pure il maresciallo, che aveva allertato subito l'ASL e il comune di residenza, senza nemmeno averci visto di persona (il primo incontro con il maresciallo è avvenuto solamente in data successiva, a due settimane dal fatto). Ovvero il maresciallo P.P. si era introdotto nella dinamica dell'incidente e   aveva già fatto la sua ricostruzione dei fatti senza vederci. Pensò pure che eravamo matti, anche per il fatto che andavamo a dire che i nostri esposti erano spariti a Roma,  e fece la diagnosi   senza naturalmente averne la competenza, ed era una diagnosi gravissima "di matti".
Per noi c'era solo una spiegazione al fatto: negli esposti avevamo nominato qualche personalità importante, ritenuta  intoccabile o di buona famiglia[18b]. Farci passare per matti poteva essere il modo di "invalidare" questi documenti (all'epoca sapevamo molte meno cose...).
Ad aggravare la situazione è che nell'incidente delle auto avevamo incidentato, senza saperlo, un parente stretto di un assessore comunale, almeno così ci era stato detto. L'assistente sociale fu informato, per quanto possibile, delle nostre vicende. All'assistente sociale mostrammo pure i due pacchi di esposti* con il timbro della Procura di Roma. Su invito dell'assistente sociale, spedimmo delle raccomandate ai giornali locali per indicare la nostra versione dei fatti, ma i giornali ignorarono la nostra lettera. Presso uno di questi quotidiani padovani ci siamo recati di persona: non hanno voluto pubblicare nulla, sostendendo che chi aveva causato tanto allarmismo doveva riparare, pubblicando un articolo, e che il fenomeno elettromagnetico, causa scatenante dell'incidente, era cosa risaputa là dove abitiamo. Aggiunse che non era possibile fare nulla, perchè le antenne e i relativi fenomeni elettromagnetici erano un prezzo necessario da pagare per avere  tecnologia moderna.
Insomma, spettava al comune riportare la pace, a detta del giornalista.
L'avvocato d'ufficio, ci consigliò di cambiare paese, perché c'erano molte persone che ci detestavano in paese. Non abbiamo capito da quali fonti abbia appreso questa notizia. Gli spiegammo pure i comportamenti strani delle forze dell'ordine: ci consigliò di denunciare tutto al comando provinciale ed a quello generale di  Roma, e poi "di cambiare aria".  L'avvocato, essendo nominato d'ufficio solo per le querele dell'incidente, si può interessare solamente del caso dell'incidente.
Ci fu utile comunque per il discorso dell'ASL.
L'ASL fu sollecitata dal maresciallo ancora al momento dell'incidente. Il maresciallo ci aveva fatto la diagnosi da pazzi ed aveva allertato l'ASL. Si doveva così terminare la procedura iniziata dal maresciallo con una visita psichiatrica. Non servì a nulla parlare con l'assistente sociale: probabilmente questo era sotto l'influenza del maresciallo che desiderava chiudere la faccenda quanto prima. In Maggio '05 ad uno di noi  arrivò una busta* con all'interno la comunicazione di una visita psichiatrica* già fissata con giorno ed ora. Preoccupati ci recammo dall'avvocato il quale ci disse che tale visita non era regolare e non era a norma di legge. Espresse l'opinione che era facile pensare all'esito di una visita del genere. Ci disse di chiedere delucidazioni in merito, di chiedere chi avesse fornito i nostri dati, e fosse lo scopo di tale visita. Se pensavano che uno di noi era matto dovevano chiamare il medico alla sera stessa dell'incidente con le auto. Questo non l'avevano fatto, ma avevano invece allertato lo stesso l'ASL. Anche l'avvocato espresse l'opinione che era un modo per mettere a tacere i nostri esposti, facendoci dichiarare matti. Appurammo, in seguito anche da una dottoressa dell'ufficio URP della Provincia che tale visita non era a norma di legge.
In pratica il comune non si interessò del nostro caso e della nostra salute, non si preoccuparono minimamente, se non quello di mettere a tacere tutta la vicenda. Tutta la storia della visita psichiatrica, della scomparsa della documentazione in procura e dell'atteggiamento ostile del comandante dei carabinieri ci mise una sana paura. Anche l'avvocato di origine calabrese doveva sapere parecchio di questi metodi per annullare le persone e dovrebbe far meditare. ( Ricordiamo come all'epoca di questi fatti non avevamo  nessuna prova da mostrare della sparizione delle carte, oltre alla nostra testimonianza verbale di quanto avevamo appurato a Roma).
Si fa notare che i metodi usati dal maresciallo P.P., di provenienza dal ferrarese, sono tipici metodi da regime, quando non si vuole che emergano delle situazioni scomode, si attivano delle procedure particolari per mettere sotto controllo le persone. Queste sono situazioni molto gravi che ledono i diritti fondamentali dell'individuo e calpestano la democrazia.

Decidiamo più avanti di andare dal prefetto della nostra provincia.  In prefettura non c’e’ traccia dei nostri documenti inviati da Roma: a Roma ci avevano detto che per competenza erano passati al ministero degli Interni, e specificatamente alla prefettura di competenza territoriale,  in Veneto. Avendo una copia in borsa, appena appresa la notizia li spediamo noi direttamente al prefetto. Ma nemmeno dal prefetto abbiamo ricevuto risposta, a noi nota[19].

Riuscimmo in Maggio,  a parlare  anche con  un senatore , in una manifestazione. Questo senatore, avendo pure ricoperto il ruolo di sindaco, promise che avrebbe telefonato al sindaco del nostro paese, in modo che potessimo ottenere un aiuto, un sussidio ... e poi tutto si sarebbe chiarito e sistemato, incluso l'incidente stesso. Ci disse che un sindaco può risolvere molti problemi, ha molto più potere di quanto noi immaginiamo. Ma nemmeno l'intervento del senatore servi a qualcosa.
Purtroppo le notizie sbagliate apparse nei giornali, l'atteggiamento del maresciallo P.P, il mancato intervento del comune per chiarire la situazione ha dato il via a una serie di chiacchiere e vere diffamazioni sulla nostra persona. Per fare chiarezza abbiamo consegnato delle lettere ai nostri vicini per spiegare la situazione. Lì era diventato invivibile. Le persone si erano messe in testa che eravamo dei delinquenti. Naturalmente molte di queste diffamazioni arrivano da persone ben precise che avevano deciso di renderci la vita impossibile: probabilmente gli stessi nostri parenti erano arrivati a conoscere nuovamente il luogo di abitazione, e non erano certamente rimasti con le mani in mano[20], senza contare che a qualcuno faceva gola  la nostra casa.

In pratica la vita in paese è divenuta opprimente per mancanza di verità e di delucidazioni di chi ne aveva il compito; Non avevamo nessun appoggio nemmeno nelle forze dell'ordine locali.  In giugno '05 partiamo da casa. Nell’attendere l’intervento di una qualche autorità, alle nostre varie richieste, cerchiamo un nuovo posto dove vivere e rifarci una vita. Lo stesso avvocato, ci aveva consigliato vivamente di andarcene. Fu un colpo molto duro, lasciare la nostra casa, e non sapere esattamente dove andare. Non poter avere l'appoggio dei propri familiari e nemmeno di persone care che erano scomparse qualche anno prima, quando le cose funzionavano in maniera del tutto diversa. Inizialmente pensavamo di stare lontano un pò di tempo, ma in cuore nostro sapevamo che non era così, perchè nei giorni prima di partire eravamo rimasti a lungo ad osservare le bellezze naturali del luogo, con l'impressione di guardarle proprio bene perchè forse non le avremmo mai più riviste. Prima di partire smontammo il letto matrimoniale, e mettemmo le coperte dentro dei sacchi per proteggerle dall'umidità. Prevedemmo anche di mettere nel conto bancario che pagava la casa, un pò di soldi. Perchè vi era l'intenzione di tornare, magari attraverso l'intervento della giustizia che avevamo fino ad allora inutilmente invocato. Ma questo non avvenne mai...

Passiamo l'estate a vivere in tenda, cerchiamo un posto fuori dal Veneto per nostra tutela. Ma la nostra storia è difficile ed è evidente che necessità l'intervento dell'autorità e della giustizia. Così non ci arrendiamo, scriviamo altri documenti alla Procura della Repubblica. Chiediamo anche delle indagini alla Procura Militare , per il comportamento anomalo dei carabinieri ( anche se la Procura Militare non è competente, a noi non fregava niente perchè non lo sapevamo. Però fu una mossa che ebbe dei risultati). Scriviamo varie raccomandate [20b] e Fax chiedendo sempre un intervento urgente indipendente alle indagini. Scriviamo a vari comuni italiani la nostra storia, interessiamo persone ed associazioni.
In Settembre '05 scriviamo una prima versione di questa lettera pubblica e la pubblichiamo in internet*. Inviamo la nostra storia ad alcuni giornali nazionali.
Ci accorgiamo che le nostre pagine, in quel periodo, non compaiono nei motori di ricerca internet. Così le poniamo su altri server italiani. Notiamo che nemmeno qui escono nei motori di ricerca, mentre altre pagine simili escono normalmente. Ci viene il dubbio della censura*[21]. Il dubbio diventa una certezza quando scopriamo altri elementi.  A questo punto è lecito pensare di tutto, soprattutto dopo tutti i documenti persi e/o sottratti presso la Procura della Repubblica.

Nella prima metà ottobre, con gli ultimi soldi rimasti giungiamo nuovamente a Roma e scriviamo pure un fax di aiuto al senatore che avevamo conosciuto in Aprile, un fax  indirizzato a Palazzo Madama (vedi fax*...) Non ci risponderà nessuno.  Ormai i nostri soldi sono finiti, senza aver trovato un lavoro e senza che nessuno sia intervenuto.
Chiediamo un aiuto urgente al comune di residenza*, ma questo non si farà sentire.

Verso fine ottobre giungiamo a Marone, in provincia di Brescia dove vi rimarremo fino al 23 dicembre '05 vivendo nella piccola tenda igloo che da giugno era diventata la nostra casa . Siamo fermi presso una famiglia che ha un campeggio.

La nostra tenda non è attrezzata per passare l'inverno.  Sopravviviamo grazie a delle bottiglie di plastica che riempiamo di acqua calda due o tre volte durante la notte, e che ci teniamo all'interno del sacco a pelo. Abbiamo riempito dei sacchi di nylon con delle foglie secche e li utilizziamo come tappettini per isolarci dal terreno. Alle volte è impressionante sentire l'esterno del sacco a pelo ghiacciato. Durante la giornata passiamo a setaccio tutti i paesetti intorno per cercare un aiuto. Parliamo con alcuni sindaci, assistenti sociali, parroci della zona di Marone, Sale Marasino, Sulzano, Pisogne, Lovere, Iseo.
La nostra situazione non è risolta perchè i comuni non possono aiutarci perchè non siamo residenti. Il nostro comune non ci aiuta. In quelle condizioni riusciamo solamente a sopravvivere. Il nostro metabolismo rallenta, riusciamo a vivere mangiando molta pastasciutta o riso. Il pane è una rarità. Facciamo dai 8 ai 15km al giorno perchè non abbiamo i soldi per i bus. Siamo comunque puliti perchè abbiamo la doccia calda e la possibilità di fare il bucato. Mangiamo all'aperto, anche la sera. Riceviamo delle "sportine" di cibo a seconda dell'occasione. Alcune volte patiamo la fame. Riusciamo ad avere in qualche occasione un aiuto in denaro che usiamo con molta cautela per comprare qualcosa di più consistente da mangiare, per comprare le bombolette di gas del fornelletto da campeggio e per collegarci ad internet nella biblioteca di Sale Marasino.
L'isola di Loreto, sul lago d'Iseo,  vista dall'interno della tenda
Il 28 di ottobre '05 ci fermano pure i carabinieri per strada, ci vedono quasi ogni giorno percorrere a piedi con due zainetti un tratto di strada di circa 5 km che separa Marone da Sale Marasino e il 28 eravamo in "missione" per andare a recuperare qualcosa da mangiare presso le suore di Oasi Madre Francesca (località Portole) e per cercare lavoro. I carabinieri ci chiedono perchè non siamo al lavoro, dove andiamo e dove alloggiamo  oltre naturalmente a chiederci i documenti di riconoscimento. Spieghiamo brevemente al maresciallo Renda la nostra situazione e chiediamo un aiuto pure a loro[23]. Spieghiamo la vicenda degli esposti persi in procura, la questione dell'auto in leasing rimasta da consegnare e i nostri timori di essere denunciati per furto. Ci rispondono che non è di loro competenza, ci fanno gli auguri. Uno di loro ci dice che al massimo se ci denunciano per furto verranno loro a dircelo, bella consolazione!. Rimaniamo per un attimo lì in strada e poi riprendiamo la marcia, direzione suore, anche perchè quel giorno eravamo a pancia vuota ............ ma ai carabinieri non interessa questo particolare e noi dobbiamo arrangiarci.
Fondamentale in Novembre '05 fu l'aiuto di un prete, il quale aprì il portafoglio e ci diede quello che aveva e ci rincuorò di insistere  con la giustizia. Con quei soldi facemmo delle spese decenti e comprammo anche della carne. Ci aiutò anche una seconda volta grazie all'intervento di un conoscente. Poi però fini tutto e fu ripreso nel mucchio.

In queste condizioni il 9 di Novembre '05 ci arriva per posta elettronica il  fax* del 9.11.05, dalla Procura della Repubblica di Roma,  in risposta all'unico esposto da loro ricevuto, il quale corrisponde alla settima* raccomandata inviata. Il PM attesta che che i precedenti esposti non sono pervenuti, sono perciò sottratti o smarriti a norma dell'articolo 616 del codice penale!.
Rimaniamo sconvolti dal testo del fax, tanto che lo rileggiamo alcune volte per capirne il significato. I magistrati sono così tortuosi! Nonostante la cattiva notizia, notiamo che nel documento ricevuto vi è indicato il numero diretto del  fax del PM. E' la prima volta che qualcuno ci scrive e finalmente abbiamo un sistema per comunicare con un PM scavalcando la procedura delle raccomandate o del deposito presso l'ufficio "primi atti" !
Noi, in quel momento, avevamo ancora piena fiducia nei magistrati di Roma e pensavamo che il problema della scomparsa dei documenti fosse dovuto ad una talpa della cancelleria.
Ci rechiamo con il fax dal difensore civico della comunità montana di Sale Marasino per chiedere un aiuto in merito. Il difensore civico, che era venuto a conoscenza della nostra vicenda durante un colloquio precedente avvenuto con l'assistente sociale Spandre, si rifiuta di darci qualsiasi indicazione dicendo che non ha tempo per noi perchè non siamo residenti ed il servizio è solamente per i residenti, ribadendo che comunque che si occupa solamente di diritto civilistico e non di quello penale! Non sappiamo cosa fare visto che pure i carabinieri ci avevano detto che non erano cose di loro competenza, e poi i carabinieri in genere capiscono poco di diritto, per quello ci sono i magistrati.
Non ci resta che arrangiarci e grazie ai soldi del prete spediamo subito alcuni fax al PM, una lettera prioritaria e una lettera raccomandata*, esattamente l'ottava, contenente il riepilogo dei documenti sottratti e invitandolo, a tenerla d'occhio perchè non sparisca. Pensiamo che il Fax non sia intercettato dalla cancelleria e speriamo, superato l'ostacolo, che l'autorità interverrà di lì a poco: in fondo sono stati loro a perdere i nostri documenti, e dunque ora dovrebbero prendere in seria considerazione il nostro caso urgentemente.
Passano i giorni, di tutti i fax, e lettere che indirizziamo direttamente al PM non riceviamo però nessuna risposta e nemmeno una conferma di ricezione, che chiediamo e ci attendiamo ragionevolmente, visti tutti i problemi di sottrazione dei documenti..  Passano i giorni e non vi è risposta e continuiamo a vivere in tenda. All'epoca non avevamo nemmeno la più pallida idea di che fine vessero fatto questi ultimi documenti e fax. . Scopriamo solamente molto più tardi verso fine marzo 2006 cosa veramente fosse successo. Purtroppo il magistrato di Roma ignorò completamente le nostre richieste di aiuto e usò il fax per chiudere il caso. (click per il dettaglio sulle comunicazioni con il PM - documento pdf*)[24]

Passano i giorni e tutto tace ed è difficile pure darsene una ragione. Verso la fine di  novembre '05 il tempo utile della giornata si accorcia. Viene buio molto presto, è più freddo. Alla mattina ci vuole più tempo per alzarsi, occorre aspettare  fino a quando esce il sole e comincia a scaldare. La pulizia personale, il bucato, fare da mangiare richiede molto più tempo che in condizioni normali. Far da mangiare con il fornelletto da campeggio è un'impresa difficoltosa. Il tutto si svolge sulla riva del lago che mitiga il clima, e rende la situazione meno pesante da vivere.
La tenda era piantata pressochè sull'acqua, completamente assorbiti nell'ambiente, tra le anatre e i gabbiani che erano venuti a svernare. Fu questa situazione all'interno della natura che ci aiutò a rimanere tranquilli.
  La tenda con il ghiaccio
Facciamo anche l'esperienza della neve e del ghiaccio . Durante la notte i nostri sacchi a pelo erano ghiacciati esternamente e alcune volte aspettavamo il  sole mattutino che riscaldasse la tenda per accumulare il calore. L'assistente sociale del nostro comune e l'assessore invece ci snobbavano, dicendo che dovevamo andare a lavorare e che dovevamo finirla di goderci la vita, andando a gironzolare per il mondo, aspettando i contributi del comune. Nonostante le nostre richieste disperate, non ci diedero nessun aiuto mentre noi giorno per giorno ci vedevamo la morte in faccia.
L'assistente sociale di specie maschile della comunità montana, ci aveva promesso, di chiedere dei pacchi cibo a Pisogne, ma dopo alcuni giorni nessuna notizia dei pacchi. Chiedemmo se ci poteva dare 5 Euro per comprarci da mangiare. Se la prese a morte, proprio come un'offesa personale. Fu un duro colpo da digerire, però non l'ho mai dimenticato ed è per questo che lo scrivo qui.

In dicembre '05 un sindaco della zona, su nostra insistenza, cercò  risposte presso il nostro comune: ci vedeva sfiniti e fu mosso a compassione: ci siamo sentiti rispondere che dovevamo tornare in Veneto, le famiglie d’origine ci stavano cercando…..in fondo una piccola lite in famiglia si può superare…….Il sindaco era stato invitato a non aiutarci e a non trovarci lavoro, neanche per lavare il pavimento, perché dovevamo tornare………..
Spiegato al sindaco i gravi motivi del distacco dalle famiglie d’origine, questi si preoccupò, ma  non ne volle più sapere.  Questo intervento del sindaco fu almeno fondamentale per capire i motivi per i quali nessuno ci offriva un aiuto in zona: avevano tutti ricevuto disposizioni di non aiutarci![25].

Verso il 20 di dicembre proviamo ad interessare il sindaco di Marone: questo ci promette di chiedere spiegazioni al nostro comune in forma scritta, per il resto non ci può aiutare perchè non siamo residenti. Non otterremo nessuna risposta ed anche questo  sindaco non volle più averne a che fare[26].
Finalmente Il 23 di Dicembre '2005 troviamo ospitalità presso l'Istituto Profamiglia di Sale Marasino, ed il giorno di Natale siamo invitati come ospiti a pranzo di una comunità di recupero per i tossicodipendenti[27]: siamo stati trattati molto bene, abbiamo trovato non solo cibo ma molto calore umano. È stata anche un’occasione per scambiare esperienze di vita e chiedere consiglio e aiuto.

Le nostre scarpe sono usurate a fine 2005
Impossibile trovare un lavoro in queste condizioni!
Rincuorati da nuove prospettive e dall'impegno personale di alcune persone conosciute in quei giorni affrontiamo sotto una nuova luce le prossime feste.  Subito però compaiono nuove ombre. Il 24 dicembre mattina, i carabinieri si  recano dalla famiglia che ci teneva il posto per la tenda perchè devono consegnarci delle notifiche[27b]. Non ci trovano perchè dal giorno prima ci eravamo trasferiti nell'istituto di suore. Constatano che vivevamo effettivamente  in tenda come avevamo dichiarato, la famiglia stessa dice ai carabinieri che pure a loro sembrava impossibile: ogni mattina temevano di trovarci congelati. Della visita dei carabinieri riceviamo la notizia per telefono. Siamo molto turbati e decidiamo di andare in caserma, dopo le feste per non rovinarci il Natale. Sicuramente sono delle rogne e possono aspettare!  Anche la Polizia Ferroviaria  di Brescia, alla quale avevamo chiesto consiglio, intese che i carabinieri avevano avuto un eccesso di zelo.

Il 27 dicembre nella stradina del supermercato troviamo il sig. Luigi. Poco dopo, uscendo dal  market, notiamo che pure la proprietaria esce per vedere che strada prendiamo. Alcuni minuti dopo troviamo i carabinieri che ci fermano per strada, era buio e non avevamo notato che erano loro, tanto che pensavamo a dei ladri che ci avevano puntato i fanali e stavamo scappando, ma appena capito chi erano siamo tornati indietro. Ci hanno informato che vi erano delle notifiche e che dovevamo andare in caserma il prima possibile. Ma il giorno dopo avevamo fissato un appuntamento con la Caritas di Brescia con la dottoressa Lombardi ed era da un mese che aspettavamo. Lasciammo loro il nostro numero di telefono cellulare al maresciallo.
Qualche giorno dopo entrando sempre nello stesso market del paese, siamo stati sbattuti fuori dalla proprietaria: dopo una lunga discussione con il figlio di questa, ci è stato detto che “non eravamo graditi”. Certo, con noi non hanno fatto mai grandi affari (le uova o un po’ di latte), ma ci hanno sempre trattato con fin troppo ossequio, anche solo se ci vedevano camminare per il paese. A questo punto fu chiaro che erano stati loro a  spedirci  dietro i carabinieri o Luigi. Non sappiamo come interpretare l’evento, addirittura ci assicurarono che il problema non era per un eventuale furto e ci dissero pure che le cose lì erano peggio della Sicilia[29]! (Possiamo confermarlo).
Da questo evento scoprimmo due particolari importanti: la proprietaria era di origine veneta, come noi, e uno dei due carabinieri di pattuglia  era dei nostri luoghi, ovvero della stazione di carabinieri di residenza in provincia di Padova, Carabinieri e comandante che avevamo denunciato in seguito ai fatti di Marzo 2005. Denuncie che non avevano mai avuto seguito perchè alcune erano state smarrite e/o sottratte. Ma tali denunce erano pure contenute nella raccomandata del 5/5/5, l'unica risultata pervenuta da quanto dichiarato dalla Procura stessa. Qui stranamente il magistrato di Roma che prese in mano le indagini le ignorò completamente [30] .
La cosa ci preoccupò parecchio, non ci sentivamo tutelati dalle forze dell'ordine, e ci sembrava che quella rete invisibile che ci aveva causato tanti danni, avesse una chiara influenza pure sui carabinieri. Fu una delle sensazioni più brutte mai avute in vita nostra, accompagnata da un senso di impotenza e di ingiustizia. Nessuno ci avrebbe mai creduto. Eravamo completamente emarginati, il comune di residenza ci aveva lasciati morire di fame e di freddo, gli altri comuni non si interessavano al caso. I giornali non avevano voluto pubblicare nulla sulla nostra storia, i nostri esposti e denunce sottratti. Avevamo la netta sensazione che se fossimo morti, si sarebbe inventato qualcosa per insabbiare tutto, come era già successo nell'incidente di marzo 2005, con tanto di controllo pilotato delle notizie della stampa. La nostra vicenda sarebbe stata etichettata come un "caso sfortunato".

Durante le feste natalizie, il parroco don Firmo ci fissa un appuntamento con un suo fedele avvocato. Inizialmente tale incontro doveva avvenire il 3 di Gennaio 2006, poi spostato al 10. Fu il motivo per chiedere ai carabinieri di andare a vedere queste notifiche dopo aver parlato con l'avvocato. I carabinieri ci spingevano ad andare il prima possibile, ma noi a seguito dei fatti accorsi precedentemente, avevamo completamente perso la fiducia nell'arma. L'avvocato però non si rese disponibile per tutte le questioni, e voleva assolutamente che lasciassimo perdere la storia di tutte le nostre denunce perse. Per noi era un'idiozia, perchè così avremmo finito per autoaccusarci di vari reati che erano scaturiti, senza averne colpa,  indirettamente per conseguenza, oltre a rinunciare a chiedere tutela per chi ci ha minacciato direttamente riguardo alla nostra stessa vita.
Cercammo anche altri avvocati ma nessuno voleva prendere in mano la nostra causa.

Nel frattempo a Sale Marasino capitano altre vicende negative: inspiegabilmente comincia a circolare la voce che siamo senza documenti di identità.  Le suore ci chiedono i documenti, ma vogliono che andiamo in centro del paese con loro a fare le fotocopie. Noi non riusciamo a capirne i motivi. Capiamo solamente in seguito che l'azione delle suore mirava a dimostrare pubblicamente che avevamo i documenti, e la fotocopia nel negozio del paese era il modo di rendere noto a tutti la notizia, senza parlare.
Alcuni negozi si erano allineati al market che ci aveva sbattuto fuori. Per prendere delle schede telefoniche fummo costretti ad andare in un altro paesino. Venimmo a sapere che nel paese vi erano varie faide, con tanto di schieramenti di famiglie, percosse, avvelenamento di cani e gatti.... un ambiente più siciliano che del nord Italia.

Le suore per "aiutarci", ci mandarono anche una loro veterana, famosa per la sua praticità (Suor Serafina che aveva preso il premio Bontà a Brescia). Questa suora arrivò all'istituto convinta che noi eravamo delinquenti,  con a seguito una persona abituata a trattare con omicidi ed ergastolani (Federico M.).
Casualmente ascoltiamo un colloquio preliminare tra queste suore e l'esperto in criminali, a loro insaputa: eravamo all'interno della cappellina a pregare e loro non si sono accorti della nostra presenza.
Ne sentimmo di cotte e di crude, cose che non sarebbero mai emerse senza quella fatalità, cose completamente folli.
Parlarono di noi come di delinquenti pericolosissimi e sovversivi: erano state consigliati, forse dagli stessi carabinieri, di mettere delle microspie per capire cosa avevamo in mente. Dissero inoltre, con tono grave, che scrivevamo in Internet con uno pseudonimo[31] e si chiedevano quali intenzioni avevamo. La situazione era tra il ridicolo e il grave. Ad un certo punto sentendo tante oscenità siamo usciti a spiegare esattamente le cose.
Il signore portato dalle suore capì che non eravamo delinquenti, e ci consigliò di andare all'estero a rifarci una vita, ad esempio in Francia passando dalla Svizzera, oppure di sparire all'interno di qualche "comunità" come Mondo-X.

Verso fine  febbraio 2006 prendemmo la decisione di chiedere aiuto alla Polizia. Ci recammo nel commissariato del Carmine a Brescia. Il poliziotto ci consigliò di fare una denuncia-querela il prima possibile, di fare una tabella riepilogativa di poche pagine con tutti i reati che erano contenuti nelle carte scomparse, e di presentarla in Veneto. Quando lesse alcuni passi dei nostri esposti ci chiese perchè ci eravamo rivolti lì, che :- " questo è solo un piccolo commissariato, che cosa credete che possiamo fare noi per queste cose, noi siamo abituati a cose normali: furti, rapine e omicidi-". Scoprimmo che eravamo andati su uno dei quartieri più noti della città per il grado di delinquenza. In realtà ci sentivamo molto più sicuri rispetto a  Sale Marasino da dove venivamo, in quella situazione di calma apparente.

Seguimmo il consiglio del commissario. Appena scritta la denuncia-querela* andammo in questura, non in Veneto, perchè con i soldi non ci arrivevamo proprio. In questura parlammo con un poliziotto veneto che stentava a crederci,  i dubbi si dissiparono  mostrandogli  i documenti ed alcune prove di quello che dicevamo.
Ci ha mandati subito a parlare con il vicequestore. Era venerdì sera, e dopo il colloquio il vicequestore ci fece tornare lunedì, perchè vi era a disposizione un ispettore superiore di polizia giudiziaria molto in gamba. Il vicequestore aveva ben capito che la nostra vicenda non poteva essere risolta da un avvocato.
Il lunedì facemmo la denuncia-querela in questura, depositando anche tutti i documenti che erano andati persi in Procura. In quei giorni patimmo la fame perchè i pochi soldi che avevamo in tasca ci servivano per i biglietti del treno: addirittura facemmo parecchi km a piedi.  I giorni successivi tornammo a visitare la comunità di tossicodipendenti, e con alcuni pranzi ci ristabilimmo. Ci aiutò anche una signora della San Vincenzo di Pisogne.

Ad una settimana dalla denuncia fummo sbattuti fuori dalle suore, proprio l'anniversario del nostro matrimonio[32]. Ci dissero che erano d'accordo con il maresciallo dei carabinieri, che però in quei giorni era diventato irreperibile, perchè tornato al sud in seguito alla morte del padre. Sbattuti in strada andammo a chiedere aiuto al sindaco di Sale Marasino.. Il sindaco ci disse che era stato informato dai carabinieri riguardo alla nostra presenza nel territorio comunale.Cosa esattamente gli comunicarono non lo sappiamo; sappiamo solo che il sindaco aveva delle idee molto distorte su di noi. Ci trattò da pelandroni, come gente che non ha voglia di lavorare. Ci disse che gente giovane e sana come noi doveva lavorare. Ci mancò sicuramente di rispetto, anche perchè non poteva sapere nulla sulla nostra condizione di salute, non avevamo più fatto controlli, eravamo sfiniti e in uno stato che aveva mosso a compassione il sindaco di un altro paese. Noi lasciammo anche i nostri curricula[33], ma nemmeno lui ci trovò lavoro pur essendo inserito in molti contesti, presidente di aziende estere ed italiane, anzi non ci rispose più nemmeno per email.

Per alcuni giorni fummo ospitati da delle persone, poi però per paura di controlli e ripercussioni sulla loro attività ci dissero che non potevamo più restare[34].
Dovevamo andare alla Caritas ed essere separati nel dormitorio maschile e femminile, a vari chilometri di distanza, e nemmeno si sapeva se vi era posto. E poi fare la fila per la mensa, la fila per le doccie .......la fila per sopravvivere, divisi. Una vita dunque da barboni, dalla quale difficilmente si esce una volta entrati[35]. La Lombardi, ancora nel colloquio del 28 dicembre, non ci aveva prospettato altro, probabilmente aveva ricevuto lei stessa delle informazioni alterate sul nostro conto, come il sindaco di Sale. Avevamo avuto una brutta impressione di questa soluzione, così tentammo per le vie della Provvidenza.
Partimmo e passammo quasi una settimana fuori Lombardia prima da una parte e poi da un'altra: ci ospitammo anche con abbondanza di cibo. Però si trattava di soluzioni temporanee di uno o due giorni. E comunque attendevamo la telefononata del sindaco, che ci aveva promesso un colloquio di lavoro nell'arco di un paio di giorni, ma ciò non avvenne. Sbarcammo infine a Verona dove un prete ci diede 40 Euro, e ne approffitammo subito per prendere il treno per Roma, per vedere i motivi per i quali il PM non ci aveva più risposto.

In quella settimana, passata fuori dai soliti luoghi, avevamo avuto il modo di riflettere e di appurare come la Caritas, la comunità di recupero tossicodipendenti, le suore, il sindaco fossero tutti influenzati dai carabinieri e dal nostro comune di residenza. Purtroppo molti fili erano tirati in maniera illegale da quelle reti che ci avevano reso la vita impossibile in Veneto  Anche qui si verificò dunque la situazione paradossale di come una istituzione si renda complice del crimine, perchè il comportamento adottato dai vari "enti" è in linea con questa rete contraria allo Stato, e di come queste organizzazioni "mafia-style" utilizzino a proprio uso e consumo il comune, la Caritas, i carabinieri e quant'altro facendo credere che sia tutto normale e logico, un po come quello che  è accaduto per il calcio, facendoci credere, anche a suono di moviole in TV, che tutto era andato in una certa maniera.
Non era stato gradito da nessuno il nostro ricorso alla Polizia. Ci siamo resi conto come in quei mesi passati in riva al lago tutti sapevano tutto su di noi e non facevano nulla, come  tutti avessero un'idea falsata sulla nostra vicenda. Ci siamo resi conto come in un certo senso, eravamo prigionieri di quel posto, riuscivamo appena a sopravvivere, e probabilmente molte persone avevano ricevuto disposizioni di non aiutarci. Si fingeva che eravamo ospistati dalle suore in un bell'appartamento, e che non avevamo problemi di cibo perchè le suore ci davano tutto il necessario.
In realtà eravamo ospitati in uno sgabuzzino, il bell'appartamento noi l'avevamo solamente visto, era sopra di noi, ed era sempre rimasto vuoto e inutilizzato. Le suore aprivano le finestre quando veniva gente e noi avevamo ipotizzato che era proprio per far credere che noi vi eravamo ospitati. Anche il prete don Bruno  ne era convinto. Fu proprio quella convinzione che lo portò a fare dei discorsi con le suore in una zona dell'istituto in cui era convinto che non lo potessimo sentire. Il prete non accettò mai un confronto con noi, non ci diede mai la possibilità di esporre la nostra verità, e di mostrare documenti o fotografie che comprovavano quello che andavamo dicendo. Rimase sempre con la sua opinione e ci fece molto male, sia alimentando cattive lingue sia impedendoci di accedere ad altri aiuti. Questo prete era quello che il 28 di Ottobre ci spedì dietro i carabinieri invece di aiutarci, ci trattò da delinquenti e fece pressioni sulle suore perchè ci mandassero via. In quel paese ci hanno insegnato questo proverbio: "la sai la storia del topo di dispensa? Quello che lui fa degli altri lo pensa".  

Insomma a noi poteva accadere qualsiasi cosa, e come accade in queste situazioni, ti possono fare quel che li pare. Se fossimo morti sarebbe stato un incidente e non sarebbe stata colpa di nessuno. Appena usciti dalla Lombardia ci sentimmo come due persone appena sfuggite ad un attentato: eravamo rimasti solamente con i vestiti che indossavamo, ma ringraziavamo il Signore di essere ancora vivi, e la nostra vita era stata il nostro bottino[36].

A Roma cercammo un aiuto perchè avevamo speso i soldi per il treno. Passammo per fortuna solo poche ore  in stazione, perchè  anche a Roma la situazione è peggiore di qualche anno addietro. Ora non ci si può nemmeno chiudere un occhio seduto, se passa il carabiniere ti sveglia e devi rimanere dritto ed esibire il titolo di viaggio. Sembravano i vecchi tempi del militare. L'Italia sembra diventata un regime più che un paese libero, si rimpiangono i vecchi tempi del sacco a pelo a Venezia, almeno come idea di libertà.
Passiamo la giornata a chiedere aiuto a Roma, veniamo inviati da una parte all'altra della città, alla fine troviamo da dormire dentro un piccolo capitello del gas in una zona nascosta, davanti al cancello delle suore di Madre Teresa (senza che loro lo sappiano) nella zona del Celio. Il giorno dopo abbiamo più fortuna e riusciamo ad avere un aiuto in denaro e andiamo all'ostello.
Riusciamo a sistemarci e all'indomani andiamo in Procura di piazzale Clodio. Scopriamo che la Procura di Roma ha assassinato l'unica possibilità che ci era rimasta, ovvero di presentare tutti i documenti sottratti e/o smarriti utilizzando come canale diretto il procedimento aperto dal PM, correlato all'unico esposto pervenuto.
Il procedimento invece era stato chiuso all'inizio di gennaio 2006, senza regolare processo. Tutto era stato archiviato, senza che fossimo presenti, senza essere avvertiti, senza metterci nelle condizioni di esporre il caso, nonostante le nostre richieste, senza preoccuparsi di reperire i documenti che erano stati sottratti e/o smarriti. Come dire senza preoccuparsi del contenuto dei nostri documenti, ovvero di trovare quali nostre testimonianze scritte avevano scatenato una così perfetta diligenza nel far sparire tutta la documentazione inviata, compresa l'ultima raccomandata inviata* il 21 di Novembre[37] anticipata da un fax che ne avvertiva l'invio, e chiedeva una particolare vigilanza.
Questo decreto d'archiviazione* era nascosto dietro gli uffici di cancelleria. Non doveva emergere nulla, tanto noi dovevamo essere morti là vicino al lago, o bloccati nei dormitori della Caritas oppure essere usciti di senno.
Siamo riusciti ad averne una copia nonostante non fossimo avvocati.  Volevamo parlare con il Gip, ma non ci fu consentito.

Scandalizzati dal contenuto, siamo andati via da Roma con quel decreto di archiviazione che abbiamo considerato come un bottino di guerra perchè, secondo noi, dimostra eclatanti errori oggettivi e contraddizioni che mettono in evidenza paradossali incongruenze tra le dichiarazioni del PM e del GIP. Contraddizioni ed errori che non si sarebbero avuti con un regolare procedimento e con la nostra presenza, presenza contemplata nell'ottica di un sano e legittimo esercizio del fondamentale diritto alla difesa. Si tratta dunque secondo noi di una grave lesione nei nostri confronti sul piano dei diritti civili ed umani.
Secondo noi vi è stato anche un grave tradimento contro lo Stato Italiano, per non aver indagato sul contenuto dei documenti sottratti, perchè la sottrazione  di tali documenti è avvenuto all'interno di importanti istituzioni,  inibendo il potere dello Stato a favore di altri poteri, ovviamente contrari ed incompatibili.
E' indubbio, secondo noi, che si tratta di sottrazione di documenti, non è invece da considerarsi plausibile lo smarrimento[38] in quanto scientificamente secondo le leggi statistiche non vi può essere un'incidenza così elevata, da definirla "smarrimento".
Infatti lo smarrimento presuppone che l'evento sia del tutto fortuito, mentre la sottrazione prevede che vi sia un comportamento specifico, sistematico e non dovuto al caso. Visto quanto dichiarato dal PM relativamente al numero di documenti sottratti e/o smarriti, tale numero testimonia statisticamente che ci si trova davanti al reato penale di sottrazione. Un reato gravissimo se si pensa che è stato compiuto all'interno della Procura della Repubblica di Roma. Cosa che sembra essere accaduta pure a Milano e in prefettura.

Durante un procedimento è  diritto fondamentale poter  far pervenire qualsiasi testimonianza, dichiarazione o memoriale. Questo ci è stato impedito in due maniere. Non ci è stato permesso di far pervenire tale documentazione in nessuna maniera, nonostante nostra esplicita richiesta sul fax inviato e pervenuto al PM! In secondo luogo non siamo stati avvertiti e non siamo stati posti nelle condizioni di essere presenti, per fornire nostre testimonianze, difesa e documentazione sottratta.


A Roma non riusciamo a trovare aiuti, con il nostro bottino (il decreto di archiviazione sballato) cerchiamo fortuna in un'altra regione.

Il periodo Umbro

Da Roma pensavamo di ritornare verso Ancona, ma la fortuna volle che ci fermassimo a Foligno e ad Assisi dove trovammo accoglienza[39], un tetto e pasti caldi, ad un centro di prima accoglienza della Caritas.   Così decidiamo di andare a trovare il poverello (San Francesco d'Assisi )e chiedere una grazia. Alla mattina presto siamo alla Porziuncola e da lì decidiamo di provare a chiedere un aiuto nei numerosi istituti di suore. Una suora molto gentile ci offre la colazione e ci invia al centro di accoglienza della Caritas. All'inizio, in Caritas, ci diedero una settimana di tempo per trovare un'altra sistemazione o lavoro, ma poi ci fu concesso un mese. Nel frattempo Giovanna trovò un lavoro di lavapiatti e ci fu concesso ancora più tempo.  Seppur con le esigue entrate economiche, dovute al lavoro precario e non continuativo,  potemmo tornare ad interessarci delle questioni legali. Chiedemmo spiegazioni al magistrato*[40]di Roma e scrivemmo alcuni corposi documenti alla questura di Brescia*,[41] con la quale eravamo rimasti in contatto tramite email.
Continuammo ad inviare altro materiale a Brescia , fino a Maggio 2006. Non vedendo risultati e non ottenendo nessun contatto con la Polizia di Brescia, pensando che a Brescia  non si sarebbe mosso nessuno,  cambiammo strategia provando ad agganciarci alla pista del calcio dell'indagine sulla FIGC (Filippo Beatrice-Narducci) e all'indagine aperta a Napoli. Inviamo durante l'estate della segnalazioni dirette a tali magistrati.
Ma le diffamazioni e le chiacchiere di chi ci faceva terreno bruciato in ogni posto, arrivarono anche ad Assisi.
Verso fine agosto ci sbattono fuori dalla Caritas di Assisi.
In settembre i tempi erano maturi per andare a Napoli. L'8 settembre non avevamo soldi per pernottare a Napoli. Così passammo la notte nella stazione di  Chiusi-Chianciano in modo da riuscire tramite le varie coincidenze ad essere a Napoli in mattinata per presentare una denuncia in Procura. Spendemmo tutti i soldi che avevamo per andare a Napoli! (Senza sapere se ne sarebbero arrivati altri). A Napoli, in Procura della Repubblica  con 4.60 Euro si mangia il primo, secondo, contorno e pure bibita. Il tempo di mangiare e a Napoli ci avevano già assegnato il magistrato Borrelli della D.D.A..
Poi però per un disguido e per competenza le indagini furono trasferite a Perugia. A discapito di quanto si dice, Napoli fu il posto più efficente, pratico ed umano che trovammo. Napoli non è quel ciarpame di città e civiltà che continuamente si vuol far credere.

Il 10 ottobre 2006, sono ormai passati più di trenta giorni, dalla presentazione della nostra denuncia a Napoli. E circa due anni dalla prima richiesta di aiuto formulata ai carabinieri; due anni dall'inizio della sottrazione ripetuta delle raccomandate e fascicoli presso la Procura di Roma.. In Procura a  Perugia, la signora allo sportello "primi atti" dice che ci vorranno almeno 15 giorni per conoscere il nome del PM al quale è stata assegnata l'indagine proveniente da Napoli. Per noi è troppo tempo da aggiungere a quello già atteso. Così subito dopo essere usciti dagli uffici   inviamo una lettera email alla Procura della Repubblica di Perugia con richiesta di informazioni, seguita da un fax, che spiegava i motivi della richiesta del colloquio. I motivi di richiesta colloquio, indicati nel nostro fax, e non presenti nella mail, sono: “E’ fondamentale verificare che tutto il nostro materiale sia stato inoltrato e che il CD allegato sia leggibile. E’ d’obbligo questa verifica visto quanto accaduto presso la Procura di Roma e presso il Prefetto (Sottrazione di documentazione art. 616 c.p.). Vi è da verificare inoltre se è giunta la documentazione successiva da Napoli.” Il 12 ottobre ci risponde il PM assegnato ed in risposta dichiara:  “Presentatami oggi la richiesta di colloquio, che dovrebbe indicare i motivi per cui è necessario, non può essere accolta perché il PM, se ritenuto necessario, sente le persone offese ex art. 362 c.p.p. o delega tale attività alla P.G. Si autorizza il rilascio della certificazione ex art. 335 c.p.p., se richiesta. Si comunichi con” …
Ora abbiamo il nome del PM, che è un tutto dire se associato a quello di Roma, elementi da minestrone! Insistiamo chiedendogli se ha letto il nostro fax e i motivi della richiesta del  colloquio. Spediamo anche un lista del materiale che deve essergli pervenuto da Napoli. Includiamo inoltre una sentenza della Cassazione che riteniamo importante per il caso in oggetto. Il PM non ci concede nessun colloquio e rimanda la nostra documentazione, per i controlli, alla segreteria.
Il 22 Novembre, sono passati 2 mesi e mezzo dalla denuncia considerata "urgente" a Napoli. Sono passati più di due anni e un mese dalla prima richiesta di aiuto formulata ai carabinieri. Telefoniamo da piazzale partigiani, proprio davanti al palazzo della procura, in Perugia, alla segreteria del PM. Supplichiamo un colloquio con il magistrato e segnaliamo che ci sentiamo in pericolo e in stato di indigenza perché non abbiamo più sostegno, neanche dalle suore.
Il colloquio telefonico con la segreteria evidenzia che il magistrato non ha letto le carte, perché ci ha cercato in Veneto, mentre nei documenti da noi depositati vi era il chiaro riferimento che eravamo dovuti fuggire dal Veneto[41bis] per salvarci la pelle. Ci viene pure detto di presentare degli esposti per chiedere protezione. Ma questo è troppo! Significa che non hanno proprio letto i documenti: infatti vi è scritto chiaramente che è da anni che ci fanno sparire esposti e denunce ed è proprio per quello che il magistrato ha in mano la denuncia! La stessa richiesta di protezione è indicata nella denuncia.
Una cosa sola è certa: non ci è concesso di parlare con il magistrato. E continuera ad essere così. Noi lo vedremo solo molto tempo dopo, in fotografia,  in un articolo di giornale, restando stupiti che fosse giovane, pensavamo fosse anziano. 
Alla fine della telefonata ci viene richiesto di presentare una richiesta di tutela e così la presentiamo subito, il giorno stesso[42].
Il 24 novembre presentiamo un nuovo fax di otto pagine indirizzato alla segreteria del PM ed al PM: specifichiamo in forma scritta risposte e considerazioni sul colloquio telefonico del 22 novembre '06.
Nonostante le nostre richieste del 22 e del 24 novembre non otteniamo nessuna risposta. La Procura ci può interpellare via mail o via fax, come ha già fatto in ottobre, per comunicarci che non intende concederci un colloquio. Così il 28 Novembre '06 ci rechiamo in Procura. Tentiamo di parlare con qualcuno: dicono che siamo irreperibili? Eccoci qua a bussare di nuovo. Ci fanno parlare solo con la direttrice delle segreterie, che, comprendendo che qualche cosa non funziona, ci fa ridepositare la documentazione.
Le nostre preoccupazioni esternate alla Lavezzari, direttrice delle segreterie della Procura perugina e lo stesso rideposito, non producono nessun risultato.  Inviamo così un fax ai due PM indicati come D.D.A. di Perugia. In particolare poniamo ai magistrati dell'antimafia alcuni quesiti sorti dopo il colloquio con la Lavezzari.

A fine novembre "crolla" il nostro "castello" di Bastia.
Il 2 dicembre proviamo a telefonare al D.D.A. per vedere se ha letto la nostra documentazione. Troviamo l'ispettore Monori. Chiediamo un aiuto, un interessamento, un indirizzamento. Ci rimanda al magistrato. Per Monori sembra impossibile quello che diciamo, perchè ci dice che il magistrato lo conosce bene ed è una brava persona. Ormai è sabato: Monori dice che dobbiamo arrangiarci con il PM. Pensare che la segreteria del PM, ancora durante  il colloquio del 22 novembre ci aveva indirizzato all'ispettore di polizia, che il quel momento non c'era.
Presso la segreteria del PM non c'è nessuno: fanno la settimana corta, ed il centralino, nonostante le richieste di parlare con qualcuno di turno, ci chiude la comunicazione in faccia..

In Veneto, in questi brutti giorni, mentre noi stiamo lottando per trovare un tetto e una strada in procura, muore un nostro caro amico.  Lo sapremo solo  7 mesi dopo, quando avendo un pò di soldi in tasca, torneremo a cercarlo e non lo troveremo.  Era una persona molto buona, un frate, uno di quelli che  incontrò all'epoca  Padre Pio e cambio vita.

Il quattro  e cinque dicembre torniamo a Perugia. Non ci sono novità. Proviamo a interessare un giornale, senza risultati.

Le suore smisero di ospitarci e ormai la stagione  lavorativa ad Assisi era finita. Ci ritrovammo nuovamente in strada. Proviamo dunque a cercare aiuto a Gubbio. Non riuscendo a trovare nessuna opportunità a Gubbio proviamo disperatamente a Spoleto.
Purtroppo quei giorni erano di festa, e la caritas era chiusa. Grazie ad  un privato trovammo aiuto dai frati e grazie alla Provvidenza passammo un pò di giorni di qua e di là, andando a finire pure dagli assistenti sociali di Trevi passando per i sindacati di borgo trevi. Ma nulla di pratico si riusciva a trovare, così finimmo per partire, con nostra decisione per Città di Castello dove vi era una casa di accoglienza. Riuscimmo a trovare i soldi del treno da comuni passanti, i quali rimanevano alquanto stupiti delle nostre richieste perchè non eravamo nè barboni nè drogati. Se fossimo rimasti lì avremmo rischiato di morire per strada o fulminati da un prete che ha sempre dimostrato di non volerci tanto bene[44].

A Città di Castello ci fu l'occasione per chiedere consiglio nuovamente ai carabinieri. Visto che le operazioni precedenti non avevano dato risultati tangibili, questa volta i carabinieri ci suggerirono di riscrivere tutti i fatti partendo dall'inizio. Ci fu messa a disposizione una squadra costituita da tre persone: il comandante della stazione e due carabinieri della Polizia Giudiziaria. Fu redatto un verbale di varie pagine che rimandava ad altrettanti allegati. La denuncia-querela era completata da altri documenti masterizzati su CD. Per sicurezza fu valutato di mettere il CD sotto sequestro con relativo verbale. Fu un'operazione laboriosa e molto lunga. I carabinieri poterono in quell'occasione avere sotto mano le ricevute e in documenti in originale che risultavano scomparsi. La denuncia veniva depositata in Procura a Perugia il 21 dicembre 2006 ed assegnata al   PM Paci.

Ci chiediamo perchè il primo procedimento iscritto a Perugia trasferito da Napoli era con il modello 21, e quest'ultimo invece è con il modello 44. Ci chiediamo perchè il procedimento sia stato iscritto contro ignoti, quando invece è pieno zeppo di nomi e cognomi e reati. Alcuni di questi "misteri" vennero a galla molto più tardi.

Anche in questo secondo atto ci furono degli errori: il maresciallo che scrisse il verbale aveva indicato il nostro domicilio, seppur gli ordini del Capitano dei carabinieri erano di non indicare a nessuno dove ci trovavamo (nemmeno il Capitano lo voleva sapere, lo dovevamo dire a voce solamente al maresciallo). Il secondo errore, secondo la nostra opinione, è che il maresciallo con quello che aveva sentito e visto doveva da subito affidare l'indagine ad un'altra Procura (Firenze) o attivare altre procedure. In questa maniera ci fece perdere tempo prezioso e ci mise sicuramente in ulteriore pericolo.

Alcuni giorni dopo ci presentammo in caserma per ricevere una notifica. Il PM Paci ci notificava che confermava il sequestro del CD. Fu un segno positivo per noi, perchè vedemmo una reazione veloce di questo magistrato, ma dopo vi fu il vuoto completo,  perchè a Paci fu portato via il fascicolo ed assegnato come integrazione al magistrato precedente, senza che noi fossimo avvertiti.  Pochi giorni dopo fummo costretti a lasciare quel domicilio e forse fu meglio così. Scrivemmo delle lettere all'attenzione del Comandante e del maresciallo che aveva redatto il verbale. Lettere che riportavano altri elementi. Non ottennero nessuna risposta. Provammo anche a chiedere aiuto al comando provinciale e regionale: nessuna risposta. Probabilmente i carabinieri non potevano fare nulla e si doveva solo aspettare il magistrato, come ci aveva già anticipato il comandante. I carabinieri di Città di Castello erano di tutt'altra pasta rispetto a quelli del nostro paese di residenza o a quelli di Marone, forse perchè non avevano ancora avuto contatto con il comandante del nostro paese, il maresciallo P.P., che avevamo denunciato,  o forse perchè effettivamente di più ampie vedute. Questo ci fece ritrovare una certa fiducia nell'Arma, almeno in quella di Città di Castello.

Da Città di Castello ci spediscono  in casa di accoglienza per immigrati a Terni, casa del comune gestita dalla Caritas.
Il 7 Marzo, visto che la situazione non si muove con Perugia, decidiamo di chiedere l'intervento alla Procura della Repubblica di Firenze, che controlla per legge la Procura di Perugia.

La Caritas di Terni ci spedisce a cercare lavoro anche a Cascia. Il lavoro non lo troviamo, ma facciamo visita a Santa Rita. Qui ci incuriosisce il fatto che Cascia è gemellata con San Luca di Calabria. Non vi fa un certo effetto? San Luca è il paesino famoso per l'Ndrangheta, e Santa Rita è la Santa invocata anche contro le faide di famiglia e i problemi di mafia. San Luca è diventato famoso un pò più tardi, non in Marzo, ma in Agosto 2007, per la strage di Duisburg.

La svolta a Terni
In Marzo 2007, grazie all'interessamento di alcune forze dell'ordine, fu pubblicato un articolo sulla nostra vicenda nel Corriere dell'Umbria*. L'obiettivo dell'articolo era di smuovere il comune di Terni  a darci una mano ed eventualmente smuovere i magistrati. La situazione fu riportata in maniera molto leggera, altrimenti nessuno ci avrebbe aiutato.

L'articolo fu notato da un giornalista della RAI, ci contattò e partecipammo ad una trasmissione in diretta televisiva. In realtà il giornalista, dall'articolo sul giornale, aveva percepito solamente l'aspetto umano della vicenda e questo l'aveva notevolmente colpito. Quando comprese i problemi con la magistratura fece marcia indietro. Ormai però la nostra apparizione in TV era già stata fissata e così il nostro intervento, di comune accordo, fu plasmato sulla ricerca di un interessamento umano, evitando di parlare di magistrati, procure e quant'altro etichettando tutti i nostri problemi sotto la voce "Burocrazia".
Qualcuno telefonò in trasmissione per offrirci un posto, ma non ne venne nulla di concreto. Conserviamo ancora il documento, scritto di suo pugno dal giornalista del Corriere, con i nominativi delle persone che avevano chiamato in trasmissione.
Nonostante l'articolo sul giornale e l'apparizione in TV non si mosse nulla di particolare  dal punto di vista socio-politico e nella magistratura.

<>Tornando ai fatti TV, esattamente Il 13 Maggio 2007, il conduttore Magalli, in diretta televisiva dagli studi di via Teulada in Roma, dopo un’intervista, sollecitava l’Umbria a darci una mano e lo faceva per ben due volte.  A darci una mano a trovare un lavoro dignitoso e poter vivere come famiglia, considerando tra l’altro le nostre capacità, gli studi e la situazione che avevamo passato. La nostra fu presentata come una storia d’amore, di una famiglia che nonostante tutte le avversità era rimasta assieme. All’indomani, i gestori della casa d'accoglienza, come niente fosse accaduto, proposero a Giovanna un lavoro come badante 24 ore a una vecchietta loro conoscente. Cioè quel lavoro che fanno in genere certe straniere che comporta di avere una giornata libera a settimana e per il resto di vivere nella casa dell’assistito giorno e notte (rompendo di fatto una famiglia). Ma le straniere hanno una casa loro, una famiglia, il loro punto di riferimento nella loro patria….Quelle parole alla TV non avevano minimamente toccato il cuore di questi “operatori”, che andavano sempre diritti verso la loro strada già decisa nella loro testa: noi dovevamo vivere separati e basta! Di sostanza questo fu sempre il comportamento di queste persone.
Infatti, a Pasqua, dopo l'apparizione TV, il direttore della Caritas aveva preso la decisione di farci rimanere insieme, almeno per alcuni giorni . Ma gli operatori non ce lo dissero, e lo venimmo a sapere per caso fortuito da altre persone non incaricate. Per un altro caso, entrammo in contatto con una famiglia importante di Terni. Durante l’incontro appurammo che tali persone avevano riferito vari fatti, personali, a questa famiglia. Il problema è che  noi tali fatti non gli avevamo mai raccontati agli operatori. Un’altra situazione sul nostro conto la raccogliemmo proprio per bocca di un carabiniere, che era stato informato, sempre dagli operatori in maniera nettamente negativa.Il carabiniere appena informato, chiamò subito in Caritas.
In Umbria, un prete indirettamente ci diede la sua personale spiegazione: ci invitò a lasciare l’Umbria, perché sicuramente non avremmo trovato aiuto.
<>Tuttavia, lasciando perdere la questione umbra, cose simili erano accadute in Lombardia. Una responsabile di Brescia, come possibile alternativa alla vita in tenda, ci aveva dato la possibilità di entrare Matteo in un dormitorio maschile e Giovanna in un dormitorio Femminile, che si trovavano in due luoghi distanti. Noi sapevamo che vi erano soluzioni per le famiglie, ma ci disse di scordarcele! e poi ci disse la frase "voi volate troppo in alto". Come abbiamo già detto, la Caritas è molto brava a dividere le persone, e poco brava a unirle, rigiriamo come si fa con gli assegni la frase "non separi l'uomo ciò che Dio ha unito", aggiungendo  il concetto che un'altro esperto divisore, dovrebbe essere combattuto dalla chiesa e dai suoi organismi, non favorito. Invece purtroppo notiamo con rammarico, che in questi organismi è facile trovare avvocati per divorziare, e quasi impossibile trovare avvocati per chiedere giustizia.  Andando a scavare più a fondo, emerge, che in occasione del nostro matrimonio, un parroco si rifiutò di consegnarci il certificato di battesimo, senza nessuna spiegazione plausibile. Il problema fu sanato solamente grazie ad un altro sacerdote, che conoscendo l’ambiente dal quale provenivamo, si attivò presso la Curia di Padova. E se andiamo ancora più a fondo troviamo la minaccia verbale degli stessi parenti, ad esempio la madre di Matteo a Giovanna (frase del tipo, -“se pensi di portarmelo via te la farò pagare, vedrai cosa ti farò, te ne pentirai in vita”-). Da allora di vicende ne sono accadute tante, molte delle quali già descritte nei 500 fogli già depositati..
<>Queste  sono cose vecchie, ma sembrano non finire mai. Anzi i vecchi mali non curati, possono degenerare in patologie ancora più gravi...
<>
<>Tornando in Umbria, ora gran parte dei problemi gli abbiamo avuti con alcuni operatori delle case di accoglienza, problemi che vorremmo spiegare, fare capire. Qualcosa avevamo accennato all’ispettore T.R. , in marzo 2007 che si era letto il verbale scritto dai Carabinieri di Città di Castello, riportante in 11 pagine grosso modo la nostra vicenda. Qualcosa raccontato a C. , poliziotto della volante, qualcosa l’Ispettore S., che era venuto in contatto con noi tramite fax per una comunicazione che vi proveniva dalla Procura di Perugia, e infine l’Ispettore C., con cui non abbiamo mai parlato, ma, per quanto riferitoci, aveva ricevuto i nostri fax inviati alla Questura, senza aver approfondito la questione. E poi un'altro ispettore che raccolse le testimonianze  degli atti di bullismo e delle minacce di morte.

A Terni dunque vi fu un vero e proprio braccio di ferro, tra alcune persone che ci aiutavano e altre che ci ostacolavano con zelo. Fu una vera e propria guerra. Ci aiuto inizialmente il giornalista con la pubblicazione dell'articolo che ci riguardava, poi però lo perdemmo, ma ottenemmo l'aiuto "invisibile" suscitato dall'interesse mediatico e anche di un altro giornalista di un'altra testata. Non avevamo il favore del sindaco e degli assistenti sociali e nemmeno dei preti, ma solamente l'aiuto della  Polizia e dei giornalisti. All'interno della Caritas, qualcuno che inizialmente ci era sfavorevole, cambio opinione dopo che si rese conto di vari comportamenti strani e ci aiuto lui direttamente...
La battaglia a Terni era dunque molto dura, vi erano dunque due fronti. Siamo stati ostacolati particolarmente da fili tirati da un prete vicentino e da altre persone di Assisi...e la battaglia si trasferì pure fuori Terni, anche a Pescara, dove finalmente uscirono alla luce del sole degli elementi importanti,  e questo ci  fece decidere di formulare in maggio 2008 finalmente una denuncia pubblica*.

A Terni, Il 23 di Maggio 2007 , ci arriva la comunicazione sul nostro internet fax. E' il  primo PM di Perugia che ci scrive su sollecito della Procura di Firenze. Ci  ribadisce, attraverso la Polizia Giudiziaria di Perugia e Questura di Terni, che non ci concede il colloquio da noi richiesto. Ci segnala che ha delegato tale incarico alla "p.g." Cosa che ci aveva già reso noto tempo prima.
Dalla comunicazioni apprendiamo però delle novità.

a)La prima novità positiva  è che Firenze ha chiesto informazioni sul procedimento di Perugia, ed ha dunque accolto il nostro esposto/denuncia del 7.3.7. La seconda novità, negativa,  è che la Polizia Giudiziaria di Perugia delegata dal magistrato, aveva subdelegato a sua volta, la nostra richiesta di protezione, ai carabinieri del nostro paese di  residenza. Si tratta di una grave incoerenza nell'attribuzione, visto che dentro quelle denunce risultavano contestati proprio ai carabinieri di residenza e al loro comandante  i reati di minacce, abuso d'ufficio, omissione in atti d'ufficio, comportamento contrario al regolamento, diffamazione.
Dunque Perugia ancora una volta si comporta in maniera incomprensibile visto che ci ha dato in pasto al  "nemico", poteva benessimo subdelegarla alla Polizia di Padova, perchè non l'ha fatto? Perugia non ha nessuna scusante e tantomeno il magistrato di tale procura, visto che i fatti riguardanti i carabinieri erano stati depositati a partire da marzo 2005. Tale documentazione era si sparita misteriosamente a Roma, ma era stata prontamente sostituita da una copia depositata a Napoli e successivamente ridepositata un'altra volta a Perugia. Il magistrato di Perugia aveva inoltre un bel verbale scritto dai carabinieri del'Umbria in data 19.12.06,  che era incentrato proprio sui fatti incresciosi accaduti all'interno dell'Arma. E al punto 5 delle nostre richieste conclusive, alla fine di tale  verbale vi era scritto a caratteri cubitali: "Che venga fatta chiarezza sull'operato del maresciallo P.P. in servizio presso la stazione dei carabinieri di XXXX ...".
E non solo, all'interno di tale denuncia si fanno i nomi di altri tre carabinieri di tale stazione e si fa riferimento ad un altro carabiniere sempre di tale cittadina, che stranamente abbiamo trovato in servizio nel piccolo paese di Marone  dove avevamo tentato di rifarci una vita. Ma se tali carabinieri  da noi denunciati hanno influenzato il comune di residenza e i comuni dove avevamo tentato di rifarci una vita fuori regione, non osiamo immaginare cosa possano aver fatto a livello d'indagine e come possano aver  influenzato  la stessa  Polizia  Giudiziaria di Brescia e di Perugia.
Ora i magistrati di Perugia, se ci avessero concesso un colloquio,  probabilmente non avrebbero commesso questi gravi errori. I magistrati invece hanno voluto solo ascoltare gli altri, chiudendo tutti i procedimenti senza che mai questi arrivassero ad un processo e senza mai sentirci e/o vederci in faccia. In questa maniera hanno infranto il nostro legittimo diritto alla difesa, hanno infranto cioè uno dei principi della giustizia, riconosciuto a livello internazionale e pure incluso nella nostra Costituzione. E poi hanno commesso questa grave incoerenza nell'attribuzione della pg competente per le indagini.
In fondo però ci è andata bene, perchè i Carabinieri di residenza rifiutarono l'incarico e lo rimandarono all'organo PS competente, senza specificare quale fosse. Non abbiamo mai saputo quella nostra pratica dove sia finita, certo nessuno ci ha mai risposto. Nessuno ha mai attivato quella richiesta di protezione che la stessa segreteria del magistrato di Perugia ci aveva indicato di richiedere.

b)La Procura di Perugia, fece un'altra cosa dubbia. Siccome a detta sua non eravamo reperibili al nostro indirizzo di residenza, inviò la notifica del 23 maggio a mezzo mondo, con tanto di articolo di giornale... in questa maniera resa vana la nostra privacy, perchè indicò, in questa maniera a molte persone, dove ci trovavamo, visto che nell'articolo vi era pure l'indirizzo. Cosa che non era ovvia, perchè il Corriere dell'Umbria è un giornale a tiratura regionale e in TV non abbiamo mai dato indicazioni sulla città ove vivevamo. Perche la Procura fece questo gesto visto che sapeva benissimo  come reperirci, ovvero tramite fax o email?. Ci aveva già scritto iin varie occasioni precedenti e sapevano benissimo che non eravamo reperibili in veneto! In questa maniera, invece di proteggere la nostra privacy e incolumità, come avevamo chiesto, non fecero altro che sprampanare le informazioni in giro.. soprattutto in luoghi poco consoni come in veneto, fornendoli anche ai Carabinieri che avevamo denunciato ancora nel 2005.
Noi di tutta risposta e come contromossa, visto che la giustizia normale non riesce ad avanzare,  scrivemmo all'esercito, chissà che con i carrarmati qualcosa si muova! Ebbene, il tempo tecnico di arrivo della lettera, e il lunedì mattina, alle ore 7.58 dall'ufficio di Perugia, ci viene spedito il medesimo fax, del 23 maggio, con la sola differenza che questo ci arriva direttamente dall'ufficio registrazione di Perugia.

c)Con il fax del 23 maggio 2007, grazie sempre a Firenze, apprendiamo anche un'altra cosa negativa.  Il secondo procedimento, depositato a Perugia il 21 Dicembre 2006 (quello scritto dai Carabinieri di Città di Castello), è stato inglobato nel fascicolo del primo PM e il  PM Paci al quale era stato affidato inizialmente  messo a tacere. Ecco perchè non ci rispondeva!

Ma Firenze dopo questo atto eroico,  di richiesta di informazioni sul procedimento a Perugia, in qualità di Procura controllante, si arenò. Probabilmente Firenze non valutò bene la potenza delle amicizie che avevano fatto sparire i nostri esposti e denuncie a Roma. Questa gente non si può combattere a viso aperto, occorre usare la loro stessa tecnica, la tecnica di rimanere invisibili, ovvero delle indagini abbastanza segrete. Come? Beh innanzitutto ci dovevano chiamare e farci il terzo grado su l'intera vicenda, acquisire il materiale, e procedere le indagini senza rendere nota la questione. Purtroppo abbiamo notato come ognuno pensi di essere al sicuro in casa sua di certi problemi. Più di qualcuno ha esclamato: "anche se queste cose sono capitate a Roma, è impossibile che capitino qui". In proposito, anche la polizia e i carabinieri pensano in questa maniera. Noi abbiamo lasciato dire, ma non è mai stato così. Le carte sembrano essere fatte per essere perse, è anche per questo che esiste "Autodifesa".  Non era sufficente vedere le prove di sparizione delle carte a Roma per capire che occorre attivare un procedimento particolare? Magari una bella chiacchierata senza nulla di scritto. Per combattere mafia e massoneria occorre usare gli stessi metodi: al massimo dei foglietti gialli, niente nomi dentro i registri, cinque bibbie... A parte gli scherzi i sistemi tradizionali sembrano proprio non funzionare, per un semplice fatto che lasciamo a voi capire.

Insomma, anche Firenze alla fine, non ci ha mai  voluto parlare. Eppure avevamo insistito parecchio.  E noi che pensavamo che Firenze fosse più intelligente. Alla fine, anche le Procure si accordano, un po come gli avvocati che hanno rovinato la giustizia, e chi va di mezzo sono i cittadini.
A Firenze testualmente avevamo scritto:
"Noi chiediamo un aiuto, un colloquio con un magistrato il prima possibile. Da Perugia non ci aspettiamo nulla di buono. I magistrati non ci hanno concesso un colloquio nemmeno dopo l’articolo sul giornale e la partecipazione a “Piazza Grande” su Rai Due.  Noi vorremmo un colloquio con un magistrato, non tanto per fornire elementi o testimonianze le quali sono state ampiamente trascritte in più di 500 pagine già depositate, ma perché questi intervenga al fine di poter ritornare a vivere come cittadini liberi, sciogliendo quei nodi che sono scaturiti dal mancato intervento dello Stato, mancato per la sparizione all’interno degli uffici pubblici delle nostre pratiche.
Facciamo solo un esempio: nel 2004 ci era stata una violazione di domicilio presso gli uffici della nostra attività, uffici presi in subaffitto. Ci era stato negato l’accesso cambiando la serratura: questo reato fu “mascherato” come semplice problema di ordine economico. Avevamo fatto denuncia e chiesto l’intervento dell’autorità per rimuovere gli ostacoli e per farci rientrare all’interno dei locali della nostra attività, ma il ripetersi delle sottrazione delle nostre pratiche impedì lo svolgersi del normale iter di legge. Fummo impediti in tutte le maniere di fare qualsiasi azione. In questa maniera non solo perdemmo l’attività, il lavoro, l’auto… ma inevitabilmente ci furono delle cause contro di noi. Noi non potemmo difenderci in nessun modo e dovemmo emigrare chiedendo aiuto da fuori Veneto, anche per la nostra incolumità."

L'estate non porta novità nel fronte Firenze, però a noi continuano a capitare fatti poco belli. Cominciamo così a scrivere alla Questura di Terni*, chiedendo un confronto. Non ci sarà. Non abbiamo mai avuto fortuna con i gabinetti e le cancellerie.

Il tempo passa,arriva Ottobre 2007.
Persa ormai ogni speranza su Firenze, proviamo un'altra strada: cominciamo a fare le pagine dell'Unico (il tornado). Queste pagine sono nate direttamente in inglese perchè i vari fatti hanno un'importanza che scavalca il confine nazionale. In Italia poi sembra non esservi nessuna strada percorribile. Partiamo da Vittorio Cini. Noi Cini lo avevamo già "incontrato" nel 2004, a proposito della scoperta degli Estensi e a proposito della Fondazione Cini di Venezia, a proposito di Ferrara. Attraverso Cini e alcuni documenti di intelligence che lo riguardano, parliamo del scenario incredibile sul fascismo, sulla massoneria, su Venezia ed il Veneto.  Le pagine dell'unico diventano una parte integrante di Autodifesa perchè rappresentano l'ambiente veneto nel quale abbiamo vissuto per più di 30 anni, un ambiente tutt'altro che calmo e tranquillo o "polentone". Un ambiente ricco di terrorismo (Freda -PD, Ventura, Zorzi-VI), attentati allo Stato (Rosa dei Venti-PD, Ordine Nuovo, Borghese e lo squadrone veneziano), Nazismo, contatti con le forze Nato dei gruppi paramilitari di estrema destra (Generale Magi Braschi - Verona, ....),  ....
Insomma un bell'ambiente, vivace ed intraprendente, anche per questa vivacità tanti veneti si sono lanciati nell'imprenditoria....
E tanto intraprendente da far sparire qualsiasi  innocuo esposto diretto alla Procura di Roma.....
Non si sa mai!

Autodifesa resta ma  cadono le difese immunitarie
E' Novembre 2007, ormai Il nostro sistema immunitario si è indebolito, tanto che a Matteo è comparsa una malattia improvvisa che ha portato a un ricovero d’urgenza. Il ricovero è stato immediato, per febbre alta, globuli bianchi con valore doppio al valore massimo  e piaghe nei piedi e in altre parti. I medici che l'hanno ricoverato hanno detto che non hanno mai visto una cosa simile.  Visto che la malattia poteva presentarsi come un’infezione tipica di soggetti con difese immunitarie compromesse e stato predisposto l’esame dell’AIDS (risultato negativo). La malattia riscontrata è un Pioderma. Questa malattia  è normalmente originata da un’altra patologia pregressa, dunque sono stati fatti molti esami per trovarne l’origine, ma non sono stati riscontrati elementi significativi. Dunque  la situazione è  dovuta probabilmente alle condizioni di vita, allo stress, alle mancate cure, alla vita in casa di accoglienza (che prevede l’uscita alle 8 di mattina e il rientro pomeridiano, anche in condizioni di febbre). In queste condizioni probabilmente l’organismo si è indebolito fino a creare le condizioni che anche una normale infezione, come ad esempio un mal di gola, possa degenerare in situazioni gravi. La malattia non è contagiosa.
Facciamo notare che ai medici non è stato possibile raccontare il tipo di vita che uno ha vissuto, loro non sapevano nulla di "autodifesa", della vita in tenda, e dello stress.
Ma ad altri era da parecchio tempo che facevamo presente che siamo in condizioni precarie di salute e abbiamo bisogno di un reale interessamento, lo avevamo fatto anche per iscritto ancora al PM di Perugia , risolto con un nulla di fatto .  Se Matteo è in queste condizioni, Giovanna non è messa tanto meglio.
Noi riteniamo che in condizioni normali  saremmo usciti da questa situazione di degrado economico e culturale e saremmo riusciti a camminare con le nostre gambe, senza arrivare, per la mancanza di cure a una situazione di questo tipo, a chiedere una mano alla Caritas e alla Polizia. Vi diciamo che ci abbiamo messo il massimo impegno. Tuttavia la difficile situazione di interferenze che abbiamo subito, ci ha chiuso le vie possibili e minato la nostra rinascita e addirittura creato ulteriori danni come quelli rilevati dal referto medico.

Passiamo anche l'ostacolo ospedale, e dopo aver portato a San Francesco ex-voto, chiediamo per l'ennesima volta che Firenze o Terni intervenga sulla nostra situazione,  tirateci fuori da queste case di accoglienza di Terni, dove viviamo in scarse condizioni di igiene dove vi sono persone non in grado di valutare la nostra situazione. Non si può nemmeno dormire tranquilli la notte per paura di essere derubati. Cosa tra l’altro già accaduta o essere inevitabilmente coinvolti in situazioni gravi  già segnalate.  Ma nulla da fare.

Noi avevamo bisogno di una certa tutela, come ad esempio non essere visibili con i nostri nomi in contratti di affitto, acqua,luce e gas, e  avevamo anche esposto questa situazione alla Caritas. Con il lavoro riuscivavamo a pagare una modesto appartamento, ma non potevamo farlo esponendoci direttamente, ma ci fu risposto che dovevamo arrangiarci e prendere residenza per essere aiutati dal comune.  Tuttavia la nostra esperienza è basata su ben altri parametri e problemi. Il nostro comune di residenza non ci ha mai voluto aiutare, nemmeno dopo aver presentato le dovute dichiarazioni poste per iscritto, anzi dopo si sono resi “irreperibili” alle nostre comunicazioni . Il comune di Terni invece non si è mai pronunciato in merito, nemmeno dopo l’articolo comparso sul Corriere dell’Umbria, che doveva avere lo scopo proprio di far intervenire appunto il comune, e nemmeno dopo l’accorato appello in TV di Giancarlo Magalli in diretta su RAI DUE il 13 Marzo 2007. Tutti questi segni devono far capire che il problema è di altra natura e che deve essere risolto da un’autorità con i metodi adeguati e soprattutto che tale autorità sia in grado di percepire la reale situazione alla quale si trova davanti.

In Novembre '07, mentre Matteo era all'ospedale, qualcuno aspettò di sera, nella stradina deserta che porta all'abitazione, in macchina,  Giovanna. Tento di investirla. Dopo la dimissione dall'ospedale, le cose peggiorarono ulteriormente e ci furono degli atti di bullismo contro le nostre persone e minacce di morte, verbali e di altra natura. Sembrava che ormai a Terni non tenesse più nulla. Non ci sentiamo più al sicuro da nessuna parte, e non tengono più nemmeno le amicizie con i giornalisti. Per un pò ci siamo rifugiati in un altro luogo, rimanendo anche nascosti. Oltre alle minacce precedenti, vi si aggiungono ora quelle di questa specie di banda di stranieri, che vive in casa di accoglienza,  l'abbiamo vista aggirarsi anche nel posto ove ora siamo, e  vi è anche stato un tentativo di intrusione attraverso una porta che dà sul giardino. Abbiamo paura, perchè  abbiamo sentito che altre persone sono state minacciate di morte dallo stesso gruppo di stranieri e  sono scappate impaurite di notte.
E' incredibile come solo pochi elementi pericolosi, appena usciti dal carcere,  posti all'interno della casa di accoglienza, abbiano in poco tempo organizzato una vera e propria banda. Molti di questi, si riuniscono alla sera e  guardano tutti i film di mafia alla TV. Perdono la testa per il padrino, o per la fiction di "Riina". Il guaio è che per loro i mafiosi sono un modello da seguire. Macchine, soldi, donne e potere, e il mafioso è l'uomo d'onore, è l'uomo. Alle volte questi stranieri parlano proprio lo slang siciliano: "Italiano, Tu mi devi portare rispetto.". Effettivamente alcuni di questi sono stati in Sicilia o in Calabria prima di arrivare a Terni, e vi assicuriamo che fanno veramente impressione. Il capo carismatico, non alza mai un dito, fa fare le azioni agli altri, e si fa capire a cenni, indica chi può parlare e chi no. Insomma in pochi mesi la casa per immigrati è diventata una cosa estremamente pericolosa. Prima non era uno scherzo,  c'erano gli albanesi, i romeni che rubavano fuori, ma non vi era mai stato un clima del genere. Ognuno faceva gli affari suoi, ma a venire a rompere le scatole agli altri, fino a dire "tu devi fare le pulizie", in improvvisati turni notturni, questo non era mai successo.
La Polizia non può darci aiuto più di tanto. Si può fare denuncia, ma questo non risolve la questione, mancano delle vere e proprie leggi in materia e le risorse sono poche. Per questi motivi speriamo di trovare alquanto prima qualcuno che ci aiuti ad uscire da questo posto e trovare un'altro luogo dove vivere. Crediamo che queste persone siano state inviate, nel nostro caso,  in qualche maniera da qualcuno.  Purtroppo l'Umbria ha tanti legami con le nostre terre e pure con altre aree del sud da dove vengono tanti problemi. Loro non si sporcano mai le mani, mandano sempre qualche altro.  Il problema nostro è che vivendo all'interno di strutture di accoglienza siamo esposti a vedere comportamenti non leciti,  e le reti di droga  riportano in qualche maniera all'ambiente veneto e della sottostante Calabria, nel sotto-scala insomma.

Fin dal nostro arrivo a Terni, qualcuno tento di farci sloggiare, in tutti i modi. Alla fine le cose si manifestarono sempre di più fino a prendere la piega che abbiamo descritte nelle ultime righe.

Il periodo Abruzzese

Dopo l'ospedale, dopo le minacce di morte vi è stata pure  la fine del lavoro a Terni, all'inizio di gennaio 2008. E dopo non siamo riusciti a trovarne altri, e in due mesi siamo ritornati completamente poveri. Nell’ultimo periodo vissuto lì  non avevamo più soldi, mangiavamo molto poco e così con un prestito di 150 Euro della Caritas  abbiamo deciso di partire a cercare un aiuto in altra regione. Non pensavamo, dopo essere stati in TV, che potessero tornare i tempi brutti di quando pativamo la fame, in tenda sul lago d'Iseo. Partire da Terni è stata dura, perchè comunque in quella città conoscevamo qualcuno.
Siamo arrivati a L'Aquila il lunedì della settimana santa. Siamo rimasti dieci giorni nel capoluogo  dormendo il primo giorno vicino alla fonte delle 99 cannelle, e nei giorni successivi in vari istituti di suore. Mangiando alla mensa dei poveri. All’inizio la Caritas del capoluogo ci diede alcune notti pagate da loro presso le suore , poi  dal Venerdì Santo ci dovemmo arrangiare perché per le vacanze di Pasqua la Caritas rimase chiusa sei giorni. Riuscimmo a trovare posto, per misericordia, un giorno di qua e di là, passando e bussando, sotto la pioggia, per tutti gli istituti di suore  e frati della città. Ci eravamo recati pure ad un  giornale locale,  che ci aveva promesso l’uscita in due e tre giorni, di un articolo su di noi, cosa che però poi non avvenne. Il sabato santo lo abbiamo passato in albergo grazie alla colletta fatta da alcuni studenti stranieri, ai quali ci eravamo rivolti in piazza per chiedere aiuto.  La Caritas riaprì mercoledì 26 marzo ci trovò, attraverso un  signore, una soluzione  in un altra città, a Pescara,  nel dormitorio; quel signore era convinto che  comunque  avremmo trovato aiuto e sostegno anche per il lavoro. In quei dieci giorni passati nel capoluogo abbiamo girato parecchio, ma non abbiamo trovato nessun lavoro e nessun aiuto per un alloggio provvisorio. Alcuni segni fisici del freddo patito in quei giorni ci sono rimasti.  Parlando con alcuni stranieri, abbiamo scoperto che loro erano stati aiutati concedendo loro degli appartamenti o una stanza. Ci siamo rammaricati, invece per noi, italiani non vi è mai posto, eppure L'Aquila ci è sembrata una bella città , ricca.

Pescara è una bella città, ed i pescaresi sono generosi, e questo forse ci ha permesso di resistere per vari giorni, a discapito di chi invece ricopre incarichi ufficiali, che di fatto non rappresenta, almeno in questo senso, i pescaresi. Viviamo alcuni giorni intensi.
Il 27 Marzo 2008 entriamo nel dormitorio che abbiamo ridenominato "il lagher di Pescara".
Alle 20.00 facciamo la fila per entrare. C'e' un portone grande, con accanto una porta piccola. Il recinto è alto e non lascia trapelare nulla di quello che vi è all'interno e viceversa. Dentro vi sono delle casette di legno molto carine, e la fila dei container  numerati con un numero e una matricola. Si trova tutto all'interno di una vecchia fabbrica, la  Napol Plast forse fallita. Il dormitorio è del comune ma è dato in gestione alla Caritas. Appena entrati, il primo giorno, occorre far vedere il timbro e il foglietto di entrata dato dalla Caritas, che viene prelevato e distrutto onde evitare che venga usato per altro scopo (usarlo per chiedere l'elemosina). Si firma la propria presenza, ogni sera in una lista ove sono riportati nomi e cognomi di tutti, senza dunque  privacy.  Io e Giovanna ci troviamo su due container vicini. Ogni container ospita una persona. Dentro il container vi è il cesso, il lavandino, il letto  e un climatizzatore molto grande attaccato alla parete. La casa è un parallelepipedo di 2,20 metri di lunghezza, due metri di altezza, meno in larghezza. Insomma ci sta a malapena il letto, lavandino e cesso come si vede nella foto.
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  Occorre farsi la doccia ogni sera prima di andare a dormire. La doccia è obbligatoria, ma se non sei tra i primi ti tocca lavarti con l'acqua fredda. Entro le 11 tutti devono aversi fatto la doccia, si deve rientrare nelle camere  e non uscire più fino alla sveglia alle sette. Il letto è fatto con i lenzuoli di plastica-resina, nel materasso vi è un anti-pipì per anziani, fino ad una certa altezza  il materasso è coperto dal nylon. Sembra di dormire dentro un preservativo. Si ha una coperta molto corta, di tipo quelle che vi erano a militare, vi è la possibilità di avere una seconda coperta (in foto dettaglio sul letto).

 Qui, diversamente da militare,  è molto caldo con una piccola variante. A militare si poteva entrare in camerata alle 18.00, qui alle 20.00 e l'entrata massima a militare era alle 23.00 nei giorni feriali, qui alle 22.00 sempre. Neanche nei giorni festivi si può stare in dormitorio in  giornata, a Terni almeno i festivi si poteva dormire, vi era la cucina e la TV.  Nel container per tutta la notte il climatizzatore si accende, sparandoti addosso un'aria fetida, scaricando tremori alla struttura all'accensione, che inevitabilmente ti fanno svegliare. Si accende ogni quindici minuti , e mentre alla sera è molto caldo, alla mattina non riesce a scaldare, crea solo umidità. Alla mattina, si fa la fila, in piedi per un bicchiere di caffe o di latte, a volte con qualche biscotto misero. Qualche operatore non si preoccupa di scaldare altro latte se non basta. Se non arrivi tra i primi bevi solo caffè e niente biscotti.  Si esce in qualsiasi condizioni entro le 8.00. Una mattina diluviava,  tutta la strada era  allagata, come una buona parte di Pescara come appurato dai giornali. L'uscita fu sempre alle 8.00 precise. Per fortuna un lavoratore ci caricò sulla sua auto, altrimenti saremmo stati con i piedi bagnati fino a sera, al rientro alle 20.00. La strada infatti era allagata per km in quella zona.
Non vi devono essere differenze tra le persone. Non si può entrare nelle camere degli altri, vi è solo una camera ove si può stare tutti assieme per mangiare. Non si possono usare proprie coperte o propri lenzuoli per separarsi dal nylon, lo si può fare solo di nascosto, sempre che non vi siano spie. C'e' il posto per la TV, ma la TV non c'e' più perchè qualcuno deve aver creato problemi e così è stata tolta per tutti. E' tipico in questi ambienti. Vengono spesse offerte delle punizioni "globali". La TV comunque  la si può spiare dai balconi della casetta degli operatori.

Se si trasgredisce si viene puniti, generalmente con l'uscita immediata dalla struttura alla strada. Chi litiga viene posto subito fuori. Se qualcuno compie una stronzata viene punita tutta la camerata.  L'operatore alla mattina può aprire la porta per la sveglia, senza preoccuparsi di bussare, indifferentemente per uomini o donne, qualche operatore sembra pure latrare quanta rabbia ha in corpo, ovvero un ex ospite che ha ricevuto anche lui tale trattamento ed è divenuto poi esso stesso da vittima a stronzo, stessa cosa e psicologia capitava a militare (i veci). E poi via tutta la giornata in giro a trovare lavoro. Noi qualche aiuto lo abbiamo avuto da stranieri che ci hanno indicato alcuni posti dove andare a trovare vestiti o soluzioni.
 
Dopo una settimana siamo stati "analizzati" e "disinfestati" e abbiamo la fortuna di passare dai container alle casette di legno.  Io finisco in una stanzetta al numero 26, ho un'armadietto senza chiave, come tutti. Non c'e' più il climatizzatore infernale che in una settimana mi aveva già procurato tremendi mal di gola, raffreddore, bronchite e mal di testa. Ora sono con due anziani. Uno dei quali ama spogliarsi in camera e farsi vedere il sedere, ed ha  pure il vizio di  masturbarsi  durante la notte. Una situazione che non auguro a nessuno eccetto  naturalmente ai responsabili. L'armadietto è senza chiave, ci dicono perchè così il personale può ispezionarlo liberamente. Dunque non si ha nessuno spazio personale o sicuro dove lasciare le proprie cose personali e tutti possono mettere cose su quelli degli altri. Il luogo è pericoloso e mi porto la borsa anche in bagno e di notte la posiziono sotto il letto. Soldi non ne ho, ma ho il telefono, vari documenti, e l'incartamento relativo a  denunce e esposti presentati nelle varie Procure e la macchina fotografica.

 Noi dopo i 30 giorni, per legge siamo stati messi fuori, perchè non avevamo trovato lavoro. Senza destinazione oltre la strada. Il   manuense segaiolo era ancora là, dunque per lui e per qualche altro non vale la stessa legge.  E' stata comunque una liberazione uscire da quel lagher, fortunosamente per quanto tentammo, non riuscimmo  ad avere nessuna proroga.

La psicologia, i modi di trattamento, del dormitorio, sono molto simili a quelli utilizzati nei lagher, e ce ne siamo resi conto ancor di più dopo aver letto alcune testimonianze in proposito. Probabilmente in questi ambienti, senza nessun controllo, si creano delle situazioni malsane, tra chi è operatore e chi è ospite e quello che succede capita dentro quei muri, al di là degli occhi delle persone, cose che evidentemente non vengono fuori o a galla come si suol dire...
Ad Ancona, abbiamo sentito, si è intenzionati a costruire, un grande punto di accoglienza per poveri. Una struttura molto grande dove raccogliere tutte queste persone bisognose. Un lagher insomma! In effetti dentro questi centri di accoglienza vi sono persone con disturbi mentali, zingari, stranieri, e qualche italiano malsano e poi noi. Insomma una tipica popolazione da lagher.

Il 28 Aprile usciamo con tutte le borse dal dormitorio, non vi è nessuna destinazione o progetto per noi da parte della Caritas. Come si dice sono cavoli nostri.  Il 25 aprile, ovvero qualche giorno prima, la famiglia di Penne (PE) che doveva prenderci come badanti/custodi aveva cambiato idea, optando per una coppia di stranieri. Non ce lo dissero nemmeno direttamente, ma tramite il convento dei frati di Sant'Antonio in Pescara. Speravamo di uscire dal dormitorio ed andare a vivere e lavorare lì, era già da due settimane che la trattativa andava avanti. Purtroppo però i vecchietti avevano molti figli, che dovevano accordarsi. E si sa,quando ci sono di mezzo i parenti, non si va dove si va a finire. Abbiamo passato tutto il ponte del 25 aprile a cercare altre soluzioni, ma non si è mosso nulla. Comunque ora non sappiamo dove andare: chiediamo aiuto ad un prete che già conosciamo. Il prete ci dice che aveva già parlato della nostra situazione al direttore della Caritas di Pescara, e che non vi erano problemi per ottenere una proroga, comunque per sicurezza  lo contatta al cellulare. Don Marco, il direttore, dice che non vi sono problemi per una proroga del dormitorio. Dobbiamo parlare con un'operatrice, una tale M. il pomeriggio stesso. Arriviamo e  M. questa vuole sapere la nostra storia, vuole vedere le nostre carte, le nostre denunce, perchè sembra che l'entrata nel dormitorio sia subordinata a questo. Aggiunge che sono le richieste di don Marco. Non ci era stato accennato nulla in proposito. Noi raccontiamo la storia e le facciamo vedere qualcosa, ma le impediamo di fare fotocopie, sono cose troppo serie, c'è già la polizia che ci sta lavorando, non vediamo il caso che la Caritas si sostituisca a magistrati e forze dell'ordine, non hanno un minimo senso di come si dovrebbe mantenere la privacy. Dopo quasi due ore, l'operatrice ci risponde che per la proroga è competente un'altra signora, e dobbiamo tornare la mattina dopo, però per questa notte siamo fortunati, ci danno posto in una pensioncina. M. non ci assicura la proroga nè la durata della proroga al dormitorio. M. nel dialogo ci prospetta sempre la stessa soluzione, gia presentata in altre Caritas, con Giovanna a fare la badante 24 ore, e Matteo si arrangerà, andrà in qualche dormitorio, come se fosse normale per una donna abbandonare la persona cara in mezzo al mondo, e seguire con dedizione un vecchio o una vecchia malata che non conosce. Ricordiamo qui a M. che quando due si sposano, viene pronunciata la frase "non separi l'uomo ciò che Dio ha unito". Paradossalmente in Caritas è più facile trovare sostegno per  divorziare che per stare uniti, anche per quanto riguarda l'assistenza legale. Insomma agiscono più da divisori che da altro e crediamo che molte volte ci riescano bene.Arriviamo alla pensioncina, la conosciamo, ci eravamo stati in cerca di lavoro
29 Aprile Martedì. .  Riponiamo ben poche speranze in R., la bionda responsabile delle proroghe del dormitorio: già per altre persone non aveva concesso proroghe, la loro legge stabilisce che non si può rientrare al dormitorio prima che siano trascorsi 30 giorni dall'uscita. Cerchiamo aiuto da un'altra persona, un certo Renato che gestisce una mensa. Persona molto conosciuta a Pescara. Tenta al dormitorio di Chieti, ma non vi è il responsabile. Allora nel pomeriggio torniamo dal prete che ci faceva da intermediario, il quale ritelefona a don Marco. Dal telefono in modalità "vivavoce" sentiamo don Marco, molto arrabbiato :-"Non è vero niente che non c'e' posto in dormitorio, quelli raccontano in giro un sacco di sciocchezze, sono furbetti, è gente da stare attenti". Il prete chiede allora don Marco, visto che c'è posto in dormitorio, di mandarci a dormire lì. Don Marco risponde: "-Questa sera la passano fuori, e domani tornano in Caritas". Sembrava una specie di punizione, ma Il prete non è decisamente contento che dormiamo fuori e ci da i soldi dell'albergo e ci dice di andare in Caritas domani mattina. Pensiamo che forse hanno cambiato idea e ci danno una proroga. Ma se avevano tutto questo posto, perchè ci avevano mandato a dormire la sera prima in una pensione? Solo per aspettare la decisione della responsabile? Ci sembrava eccessivo, anche perchè  la pensioncina aveva un certo costo da sostenere, e una gestione del genere non ci sembrava poi tanto  oculata. Sappiamo pure che  avevano tenuto in un albergo una famiglia per alcune settimane prima di trovare loro un posto di lavoro come badanti.  E sappiamo che altre persone furono tenute in albergo per vari mesi. Ma lo fanno solo con chi vogliono loro. Avranno le loro ragioni.
Il 30 Aprile, Mercoledì ritorniamo Alla Caritas, sul tardi perchè Matteo si sente male e rimane fermo in una panchina. La responsabile del dormitorio, la signora bionda  non c'è: troviamo un ragazzo del servizio civile, il quale  telefona a don Marco. Don Marco dice che non c'e' posto in dormitorio, dobbiamo tornare lunedì prossimo, poichè il resto della settimana è tutto chiuso a causa del ponte del primo maggio. Dunque avevamo ragione noi a pensare che in dormitorio non vi era posto. Ci sentiamo presi in giro, in un gioco di ping pong, dove siamo sbattuti da un posto all'altro senza pietà.  Anzi di più, ci sentiamo vittime di una vera e propria violenza, una violenza con l'aggravante di essere operata nei confronti di persone che non possono difendersi. Colpi del genere sono difficili da smaltire. Il perdono è una cosa sacra, non lo si può concedere a chi non se lo merita.
 Troviamo i soldi per andare a dormire in albergo chiedendo aiuto pubblicamente per una strada di Pescara. Troviamo aiuto e sostegno in dei pescaresi.  Qualcuno telefona  al comune, altri  chiamano, a nostra insaputa ancora don Marco,... ma quello che ci salva è il risultato della questua, che ci permettera di trovare un posto dove dormire, almeno per la notte, poi si vedrà. Ed è stato proprio l'aiuto dei pescaresi a confortarci, a farci pensare che non vale la pena prendersela. E' difficile scrivere queste giornate, il male che abbiamo subito è così grande ed illogico...
1 Maggio Giovedì, torniamo dal  prete che faceva da intermediario con don Marco, ci manda a dormire dai frati capuccini, arriviamo alle sette, ma il frate torna alle nove perchè ha messa alla stazione. Aspettiamo il frate, ma, dopo l'attesa non ci accolgono perchè sono di clausura. Potevano pure dircelo prima! Si propongono di cercarci un lavoro urgentemente.........intanto ci mandano in stazione. E' un colpo basso, aspettare delle ore per niente è pur sempre brutto . Stiamo fuori tutta la notte, ma non in stazione perchè è un'area pericolosa. Di notte è freddo. Lì c'e' una statua di Padre Pio.
2 Maggio Venerdì, Ritentiamo con Il prete. Questa volta il prete  tenta la carta del don Orione, chiede di tenerci fino a Lunedì, ma don  Nicola ci tiene al massimo solo una notte. La sera Mangiamo al don Orione. All'indomani siamo a punto a capo.
3 Maggio Sabato, Siamo al punto di partenza, Chiediamo aiuto pubblicamente in una piazza, ci aiuta un pescarese, Alessandro. Coinvolge parecchie suore di sua conoscenza. Ci troviamo alla stazione, nella zona del dormitorio gestita da suor Livia. Viene anche Alessandro, aspettiamo che iniziano e finiscano il rosario, il tempo passa e Alessandro ha un appuntamento. Alessandro però, che è buono di cuore, ci lascia un contributo economico, quasi si vergogna, oppure presagisce l'esito, e ci lascia  pure una busta piena di cose da mangiare, "così avete delle cose da sgranocchiare". Ci lascia pure un pacchetto di sigarette e un accendino. Lui aveva un conto aperto con dei padovani che l'avevano aiutato anni prima, e così si sbriga a fare altrettanto con altri padovani.  Alessandro se ne va. Poi, dopo il rosario e alcune altre faccende, verso le 22:00 arriva la suora, che ci dice che non vi è posto lì, accolgono solo uomini, e comunque non è posto per noi, vi sono ubriaconi e tossicodipendenti... Ci suggerisce di passare la notte in stazione. Ormai è tardi, è un altro colpo basso, perchè era stato inutile aspettare lì un'ora e mezza per nulla. Per fortuna che Alessandro ci aveva rincuorato. Con i soldi di Alessandro riusciremmo a trovare un posticino il giorno dopo, ma i posti economici questa sera sono tutti pieni. Così passiamo la notte fuori a sgranocchiare.
Perchè la suora non ci disse subito che non vi era posto? Aveva paura di fare brutta figura? Almeno Alessandro ci avrebbe aiutato per trovare altre soluzioni...
4 Maggio Domenica, siamo sfiniti, abbiamo difficoltà a stare in piedi, barcolliamo ma non molliamo. Grazie ai soldi di Alessandro troviamo posto in un piccolo albergo economico dove si erano liberati dei posti. Ci andiamo al mattino. Facciamo bucato e tanto siamo stanchi che dormiamo tutto il giorno e la notte prelevando i viveri dalla corposa borsetta di Alessandro..
5 Maggio, Finalmente lunedì, il ponte festivo del primo maggio è passato. Le feste sono un incubo per chi vive in stato di disagio perchè sono sospese molte attività, noi non riusciamo ancora a mettere da parte il sonno, la stanchezza e la fame. Torniamo a parlare con la Caritas, ci fanno un interrogatorio per sapere altre cose, sono irrigiditi dal nostro rapporto con il prete che ci sta aiutando. Speriamo, una volta chiariti i malintesi, che dopo tanto penare ci accolgano. Alla fine la signora bionda., appellandosi alla  legge, dichiara che  non possiamo ritornare in dormitorio prima del 28 Maggio, ovvero prima che passi un mese dalla nostra uscita.  E questo Indipendentemente dal fatto che ci sia posto o no.  Allora questa è un'altra conferma che siamo stati presi in giro e non solo noi, pure il prete intermediario. Anzi ora la legge è stata cambiata, ora si può rimanere al massimo 20 giorni in dormitorio, per dare un giro alle persone bisognose.  Insomma la legge, la fanno e la cambiano come vogliono.
Torniamo allora dal prete, per avere consigli. Il prete, litigando, riesce a farci dormire un'altra notte al don Orione, ma è sicuramente l'ultima. Ci spedisce da don Marco il giorno dopo, convinto che questa volta il direttore ci aiuterà. Al don Orione non era cambiato nulla, la stanza che avevamo dormito giorni prima era stata  "sfitta", con le cose come le avevamo lasciate. Costava tanto al don Orione farci rimanere più giorni, visto che quella stanza sarebbe rimasta vuota? Qualcuno ci dice che è un problema di dottrina. Don Nicola ha studiato molta dottrina e non riesce a capire i casi umani.
6 Maggio, Convinti che questa volta don Marco abbia una soluzione sua personale al di fuori della bionda, almeno cosi ci diceva l'altro prete, ci dirigiamo fiduciosi al suo ufficio. E' la prima volta che vediamo in faccia don Marco, è un prete giovane. Ma don Marco ci rimanda inaspettatamente  ancora dalla responsabile, la signora bionda., perchè egli non vuole scavalcarla nelle decisioni. Scendiamo e andiamo negli altri uffici. Questa volta mentre stiamo aspettando, il prete intermediario telefona direttamente all'operatrice. L'operatrice bionda ci chiama e finalmente ci dice i veri motivi per cui non può concederci una proroga: dice che si sono informati e che ci sono cose non chiare nei nostri confronti, anche se tornassimo il 28 maggio ci sarebbero molte riserve. La bionda per ora non è interessata ai chiarimenti, non lo reputa opportuno. Al pomeriggio torniamo da don Marco, chiediamo se ci puo mettere in albergo, ma dice che è troppo tardi, perchè queste decisioni per legge devono essere prese entro le 15:00 (l'ora della Misericordia). Che cosa fare? Non è solo questione di parole e diffamazioni: qualcuno ha deciso per noi, ed i colleghi si allineano. Alla fine rimaniamo in strada, stanchi e sfiniti. In un gioco di rimbalzo che non è nemmeno durato poco.  Dopo dell'ennesimo tentativo, che ci ha ridotti letteralmente e moralmente a terra, ci alziamo, animati dal fatto che i Pescaresi hanno un buon cuore. Così percorriamo le vie della città per fare una colletta. Raccogliamo qualche soldo, euro su euro, da riuscire a pernottare in albergo, perchè la Caritas non può permettersi di sostituirsi  alla Carità dei cittadini. A noi è andata bene, in quelle condizioni chiunque potrebbe aver reagito male, magari decidendo di farla finita, buttarsi da un ponte,  o essere istigato a compiere qualche reato per sopravvivere. E' una cosa normale, è una cosa che molti fanno. Comportandosi in questa maniera purtroppo favoriscono la prostituzione, il traffico di droga, i piccoli furti, i suicidi, i racket. E vi assicuriamo,  che è quasi impossibile uscire da queste situazioni, se non vi è un reale interessamento esterno.
7 Maggio, Mercoledì andiamo a parlare con gli assistenti sociali di Pescara e pure con il difensore civico. Non vi è nulla da fare, per quanto gli assistenti si diano da fare, almeno per chiedere due giorni di spesa in albergo.Inoltre le strutture del comune sono gestite dalla Caritas e se la Caritas non vuole c'e' poco da fare.... Ci aiuta il solito prete e il gran cuore dell'albergatrice, che ormai ha capito i nostri problemi, e ci concede pure degli sconti, dormiamo in una stanza bellissima, perchè le altre stanze sono tutte occupate.
8 Maggio, è Giovedì e La Caritas di Pescara ci fa comunque il biglietto per Roma, grazie al prete che ci manda al don Orione convinto che ci aiutino! Usciamo da Pescara, dove ormai non vi era nulla da fare. Siamo stanchi e spossati per la situazione. Arriviamo al Don Orione verso le 20.00. Il direttore ci lascia sui gradini dell'ingresso, nemmeno ci fa entrare, non ci vuole e non vuole nemmeno darci indicazioni dove andare. Non ne possiamo più di questa situazione, dei continui rifiuti. Siamo sfiniti e logorati. Riusciamo a trovare posto da delle suore, a poca distanza, perchè dalla stanchezza non riuscivamo più a spostarci, e avere anche uno sconto grazie a Giovanna. Siamo notevolmente appesantiti dalle borse, che contengono tutti i nostri averi.
9 Maggio Venerdì. Non abbiamo nessun aggancio a Roma, la mattina è sciopero dei bus e dei treni. Scendiamo a piazzale Clodio, ci avviciniamo a via Teulada e proviamo a contattare la giornalista che ci aveva fatto andare ospiti  a Piazza Grande, il programma di Rai Due. E' contenta di sentirci, ma non ci può far entrare negli studi. E' una sensazione strana, passare per di lì, vicino alla TV: ancora allora, in Marzo 2007, speravamo ci avrebbe risolti tutti i problemi (sfatiamo il mito di Vasco Rossi "basta andare in televisione..."). Rimane comunque una cosa del tutto particolare, andare in TV, in diretta nazionale, con la propria storia personale, peccato che poi sia finito tutto lì, insabbiato pure quello.. Nel pomeriggio ricominciano a girare i bus, riprendiamo le borse e fuggiamo da Roma, da quella Roma che ingoia tutto.
Ritorniamo ad Assisi per affrontare le chiacchiere proprio nel punto dove sono nate ancora nel 2006, quando giungemmo per la prima volta ad Assisi, provenienti anche allora da Roma, da piazzale Clodio. La sera ci troviamo ad Assisi alta, nel bel mezzo dello svolgersi del Calendimaggio. Meglio così, troviamo un posto in un vicolo dove passare la notte, sotto le stelle, alla vecchia maniera di San Francesco, la maniera della "perfetta Letizia". Il cielo è stellato e bellissimo, l'aria profuma di fiori, vi sono giovani innamorati che s'imboscano vestiti d'epoca. Rispetto al fracasso di Roma sembra di stare in paradiso. Se qualcuno ci avesse aiutato veramente nel 2006, avremmo messo casa in questo posto bellissimo. Oggi come al tempo di Francesco, Assisi è un paese di commercianti e trafficanti in tutti i sensi, anche perchè sulla linea Roma-Perugia. 
10 Maggio, è Sabato, Con le borse, ci dirigiamo alla Basilica di San Francesco e vi entriamo uno alla volta. Poi tentiamo un aiuto a Bastia Umbra. Passiamo un'altra notte fuori, questa volta nelle campagne di Costano a cielo aperto, sempre nell'ottica della perfetta letizia. E' una notte importante, quella di Pentecoste tutti i  religiosi sono impegnati nelle preghiere  ed è dunque inutile cercare un aiuto. Hanno in mente solo pregare. Le attività di foresteria dei frati costano ancora di più degli affittacamere e noi non ci arriviamo come budget.
11 Maggio Domenica , Infreddoliti per l'umidità, alla mattina arriviamo a Santa Maria degli Angeli (SMA) e andiamo alla Porziuncola. Almeno ad Assisi non si paga per entrare in chiesa, a Venezia capita anche questo! Abbiamo parecchia fame, ma a mezzogiorno a Bastia, grazie alle attività di "consolato" di Giovanna riusciamo a unirci ad una manifestazione della Croce Rossa e grazie alla Croce Rossa facciamo un pranzo completo con tanto di gelato, amaro e caffe!  Le borse ora pesano meno. Solo domenica verso sera riusciamo a trovare una stanza economica per dormire (45 Euro). Finiamo tutti i soldi del don Orione lì. 
12 Maggio Lunedì , E' l'ora di affrontare la Caritas di Assisi, lo facciamo tramite interposte persone, tanto da avere dei testimoni. E che testimoni! Comunque non c'è posto, almeno questo è quello che ci viene detto, comunque meno male che ci ospitano per la notte le suore. E' un vero miracolo.
13 Maggio Martedì. Facciamo il secondo round alla Caritas. Non vi è nulla da fare. Il direttore ha già deciso, anche per noi: ha deciso che dobbiamo tornare a Vicenza, ha già preso accordi con le strutture del posto, senza dirci niente. Ci farà un bel biglietto del treno! Visto che non vi è nulla da fare, se non fare, appena potremo, la denuncia pubblica*. Naturalmente a Vicenza e provincia  ci abitano le nostre famiglie d'origine, siamo nati lì,.... E da lì il passo per tornare in quelle disgraziate famiglie il passo è brevissimo. Poco importa che noi siamo residenti a Padova, poco importa la nostra volontà, espressa direttamente, espressa publicamente anche in TV. Perchè tanto zelo a rimandarci a Vicenza? E' ovvio che il direttore ci consideri dei mentecatti, gente con ogni tipo di disordine, per dirla con le sue parole, ma come fa ad essere certo che anche le famiglie d'origine non siano composte da mentecatti, visti i risultati? Almeno, nel dubbio, per prudenza, ci avesse indirizzato presso un luogo non del Veneto, o semplicemente poteva non assumere posizione, non farci terreno bruciato in questo modo. Lasciarci in pace a Pescara o a Terni...

14 Maggio. Le suore intanto parlano con la Caritas, dunque diventano normalmente ostili. Non ci resta che togliere l'ancora e fuggire da Assisi, là non vi sono buone arie, e se il direttore ha chiamato Vicenza, sarà facile fare brutti incontri ad Assisi nei prossimi giorni.
Assisi ha la grande sfortuna di attirare un'infinità di soldi, e i soldi sono come le carcasse degli animali morti, attirano molti avvoltoi. Nonostante tutto, al di fuori di certi ambienti, Assisi è molto bella. Resta comunque un paesotto dove è impossibile avere una vita separata, per chi come noi è stato in casa di accoglienza. La, in quella casa, anche a distanza di due anni, sono rimaste molte persone che ci conoscono, e funzionano da radar. Capitava anche quando c'eravamo noi. Emanuele o Romano o Frank o Edvige o ..., tutti questi appena vedevano qualcuno riferivano dei vari spostamenti. Incredibile anche come fossero aggiornati su un territorio più vasto. Capitava ad esempio a cena discorsi del tipo: "o sai, o visto quel tizio, quello che è stato qua l'anno scorso, l'ho visto a Pescara ". Insomma hanno una rete da invidiare ai servizi segreti, visto che alcuni di questi non hanno altro da fare che gironzolare e sanno tutto di tutti, visto che alcuni "ospiti" si fanno il tour delle case di accoglienza italiane. Qualcuno li dentro aveva amici o benefattori a Vicenza, anche la vice aveva varie conoscenze da quelle parti, e poi il prete di Spoleto  molto poco zelante nei nostri confronti era di Vicenza . Insomma forse a Vicenza hanno varie conoscenze ed è per questo che ci volevano rimandare là. Ci fece molta impressione, che dopo due anni, in casa di accoglienza, vi erano ancora gli stessi ospiti di rilievo di sempre: Emanuele di Roma, Romano il detenuto agli arresti domiciliari , Edvige la tedesca, Frank il kosovaro, come se nulla fosse cambiato in quella casa. La casa che veniva chiamata dagli stessi ospiti  "la casa dei matti".

Epoca successiva fino a fine marzo 2009
Le settimane  successive, di Maggio '08 compriamo delle medicine vendendo la fede nuziale e poi  grazie ad un aiuto e all'interessamento personale di una famiglia italiana.

Grazie a l'interessamento di una famiglia italiana della borghesia, siamo tornati  a vivere insieme sotto lo stesso tetto, trovare un lavoro estivo. Siamo riusciti così a vivere fino a marzo 2009, quando anche in questa cittadina ricominciarono i fatti di sempre: intimidazioni, persone che ti aspettano sotto casa... più o meno con le stesse modalità che erano accadute a Terni. E abbiamo dovuto partire nuovamente facendo un salto nel buio, alla ricerca di un nuovo posto dove stare, senza lasciare spiegazioni,
sempre più stanchi e rammaricati da questa situazione di ingiustizia.











[1] Il discorso è molto complesso e articolato. Ci limitiamo per ora ad indicare alcuni elementi. Vi suggeriamo di guardare il video "Unico - Part I [*]".

[2]
Le vicende legate al nostro lavoro e all'azienda sono approfondite nella seconda parte di questo documento.

[2a] Particolare importante non lasciamo il numero civico di casa.  Questa fu la più grande stupidata.

[2b]Casi del genere si ripeterono più volte. E' interessante notare le dichiarazioni fatte dall'assistente sociale riportate nella nota generale [N1]

[3]
Riteniamo che, doversi per legge riferire ai carabinieri del paese di residenza, per ogni tipo di questione, sia un errore. Si corre il rischio di andare a parlare con l'amico del cugino di tizio  .........

[4]Non ci è stata rilasciata nessuna ricevuta in proposito, e non conosciamo nemmeno i nomi delle persone con cui abbiamo parlato. Quando siamo tornati in quella stazione il 05 Maggio 05 per cercare di parlare ancora con le stesse persone,  non ci è stato possibile.

[4b]
Prima del recente scandalo sul mondo del calcio, emerso dall'indagine svolta dai PM Beatrice e Narducci della Procura di Napoli, non pensavamo che il fenomeno fosse così  radicato, ed avevamo sottovalutato l'importanza delle nostre testimonianze e delle relative conseguenze..
[5]Sui motivi leggere il documento "il comune non ci aiuta*"

[5b]Per comprendere introduciamo  alcuni aspetti relativi alla situazione umana vissuta e patita.  Quattro euro di spese per la raccomandata significava ad esempio rinunciare a un kg di pane, un kg  pasta e pomodori e per noi erano diventati fondamentali pure i spiccioli.
 

[6]Le varie vicende sono collegate. Si fa qui solo menzione.




[8]Eravamo già stati minacciati in proposito
.. Abbiamo un video mp4 che nessuna autorità ci ha mai permesso di consegnare (come elemento di prova).

[9]Si trattava di un nuovo  c/c, non centrava nulla con quello della società. Il bancomat ci fu consegnato dopo 4 mesi. Più avanti fummo costretti ad aprire un c/c in un'altra regione per ovviare a questi problemi.


[10] Questo contributo non aveva niente a che fare con la nostra situazione economica o con le richieste di aiuto. Ovviamente divenne la nostra ancora di salvezza. La nostra pratica fu persa. Qualcuno si rifiutò pure di eseguire degli ordini dei superiori. E' un pò la copia di quello che accadde in Procura.

[11] La nostra procedura era corretta. Il fatto di avere inviato le carte a Roma e non a Padova l'avrebbe solamente allungata, come ci disse un maresciallo del Viminale.  Fu chiaro solamente molto tempo dopo che nessuno intervenne perchè i nostri documenti erano stati persi e/o sottratti..

[12]Questo discorso è complesso vedere in proposito il link*

[12b]Quando in maggio '05 ci recammo all'ufficio URP della Prefettura/Provincia tali documenti non risultavano da nessuna parte. Probabilmente avevano subito la stessa sorte degli altri: scomparsi.

[12c] Ormai per noi era diventato consuetudine trovarsi in situazioni del genere. A dimostrazione di ciò sono rimasti tutti i fax e le documentazioni inerenti








[12d] In paese non conosceva nessuno il nostro cognome, eccetto il parroco e un'altra persona.



[13]Fatalmente uno dei due carabinieri è originario del nostro paese di nascita. Ci disse che non è bene fare nomi sugli esposti. Conosce i nostri parenti...

[14] Chiediamo un'apertura d'indagine alla Procura per fare chiarezza sulla vicenda.  Questa, al contrario delle altre, non scomparirà a Roma. Ma risultera, nel 2006, che il magistrato che la prese in mano non avvio le indagini per i reati descritti che erano  perseguibili d'ufficio.

[14b] Varie persone con cui abbiamo parlato riguardo le nostre vicende  ci hanno risposto allo stesso modo: non sta bene fare nomi e cognomi sugli esposti, anche se, scrivendoli, non abbiamo infranto alcune legge. Deve essere una di quelle regole non ufficiali, scolpita nelle mente di tante persone.  Avevamo descritto l'amicizia tra un nostro zio e un presidente della FIGC e nominato un Tanzi.

 [15] Per mesi fummo convinti erroneamente delle possibilità relative al gratuito patrocinio. Parlando con il maresciallo avevamo inteso che solamente per i discorsi penali si poteva avere diritto al gratuito patrocinio dell'avvocato. In realtà poi la cosa fu una delusione perchè l'avvocato s'interessò solamente del caso specifico e non dell'intera vicenda. L'avvocato ci invitò a denunciare il maresciallo dei  carabinieri


.
[16] Durante l'estate del 2005 ci fu un incidente grave con la morte di una ragazza minorenne. Anche in quel caso il maresciallo tentò di dimostrare che l'incidente era dettato da motivi psicologici, ipotizzando un suicidio. Seguimmo la vicenda dai giornali. Abbiamo notizia di altri casi che seguirono sempre lo stesso iter, cioè un'interpretazione psicologica del caso, più che un tentativo di reale ricostruzione dei fatti.

[17]   Non sappiamo se dopo l'estate '05 siano arrivati documenti della Procura di Milano. Tramite fax, email o telefono non è comunque arrivata nessuna comunicazione. E' da notare che accanto alla denuncia vi era la richiesta di un intervento urgente, perchè a seguito di tutte le vicissitudini elencate nei documenti smarriti eravamo rimasti senza più nulla, oltre che in grave pericolo. Alla Procura di Milano inviammo pure una copia dei fascicoli che erano stati smarriti a Roma. Nel 2006 avvertimmo per email vari PM della Procura di Milano mettendoli al corrente dei fatti,  chiedendo delucidazioni in merito. Non ottenemmo nessuna risposta se non un "mi dispiace". Non ci fu proposta nessuna via  su come far arrivare i documenti a Milano o a Roma visto che le vie ufficiali anche a Milano erano bloccate, sussistendo lo stesso vizio di Roma (sottrazione e/o smarrimento sistematico di tutti i documenti inviati).

[18] Depositammo i due fascicoli presso l'ufficio primi atti, subito dopo la constatazione che i documenti precedentemente inviati erano stati ri-smarriti e/o ri-sottratti. Ci presentammo allo sportello, sul finire dell'orario. Notammo però che i nostri fascicoli erano stati posti da una parte, invece altri documenti erano stati portati in un'altra stanza. In quell'istante abbiamo temuto che anche quei documenti sarebbero stati smarriti e/o sottratti, e da quanto confermato dal PM a novembre '05 ciò è veramente avvenuto. Sembrava inoltre che le persone dell'ufficio primi atti ne conoscessero già il contenuto: non volevano accettarli perchè non riguardavano fatti accaduti a Roma. Noi rispondemmo: "come fa a saperlo?"

[18b] Solo recentemente, con lo scandalo del calcio e l'inchiesta partita da Napoli sulla FIGC ci siamo resi conto di quanto importanti fossero le persone nominate.

[18c]La nostra scoperta storica invece di darci gloria, ci portò molte noie. Il parroco del paese ci invitò a desistere, perchè ci voleva troppo coraggio, e perchè c'erano delle famiglie che non gradivano. Il comune lasciò nascosta tutta la vicenda. A Ferrara ci furono chiuse le porte anche all'accesso di  materiale storico. La nostra scoperta, per il maresciallo dei carabinieri, era evidentemente il frutto di due menti malate. Individuò uno di noi due come un  mitomane e di lì è nata l'idea di far fare una visita psichiatrica, naturalmente senza verificare i fatti. Il precedente incarico del maresciallo era situato nel ferrarese: bisognerebbe verificare se possa avere attinenze con i problemi da noi riscontrati a Ferrara. Oppure se si tratti persona ciecamente convinta delle sue conoscienze, al punto da  dare del pericoloso a chi presenta tesi diverse dalle sue, senza nemmeno un riscontro sulle fonti.

[19].Non sappiamo che fine abbiano fatto questi ultimi documenti. Non è da escludere che siano spariti nuovamente. Un'altra ipotesi potrebbe essere che la prefettura si sia basata sulle ipotesi fatte dal maresciallo senza verificare i fatti.

[20].E' da ricordare che uno dei carabinieri intervenuto la sera dell'incidente era del nostro paese di nascita e conosceva i nostri parenti.
[20b].In un ufficio postale ci accorgiamo in maniera del tutto fortuita,  che una lista con i dati di tutte le raccomandate inviate in giornata da quell'ufficio , compreso il mittente, è segnalata ai carabinieri. Constatiamo dunque che i carabinieri sono informati e possono operare un controllo sull'invio di tutte le lettere raccomandate.
[21] Il dubbio diventa una certezza facendo delle analisi approfondite sul caso.




[22]Scopriamo che la proprietaria è di origine veneta e che ha molte proprietà nel paesetto

[23]Probabilmente i carabinieri erano stati "avvertiti" di due persone pericolose che giravano per quei luoghi. Da quello che abbiamo potuto constatare successivamente, tale segnalazione era stata effettuata dal curato del paese al quale ci eravamo rivolti la sera precedente, per chiedere un aiuto. Il curato non solo ci diede delle informazioni sbagliate invitandoci a lasciare il paese il prima possibile, ma ci trattò pure da delinquenti. Verificammo successivamente che vi era un certo collegamento tra i carabinieri ed il curato: quest'ultimo poi non ci vide mai di buon occhio, anzi ci trattò in più di un'occasione da delinquenti. L'intervento dei carabinieri avvenne probabilmente su sollecito del prete, il quale voleva sbarazzarsi di noi il prima possibile.  Il curato fece infatti delle pressioni sull'istituto di suore che in seguito ci ospitarono, perchè ci mandassero via. Sul motivo di questa ostilità nei nostri confronti abbiamo fatto due ipotesi plausibili. O aveva avuto delle pressioni a sua volta da qualche persona esterna, oppure vi era qualcosa da nascondere in paese, e noi eravamo elementi di disturbo.
 

[24]
Scopriamo molto più tardi, in Marzo 2006, proprio per dichiarazione del PM, che anche la lettera raccomandata inviata il 21 di Novembre '05  sarà smarrita e/o sottratta. Consigliamo di leggere attentamente il documento di dettaglio in PDF.










[25] A seconda dei casi venivano inventate delle situazioni plausibili da presentare al malcapitato che telefonava al nostro comune. In alcuni casi si lasciava intendere che eravamo fannulloni, in altri casi matti e in altri delinquenti. Quando non si riusciva con le buone si dissuaseva il malcapitato facendogli capire di evitare intromissioni.

[26] Riteniamo che la risposta indiretta del nostro comune si concretizzò con la visita dei carabinieri del 24 Dicembre. Chiedemmo più volte al sindaco se gli erano pervenute delle novità. Non ci rispose.

[





















27]
si era discusso se la comunità poteva in via occasionale ospitarci temporaneamente. Questo non era possibile perchè non eravamo tossicodipendenti o alcolizzati. Sono delle situazioni paradossali che si verificano quando si applica la legge in maniera disordinata e senza buon senso.




























[27b]
La situazione è paradossale! Siccome le nostre denuncie erano andate perse, erano andati perduti anche i motivi per i quali eravamo stati costretti a fuggire dal Veneto, o i motivi per i quali non potevamo aver ottemperato a determinati obblighi di legge. Così queste notifiche non erano altro che procedimenti contro di noi. Dunque  davanti alla legge eravamo diventati colpevoli di vari reati. Immaginatevi ad esempio che vi rubano l'auto e andate a fare regolare  denuncia. Immaginatevi  che tale denuncia viene persa e che con la vostra auto compiono un furto. Alla fine voi risultate l'imputato del furto perchè l'auto vi è intestata mentre non risulta nessuna denuncia di furto. Immaginatevi anche di mostrare le copie della denuncia e che vi si dica che  non è di competenza. Immaginatevi inoltre di essere spinti ad accettare le accuse e di lasciar perdere i motivi d'innocenza
.
















29]
Constatammo che il paese era diviso in due "fazioni" in guerra tra di loro. Come emeriti deficenti, andando a mangiare in comunità ci eravamo inimicati l'altra parte. Ne venimmo a sapere di tutti i colori sul paesetto. Fu anche il primo paese dove assistemmo a molti funerali di Domenica, tanto che lo battezzammo con il nome  "paese della morte".

30] Fu un vero shock ritrovarci ad avere a che fare con un carabiniere dei nostri luoghi . Avevamo lasciato il Veneto ed eravamo andati in un'altra regione per rifarci una vita e per non vedere più le stesse facce, soprattutto dopo aver denunciato alcuni di loro.
Figuriamoci se volevano aiutarci!

31]
Le suore potevano aver appreso dello pseudonimo dalla Caritas, dal comune di residenza o dai carabinieri. Non era uno pseudonimo, ma semplicemente l'indirizzo di posta elettronica (giannina1971@libero.it). Di conseguenza le brutte idee che si erano fatte su di noi venivano da queste persone.  Le suore propagarono queste idee per il paese, ed anche questo determinò in una certa misura la nostra impossibilità a trovare lavoro. Tutto questo spiega anche il comportamento di alcune persone che non vollero più aiutarci dopo la disponibilità resa inizialmente.


32] Alla vigilia di Pasqua 2005 i carabinieri si presentarono per volerci far firmare un verbale sostanzialmente falso. Alla vigilia di Natale 2005 si presentarono alla tenda per portarci delle notifiche. Il maresciallo disse che le aveva nel cassetto da due settimane. In quelle settimane avevamo avuto l'occasione di incontrare l'auto dei carabinieri quotidianamente.
L'anniversario del nostro matrimonio avevano invitato le suore a spedirci in strada! Di conseguenza in ogni festa importante ci aspettavamo un "blitz"  guastafeste. Dal  film "Alla luce del Sole" su don Puglisi, avevamo compreso che c'è chi ha il vizio di fare la" festa" il giorno del compleanno.


[33]Mostrammo i nostri curriculum al Sindaco, ricchi di esperienze lavorative in vari campi. Chiedemmo al sindaco come si poteva considerare lavativi delle persone che avevano gestito un'azienda per dieci anni, abituati ad essere imprenditori e anche lavoratori e abituati a lavorare molte ore, ma capaci di adattarsi anche a lavori i più umili!
[34]Dopo alcuni giorni ricevettero una telefonata. Era la prima volta in tanti anni che venivano avvertiti di un'ispezione fatta in settimana.

[35]
Questa era stata l'unica soluzione prospettataci dalla Caritas. Pur famiglia sia sotto l'aspetto civile e cattolico, non vi fummo riconosciuti. Ci dissero che altre soluzioni come un appartamento temporaneo ce le potevamo sognare, "voi  volate troppo in alto, ragazzi" ci disse mancandoci pure di rispetto perchè ragazzi non lo siamo più da tempo. Questo colloquio era stato fatto ancora il 28 di Dicembre 2005 e noi eravamo rimasti solamente amareggiati da quell'incontro. Noi speravamo che per le famiglie vi era la possibilità di un aiuto particolare, anche se temporaneo, per reintrodursi nella vita sociale tramite un lavoro.

































































[36]
Avevamo lasciato nel posto le nostre valige e le borse perchè non potevamo portarle con noi. Pensavamo di lì a pochi giorni di tornare a riprenderle ma non ci fu possibile. A Verona, il giorno di partenza per Roma, trovammo una persona che intuì la nostra condizione, e ci diede alcuni vestiti, scarpe e due borse di roba da mangiare, tutte cose che ci furono fondamentali, e ci servirono per andare vestiti in maniera decente in Procura nei giorni successivi. Non siamo mai più tornati a Brescia e in quei luoghi e sinceramente evitiamo pure di comprare prodotti che vengono da quelle zone!









[37]Lo smarrimento di questa ulteriore raccomandata è documentato dallo stesso PM con il fax di inizio Aprile 2006*..
























[38]
Se fosse normale la situazione verificatasi nel nostro caso, occorerebbe ammettere che in Procura della Repubblica, a fronte di 100 denuncie presentate,  ne vengano perse novanta, e questo dovrebbe accadere normalmente a tutte le persone che depositano tali atti. Ricordiamo che l'unico nostro  esposto arrivato aveva di particolare, rispetto a tutti gli altri, un mittente fittizio, diverso dal nostro. Se consideriamo solamente i documenti inviati con il nostro nome la percentuale di smarrimenti corrisponderebbe al 100%. Occorre inoltre sottolineare che il caso (o la "sfortuna") non riesce a leggere il nome. 







[39]
A Santa Maria degli Angeli



[40]Spedimmo un fax da Santa Maria degli Angeli  a fine Marzo 2006



[41]Tramite email




[41bis]In Veneto riferirono al magistrato che noi non eravamo reperibili.


















































[42]Non riusciremo più a parlare con la segreteria del magistrato. Probabilmente dopo la telefonata  le hanno posto un divieto.




















[44]"Neanche Santa Rita è riuscita a calmare le acque bianche.."


























La scoperta storica sugli Estensi
Nel 2004 scoprimmo che in una frazione di Baone (PD) erano nate due Beate della casata Estense ovvero di Beata Beatrice II Estense e Beata Beatrice III Estense e regina d'Ungheria, e forse pure San Contardo (patrono di Broni, PV).
Il paesino non sapeva che tanta grazia nel 1200 aveva toccato i suoi colli: si conosceva solamente la figura di Beata Beatrice I d'Este nata ad Este, provincia di Padova. E tutt'ora là si conosce solamente la triste realtà delle antenne abusive sul monte Cero.
La nostra scoperta avvenne nell'agosto del 2004, subito dopo essere tornati da Medjugorje: fu un evento per certi aspetti casuale. La scoperta ci sembrò pure l'occasione di avere qualche entrata economica alternativa. In Settembre la nostra scoperta maturò con la venuta alla luce di altro materiale. In particolare risultò fondamentale il libro del benedettino Faustino Mostardi[E1], con un intero capitolo dedicato alla frazione di Baone ed a quella Luce che si degnò di visitarla.
La pregevole opera del Benedettino che aveva dimostrato, tramite atti del catasto e altro materiale, quanto noi vi stiamo dicendo.
La nostra scoperta e ricerca non ebbe però vita facile. Nel comune vi erano delle "forze" contrarie che non desideravano che tali notizie emergessero. Il comune fu informato, anche pubblicamente, ma non si mosse in tale direzione. Anzi con le nostre orecchie nel 2005 sentimmo delle chiacchiere: si diceva vi fossero "persone che andavano a raccontare storie su Santi e Beati, chissà con  quale intenzione politica e sovversiva". Insomma in quel paese vi furono delle vere e proprie diffamazioni contro la nostra persona.
A Ferrara, dove esiste ancora oggi il Monastero fondato nel 1200 da Beata Beatrice II Estense, non vedono di buon occhio le nostre ricerche , probabilmente perchè Beatrice viene considerata santa ferrarese. Addirittura, il comune di Ferrara, dopo vari mesi, risponde ad una nostra lettera con una email, ove si evidenziava che Ferrara ha già un gruppo di studiosi e ricercatori, e che tutte tre le Beatrici erano "cosa loro" (testuali parole della mail). Comportamenti analoghi li abbiamo riscontrati in tutti gli ambienti di Ferrara.
Nel monastero di Sant'Antonio in Polesine, che si trova all'interno delle mura di Ferrara, vi sono altri importanti documenti, ai quali noi però non abbiamo potuto accedere, pur avendo fatto richiesta più volte alle suore. Addirittura ci fu un prete della Curia di Ferrara che disse che nella biblioteca del monastero, vi erano alcuni documenti che erano rimasti là ancora dai tempi del Mostardi[E2] prestati al Mostardi, e più rientrati.

La nostra scoperta per il maresciallo dei carabinieri, probabilmente dotto di quello che si dice a Ferrara, era evidentemente il frutto di due menti malate, o pericolose. Naturalmente senza verificare i fatti.

Ci rimangono infine ben pochi dubbi sul fatto di aver messo le mani, proprio con la nostra scoperta-ricerca , su qualcosa che scotta. A Modena abbiamo verificato, presso l'archivio di stato, come in pubblicazioni recenti vi siano grossolani  errori. A Ferrara vi è la particolare propensione a considerare gli Estensi a proprio appannaggio, anche per questioni economiche. A Baone forse il patrimonio storico va a cozzare con gli interessi sulle cave locali o sui siti di antenne abusive.

Per approfondimento sulla ricerca seguire il link: http://digilander.libero.it/memorie






Note generali di "Quattro anni d'inferno in Italia"
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[N1]Durante un colloquio telefonico del 01 dic 2005  l'assistente sociale del comune di residenza ci fa notare che ci era stato offerto un lavoro, ma non l'avevamo accettato: dice che è ben informata. Ebbene, in novembre ha chiamato una società per reclutare personale per fare corsi per il computer. La cosa grave è questa: dopo un anno  in cui non siamo riusciti a trovare uno straccio di lavoro, ci arriva una proposta di cui il comune è a conoscenza? E fino ad ora che non ci è arrivato nulla? C'è qualcuno con la paletta, come il vigile urbano, che dirige le opportunità di lavoro? Purtroppo quell'unico lavoro non era attuabile:  non vi erano i soldi per spostarsi nella sede dell'appuntamento, il corso esigeva apertura di partita iva, cosa non possibile.  Stranamente era la prima telefonata ricevuta in relazione ai curriculum inseriti in internet ancora un anno prima, la sola ed unica telefonata! Non è questione per lamentarsi, non abbiamo mai creduto tanto in questi sistemi,  avevamo comunque cercato lavoro anche in questa maniera. Ci sembrava comunque strana quella telefonata, dopo tanto tempo di silenzio.
Solo ora forse riusciamo a dare una spiegazione.  Per la cronaca, il lavoro consisteva nel tenere dei corsi di Office a 60Euro+Iva al giorno. La cosa era fattibile, anche se il lavoro era poco remunerativo, tenendo conto che essendo un lavoro con partita iva poi occorreva avere un commercialista, tenere la contabilità e quant'altro inerente.
Comunque sia, la cosa è di per se è inquietante, perchè, se il comune è riuscito a far muovere una società di Milano, attraverso lavoro.org  non è ragionevole pensare che possa anche aver bloccato qualsiasi proposta di  lavoro? La cosa è inquetante!
[N2] Secondo una rielaborazione successiva degli eventi accaduti in quei giorni abbiamo ipotizzato che il maresciallo era in possesso della nostra prima testimonianza rilasciata ai carabinieri in data 05 ottobre 2004. Quella testimonianza era scottante, tanto da doverla invalidare in qualche maniera. La nostra tesi è confermata indirettamente anche dalla sparizione dei documenti in Procura della Repubblica, per la quale abbiamo una dichiarazione scritta del PM che attesta appunto la sottrazione e/o smarrimento secondo l'art 616 del codice penale. Per noi si tratta evidentemente di sottrazione di documenti perchè statisticamente è impossibile che vi sia un'incidenza del fenomeno così elevata dovuta a eventi casuali (si tratta di una questione scientifica, non psicologica). Appena accaduto l'incidente si è prospettata l'opportunità di etichettare le persone come matti con l'obiettivo di rendere le precedenti testimonianze nulle e invalidare così gli esposti e mettere tutto a tacere. A Tal proposito il maresciallo, pur di non sua competenza, fece una diagnosi psichiatrica su di noi, senza nemmeno vederci in faccia. La cosa gli è sfuggita di mano perchè noi abbiamo cambiato aria  i giorni seguenti e siamo tornati solamente dopo parecchi giorni. Solamente in occasione delle notifiche delle querele . Se fossimo rimasti in zona non sarebbe mai emerso questo particolare.  Noi stessi abbiamo visto la dichiarazione che aveva fatto, sulle carte dell'assistente sociale (fu un caso, una brezza leggera spostò alcuni fogli che teneva in mano l'assistente sociale). E' sospetto inoltre il fatto che nei giornali non si è minimamente parlato dei documenti persi, della questione della giustizia, della dinamica reale dell'incidente. E' sospetto inoltre il comportamento dei carabinieri che volevano inserire tutti e due nel verbale facendo passare la vicenda per un problema familiare. Per noi  questo comportamento aveva pure lo scopo di etichettare entrambi come matti, in modo da annullare completamente le nostre testimonianze, infatti gli esposti e/o denuncie erano stati sottoscritti e firmati da entrambi. Noi abbiamo chiesto un'apertura di indagine alla Procura Militare per fare chiarezza sulla situazione. Purtroppo nel luogo ove ci siamo spostati per rifarci una vita, in un'altra regione in un piccolo paesetto ci siamo ritrovati un carabiniere delle nostre parti. E' anche questo un caso? E' da notare che alcuni  carabinieri di quella stazione sono stati condannati dalla Procura Militare per non aver eseguito il regolamento e la notizia era apparsa sul giornale. Noi nutriamo rispetto per i carabinieri. In particolare ci ha impressionato la figura del Generale dalla Chiesa ed in particolare alcune considerazioni tratte dal suo diario personale, è per questo che esigiamo lo stesso rispetto.
[1]
Purtroppo in Italia chi ha competenza e capacità deve andare all’estero per riuscire a fare qualcosa di concreto. In Italia non si riescono a trovare i finanziamenti per i progetti pur validi. Alla fine i finanziamenti e pure le idee confluiscono in qualche maniera solamente alle grandi aziende, le quali riescono ad influenzare la classe politica o gli enti che dovrebbero erogarli oppure riescono a mangiarsi le piccole aziende. Ad esempio vi è il caso “Google”, la cui fortuna è dovuta in gran parte ad un’idea  italiana. Secondo noi il problema è che l’Italia ha una mentalità troppo “mafiosa” nel senso esteso del termine (esempio, gente incompetente assunta per motivi “di ossequio”).



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